mercoledì 27 luglio 2016

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza (a cura di Gemma)

Grazie al sapiente lavoro della nostra Gemma possiamo leggere la terza parte della biografia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Un ringraziamento sincero a Gemma da parte di tutto il blog :-)












Il ministero sacerdotale di Joseph Ratzinger ha inizio il primo agosto del 1951, in qualità di coadiutore nella parrocchia del Preziosissimo Sangue a Monaco. Il carico di compiti affidatogli, reso più gravoso dall’iniziale inesperienza, non è indifferente e comprende, oltre le celebrazioni in parrocchia, l’insegnamento religioso a scuola e il lavoro con i giovani ma, ricorda,: “dato che il parroco non si risparmiava, anch’io non potevo né volevo farlo”.
L’esperienza di quel periodo, a contatto col mutato rapporto dei giovani e delle famiglie con la fede nel dopoguerra, lo porta ad elaborare alcune riflessioni e a metterle per iscritto diversi anni dopo in un’opera dal titolo“I nuovi pagani e la Chiesa “, diventata allora anch’essa vivace argomento di dibattito.
Il primo ottobre del ’52, viene chiamato dal seminario di Frisinga e si ripropone il dilemma che accompagnerà un po’ tutta la sua vita: da una parte la passione per il lavoro teologico, dall’altra la cura pastorale e il carico di relazioni ed esperienze umane che questo porta con sé. Dovendo terminare gli studi, decide di accettare solo in parte e di tenere un corso sulla pastorale dei sacramenti per gli studenti.

Così ricorda Alfred Lapple quel periodo:

