martedì 26 luglio 2016

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda (a cura di Gemma)


Grazie alla nostra Gemma (di nome e di fatto) possiamo leggere la seconda parte della biografia di Papa Benedetto.
Ancora un ringraziamento speciale a Gemma per il lavoro straordinario che sta svolgendo :-)


LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte prima

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte sesta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte settima (a cura di Gemma)

Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei"(Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga, 16 gennaio 2010)

Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica) 

Joseph Ratzinger presenta se stesso: discorso di Presentazione alla Pontificia Accademia delle Scienze 

Alla fine del 1945, comincia la frequentazione nel seminario di Frisinga in un gruppo di circa 120 seminaristi. Un gruppo piuttosto eterogeneo, per esperienze e per età ma, dice nella sua autobiografia, “nessuno dubitava che la Chiesa fosse il luogo delle nostre speranze”.
Gli interessi didattici sono molteplici e spaziano dalla teologia in senso stretto, alla filosofia, alla lettura dei romanzieri, tra cui Dostoevskji, Claudel, Bernanos, Mauriac, Gertud Von Le Fort… In campo teologico è forte il fascino per Romano Guardini, Theodor Hacker, J. Pieper, P. Wust.
In quel periodo nasce una profonda amicizia con il teologo Alfred Läpple, oggi 92 anni, allora prefetto della sala di studio, appena rientrato dalla prigionia inglese. Lo stesso Läpple in un’intervista rilasciata alla rivista “30 giorni” (gennaio 2006) ricorda così il loro primo incontro: “durante una pausa di tempo libero, mi si avvicinò questo giovane, che non avevo ancora conosciuto. Mi disse: "sono Joseph Ratzinger, e ho per lei alcune domande". Da quelle domande nacque il nostro primo lavoro insieme. E fu l’inizio di tante chiacchierate, di tante passeggiate, di tante discussioni appassionate e di tanti lavori fatti insieme. È partita lì la grande amicizia di una vita. Non ci siamo mai persi di vista. E se c’era qualcosa da dirsi, ci si telefonava e ci si scriveva molto”. La domanda allora posta era: “come hai potuto conservare la fede durante tutto il tempo della guerra?”

La metà del seminario in quel periodo è ancora adibita a lazzaretto, e vi sono ospitati i feriti degli eserciti alleati.. I seminaristi dormono in grandi camerate a gruppi di quaranta in cui ciascuno ha il suo letto circondato da una specie di tenda bianca, a mo’ di separé. La mattina la sveglia è alle 5,30, poi c’è la messa, la colazione, le lezioni. I corsi di materie attinenti alla pastorale si tengono in seminario. Quelli più scientifici si tengono nella Scuola superiore di filosofia e teologia, istituto statale ospitato nell’edificio accanto al seminario. Dopo il pranzo nel tempo libero, si passeggia, poi ci si dedica allo studio. La sera, dopo cena, spazio alla meditazione o magari ad una conferenza da ascoltare. Non c’è riscaldamento, e si va a letto presto.
Sempre dal ricordo del prof Läpple, i fratelli Ratzinger a lezione siedono spesso in prima fila e i colleghi per distinguerli li chiamano Orgel-Ratz e Bücher-Ratz (il Ratzinger dell’organo e quello dei libri). Dice Läpple:” Joseph era come uno straccio secco che si inzuppa di acqua quasi con avidità. Quando nello studio trovava una cosa nuova, si riempiva di entusiasmo, non vedeva l’ora di poterla comunicare agli altri. Io e lui passavamo ore e ore a discutere passeggiando”.
In seminario, malgrado le differenze di età e di formazione culturale, regna un clima familiare, grazie anche ai modi benevoli e cordiali del rettore, Michael Höck,, chiamato semplicemente “il padre”. Si coltiva molto anche la musica e, in occasione di feste, si recitano pezzi teatrali.
Ratzinger si appassiona al cardinale-teologo inglese Newman, al pensatore ebreo Buber, ad Agostino del quale, dice, “ nelle Confessioni mi venne incontro in tutta la sua passionalità e profondità umane”; ha invece difficoltà nell’accesso al pensiero di Tommaso d’Aquino (“la cui logica cristallina mi appariva troppo chiusa in se stessa, troppo impersonale e preconfezionata”). Anche in quel periodo, un posto importante occupano le grandi feste liturgiche in cattedrale e la preghiera silenziosa nella cappella del seminario. Significativo è il ricordo della figura del cardinale Faulhaber (“non cercavamo in lui un vescovo accessibile: mi colpiva piuttosto la veneranda grandezza della sua missione, con cui egli si era del tutto identificato”).
Il primo scritto di Joseph Ratzinger risale al 46, quando ha da poco iniziato il seminario. Di quell’opera prima esistono solo due copie dattiloscritte, rilegate in marocchino rosso. Le scritte in caratteri giallo oro sulla copertina chiariscono che si tratta di una traduzione, la versione in tedesco della Quaestio disputata di san Tommaso sulla carità. Una delle due copie è in possesso dell’autore. L’altra la conserva Alfred Läpple che racconta: «la traducemmo insieme, riga dopo riga. Era il 1946. Ricordo che cercavamo le versioni originali di tutte le citazioni: Platone, Aristotele, Agostino... Poi, molti anni dopo, il manoscritto originale si stava deteriorando, e allora la mia segretaria ribatté il testo a macchina e ne feci rilegare due copie. Una la regalai a Joseph il 14 marzo ’79, quando, in occasione della festa di san Tommaso, venne a Salisburgo, nell’aula magna dell’Università dove insegnavo, a tenere una lezione magistrale su “Le conseguenze della fede nella creazione”».

