sabato 30 luglio 2016

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta (a cura di Gemma)


Gemma ha preparato per noi la quarta parte della biografia del Santo Padre, Benedetto XVI.
A nome del blog ringrazio di cuore Gemma per il costante e prezioso lavoro :-)

Raffaella

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte prima

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte sesta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte settima (a cura di Gemma)

Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei" (Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga, 16 gennaio 2010)

Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica) 

Norbert Trippen: "Joseph Ratzinger, il cardinale Frings e il Concilio Vaticano II" (Osservatore Romano) 

Joseph Ratzinger presenta se stesso: discorso di Presentazione alla Pontificia Accademia delle Scienze 

Intervista esclusiva di Andrea Tornielli a Mons. Georg Ratzinger: "Mio fratello Papa Ratzinger (che voleva fare l'imbianchino)" 

Conferenza stampa di presentazione del 1° volume dell'Opera Omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI in edizione tedesca 

Il 15 aprile 1959, Joseph Ratzinger comincia le lezioni come professore ordinario di Teologia fondamentale all’Università di Bonn, come lui stesso racconta ne “La mia vita”: “davanti ad un vasto uditorio che accolse con entusiasmo l’accento nuovo che credeva di scorgere in me …il primo trimestre resta un ricordo grandioso, come una festa di primo amore”.

In quel periodo, trova alloggio nel convitto teologico Albertinum, prima di trasferirsi in un appartamento a Bad Godesberg, ed è entusiasta sia della città che del variegato ambiente accademico (“l’incontro con studenti e professori di tutte le facoltà mi entusiasmavano e mi ispiravano”).
Il paesaggio, anche culturale, è del tutto diverso rispetto alla Baviera (“di notte udivo i battelli sul Reno, che scorre accanto all’Albertinum. Il grande fiume, con la sua navigazione internazionale, mi dava un senso di apertura e di grandezza di orizzonti, di un dialogo tra le culture e le nazioni che da secoli qui si incontrano tra loro, in uno scambio reciprocamente fecondo e innovatore”).
Colonia è vicina, intorno c’è tutta una serie di seminari teologici, alcuni con biblioteche curate e da ogni parte provengono stimoli. Risale a quel periodo, la formazione di un gruppo di studenti interessati, con cui da allora prende l’abitudine di intrattenere colloqui regolari, proseguiti fino al 1993, con partecipanti sempre nuovi.

Come riportato da una biografia sulla rivista 30 giorni (marzo 2006): «Era l’inizio del semestre invernale 1959-60. Nell’aula 11 dell’Università, piena di studenti, si aprì la porta ed entrò un giovane sacerdote, che a prima vista poteva sembrare il secondo o il terzo vicario di qualche grossa parrocchia di città. Era il nostro ordinario di Teologia fondamentale, e aveva 32 anni».

Così l’allora studente Horst Ferdinand, scomparso due anni fa dopo una vita trascorsa tra gli uffici amministrativi del Parlamento federale e le sedi diplomatiche tedesche, appuntava nel suo inedito manoscritto di memorie l’incipit in punta di piedi della carriera universitaria di Joseph Ratzinger .
Tutti i suoi allievi di allora ricordano bene il passaparola studentesco che faceva accalcare alle lezioni di quell’enfant prodige teologo.
Racconta lo studioso di giudaismo Peter Kuhn, che diverrà assistente del professor Ratzinger negli anni d’insegnamento a Tubinga e Ratisbona: «Io allora ero un ventenne luterano. Frequentavo la Facoltà teologica evangelica, dopo aver seguito a Basilea le lezioni di Karl Barth, conobbi il bavarese Vinzenz Pfnür, che aveva seguito Ratzinger addirittura da Frisinga. Lui mi disseguarda che abbiamo un professore interessante, vale la pena di sentirlo. Al primo seminario, pensai subito: quest’uomo non è proprio come gli altri professori cattolici che conosco».
Scrive ancora Horst Ferdinand nel suo manoscritto: «Le lezioni erano preparate al millimetro. Lui le teneva parafrasando il testo che aveva preparato con formulazioni che a volte sembravano costruirsi come un mosaico, con una ricchezza d’immagini che mi ricordava Romano Guardini.
In alcune lezioni, come nelle pause di un concerto, si sarebbe potuto sentire un ago cadere per terra».
Aggiunge il redentorista Viktor Hahn, che diventerà il primo allievo ad “addottorarsi” con Ratzinger: «La sala era sempre stracolma, gli studenti lo adoravano.
Aveva un linguaggio bello e semplice. Il linguaggio di un credente».
Nel semestre invernale 1959-60 il corso è dedicato a “Natura e realtà della Rivelazione”.
Il semestre successivo, il titolo del corso è “La dottrina della Chiesa”.
Nel semestre estivo del 1961 toccherà a “Problemi filosofico-religiosi nelle Confessioni di sant’Agostino”… Confida Roman Angulanza, uno dei primi studenti dei tempi di Bonn: «Aveva come riformulato il modo di fare lezione. Leggeva le lezioni in cucina a sua sorella Maria, che era una persona intelligente ma non aveva studiato teologia. E se la sorella manifestava il suo gradimento, era per lui il segno che la lezione andava bene».
Aggiunge il novantaduenne professor Alfred Läpple, che è stato prefetto di Ratzinger al seminario di Frisinga: «Joseph diceva sempre: mentre fai lezione, il massimo è quando gli studenti lasciano da parte la penna e ti stanno a sentire. Finché continuano a prendere appunti su quello che dici vuol dire che non li hai colpiti. Ma quando lasciano cadere la penna e ti guardano mentre parli, allora vuol dire che forse hai toccato il loro cuore. Lui voleva parlare al cuore degli studenti. Non gli interessava solo aumentare le loro conoscenze. Diceva che le cose importanti del cristianesimo si imparano solo se scaldano il cuore»
E’ in lui forte il gusto di riscoprire la Tradizione leggendo i Padri con grande apertura alle domande e ai fermenti del pensiero teologico di quegli anni.
Sempre a 30 giorni, conferma Peter Kuhn: «La maggior parte degli altri professori, al suo confronto, apparivano rigidi e anchilosati, chiusi nei loro schemi, soprattutto verso gli evangelici. Lui affrontava tutte le questioni senza timore. Non aveva paura di spingersi al largo, mentre altri professori non uscivano mai fuori dai binari di una pedissequa autocelebrazione».
Come racconta Bernard Lecomte nel suo libro (Benedetto XVI l’ultimo papa europeo), i luterani sono numerosi a Bonn, dove l’ecumenismo è vissuto con naturalezza come vicinanza tra cattolici e protestanti, mentre gli ortodossi sono rari.
Il professor Ratzinger ha tra i suoi allievi un giovane teologo di nome Damaskinos Papandreou, figlio di un pope, che gli fa scoprire con l’ortodossia un altro versante, meno noto, dell’ecumenismo.
Ratzinger, appassionato dell’argomento, approfondirà questo rapporto originale che in seguito definirà addirittura una svolta nella sua vita”; è il 1998, a Ginevra, durante una serata privata per il sessantesimo compleanno del suo ex alunno diventato il reverendissimo mons. Damaskinos, metropolita ortodosso della Svizzera.
Quella sera Ratzinger, commosso, rivela di aver sempre portato al collo una croce donatagli dall’allora suo studente, una croce che “ lo avvicina fisicamente all’ortodossia”.
Tra le personalità che incontra in quel periodo: il grande storico della Chiesa Hubert Jedin, che secondo alcuni studenti di allora sarebbe stato il patrocinatore della chiamata di Ratzinger a Bonn, divenuto suo amico personale fino alla morte, avvenuta nel 1980; lo storico dei dogmi Theodor Klauser, la star della Facoltà, sempre elegante, che gira in città con la sua Mercedes fiammante (Ratzinger usa i mezzi pubblici o va a piedi, lo si riconosce da lontano per il suo immancabile basco, che lui stesso chiama con ironia «il mio elmo della prontezza»), l’altro dogmatico bavarese Johann Auer, che Ratzinger incontrerà di nuovo come collega negli anni di insegnamento a Ratisbona. Intorno al professore inizia a formarsi anche un piccolo cenacolo di studenti: Pfnür, Angulanza e pochi altri. La domenica, Ratzinger li invita a pranzo nella sua villetta sulla Wurzerstrasse di Bad Godesberg, dove si è trasferito dopo aver lasciato l’iniziale sistemazione presso il convitto teologico Albertinum. Con lui vive la sorella Maria, che è anche una brava cuoca. Qualche volta anche Auer partecipa a questi convivi bavaresi. A Bonn Ratzinger arruola anche il suo primo assistente:
Werner Böckenförde, scomparso due anni fa. Un münsteriano dalla personalità forte che a volte dà l’impressione di voler “dirigere” il suo professore.
Spiega Angulanza: «Böckenförde stimava Ratzinger come teologo, ma era più interessato ai processi e ai fatti di tipo politico-ecclesiastico, che giudicava in maniera molto critica. Il rapporto tra i due era formalmente corretto, ma non familiare». 