- “Nel ’52, mentre mi accingevo a lasciare il mio incarico di docente di Pastorale dei sacramenti al Seminario di Frisinga, decisi di andare dal vescovo Faulhaber, per dirgli che il mio migliore successore in quel posto sarebbe stato Joseph Ratzinger. Che infatti, il 1° ottobre, prese il mio posto. Iniziò così la sua carriera accademica. A lui non ho mai detto che ero andato dal vescovo a proporre il suo nome. Ma mi piace pensare che forse quel mio intervento a favore della sua assunzione può aver favorito il suo cammino”.
- Nel luglio del ’53, porta a termine l’esame di dottorato, prova da lui stesso definita piuttosto impegnativa, con esame orale e scritto in 8 discipline , il tutto coronato da una disputa pubblica, con tesi tratte da tutte le discipline teologiche. Così ricorda quell’evento nella sua biografia,“fu una grande gioia, soprattutto per mio padre e mia madre, quando nel luglio del 1953 questo atto andò in scena e mi guadagnai il titolo di dottore in teologia”.
E’ di quegli anni, la conoscenza con la teologa tedesca,oggi dissidente, Uta Rank Heinemann che di quel periodo ricorda:
-“Eravamo studenti di dottorato insieme all'Università di Monaco nel 1953 e 54 ed era la prima volta che ad una donna veniva concesso il dottorato in teologia cattolica. Il nostro rispetto l’uno per l’altro divenne più profondo quando dovemmo difendere le nostre tesi in latino e, in preparazione, traducemmo insieme le nostre tesi dal tedesco al latino. Lui era molto intelligente. Era la star tra gli studenti maschi; c’erano poche studentesse femmine e tutte ammiravamo la sua intelligenza. Ma c’era qualcosa di più di lui che ammiravo. Era uno studente piuttosto timido, non ossessionato dal suo ego. Mi piaceva la sua intelligenza umile. Ho spesso citato alcuni passaggi dei suoi libri nei miei e durante tutta la mia vita molte persone sono rimaste sorprese che io lo abbia spesso difeso, sebbene abbia sempre detto che ritengo molte delle sue opinioni sbagliate.”
- Alla fine del semestre estivo 1953, si libera la cattedra di dogmatica e teologia fondamentale presso il seminario teologico di Frisinga e i superiori pensano a lui come prossimo titolare. Impegnato nella stesura della tesi di abilitazione, accetta di tenere il corso di dogmatica come professore straordinario e rimanda di un anno l’incarico di teologia fondamentale. La tesi di abilitazione, su volere del professor Söhngen, verte questa volta sul Medioevo, su Bonaventura e sul concetto di rivelazione :
”dovevo verificare se in qualche forma ci fosse in Bonaventura un corrispondente del concetto di storia della salvezza e se questo motivo, qualora fosse riconoscibile, si ponesse in rapporto con l’idea di rivelazione”.
Inizia il lavoro con entusiasmo ma nel mentre, in seguito alla morte del professore emerito di filosofia, viene nuovamente sollecitato ad assumere la cattedra di dogmatica. Accetta di tenere il corso ma rinvia ancora l’incarico di teologia fondamentale e alla fine dell’autunno del 1955, nonostante si sia imbattuto in una dattilografa un po’ distratta, responsabile di errori di battitura e d’impaginazione e di una veste grafica tutt’altro che soddisfacente, riesce finalmente a consegnare il lavoro alla facoltà di Monaco.
Nel frattempo, deve prendere una decisione riguardo alla sistemazione abitativa dei genitori, ormai anziani per vivere da soli a Traunstein, nella vecchia casa ai margini del bosco. Dato che l’esame di abilitazione sembra cosa sicura e con la morte di uno dei professori si è liberata una casa nei pressi del duomo di Frisinga, accetta la sistemazione proposta dai superiori e progetta la riunificazione della famiglia.
Ricorda con malinconia il momento del trasloco: “un distacco, che non significava solo andar via da un luogo, ma da un pezzo di vita”, tuttavia, la capacità di adattamento dei genitori, la disponibilità e l’aiuto materiale degli studenti della facoltà, contribuiscono a rendere la nuova casa subito accogliente e a ricreare tutto intorno un nuovo clima di serenità.
Nuove nubi però non tardano ad arrivare e, nonostante l’entusiasmo del prof Söhngen nei confronti della sua tesi di abilitazione, il suo lavoro viene fortemente contestato dal correlatore, il prof. Schmaus che, nel corso di un colloquio, “in maniera piuttosto fredda e senza nessuna emozione” gli comunica che deve ricusare il suo lavoro perché non corrisponde ai criteri richiesti per opere di quel genere. Al riguardo, lo stesso Ratzinger ricorda nella sua biografia: “era come se mi avesse colpito un fulmine a ciel sereno. Tutto un mondo minacciava di crollarmi addosso….I miei progetti per l’avvenire, tutti orientati all’insegnamento della teologia, erano falliti”. Nei suoi pensieri si fa strada il timore del fallimento e la responsabilità di aver coinvolto gli anziani genitori in un progetto senza futuro. Nell’analisi dell’accaduto, cita tre fattori: Schmaus è in quel periodo in Germania il principale referente degli studi sul Medioevo. Ratzinger, non solo non si è affidato alla sua guida per condurre il suo studio ma nella sua ricerca critica quelle che ritiene posizioni superate. Non hanno poi aiutato il giudizio gli errori di stampa e l’insufficiente veste grafia, in parte rimasti nonostante le correzioni, e certe voci circolanti riguardo alla modernità della sua teologia.
Quegli stessi concetti, acquisiti grazie allo studio su Bonaventura, saranno molto importanti per Ratzinger durante il dibattito conciliare sui temi della rivelazione, della Scrittura e della tradizione. Purtroppo, allora, Schmaus non vede affatto nelle sue tesi una fedele interpretazione del pensiero di Bonaventura ma , come afferma lo stesso Ratzinger “un pericoloso modernismo, che doveva condurre verso la soggettivazione del concetto di rivelazione”.
Dopo una tempestosa seduta del consiglio di facoltà , il lavoro non viene ricusato ma comunque restituito per essere corretto, in base alle osservazioni riportate da Schmaus nell’originale (“note a margine, scritte in ogni colore, che a loro volta non lasciavano a desiderare in quanto a durezza”). Tale lavoro avrebbe potuto richiedere un impegno di anni ma Ratzinger si accorge che, mentre le prime due parti sono piene di correzioni e annotazioni polemiche, l’ultima parte, dedicata alla teologia della storia di Bonaventura, nonostante contenga anch’essa materiale innovativo, è intatta e può comunque possedere una sua autonomia, costituendo una tesi a sé stante.
Ripresenta quindi in tempi brevi la sua tesi, seppur in forma ridotta, e il 21 febbraio 1957 dopo quella che finisce per diventare quasi una appassionata disputa teologica tra Söhngen e Schmaus e una lunga riunione consiliare, supera l’esame ed ottiene la tanto desiderata abilitazione.
Dal racconto di Lapple: - “Ratzinger fece la sua esposizione. Poi Schmaus iniziò chiedendo più o meno se secondo Ratzinger la verità era qualcosa di statico e immutabile o qualcosa di storico-dinamico. Ma non rispose Ratzinger. Prese la parola Söhngen, e i due professori iniziarono a scontrarsi in quella che sembrava una grande disputatio medievale. Il pubblico applaudiva Söhngen e sembrava compiaciuto che Schmaus, il professore altezzoso, stesse prendendo una bella botta. Alla fine arrivò il rettore e disse: basta, il tempo è scaduto. Allora relatore e correlatore si alzarono e dissero in tutta fretta: va bene, è abilitato “ - Nella sua biografia, Ratzinger ricorda così quei momenti: “sul momento non riuscii quasi a provare gioia , tanto si faceva ancora sentire l’incubo di quel che avevo passato. Ma a poco a poco si sciolse l’ansia che si era accumulata in me; ora, finalmente, potevo continuare in pace il mio lavoro a Frisinga e non dovevo più temere di aver trascinato i miei genitori in una triste avventura”.
Poco tempo dopo viene nominato libero docente all’università di Monaco e il primo gennaio 1958 professore di teologia fondamentale e dogmatica presso il seminario filosofico-teologico di Frisinga, pur con qualche disturbo da parte avversa. Le relazioni col prof Schmaus in un primo tempo restano tese ma miglioreranno progressivamente negli anni 70 fino a diventare amichevoli. E’ di quel periodo invece, in contemporanea alla distanza da Schmaus, l’avvicinamento a Karl Rahner con cui instaura un rapporto cordiale già durante il travagliato periodo del conseguimento dell’abilatazione.
La sistemazione di Frisinga è destinata a breve durata: il fratello Georg ha terminato gli studi musicali, diventa direttore del coro in una parrocchia di Traunstein e porta con sé i genitori e Ratiznger nell’estate del 58 è libero di accettare la cattedra di teologia fondamentale a Bonn – “la cattedra che il mio maestro, Söhngen , aveva sempre desiderato, ma che nelle circostanze di quegli anni gli era rimasta preclusa. Giungere a quella cattedra era per me quasi un sogno”-
Dal racconto del prof. Lapple vengono riferiti problemi tra Ratzinger e la curia episcopale, che lo avrebbe voluto impegnato nell’insegnamento pedagogico in un istituto alla periferia di Monaco. Ma in Germania vige una legge per cui se un professore viene chiamato da un’università statale, il vescovo non può porre alcun veto alla chiamata e il cardinale Wendel, allora arcivescovo di Monaco, forse a malincuore, deve prenderne atto e lasciarlo libero di dedicarsi all’insegnamento teologico universitario.
Dell’esperienza di Frisinga Ratzinger ricorda: “il Domberg di Frisinga, l’altura sulla quale sorge la cattedrale e su cui ora, purtroppo, non c’è alcun seminario, è rimasto in me come qualcosa di profondamente mio, a cui si legano i ricordi di un inizio grande, anche se gravato da tanti rischi, insieme con le immagini della convivenza quotidiana e delle ore gioiose, che là abbiamo potuto vivere.”

Vedi anche:


martedì 26 luglio 2016

ULTIMISSIME

Mons. Giorgio Ganswein

conferma quanto già da 

tempo ben sappiamo


*
Gänswein, Papa e Chiesa. A tutto campo
Georg Gänswein, segretario di papa Benedetto XVI, e Prefetto della Casa pontificia, nei giorni scorsi ha rilasciato una lunga intervista allo Schwäbische Zeitung , in cui con molto candore ha parlato di sé, del Pontefice regnante e della Chiesa tedesca. 

21/07/2016 
Georg Gänswein, segretario di papa Benedetto XVI, e Prefetto della Casa pontificia, nei giorni scorsi ha rilasciato una lunga intervista allo Schwäbische Zeitung, in cui con molto candore ha parlato di sé, del Pontefice regnante e della Chiesa tedesca. Chi è interessato può trovare qui l’originale 
Il fatto di essere stato segretario di Benedetto XVI, e il suo lavoro precedente alla Congregazione per la Dottrina della Fede rappresentano “un marchio di Caino” agli occhi di molti nella Chiesa in Germania. Il che rende improbabile che possa tornare in Germania come vescovo. Nelle diocesi tedesche, il Capitolo della cattedrale gioca un ruolo importante nella selezione dei candidati, e in generale, ha detto Gänswein, i membri non sono noti per “avere la più grande lealtà verso Roma”. E non ha comunque “ambizione di diventare un vescovo diocesano”. 
E comunque, ha detto, la Chiesa tedesca ha un grande problema, e sono i soldi. La legge tedesca da alle Chiesa una percentuale sulle tasse pagate. Ciò fa della Chiesa tedesca un ente molto ricco, e il secondo datore di lavoro dopo lo Stato. Ma se decidi di non registrarti più come cattolico, sei fuori. “Sì, questo è un problema serio. La Chiesa reagisce con l’espulsione automatica dalla comunità, in altre parole la scomunica! Questo è eccessivo, incomprensibile. Se metti in questione un dogma, non importa a nessuno, non ti cacciano. Il non pagamento della tassa alla Chiesa è un’offesa maggiore alla fede della violazione dei principi di Fede?”. 
E ha continuato: “Le casse piene e chiese vuote, questa forbice è terribile, e non può andare molto più a lungo bene. Se i registratori di cassa si riempiono ed i banchi si svuotano, ci dovrà essere un giorno un’implosione. Una chiesa vuota non può essere presa sul serio”. E “l’effetto Francesco” che qualche vescovo tedesco aveva predetto dopo l’elezione in Germania “non sembra essersi realizzato”. 

Sulle controversie che hanno fatto seguito all’esortazione apostolica “Amoris Laetitia”, in particolare per quanto riguarda la possibilità per i divorziati-risposati di essere ammessi ai sacramenti, Gãnswein ha detto: “Se un papa vuole cambiare un aspetto della dottrina, deve farlo con chiarezza, per renderlo vincolante. Principi magisteriali importanti non possono essere modificati da mezze frasi o note a piè di pagina in qualche modo ambigue. Le dichiarazioni che possono essere interpretate in maniere diverse sono una cosa rischiosa”. 


Sul rapporto dei fedeli, in particolare di quelli più conservatori, con il Pontefice attuale ha detto: “La certezza che il Papa, come una roccia di fronte alle onde, era l’ultima ancora, si sta, in effetti, dissolvendo. Se questa percezione corrisponda alla realtà e rifletta correttamente l’immagine del papa Francesco, o si tratta di un’immagine mediatica, non posso giudicarlo. Però le insicurezze e a volte anche la confusione e il disordine sono aumentati…c’è un corto circuito fra la realtà mediatica e la realtà dei fatti”. 

Mons. Gänswein ha risposto a una domanda sul modo di comunicare del Pontefice, e ha ammesso che “nel discorrere, a volte a paragone dei suoi predecessori sia un po’ impreciso, addirittura scorretto, semplicemente bisogna accettarlo. Ogni papa ha il suo stile personale. E’ la sua maniera parlare così, anche con il rischio di dar luogo a malintesi, e a volte anche a interpretazioni stravaganti. Ma continuerà a parlare senza peli sulla lingua”. 







La prima comunione a sette anni e anche prima // MA CHI UBBIDISCE PIU' ?