In quel periodo strige amicizia con Sophronius Clasen, specialista francescano di studi bonaventuriani ; conosce il teologo moralista Schollgen; lo studioso ebraico, Charles Horowitz, che teneva seminari presso la Facoltà teologica evangelica; Heinrich Schlier , grande esegeta luterano convertitosi al cattolicesimo che in seguito sarà ospite anche dei periodici raduni teologici della cerchia degli studenti dottorandi di Ratzinger; l’indologo Paul Hacker dal quale attinge con interesse nozioni sull’induismo per le lezioni di storia delle religioni («Qualche studente» ricorda Kuhn «se ne lamentava, scherzandoci sopra. Dicevano: Ratzinger è totalmente immerso nell’induismo, ci parla solo di Bhakti e di Khrisna, non ne possiamo più…»…)
Il clima di entusiasmo dei primi mesi, purtroppo, è destinato ad oscurarsi nell’agosto dello stesso anno, quando si reca in visita con la sorella nella nuova abitazione dei genitori e del fratello a Traunstein.

Il papà Joseph, già nell’estate dell’anno precedente era stato colpito da un piccolo colpo apoplettico, dal quale si era tranquillamente ripreso (“papà riprese le sue occupazioni come se nulla fosse successo. Colpiva in lui solo una grande serenità, la benevolenza particolarmente indulgente con cui ci veniva incontro.
A Natale ci coprì di regali con una generosità
incomprensibile: sentivamo che considerava quello il suo ultimo Natale, ma non potevamo crederlo, dal momento che esteriormente non dava alcun segno di decadimento”), ad agosto si sente nuovamente male finchè la sera della domenica 23, dopo cena, cade svenuto e si spegne dopo due giorni di agonia. Così ricorda nella sua biografia lo stato d’animo di quei giorni: “Eravamo riconoscenti di poterci trovare tutti intorno al suo letto e di potergli mostrare ancora una volta il nostro amore, che egli accolse con gratitudine, anche se non era più in grado di parlare.
Quando, dopo questo fatto, feci ritorno a Bonn, sentivo che per me il mondo era diventato un po’ più vuoto e che un pezzo di me, della mia casa, si era spostato nell’altro mondo”.