La prima comunione a sette anni 

e anche prima...


Così il prefetto della Congregazione per il clero in una lettera indirizzata a tutti i sacerdoti in occasione dell’anno dell’Eucaristia


del cardinale Darío Castrillón Hoyos

Il cardinale Darío Castrillón Hoyos

Il cardinale Darío Castrillón Hoyos

Carissimi sacerdoti, mi rivolgo a voi che siete collegati, mediante la posta elettronica, con il nostro sito www.clerus.org, che vi offre documentazione specifica per la formazione permanente, soprattutto grazie alle videoconferenze teologiche internazionali organizzate dalla Congregazione per il clero, da più di tre anni, su tematiche che vi riguardano da vicino. 

In questo tempo che segue immediatamente il Natale vorrei ringraziare voi parroci, che in questo anno speciale della Santissima Eucaristia vi dedicate ancora di più a vivere e a testimoniare questo mistero eucaristico nelle vostre parrocchie. 

«Fate questo in memoria di me» ci ha chiesto Gesù e noi, mediante l’esercizio del nostro ministero, possiamo rendere sacramentalmente presente, ogni giorno sull’altare, il Suo corpo e il Suo sangue, così da poter esclamare: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). 

Il tempo del Natale è stato un tempo dedicato in particolar modo ai bambini. Infatti, il Dio incarnato, l’Emmanuele, ci appare con il volto di bambino e Gesù, quando sarà adulto, ci dirà che la via per entrare nel regno dei cieli passa proprio attraverso il cuore di un bambino: «Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 3).
Proprio nell’Angelus dello scorso 6 gennaio, solennità dell’Epifania, ancora una volta il Santo Padre affermava l’importanza dei piccoli nella Chiesa, dicendo che «i bambini sono il presente e il futuro della Chiesa. Hanno un ruolo attivo nell’evangelizzazione del mondo, e con le loro preghiere contribuiscono a salvarlo e a migliorarlo»

Come allora non pensare, proprio in questo anno dell’Eucaristia, in special modo a coloro che sono i primi destinatari dell’annuncio catechetico e che frequentano le nostre parrocchie: i bambini. Li accogliamo innanzitutto al fonte battesimale, accompagnati dalla loro famiglia, e poi, un giorno, li rivedremo presenti in parrocchia, più frequentemente di prima, per partecipare ai corsi di catechismo in preparazione alla prima comunione! 

Un grande Papa, che è stato canonizzato dalla Chiesa, san Pio X, dedicò non poche attenzioni e sforzi pastorali proprio ai bambini; l’8 agosto 1910 veniva emanato il decreto Quam singulari, mediante il quale il santo padre Pio X stabiliva che si potevano ammettere i bambini alla prima comunione fin dall’età di sette anni. 

Fu quella una svolta molto importante per la pastorale dei bambini che, senza dover attendere più a lungo, potevano così accostarsi alla comunione eucaristica, dopo aver ricevuto nelle loro parrocchie una debita preparazione che permetteva loro di apprendere i primi e fondamentali elementi della fede cristiana. L’età della discrezione veniva infatti individuata, già a quel tempo, intorno ai sette anni, quando cioè si poteva distinguere il pane comune dal pane eucaristico, vero corpo di Cristo. 

Non pochi sono convinti, insieme a san Pio X, che questa prassi di far accedere i bambini alla prima comunione fin dall’età di sette anni abbia portato alla Chiesa grandi grazie. Del resto non bisogna dimenticare che nella Chiesa primitiva veniva amministrato il sacramento dell’eucaristia ai neonati, subito dopo il battesimo, sotto le specie di poche gocce di vino. 
Permettere che i bambini possano ricevere il prima possibile Gesù eucaristico è stato per molti secoli uno dei punti fermi della pastorale per i più piccoli nella Chiesa, consuetudine che venne ripristinata da san Pio X ai suoi tempi e che è stata lodata dai suoi successori, come anche più volte dal nostro santo padre Giovanni Paolo II. 

Il canone 914 ha recepito pienamente il pensiero pontificio: «È dovere innanzitutto dei genitori e di coloro che ne fanno le veci, come pure del parroco, provvedere affinché i fanciulli che hanno raggiunto l’uso della ragione siano debitamente preparati e quanto prima, premessa la confessione sacramentale, alimentati di questo divino cibo». 


Lasciate che i bambini vengano a me, Carl Vogel von Vogelstein, Galleria d’Arte Moderna, Firenze


Lasciate che i bambini vengano a me, Carl Vogel von Vogelstein, Galleria d’Arte Moderna, Firenze

Il Santo Padre è ritornato di recente con parole di ammirazione su quella decisione di san Pio X; lo ha fatto nel suo libro Alzatevi, andiamo!: «Una testimonianza toccante di amore pastorale per i bambini la diede un mio predecessore, san Pio X, con la decisione relativa alla prima comunione. Egli non soltanto abbassò l’età necessaria per accostarsi alla mensa del Signore, cosa di cui approfittai io stesso nel maggio 1929, ma diede la possibilità di ricevere la comunione anche prima di aver compiuto i sette anni, se il bambino mostra di avere sufficiente discernimento. La santa comunione anticipata fu una decisione pastorale che merita di essere lodata e ricordata, perché ha prodotto tanti frutti di santità e di apostolato tra i bambini, favorendo anche lo sbocciare di vocazioni sacerdotali» (Giovanni Paolo II, Alzatevi, andiamo!, Roma 2004, p. 81).

Noi sacerdoti, chiamati da Dio a custodire, in unione ai nostri vescovi, il Santissimo Sacramento dell’altare, possiamo e dobbiamo guardare innanzitutto ai bambini come ai primi destinatari di questo immenso dono: l’eucaristia, che Dio ha posto nei nostri fragili vasi di creta, sulle nostre mani consacrate. 
Credo che sia una delle più grandi gioie per il parroco quella di ascoltare la prima confessione dei bambini e, in seguito, far loro ricevere la prima comunione; e, quanto più sono piccoli, viene spontaneo di pensare che si può essere certi che ci sarà la più degna accoglienza del cuore per Cristo sacramentato. 
Infatti la mente del bambino, giunto all’età in cui comincia a ragionare – ed oggi questa età giunge presto – è aperta e disponibile all’accoglienza della luce divina, che fa penetrare fin dove è possibile il mistero dell’amore di Dio per l’uomo. 
La fede poi ci innalza sopra la ragione e questa fede – spesso lo abbiamo sperimentato proprio nelle nostre parrocchie – è tanto viva, nei bambini, che sono capaci, a volte meglio di noi, di esprimere con la preghiera immediata la loro vicinanza al Signore. 

Vogliamo perciò sperare che questa consuetudine santa, ricordata da tutti gli ultimi papi, di far accedere i bambini piccoli alla santissima eucaristia, dopo aver raccolto la loro prima confessione, venga, particolarmente in questo anno dell’Eucaristia, sempre più apprezzata e per quanto possibile seguita; preghiamo uniti affinché la carità sia la forza motrice per ogni parroco teso ad animare la pastorale parrocchiale, in unione al suo vescovo, in sintonia e in collaborazione con le famiglie e gli educatori dei bambini, affinché l’amore per la santissima eucaristia venga trasmesso fin dalla più tenera età e il desiderio di ricevere il corpo di Cristo diventi il cammino più sicuro per assicurare un futuro di pace e santità non solo al singolo fedele ma all’intera comunità cristiana. 
Nell’unione di preghiera e di intenti pastorali, resto devotissimo in Cristo. 

cardinale Darío Castrillón Hoyos
Dal Vaticano, 
8 gennaio 2005

¿PERO PARA LA GENTE QUIÉN ES, EN UNA PALABRA, EL HIJO DEL HOMBRE?

¿PERO PARA LA GENTE QUIÉN ES 

 EL HIJO DEL HOMBRE?






"¿Pero para la gente quién es, en una palabra, el Hijo del hombre?"

"Es un ser en que radican todas las virtudes más hermosas del hombre, un ser que reúne en sí todos los requisitos de inteligencia, sabiduría, belleza, que imaginamos que existieron en Adán, 
y algunos añaden a estos requisitos el de no morir. Sabes muy bien que anda en las bocas de muchos que Juan Bautista no ha muerto, sino sólo transportado por los ángeles y que Herodes, para no confesar su derrota, y mucho más Herodías, se cuenta que mató a un siervo, y habiéndole quitado la cabeza, hayan mostrado como cadáver del Bautista su cuerpo. ¡Tantas cosas dice la gente! 

Por esto muchos piensan que el Hijo del hombre sea Jeremías, o Elías, o alguno de los profetas y aun el mismo Bautista, en quien había la belleza y la sabiduría, y se llamaba el precursor del Mesías, del Ungido de Dios. El Hijo del hombre: un gran ser nacido del hombre. No pueden admitir muchos, o no quieren, que Dios haya enviado a su Hijo a la tierra. Ayer Tú mismo lo dijiste: "Creerán sólo los que están convencidos de la infinita bondad de Dios". Israel cree más en la severidad de Dios que en su bondad..." explica Bartolomé.

"Tienes razón. Se oye a muchos incapacitados que afirman que es imposible que Dios haya sido tan bueno, de haber enviado a su Verbo para salvarlos. El obstáculo que encuentran en creer esto, es su propia alma degradada"confirma Zelote. Y añade: "Tú dices ser el Hijo de Dios y del hombre. En verdad existe en ti la belleza, toda la sabiduría como hombre. Yo creo que quien hubiese nacido realmente de un Adán en gracia, se te hubiera parecido en hermosura e inteligencia y en otras cualidades. Dios resplandece en ti por su poder. Pero ¿quién de esos que se creen dioses puede creerlo, llevados de su gran soberbia? Los que son crueles, que odian, que son unos ladrones, impuros, no pueden ciertamente admitir que Dios haya llegado al extremo de su bondad de darse a Sí mismo para redimirlos, que haya entregado su amor para salvarlos, su generosidad, su pureza para sacrificarse por nosotros. No pueden admitirlo esos, que son tan duros y quisquillosos en buscar culpas y castigarlas."


Y VOSOTROS ¿QUÉ DECÍS QUIÉN SEA YO?