In quel periodo, mentre i rapporti col cardinale Wendel di Monaco non sono esaltanti, tra Ratzinger e il cardinale Frings, arcivescovo di Colonia, nasce subito un rapporto di profonda intesa, anche grazie all’amicizia col suo segretario, Hubert Luthe, compagno di studi ai tempi di Furstenried.
E’ il periodo in cui a Roma papa Giovanni XXIII annuncia il concilio Vaticano II e il cardinale Frings è uno dei membri della commissione centrale inerente la sua preparazione. Ratzinger aveva tenuto una conferenza sulla teologia del Concilio, apprezzata dal Cardinale, che lo invita ad accompagnarlo a Roma insieme al suo segretario Luthe, come consulente teologo.
Come racconta lo stesso Ratzinger in un’intervista ripresa da Reset maggio-giugno 2005, Frings gli aveva già chiesto di preparargli un discorso da tenere, su invito del cardinale Siri , a Genova, sui problemi da trattare nel Concilio: “questa conferenza, che poteva apparire forse rivoluzionaria no, ma certo un po’
audace, piacque moltissimo a Papa Giovanni XXIII, che abbracciando Frings, gli disse: “Proprio queste erano le mie intenzioni nell’indire il Concilio”.
A Roma, Ratzinger abita col cardinale nel Collegio dell’Anima, vicino a Piazza Navona, in via della Pace, “un’istituzione austriaca dall’atmosfera simpatica” e da alcuni viene soprannominato “il ragazzo del coro”, per via del volto paffuto e giovanile. Il cardinale riunisce tutti i vescovi di lingua tedesca nella sala del Collegio e lo incarica di tenere loro una conferenza e di introdurli al lavoro del Concilio:
per un giovanissimo professore, avevo 32 anni ed avevo appena cominciato ad insegnare all’università, si trattava di una cosa veramente impressionante”.
Si trova finalmente insieme a tante persone conosciute solo attraverso i libri e anche partecipare alla vita romana è una realtà per lui del tutto nuova: “nel collegio dell’Anima si vedeva il mondo, si sentivano soprattutto i rumori della vecchia Roma. Andare al caffè con altri e conoscere la vita romana, talmente diversa dalla mia vita universitaria, suscitò in me un’impressione grandissima che ha marcato la mia vita”.
Durante il Concilio, muore papa Giovanni XXIII e anche in Germania ciò procura grande tristezza, nonostante la notoria non vicinanza da parte di questo paese al papato. Ratzinger naturalmente non partecipa al conclave ma non è sorpreso dall’elezione di Montini, considerato da molti e da lui stesso garante della continuità del Concilio, nello spirito di Papa Giovanni. E dice:” e Papa Giovanni stesso aveva fatto capire che desiderava l’Arcivescovo di Milano come suo successore. Fu accolto senza difficoltà, anzi come un portatore di speranza.”. Per i primi due mesi del Concilio, è presente in qualità di esperto, perito privato del cardinale Frings ma in novembre il Papa lo nomina anche perito ufficiale e da quel momento in poi può partecipare ufficialmente a tutte le sedute. E’
per lui un grande avvenimento vedere esperti e grandi personalità finora conosciute solo sui libri come Henri De Lubac, Jean Danielou,Yves Congar , Marie-Dominique Chenu e altri grandi nomi, anche rappresentanti di altre chiese e confessioni cristiane e, naturalmente, il Papa stesso. Non è ancora del periodo conciliare invece l’incontro con Karol Wojtyla ( “ durante il concilio non ho mai visto l’arcivescovo di Cracovia: a quel tempo non avevo ancora conosciuto il cardinale Wojtyla”).
Come si ricava dalla sua biografia riguardo a quel periodo, “il Papa aveva indicato solo in termini molto generali le sue intenzioni riguardo al concilio lasciando ai Padri uno spazio quasi illimitato per la concreta configurazione: la fede doveva tornare a parlare a questo tempo in modo nuovo, mantenendo pienamente l’identità dei suoi contenuti”.
Per quanto riguarda la riforma liturgica, ricorda: “per la maggioranza dei padri conciliari la riforma proposta dal movimento liturgico non costituiva una priorità, anzi per molti di loro essa non era nemmeno un tema da trattare”.
La liturgia e la sua riforma erano divenute questioni pressanti solo in Francia e in Germania e questi due paesi, teologicamente rilevanti, erano riusciti ad ottenere che venisse elaborato uno schema sulla sacra liturgia.
Questo testo è stato il primo ad essere esaminato dal Concilio ma, secondo il ricordo di Ratzinger, non per un accresciuto interesse da parte dei Padri su questa tematica, ma per il fatto che in questo ambito non erano previste grosse polemiche e si era pensato che potesse costituire materia di esercitazione e sperimentazione dei metodi di lavoro del Concilio (“A nessuno dei Padri sarebbe venuto in mente di vedere in questo testo una “rivoluzione”, che avrebbe significato “la fine del medioevo”, come nel frattempo alcuni teologi hanno ritenuto di dove interpretare”). Il dibattito sulla liturgia, come previsto, è tranquillo e procede senza tensioni mentre si svolge in un drammatico scontro la discussione del documento su “le fonti della rivelazione”.

Ratzinger conosce bene l’argomento, sul quale ha discusso la sua tesi di dottorato e per desiderio del cardinale Frings mette per iscritto un piccolo schema seguito da una seconda più ampia e approfondita redazione insieme a Karl Rahner (“questo secondo testo, che va ascritto molto più a Rahner che a me, fu poi fatto circolare tra i Padri e suscitò in parte delle aspre reazioni”.).

Lavorando con Rahner, Ratzinger si rende conto che benché c’è accordo su molti punti, vi sono anche parecchie divergenze (“ la sua era una teologia speculativa e filosofica in cui, alla fin fine, la scrittura e i Padri non avevano poi una parte tanto importante, in cui, soprattutto, la dimensione storica era di scarsa importanza. Io, al contrario, proprio per la mia formazione, ero stato segnato soprattutto dalla Scrittura e dai Padri, da un pensiero essenzialmente storico: in quei giorni ebbi la chiara percezione di quale fosse la differenza tra la scuola di Monaco, da cui io ero passato, e quella di Rahner, anche se dovette passare ancora qualche tempo prima che la distanza che separava le nostre strade fosse pienamente visibile all’esterno”).

Lo schema di Rahner non viene accolto ma anche il testo ufficiale va incontro a bocciatura e si deve procedere al rifacimento del testo. Dopo complesse discussioni, solo nell’ultima fase dei lavori conciliari si arriva all’approvazione della Costituzione sulla parola di Dio (“uno dei testi di spicco del Concilio, che peraltro non è stato ancora recepito appieno. All'inizio si impose in pratica solo quello che era passato come la presunta novità nel modo di pensare questi argomenti da parte dei Padri.
Il compito di comunicare le reali affermazioni del Concilio alla coscienza ecclesiale e di plasmarla a a partire da queste ultime è ancora da realizzare”).

Risale a quegli anni, un’altra importante decisione professionale: nell’estate del 1962 si libera la cattedra di dogmatica dell’università di Münster . 

Gli amici insistono perché accetti: la dogmatica è il suo vero campo e potrebbe aprirgli prospettive di azione più ampie della teologia fondamentale; la sua preparazione scritturistica e patristica sarebbero state lì meglio valorizzate ma per il legame con l’università di Bonn, i suoi studenti e il cardinale Frings decide inizialmente di rifiutare.
Tuttavia, la situazione a Bonn non è del tutto libera da tensioni e le centinaia di studenti che affollano le lezioni del professore trentenne non possono non suscitare invidie e ripicche da parte dei vecchi professori, soprattutto da quando Frings lo ha scelto come consulente teologico del concilio. 
Come citato in “30 giorni”, della cerchia dei dottorandi di Ratzinger fanno parte due studenti ortodossi, il già citatoDamaskinos Papandréou e Stylianos Harkianakis, oggi ambedue metropoliti del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Ma il Consiglio di Facoltà respinge la richiesta dei due di addottorarsi presso la Facoltà cattolica. Durante una trasferta di Ratzinger a Roma per il Concilio, i voti delle prove di alcuni suoi allievi vengono abbassati dai suoi detrattori. Anche la tesi dello studente Johannes Dörmann sulle nuove acquisizioni circa l’evoluzionismo introdotte dagli studi di Johann Jacob Bachofen (il primo a teorizzare l’esistenza di un matriarcato originario primitivo) viene osteggiata con l’argomento che non si tratta di un lavoro teologico.

Ratzinger ripensa al dramma da lui vissuto per il suo esame di abilitazione, quando il professore di Teologia dogmatica Michael Schmaus, suo correlatore, aveva tentato di bocciare la sua tesi su san Bonaventura, tacciandola di modernismo e accetta il trasferimento (“ripensai al dramma della mia abilitazione e vidi in Munster la via indicatami dalla provvidenza per potere aiutare quei studiosi”).
Ricorda Viktor HahnDi certo le ostilità intorno a lui erano cresciute con la sua nomina a perito del Concilio. Chiesi al professor Jedin se erano stati gli altri professori a scaricarlo. Mi rispose: lei potrebbe non avere torto». Il prof Botterweck (antico Testamento), nelle chiacchiere tra colleghi, si vanterà di averlo «fatto scappare» da Bonn.