DECIDLO CON EL CORAZÓN EN LA MANO

"Y vosotros ¿qué decís quién sea Yo? Decidlo con el corazón en la mano, sin tener en cuenta mis palabras o las de otros. Si fuerais obligados a juzgarme ¿quién diríais que soy Yo?"
"Tú eres eres el Mesías, el Hijo del Dios vivo" grita Pedroarrodillándose con los brazos abiertos en alto, hacia Jesús que lo mira con un rostro que es todo luz, y que se inclina para levantarlo para abrazarlo, diciendo:


LA RAZÓN POR LA QUE JESÚS ELIGIÓ A PEDRO
CABEZA DE LA IGLESIA
"¡Bienaventurado eres, Simón, hijo de Jonás! No ha sido la carne ni la sangre los que te lo revelaron, sino mi Padre que está en los cielos. Desde el primer día que viniste a Mí, te has hecho esta pregunta, y como eres sencillo y honrado has sabido comprender y aceptar la respuesta que los cielos te daban.No viste ninguna manifestación sobrenatural como tu hermano y Juan y Santiago. No conocías que había sido Yo bueno como hijo, como obrero, como ciudadano, cual Judas y Santiago mis hermanos lo habían visto. No te hice ningún milagro, ni me viste hacerlo. No te di ninguna señal de mi poder como la vieron Felipe, Natanael, Simón Cananeo, Tomás, Judas. No (te) sentiste subyugado por mi voluntad como Leví el publicano. Y con todo exclamaste: "¡El es el Mesías!". Desde la primera vez que me viste, creíste, y tu fe jamás se ha sentido vacilar. Por esto te llamé Cefas. Y por esto, sobre ti, Roca, edificaré mi Iglesia y las puertas del infierno no la vencerán. Te daré las llaves del reino de los cielos, y lo que hubieras amarrado en la tierra, lo será también en los cielos, y lo que hubieras soltado en la tierra, será suelto también en los cielos, ¡oh hombre fiel y prudente cuyo corazón he podido probar! Y ahora, desde este momento, eres el jefe, a quien debe darse obediencia, respeto como si fuera Yo mismo. Y como a tal te proclamo ante todos tus compañeros."
Si Jesús hubiera arrojado contra Pedro toda clase de reproches no se hubiera sentido tan pequeño. Se oyen sus sollozos, que repercuten contra el pecho de Jesús. Un llanto que sólo será igual al de haberlo negado. Ahora es un llanto que nace de miles de sentimientos humildes y buenos... Es algo del antiguo Simón -el pescador de Betsaida que a la nueva de su hermano había respondido riéndose: "¿El Mesías se te ha aparecido?... ¿De veras?"- Algo queda del antiguo Simón que llora, bajo el peso de su fragilidad humana, pero que empieza a ser el Pedro, el Jefe de la Iglesia de Jesús.
Cuando levanta su cara, tímida, apenada, no sabe hacer otra cosa para demostrar todo lo que siente, todo a lo que se ha comprometido: echar sus brazos cortos y musculosos al cuello de Jesús, obligarlo a inclinarse para que lo bese,mezclando sus cabellos, su barba, un tanto ásperos y entrecanos, con los hermosos cabellos y barba dorados de Jesús. Lo mira con una mirada de adoración, amor, súplica, con unos ojos un tanto bovinos, resplandecientes y rojizos por las lágrimas teniendo entre sus manos callosas, largas, toscas, el rostro ascético del Maestro, cual si fuese un vaso de quien fluya un licor precioso... y bebe, bebe dulzura y gracia, seguridad y fuerzas de ese rostro, de esos ojos, de esa sonrisa...


"PEDRO HA DICHO LA VERDAD.
MUCHOS LA INTUYEN.
VOSOTROS LA SABÉIS.
POR AHORA NO DIGÁIS A NADIE QUIÉN ES EL MESÍAS,
COMO VOSOTROS LO SABÉIS.
DEJAD QUE DIOS HABLE EN LOS CORAZONES
COMO HABLA EN LOS VUESTROS.

Pedro se separa de Jesús, quien dice a todos al continuar sucamino hacia Cesarea de Filipo: "Pedro ha dicho la verdad. Muchos la intuyen. Vosotros la sabéis. Por ahora no digáis a nadie quién es el Mesías, como vosotros lo sabéis. Dejad que Dios hable en los corazones como habla en los vuestros.En verdad os digo que quienes juntan a mi afirmación o a la vuestra una fe y amor perfectos, llegarán a comprender el verdadero significado de las palabras: "Jesús, el Mesías, el Verbo, el Hijo del hombre y de Dios". "
VI. 189-194

A. M. D. G.

et Beatae Virginis Mariae!

VI PREGO: SIATE SANTAMENTE CURIOSI: LEGGETE ATTENTAMENTE IL POST E FATEVI UNA VOSTRA OPINIONE: CERTE COSE NEL VANGELO BISOGNA ... SCOVARLE. - "Circola la voce che Giovanni Battista non sia morto".

Il lievito... e GIOVANNI BATTISTA... e PIETRO che dice la Verità


Mi piace riportare questo passo del capitolo 343 dell'Opera di Maria Valtorta dove leggiamo quello che pensava e diceva la gente circa il Battista e la sua sparizione o trasporto altrove  per mano d'angeli: arriva il giorno in cui con certezza sapremo la verità su questi fatti misteriosi pur riferiti dai santi Vangeli


Dal cap. 343 ...
(E' Gesù che parla) «Perché avete paura di rimanere senza pane per la vostra fame? Anche se tutti qui fossero sadducei e farisei, non rimarreste senza cibo per il mio consiglio. Non è di quel lievito che è nel pane che Io parlo. 
Perciò potrete comperare dove vi pare il pane per i vostri ventri. E se nessuno ve lo volesse vendere, non rimarreste senza pane lo stesso. 
Non vi ricordate dei cinque pani con cui si sfamarono cinquemila persone? 
Non vi ricordate che ne coglieste dodici panieri colmi di avanzi? 
Potrei fare per voi, che siete dodici e avete un pane, ciò che feci per cinquemila con cinque pani. 

Non capite a quale lievito alludo? A quello che gonfia nel cuore dei farisei, sadducei e dottori, contro di Me. È odio, quello. Ed è eresia

Ora voi state andando verso l’odio come fosse entrato in voi parte del lievito farisaico. 
Non si deve odiare neppure chi ci è nemico. 
Non aprite neppure uno spiraglio a ciò che non è Dio. 
Dietro al primo entrerebbero altri elementi contrari a Dio. 
Talora, per troppo volere combattere con armi uguali i nemici, si finisce a perire o a essere vinti. E, vinti che siate, potreste per contatto assorbire le loro dottrine. No. Abbiate carità e riservatezza. 

Voi non avete ancora in voi ancora tanto da poterle combattere, queste dottrine, senza esserne infettati. Perché alcuni elementi di esse li avete pure voi. E l’astio per loro ne è uno. 

Ancora vi dico che essi potrebbero cambiare metodo per sedurvi e levarvi a Me, usandovi mille gentilezze, mostrandosi pentiti, desiderosi di fare pace. 
Non dovete sfuggirli. Ma quando essi cercheranno darvi le loro dottrine, sappiate non accoglierle. Ecco quale è il lievito di cui parlo. Il malanimo, che è contro l’amore, e le false dottrine. Vi dico: siate prudenti ». 130 

«Quel segno che i farisei chiedevano ieri era “lievito”, Maestro? », chiede Tommaso. 
«Era lievito e veleno ». 
«Hai fatto bene a non darglielo ». 
«Ma glielo darò un giorno ». 
«Quando? Quando? », chiedono curiosi. 
«Un giorno… ». 
«E che segno è? Non lo dici neppure a noi, i tuoi apostoli? Perché lo si possa riconoscere subito », chiede voglioso Pietro. 
«Voi non dovreste avere bisogno di un segno ».

«Oh! non per poter credere in Te! Non siamo la gente che ha molti pensieri, noi. Noi ne abbiamo uno solo: amare Te », dice veementemente Giacomo di Zebedeo. 

«Ma la gente, voi che l’avvicinate, così alla buona, più di Me, e senza la soggezione che Io posso incutere, che dice che Io sia? E come definisce il Figlio dell’uomo? ». 

«Chi dice che tu sei Gesù, ossia il Cristo, e sono i migliori. Gli altri ti dicono Profeta, altri solo Rabbi, e altri, Tu lo sai, ti dicono pazzo e indemoniato ». 

«Qualcuno usa per Te il nome stesso che Tu ti dai, e ti dice: “Figlio dell’uomo” ». 

«E alcuni anche dicono che ciò non può essere, perché il Figlio dell’uomo è ben altra cosa. Né è sempre negazione questa. Perché in fondo essi ammettono che Tu sei da più del Figlio dell’uomo: sei il Figlio di Dio. 
Altri invece dicono che Tu non sei neppure il Figlio dell’uomo, ma un povero uomo che satana agita o che sconvolge la demenza. Tu vedi che i pareri sono molti e tutti diversi », dice Bartolomeo. 

«Ma per la gente chi è dunque il Figlio dell’uomo? ». 

«E’ un uomo nel quale siano tutte le virtù più belle dell’uomo, un uomo che raduni in sé tutti i requisiti di intelligenza, sapienza, grazia che pensiamo fossero in Adamo, e taluni a questi requisiti aggiungono quello del non morire. 

Tu sai che già circola la voce che Giovanni Battista non sia morto. 

Ma solo trasportato altrove dagli angeli, 

e che Erode, per non dirsi vinto da Dio, e più ancora Erodiade, 

abbiano ucciso un servo e, sottratto il capo di lui, abbiano mostrato come cadavere del Battista il corpo mutilato del servo. 

Tante ne dice la gente! Perciò pensano in molti che il Figlio dell’uomo sia o Geremia, o Elia, o qualcuno dei Profeti e anche lo stesso Battista, nel quale era grazia e sapienza, e si diceva il Precursore del Cristo. 

Cristo: l’Unto di Dio. Il Figlio dell’uomo: un grande uomo nato dall’uomo. 

Non possono ammettere in molti, o non lo vogliono ammettere, che Dio abbia potuto mandare suo Figlio sulla Terra. 

Tu lo hai detto ieri: “Crederanno solo coloro che sono convinti della infinita bontà di Dio”. Israele crede nel rigore di Dio più che nella sua bontà… », dice ancora Bartolomeo. 

«Già. Si sentono infatti tanto indegni che giudicano impossibile che Dio sia tanto buono da mandare il suo Verbo per salvarli. Fa ostacolo al loro credere in ciò lo stato degradato della loro anima », conferma lo Zelote
E aggiunge: «Tu lo dici che sei il Figlio di Dio e dell’uomo. Infatti in Te è ogni grazia e sapienza come uomo. Ed io credo che realmente chi fosse nato da un Adamo in grazia ti avrebbe somigliato per bellezza e intelligenza ed ogni altra dote. E in Te brilla Dio per la potenza. 