Nell’estate del 1963 inizia così l’insegnamento di Teologia dogmatica a Munster, davanti ad un vasto uditorio e con una dotazione di personale che va ben oltre quella disponibile a Bonn. L’accoglienza è cordiale e coi colleghi non ci sono problemi ma,
ricorda: “devo confessare che mi è comunque rimasta la nostalgia di Bonn, la città sul fiume, della sua serena allegria e del suo dinamismo spirituale”.
Racconta “30giorni”: Si insedia con la sorella Maria in una villetta sul viale Annette von Droste Hülshoff, vicino al lago artificiale Aasee. Al piano di sopra troveranno alloggio due suoi studenti, i “fedelissimi”
Pfnür e Angulanza, che all’Università lo assistono come collaboratori scientifici. Di mattina presto celebra messa nella cappella di una casa di cura vicino casa, e poi va in Facoltà in bicicletta.
Racconta Peter Kuhn: «Münster è una città di pianura, non è lontana dall’Olanda, lì tutti si muovevano in bici, come del resto fanno in molti anche oggi. Dissi a Pfnür di comprarne una per il nostro professore, ma lui è un tipo parsimonioso e ne trovò una usata, così malmessa che ancora oggi lo prendo in giro, dicendo che per colpa di quella bicicletta anche adesso al Papa fanno male le ginocchia…». A Münster si allarga il giro di allievi che chiedono di addottorarsi con lui. Con i più intimi continua la tradizione dei pranzetti bavaresi. Qualche volta il drappello di teologi col loro professore si ritrovano a mangiare a una locanda sul lago che sembra tagliata su misura per
loro: si chiama Zum Himmelreich, Al Regno dei Cieli.

Quel periodo, purtroppo, non è solo foriero di successi personali ma il 16 dicembre 1963 si spegne la mamma Maria, qualche mese dopo la diagnosi di un cancro allo stomaco (“la luce della sua bontà è rimasta e per me è divenuta sempre più una concreta dimostrazione della fede da cui lei si era lasciata plasmare. Non saprei indicare una prova della verità della fede più convincente della sincera e schietta umanità che la fede ha fatto maturare nei miei genitori e in molte altre persone che ho potuto incontrare”.)

Quasi subito dopo la morte della madre, il fratello Georg viene chiamato a ricoprire l’incarico di maestro della cappella del duomo di Ratisbona (“Così l’idillio di Traunstein era davvero finito per sempre e Ratisbona, l’antica città imperiale sul Danubio, che finora era stata ai margini della nostra vita, divenne per noi un comune punto di riferimento; era là che ci incontravamo durante le ferie e là ci sentivamo sempre di più a casa nostra”)

Nel frattempo, il Concilio va avanti e Ratzinger si divide fra Roma e Munster.

In quegli anni si aggiungono al corpo docente altre giovani promesse della teologia tedesca come Walter Kasper e Johannes Baptist Metz, iniziatore della teologia politica, con cui Ratzinger polemizzerà negli anni a venire. Ma nel tempo di Münster nessuno sembra soffrire la preferenza che gli studenti gli riservano.
Racconta ancora Pfnür a “30 giorni”: «Gli iscritti al corso erano circa 350, ma alle lezioni prendevano parte una media di 600 uditori. Venivano a sentire Ratzinger anche gli studenti di altre Facoltà, come Filosofia e Giurisprudenza. Stampammo le dispense del corso di Ecclesiologia sulla centralità dell’Eucaristia, e ne vendemmo 850 copie».

Ironizza Kuhn: «A Münster Pfnür aveva messo su una piccola stamperia. Si ciclostilavano le lezioni, e poi se ne spedivano pacchi interi per tutta la Germania, ai fan di Ratzinger sparsi nelle altre Facoltà teologiche».

Alla fama crescente del professor Ratzinger contribuisce la sua intensa partecipazione al Concilio. Scrive pareri per il suo cardinale, viene incaricato della stesura di schemi di documento alternativi rispetto a quelli preparati dalla Curia romana. 

Frequenta e collabora con tutti i grandi teologi del Concilio: Yves Congar, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Gérard Philips, Karl Rahner. «A noi studenti» ricorda Pfnür «raccontava che a impressionarlo in particolar modo erano i teologi e i vescovi latinoamericani». Quando torna in Germania alla fine delle sessioni romane, offre resoconti pubblici dei lavori conciliari in affollatissime conferenze. Occasioni di riflessione in cui il giudizio di Ratzinger si smarca anche dal neotrionfalismo progressista e dall’eccitazione polemica che già sembra contagiare altri teologi “riformisti” del Concilio. «Ogni volta che tornavo da Roma» racconta nella sua autobiografia «trovavo nella Chiesa e tra i teologi uno stato d’animo sempre più agitato. Sempre più cresceva l’impressione che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione….. se al ritorno in patria dal primo periodo conciliare mi ero sentito ancora sostenuto dal sentimento di gioioso rinnovamento che regnava dovunque, provavo ora una profonda inquietudine di fronte al cambiamento che si era
prodotto all’interno del clima ecclesiale e che era
ormai sempre più evidente ».
Spiega oggi Pfnür: «I primi indizi del caos li registrava non tanto in Facoltà, quanto nelle parrocchie. I parroci cominciavano a cambiare la liturgia a proprio piacimento, e su questo lui diede da subito giudizi molto critici».
In una conferenza sul vero e falso rinnovamento della Chiesa, tenuta presso l’università di Münster , cerca di lanciare un primo segnale d’allarme riguardo alle proprie preoccupazioni che però non viene notato.
Più energico è il suo intervento al Katholikentag di Bamberga del 1966, “tanto che il cardinale Dopfner si stupì dei ‘tratti conservatori’ che gli era parso di cogliere”.

Ma nel 1966 un altro trasferimento è nell’aria, forse complice l’infelicità della sorella per la troppa distanza dall’amata terra natale, la Baviera, e la tentazione diventa irresistibile quando l’università di Tubinga lo chiama offrendogli la seconda cattedra di dogmatica, da poco istituita (“a insistere sulla mia chiamata e e a ottenere il consenso degli altri colleghi era stato Hans Kung”).

Racconta Han: Qualche anno dopo, quando gli chiesi il perché della sua partenza, mi confermò che a Münster la sorella non era felice. Lei gli aveva dedicato la vita, e lui non poteva non tener conto della sua nostalgia»

LECTIO MAGISTRALIS. FEDE RAGIONE E UNIVERSITA'. IL PAPA BENEDETTO PARLA DI CRISTIANESIMO E DI ISLAM, citando la jihad con citazioni sull'"irrazionalità" della Guerra di Religione propugnata da Maometto. Così chi doveva intendere poteva avere ben chiaro la realtà sulla vera essenza del Corano.

DE EL EN ES FR IT PT ]
IO SONO IL SIGNORE DIO TUO, 
NON AVRAI ALTRO DIO FUORI DI ME.

E POICHE' GESU' E' DIO, 
TUTTE LE ALTRE RELIGIONI SONO FALSE.


VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI 
A MÜNCHEN, ALTÖTTING E REGENSBURG
(9-14 SETTEMBRE 2006)

INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA SCIENZA

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Aula Magna dell’Università di Regensburg
Martedì, 12 settembre 2006

Fede, ragione e università.
Ricordi e riflessioni.
  
Eminenze, Magnificenze, Eccellenze,
Illustri Signori, gentili Signore!


È per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell'università e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l'Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico all'università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia università dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c'era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile un’esperienza di universitas – una cosa a cui anche Lei, Magnifico Rettore, ha accennato poco fa – l’esperienza, cioè del fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. L'università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch'esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del "tutto" dell'universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c'era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insieme dell'università, era una convinzione indiscussa.

Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue.[1] Fu poi presumibilmente l'imperatore stesso ad annotare, durante l'assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non quelli del suo interlocutore persiano.[2] Il dialogo si estende su tutto l'ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull'immagine di Dio e dell'uomo, ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come si diceva – tre "Leggi" o tre "ordini di vita": Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano.  Di ciò non intendo parlare ora in questa lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema "fede e ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.

Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È probabilmente una dellesure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava".[3] L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…"[4]
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio.[5] L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza.[6] In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.[7]

A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce „σὺν λόγω”, con logosLogos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una "condensazione" della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco.

In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo "Io sono", il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso.[8] Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Antico Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono". Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo.[9] Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio.

Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come dice il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore, come dice Paolo, "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del Dio-Logos, per cui il culto cristiano è, come dice ancora Paolo „λογικη λατρεία“ – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).[10]

Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l'Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa.
Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente  purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l'una dall'altra.[11]

La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall'esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scripturainvece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l'accesso al tutto della realtà.

La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della deellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pascal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento[12] e non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di deellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell'umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di Harnack è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l'esegesi storico-critica del Nuovo Testamento, nella sua visione, sistema nuovamente la teologia nel cosmo dell'università: teologia, per Harnack, è qualcosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ragione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell'insieme dell'università. Nel sottofondo c'è l'autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l'elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall'altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l'esperimento fornisce la certezza decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più dall'una o più dall'altra parte. Un pensatore così strettamente positivista come J. Monod si è dichiarato convinto platonico.

Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.

Tornerò ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina "scientifica", del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l'uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" intesa in questo modo e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l'umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell'ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un'etica partendo dalle regole dell'evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente.

 Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamento, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della deellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.

Con ciò giungo alla conclusione. Questo tentativo, fatto solo a grandi linee, di critica della ragione moderna dal suo interno, non include assolutamente l’opinione che ora si debba ritornare indietro, a prima dell’illuminismo, rigettando le convinzioni dell’età moderna. Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati. L’ethos della scientificità, del resto, è – Lei l’ha accennato, Magnifico Rettore – volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte delle decisioni essenziali dello spirito cristiano. Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell'università e nel vasto dialogo delle scienze.

Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l'intrinseco suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere. Qui mi viene in mente una parola di Socrate a Fedone. Nei colloqui precedenti si erano toccate molte opinioni filosofiche sbagliate, e allora Socrate dice: "Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell'irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull'essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell'essere e subirebbe un grande danno".[13]L'occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.

 

[1] Dei complessivamente 26 colloqui (διάλεξις– Khoury traduce: controversia) del dialogo („Entretien“), Th. Khoury ha pubblicato la 7 ma „controversia“ con delle note e un'ampia introduzione sull'origine del testo, sulla tradizione manoscritta e sulla struttura del dialogo, insieme con brevi riassunti delle „controversie“ non edite; al testo greco è unita una traduzione francese: Manuel II Paléologue, Entretiens avec un Musulman. 7 e Controverse. Sources chrétiennes n. 115, Parigi 1966. Nel frattempo, Karl Förstel ha pubblicato nel Corpus Islamico-Christianum (Series Graeca. Redazione A. Th. Khoury – R. Glei) un'edizione commentata greco-tedesca del testo: Manuel II. Palaiologus, Dialoge mit einem Muslim, 3 volumi, Würzburg – Altenberge 1993 – 1996. Già nel 1966, E. Trapp aveva pubblicato il testo greco con una introduzione come vol. II dei „Wiener byzantinische Studien“. Citerò in seguito secondo Khoury.
[2] Sull'origine e sulla redazione del dialogo cfr Khoury pp. 22-29; ampi commenti a questo riguardo anche nelle edizioni di Förstel e Trapp. 
[3] Controversia VII 2c: Khoury, pp. 142-143; Förstel, vol. I, VII. Dialog 1.5, pp. 240-241. Questa citazione, nel mondo musulmano, è stata presa purtroppo come espressione  della mia posizione personale, suscitando così una comprensibile indignazione. Spero che il lettore del mio testo possa capire immediatamente che questa frase non esprime la mia valutazione personale di fronte al Corano, verso il quale ho il rispetto che è dovuto al libro sacro di una grande religione. Citando il testo dell'imperatore Manuele II intendevo unicamente evidenziare il rapporto essenziale tra fede e ragione. In questo punto sono d'accordo con Manuele II, senza però far mia la sua polemica. 
[4] Controversia VII 3b – c: Khoury, pp. 144-145; Förstel Bd. I, VII. Dialog 1.6  pp. 240-243.
[5] Solamente per questa affermazione ho citato il dialogo tra Manuele e il suo interlocutore persiano. È in quest'affermazione che emerge il tema delle mie successive riflessioni.  
[6]Cfr Khoury, op. cit.,  p. 144, nota 1.
[7]R. Arnaldez, Grammaire et théologie chez Ibn Hazm de Cordoue. Parigi 1956 p. 13; cfr Khoury p. 144. Il fatto che nella teologia del tardo Medioevo esistano posizioni paragonabili apparirà nell'ulteriore sviluppo del mio discorso.
[8] Per l'interpretazione ampiamente discussa dell'episodio del roveto ardente vorrei rimandare al mio libro "Einführung in das Christentum" (Monaco 1968), pp. 84-102. Penso che le mie affermazioni in quel libro, nonostante l'ulteriore sviluppo della discussione, restino tuttora valide.
[9]Cfr. A. Schenker, L’Écriture sainte subsiste en plusieurs formes canoniques simultanées, in: L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Atti del Simposio promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Città del Vaticano 2001, p. 178-186.
[10] Su questo argomento mi sono espresso più dettagliatamente nel mio libro "Der Geist der Liturgie. Eine Einführung", Friburgo 2000, pp. 38-42.
[11] Della vasta letteratura sul tema della deellenizzazione vorrei menzionare innanzitutto: A Grillmeier, Hellenisierung – Judaisierung des Christentums als Deuteprinzipien der Geschichte des kirchlichen Dogmas, in: Id., Mit ihm und in ihm. Christologische Forschungen und Perspektiven. Freiburg 1975 pp. 423-488.
[12] Nuovamente pubblicata e commentata da Heino Sonnemanns: Joseph Ratzinger – Benedikt XVI., Der Gott des Glaubens und der Gott der Philosophen. Ein Beitrag zum Problem der theologia naturalis. Johannes-Verlag Leutesdorf, 2. ergänzte Auflage 2005.
[13] 90 c-d. Per questo testo cfr anche R. Guardini, Der Tod des Sokrates. Mainz-Paderborn 1987 5, pp. 218-221.