Ma chi lo può credere fra coloro che si credono dèi e misurano Dio su se stessi, nella loro superbia infinita? 

Essi, i crudeli, gli odiatori, i rapaci, gli impuri, non possono certo pensare che Dio abbia spinto la sua dolcezza a dare Se stesso per redimerli, il suo amore a salvarli, la sua generosità a darsi in balìa dell’uomo, la sua purezza a sacrificarsi fra noi. 
Non lo possono, no, essi che sono così inesorabili e cavillosi a cercare e punire le colpe ». 

«E voi chi dite che Io sia? Ditelo proprio per vostro giudizio, senza tenere conto delle mie parole o di quelle altrui. Se foste obbligati a giudicarmi, che direste che Io sia? ». 

«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente », grida Pietro inginocchiandosi a braccia tese verso l’alto, verso Gesù, che lo guarda con un volto tutto luce e che si curva a rialzarlo per abbracciarlo dicendo:

«Te beato, o Simone, figlio di Giona! Perché non la carne né il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei Cieli. 

Dal primo giorno che venisti a Me ti sei fatto questa domanda, e poiché eri semplice e onesto hai saputo comprendere e accettare la risposta che ti veniva dai Cieli. 


Tu non vedesti manifestazioni soprannaturali come tuo fratello e Giovanni e Giacomo. 


Tu non conoscevi la mia santità di figlio, di operaio, di cittadino come Giuda e Giacomo, miei fratelli. 


Tu non ricevesti miracolo né vedesti farne, né ti diedi segno di potenza come feci e come videro Filippo, Natanaele, Simon Cananeo, Tommaso, Giuda. 


Tu non fosti soggiogato dal mio volere come Levi il pubblicano. 


Eppure tu hai esclamato: “Egli è il Cristo!”

Dalla prima ora che mi hai visto, hai creduto, né mai la tua fede fu scossa. 

Per questo io ti ho chiamato Cefa. E per questo su te, Pietra, Io edificherò la mia Chiesa, e la porte dell’inferno non prevarranno contro di lei. 


A te darò le chiavi del Regno dei Cieli. 


E qualunque cosa avrai legato sulla Terra sarà legata anche nei Cieli. 


E qualunque cosa avrai sciolta sulla Terra sarà sciolta anche nei Cieli, o uomo fedele e prudente di cui ho potuto provare il cuore. 


E qui, da questo momento, tu sei il capo, al quale va data ubbidienza e rispetto come ad un altro Me stesso. 


E tale lo proclamo davanti a tutti voi »

Se Gesù avesse schiacciato Pietro sotto una grandine di rimproveri, il pianto di Pietro non sarebbe stato così alto. 
Piange tutto scosso dai singhiozzi, col volto sul petto di Gesù. 
Un pianto che avrà solo riscontro in quello in frenabile del suo dolore di rinnegatore di Gesù. 
Ora è pianto fatto di mille sentimenti umili e buoni… 
Un altro poco dell’antico Simone – il pescatore di Betsaida che al primo annuncio del fratello aveva riso dicendo: «Il Messia appare a te!… Proprio! », incredulo e ridanciano – un poco tanto dell’antico Simone si sgretola sotto quel pianto per fare apparire, sotto la crosta assottigliata della sua umanità, sempre più nettamente il Pietro, pontefice della Chiesa di Cristo. 

Quando alza il viso, timido, confuso, non sa che fare un atto per dire tutto, per promettere tutto, per rinforzarsi tutto al nuovo ministero: quello di gettare le sue braccia corte e muscolose al collo di Gesù e obbligarlo a chinarsi per baciarlo, mescolando i suoi capelli, la sua barba, un poco ispidi e brizzolati, ai capelli e alla barba morbidi e dorati di Gesù, guardandolo poi con uno sguardo adorante, amoroso, supplichevole, degli occhi un poco bovini, lucidi e rossi delle lacrime sparse, tenendo nelle sue mani callose, larghe, tozze, il viso ascetico del Maestro curvo sul suo, come fosse un vaso da cui fluisse liquore vitale… e beve, beve, beve con dolcezza e grazia, sicurezza e forza, da quel viso, da quegli occhi, da quel sorriso… 
Si sciolgono infine, tornando ad andare verso Cesarea di Filippo, 

e Gesù dice a tutti: «Pietro ha detto la verità. Molti l’intuiscono, voi la sapete. Ma voi, per ora, non dite ad alcuno ciò che è il Cristo nella verità completa di ciò che sapete (è una raccomandazione di Gesù che si ritrova anche in altre occasioni e la cui ragione è quasi sempre nei rispettivi contesti come qui, o in una nota come in Cap 349. Maria Ss. Ne darà una spiegazione più profonda nel Cap 642 Vol 10). Lasciate che Dio parli nei cuori come parla nel vostro. In verità vi dico che quelli che alle mie asserzioni o alle vostre aggiungono la fede perfetta e il perfetto amore, giungono a sapere il vero significato delle parole “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio dell’uomo e di Dio” ». 

http://www.conchiglia.mx/XVA3MDC/VATICANO/15.302_PAPA_Em_BENEDETTO_XVI_La_verita'_su_Giovanni_il_Battista_e_sul_futuro_genetico_dei_figli_di_Dio_09.04.15.pdf



AMDG et B.V.M.