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AMDG et BVM

DARDI VERSO IL CIELO

DARDI VERSO IL CIELO
di Cristina Campo

Anteo, il gigante, per rimanere invincibile, doveva toccar terra col piede. L'uomo religioso deve, nell'agone che gli è proprio, staccarsene il più sovente possibile: proiettando la sua mente in Dio, scagliandola, come si dà il volo a una rondine, verso il Creatore. Questo dardo d'oro della mente, questo batter d'ali che si gettano perdutamente a prender dimora un istante nel cuore stesso della luce, sono noti ai cristiani; e quando siano vocali (ma non necessaria­mente) si chiamano operazioni giaculatorie, da jaculum, appunto: dardo o freccia scoccata.

Il Vescovo di Roma ha ricordato di recente che "l'uomo è un essere costituzionalmente ordinato a trascendere se stesso, un essere proiettato verso Dio". Questa naturale conformazione spiega come la giaculatoria sia stata in ogni tempo istintiva sulle labbra del popolo: il più delle volte inconscia, puro grido, non di rado colma di affetti delicati. "Cuore di Cristo, Vergine dolcissima, Madre del Cielo, fateci santi" sono tra le locuzioni ancora in uso nelle campagne italiane. 

E non è detto che il lancio di questi lievi e caldi boccioli non compensi, sulle bilance invisibili, terrificanti pesi di blasfemia. Il dolore del popolo rinnova, in una gamma infinita, l'eco - umile e difforme finché si vuole - della suprema giaculatoria divina: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".

Nella storia cristiana la pratica assidua, metodica dell'orazione giaculatoria risale ai padri anacoreti della Tebaide. Nelle Vitae Patrum è perpetuato il ricordo dell'unica giaculatoria con la quale l'abate Pafnuzio condusse in tre anni la cortigiana Thais alla purificazione perfetta. Volta verso Oriente, ella doveva ripetere: "Tu che mi creasti, abbi pietà di me".

Ma vi è un nome al quale "si piega ogni ginocchio, in cielo, in terra e negli inferni". La giaculatoria dei Padri era soprattutto il nome di Cristo, reiterato all'infinito secondo il comandamento paolino "Pregate incessantemente" (1Ts 5,17), ora solo, ora in un breve contesto: "Signore Gesù, figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore". La pratica risale a un grande mistico bizantino, Simeone il Nuovo Teologo, ma la ritroviamo, più o meno ac­centuata, in tutti i Padri d'Oriente (v. Philokalia on Prayer of the Heart, Faber & Faber, 1957, e in italiano la piccola Philocalia, LEF, 1963).

Come il sacro Nome venga dolcemente accordato al gioco del respiro e del battito cardiaco, finché per così dire non più l'uomo prega ma in lui si prega incessantemente, gioiosamente, così come in lui si pulsa e si respira, è narrato con incantevole realismo in un singolare romanzo composto in Russia nel XIX secolo, senza dubbio da un eminente conoscitore delle vie della contemplazione: La relazione (o Il raccontodi un pellegrino al suo confessore (LEF, a cura di don Divo Barsotti) : stupenda piccola opera costruita, come Le anime morte, in forma di itinerario attraverso un paese ed un popolo. 

Ma queste sono anime vive, incoercibilmente felici e soavemente possenti, che il magnete del Nome congrega intorno al pellegrino dovunque passi. Il mondo, blocco ottuso e cieco, racchiude in ogni tempo una filigrana di esseri che vivono secondo regole che non sono di questo mondo. E sono gli esseri che mutano il cuore del mondo. L'iniziazione alla "via del Nome" è ancora diffusa nei monasteri del Monte Athos (v.Invocazione del Nome di Gesù, di Ignoto, LEF, 1961) e, a quanto sembra, in molti paesi dell'Est.

Cassiano consacra un intero capitolo delle sue Collazioni alla giaculatoria "Deus, in adiutorium meum intende, Domine, ad adiuvandum me festina": versetto davidico che aprirà, in Occidente, ciascuna Ora canonica dell'Uffizio corale. Nelle Ore, anche certe coppie di versi e responsori brevissimi suonano quali giaculatorie di supplica: "Ostende nobis Domine / misericordiam tuam", o "Miserere / mei, Deus".

Ma l'amore vince il timore. Giaculatoria regale è la giaculatoria di pura dilezione, come quella che san Francesco ripeté per un'intera notte: "Mio Dio e mio tutto"

Affettuose giaculatorie chiudono ciascun capitolo dei piccoli trattati di sant'Alfonso
Non diversamente le intendeva san Francesco di Sales, le cui lettere di direzione spirituale si insinuano come dita delicate sino alle corde più fini della vita dell'anima, squisitamente accordandole alla volontà divina. 
A santa Francesca di Chantal egli raccomanda di salutare con una giaculatoria ogni rintoccar d'ora. Ad una giovane donna vessata dal terrore della morte, di esclamare frequentemente: "Voi siete mio Padre, o Signore". Ma è nelle lettere a due dame, a cui gli affari di Corte impediscono l'orazione metodica, che egli formula con maggior bellezza e precisione il carattere dell'orazione giaculatoria: "... soprattutto desidero che in ogni occasione, durante la giornata, voi ritiriate il vostro cuore in Dio, dicendogli qualche parola di fedeltà e d'amore". "... [supplite] alla mancanza degli altri esercizi con frequenti e ferventi orazioni giaculatorie o proiezioni (élancementsdello spirito in Dio" (Lettres, Garnier, vol. I).

Questo doppio e simultaneo movimento dello spirito, che si ritira in Dio cercandolo nella segreta stanza interiore, e trova in quel centro l'infinito nel quale lanciarsi, lo ritroviamo nella pratica religiosa dell'Islam. Secondo Frithjof Schuon (Comprendre l'Islam, Gallimard, 1961), "la preghiera canonica è diretta verso la Mecca, mentre la menzione di Dio - Non c'è Dio se non Dio - è diretta verso il cuore". Questa giaculatoria di lode, reiterata alla minima occasione, forma nell'Islam il tessuto stesso della vita.

La consuetudine di queste sacre formule riveste l'uomo di una speciale impassibilità, e non è raro incontrare ancor oggi delicati asceti di cui non si spiegherebbe la resistenza all'urto del mondo se non li sapessimo ricoperti da un'invisibile armatura di giaculatorie. 
Come sempre il santo è il miglior banchiere, secondo la parola di uno scrittore contemporaneo, e lo stato di orazione perenne, oltre ad assicurare un apporto continuo di energie spirituali, lo stato di gioia e la santa imperturbabilità, opera tutto un seguito di meraviglie minori, alle quali difficilmente si crederà senza esperienza. 
La recitazione del Nome e la giaculatoria in generale, isolando lo spirito in un cerchio al quale soltanto forze superiori hanno accesso, è una possente difesa psicologica ben nota agli uomini di preghiera. Più di un antico mistico sperimentò come questa fulminea intimità con Dio arrivasse a produrre in qualche maligno interlocutore la improvvisa balbuzie, inspiegabili capogiri o altri sintomi di confusione mentale.

Anche l'inscrutabile vincitore è più spesso di quanto non si creda, e al contrario di quanto usa credere, vir orationis
Uno studioso riferiva un caso: quello del potentissimo finanziere uso alla contemplazione che assistendo a conferenze d'affari, veri convegni di lupi pronti a sbranarsi, se ne isolava di tanto in tanto elevando la mente in breve orazione. "E con sorpresa, ogni volta, li vedeva placarsi, riconciliarsi uno dopo l'altro". 
Riviste hanno riferito del magnate giapponese dell'automobile che trascorre un intero giorno della settimana in meditazione religiosa nei templi di Kyoto.

Nell'ultimo libro di Jacques Maritain (Le paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer, 1966), di un'importanza così unica per la storia del cattolicesimo contemporaneo e così affascinante nella titanica ironia delle sue condanne, è suggerita, ancora una volta, la pratica della giaculatoria. "Si può fare orazione nel treno, nella metropolitana, nella sala d'aspetto del dentista. Si può ricorrere con frequenza a quelle brevi preghiere lanciate come un grido che gli antichi raccomandavano tanto".

È certo che se l'uomo conoscesse la sterminata potenza della sua anima quando un costante movimento verticale l'assicuri come un canapo a Dio, persino un mondo qual è il nostro cesserebbe di atterrirlo e, beninteso, di affascinarlo.

da «Il Giornale d'Italia», 10-11 gennaio 1967, p. 3, ripubblicato in C. CAMPO, Sotto falso nome², a cura di M. FARNETTI, Milano, Adelphi, 1998, pp. 136-140.

Profetiza contra Roma

PROFETIZA LO QUE HA DE CUMPLIRSE SOBRE ROMA
2-7-2015 

 Tomad fuerza y vigor, levantándoos por Mi Brazo Poderoso, y con la fuerza de Mi Espíritu profetiza contra Roma y todos sus seguidores apóstatas, todos los que han dejado de seguir al Verdadero Pastor, para seguir al impostor de Francisco, al lobo vestido con piel de oveja, que seduce con su astucia a las almas y al clero infiel, que se han dejado prostituir por su tibieza y falta de fe. 

Ahora, todos ellos han quedado confundidos, obscurecidas sus mentes y ya nada ven, y nada entienden de la Verdad. 

Roma, la Ciudad de las siete colinas, la que me era Fiel y ahora ha dejado de serlo, porque se prostituye, y han llenado de abominaciones el Lugar Santo; 
han llenado el Cáliz de Oro de blasfemias y prostitución y toda clase de abominaciones, convirtiendo el lugar de la Catedra de Pedro en una guarida de lobos, una cueva de ladrones, y ya nada bueno se escucha en el lugar de la Catedra de Pedro, porque las enseñanzas y la doctrina ya no es la Mia, no está en la Verdad, sino en la mentira y en el engaño del gran Seductor, que obra y actúa en el falso profeta, quien se sienta en la silla de Pedro. 

No calléis, Hija Mia, sé que son duras estas palabras, pero es la Verdad y no a todos gusta. 

Os causará una nueva persecución y una tribulación por parte del Enemigo, que se levanta en contra vuestra y de todos Mis mensajeros y profetas de estos tiempos, pero la VERDAD OS HACE LIBRES y no está en vuestras manos el que todos acojan estas revelaciones. 

Está en el corazón de cada uno, en la libertad que Yo, DIOS TODOPODEROSO, OS HE DADO a cada uno. 

Los que han vivido para el mundo y olvidados de las cosas celestiales, que han vivido más para sí mismos que para MÍ, SU DIOS, difícilmente comprenderán todos estos acontecimientos, pues están cegados y obscurecidas sus mentes, y llenos de mundo sus corazones. 

Los que han vivido sin la oración, el recogimiento y la mortificación, quedarán tibios ante todas estas revelaciones, no se pronuncian en nada, actúan cobardemente incrédulos, como Tomas, que grande fue su dolor al meter sus dedos en la llaga de Mi Costado. 

Lo mismo pasará con todos estos hombres tibios, cuando llegue el momento que, por Voluntad Mía, vean cada quien su conciencia: qué grande será su dolor por su incredulidad y su tibieza de corazón. 

Os sigo mostrando, a través de todos estos acontecimientos de tribulaciones en vuestra alma y ataques del enemigo, quiénes están Conmigo y defienden la Verdadera Fe, y quiénes están confundidos, tibios y sirven a dos amos, pues no son fríos ni calientes, y Yo los vomito de Mi Boca a los tibios de corazón. 

Nadie detendrá Mi Obra en vuestra alma. 

Podrá el Enemigo haceos tropezar por breves instantes, pero en vuestra perseverancia, fidelidad y humillación ,YO, EL DIOS DE LOS EJERCITOS, os levanto y de la prueba salís más fortalecidos, porque A LOS QUE SE HUMILLAN Yo los exalto, a los que TEMEN MI NOMBRE Yo los fortalezco, para que continuéis con la misión que os confió. 

Profetiza contra Roma y los que la han vuelto Infiel, haciendo que arda Mi Ira, y envié muy pronto Mis Juicios sobre Ella. 

El acuerdo del judas de estos tiempos con los ancianos y los maestros de la ley, dentro del Vaticano, está ya por firmarse -acontecimiento que sacudirá fuertemente la Iglesia, provocando más Mi Ira contra su traición y prostitución- en unión con los reyes de este mundo y todos los que les siguen engañados. 

Multitudes seguirán al falso profeta y su doctrina de demonios, un gran número de pastores lo seguirán ciegamente, quedando al servicio del Falso Profeta y del Anticristo, que ya están obrando en este mundo a la vista de todos, pero todos han sido cegados y engañados. 

¡Ay de aquellos pastores que nieguen Mi Verdad, que dejen de seguirme para ir tras el Falso Profeta! ¡Ay de aquellos que cambien MI VERDADERA DOCTRINA por la falsa doctrina de muerte, inspirada por el mismo Satanás, que entró en el falso profeta! 

¡Ay de vosotros sacerdotes, que habiéndome manifestado a vosotros por distintos medios, a través de mis Mensajeros de la Verdad, Y PROFETAS DE ESTOS TIEMPOS, se burlan de Mí, Me flagelan en ellos, y Me ponen a prueba, martirizándome aún más, en lugar de recibir algún consuelo y alivio de sus corazones! 

¡Ay de vosotros que sois duros de corazón, incrédulos como Tomás, cobardes como Pedro que me negó tres veces! 

¡Ay de vosotros si no Me buscáis ahora de corazón, y decidís abrirme la puerta de vuestro corazón, os digo que os golpearais el pecho por cuanto bien habéis dejado de hacer por vuestra pasividad y tibieza, por vuestra cobardía y falta de verdadero testimonio, amor y caridad para con las almas que os he confiado! 

El castigo profetizado contra Roma pagana, beber Ella misma el Cáliz amargo de sus abominaciones y traiciones, la Roma infiel, es también para vosotros, que sois duros de corazón y estáis llenos de tibieza e hipocresía en vuestro servicio sacerdotal. 

Podréis aparentar ser sepulcros blanqueados por fuera y engañar a los fieles que Me buscan en cada uno de vosotros, Mis Amados sacerdotes, pero YO, VUESTRO DIOS, QUE TODO LO SÉ Y TODO LO VEO, conozco cada uno de vuestros corazones, y muchos de vosotros sois dobles, sois hipócritas, porque por fuera estáis blancos, pero por dentro estáis llenos de podredumbre. 

No basta arrepentirse y confesar el pecado cuando se ha ofendido tanto a vuestro Dios, es necesario una purificación del alma para quedar limpios de toda culpa. Y si hubieseis sido más dóciles y humildes, tomando la cruz de cada día, que muchos de vosotros rechazan, y hubieseis aceptado sufrir conmigo y con dignidad, MUCHOS LLEGARÍAN A LA SANTIDAD, habiendo sido ya purificados, mas os esperan largan purificaciones para poder merecer el Cielo, porque el Cielo es el lugar de Mi MORADA SANTA, y nada que este manchado entra en Él. 

Mis almas, las tan despreciadas por el mundo, las que han tomado la cruz de cada día -y no solo la cruz propia sino las ajenas que muchos de vosotros renegáis-, esas almas, las que han sabido sufrir conmigo y lo hacen con dignidad, las que el mundo juzga de locura y demencia, de trastornos emocionales y psicológicos, por amarme hasta la locura de la cruz, por serme fieles y obedientes, ESTAS SON LAS ALMAS QUE ENTRAN AL CIELO DIRECTAMENTE, como los Santos, porque en vida se purificaron, EN VIDA sufrieron y pagaron sus culpas, y ya no necesitan ser purificadas después de la muerte corporal, porque sus almas se blanquearon en el fuego del crisol, con la cruz de cada día, con la Inmolación de sus almas y la aceptación de Mi Voluntad en ellas. 

Todavía vosotros podéis ser esas almas, almas fieles, almas generosas en cumplir la misión, misión de la cruz, misión de salvar almas como Vuestro Maestro. 

¡Penitencia, Penitencia, Penitencia para purificar vuestras almas en vida! Y no con largas penas SOBRE LOS JUICIOS DIVINOS QUE ESTÁN POR CAER EN LA TIERRA, y después muchos siguen purificándose en el lugar de purificación. 

¡Ay de vosotros que perseguís a Mis enviados y Profetas! ¡Ay de vosotros que no os decidís a seguirme con valentía y fidelidad! El Día de la Justicia Divina desearán haber muerto y esconderse de Mi Vista, mas no lo podrán hacer, porque ante el JUSTO JUEZ todos deben presentarse y asumir las consecuencias de sus actos, y recibir el juicio y la sentencia merecidas, según amaron en esta vida y en la FIDELIDAD, EL SERVICIO, LA CARIDAD. 

En el amor a la Verdad está el Verdadero Amor, el cual os juzgará. Si hubieseis entendido los Mensajes Divinos, estuvieseis orando, ayunando y reparando por vuestras culpas y las culpas de la Iglesia Universal, pero pocos son los que, en humildad, han abierto sus corazones y TEMEN MIS JUICIOS VENIDEROS. 

En esta hora decisiva para la humanidad estuvieseis en oración en Mis Templos, haciéndoos UNO CONMIGO, y no anduvieseis dispersos y en asuntos que pronto pasarán, y no os serán ya útiles en la preparación de vuestras almas para estos tiempos que debéis de enfrentar. 

No temáis, anunciad y denunciad en NOMBRE MIO. MI NOMBRE ESTA POR ENCIMA DE TODO, PUES SOLO YO SOY DIOS TODOPODEROSO. No endurezcáis más vuestros corazones a la escucha de Mi PALABRA DIVINA. YO SOY EL QUE SOY, Y EL QUE PROFETIZA TODO, y todo cuanto anuncio ha de cumplirse. 

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DIOS TODOPODEROSO, en Tus manos pondo todo mi ser, mi espíritu, ya que todo lo que hago es obra tuya, y en Tu Santo Nombre para Gloria de Tu Nombre. 
Sostenme en esta batalla espiritual, y dame la Victoria contra Mis enemigos, porque son muchos los que me atormentan y me hacen la guerra en contra Tuya; mira que soy débil, y sin ti nada soy y nada puedo. 
Esta mañana mi mano derecha sufrió un pequeño accidente al lavar una jarra de vidrio, y sin explicación, se rompió en dos cortándome en distintas partes de la mano, quedando casi inmóvil mi mano. Cuando me llamaste esta tarde a escribir no creí poder hacerlo, pero PARA DIOS NO HAY NADA IMPOSIBLLE, y como dice Tu mi DIOS, NADA NI NADIE DETIENE TU OBRA. Amen

venerdì 29 luglio 2016

Veritas Vincit

Qualche voce dalle centrali dell’Estinzione

(Nel precedente articolo si è trattato del popolo italiano che sta scegliendo la propria estinzione – non diversamente in fondo da  tutti gli europei-   e vi viene condotto dai suo politici e governi, messi lì a ‘governare’ null’altro che l’autoliquidazione.  Ho anche accennato alle centrali da cui la politica dell’Estinzione emana. Elenco qui alcune citazioni che  possono essere utili – chi ha più di cinquant’anni, ed  ha vissuto ad occhi aperti, magari le conosce già. Chi ha trent’anni,  forse 

Veritas Vincit