Con il semestre estivo del 1947 si conclude il biennio di studi filosofici e chiede al vescovo, con successo, di proseguire gli studi a Monaco. La facoltà teologica si trova provvisoriamente nell’ex residenza di caccia di Fürstenried, a sud di Monaco. Lo spazio è molto ridotto e si dorme in letti a castello e anche il vitto è scarso ma gli studenti hanno a disposizione il bel parco del castello (“molto spesso me ne andavo a passeggiare per quel parco, immerso in molti pensieri; là sono maturate le decisioni di quegli anni e là ho riflettuto su quel che ci veniva detto cercando di trarne una mia visione delle cose”). Non c’è la spontanea cordialità di Frisinga , il gruppo è eterogeneo e comprende studenti da tutta la Germania, alcuni dei quali avanti negli studi e dominano l’interesse intellettuale e l’individualismo. Dato che non c’è una vera e propria aula, i corsi si svolgono nella serra del giardino del castello, ambiente freddo d’inverno e molto caldo d’estate.
I professori più importanti sono: Gottlieb Söhngen , Michael Schmaus , Friedrich Wilhelm Maier, Josef Pascher … La star della facoltà nel racconto di Ratzinger è Maier, professore di esegesi del nuovo testamento (“le sue lezioni erano le uniche in cui la serra diventava troppo piccola; per avere un posto bisognava arrivare molto presto”). Ratzinger segue con grande interesse le lezioni del prof Maier, facendole oggetto di rielaborazione personale (“per me l’esegesi è sempre rimasta il centro del mio lavoro teologico” …) Nel ricordo di Läpple , Söhngen è il “maestro” di Ratzinger, insegna teologia fondamentale e in lui Ratzinger “ vide anche il gusto di riscoprire la Tradizione intesa come teologia dei Padri e il gusto di fare teologia riandando alle grandi fonti: da Platone a Newman, passando per Tommaso, Bonaventura, Luther. E ovviamente sant’Agostino…”
Sempre secondo il racconto di Läpple, Söhngen non ha il costume di plasmare i propri allievi e Ratzinger è piuttosto libero nei confronti del maestro che, commentando le sue interpretazioni su sant’Agostino diceva: “adesso il mio studente ne sa più di me che sono il maestro! Söhngen teneva in grande considerazione quello che riteneva il suo migliore allievo. Una volta disse di sentirsi come sant’Alberto Magno, quando nel Medioevo diceva che il suo allievo avrebbe gridato più forte di lui. E l’allievo era san Tommaso! Era contento che qualcuno sapesse sviluppare in maniera originale e non pre-stabilita i suoi suggerimenti.”
Pascher , teologo della pastorale e direttore del Georgianum, ha un ruolo molto importante nel consolidamento dell’interesse del giovane Ratzinger per il movimento liturgico (“come avevo imparato a comprendere il Nuovo Testamento quale anima di tutta la teologia, così capii che la liturgia ne era il fondamento vitale, senza di cui essa finisce per inaridirsi”).
Negli ambienti cattolici della Germania di allora, c’è in generale consenso nei confronti del papato e di Pio XII ma il clima dominante in facoltà, secondo lo stesso racconto di Ratzinger, è un po’ più tiepido. A questo contribuiscono una teologia locale ampiamente segnata dal pensiero storico, le esperienze vissute dal prof Maier e “forse anche un certo orgoglio tedesco, per cui ritenevamo di saperne di più di “quelli laggiù”.” Ma questo tipo di riserve e sentimenti non compromette l’assenso al ministero petrino, nemmeno in occasione della definizione dogmatica dell’assunzione corporea di Maria in cielo, nonostante il commento di alcuni docenti sia inizialmente decisamente negativo. Ratzinger ricorda: “in quegli anni a Monaco si fa teologia in maniera critica ma credente…il dogma non era sentito come vincolo esteriore, ma come la sorgente vitale, che rendeva possibili nuove conoscenze. La Chiesa per noi era viva soprattutto nella liturgia e nella grande ricchezza della tradizione teologica”. E in riferimento alla scelta di vita di quegli anni dice: “ Non abbiamo preso alla leggera l’esigenza del celibato , ma eravamo comunque convinti di poterci fidare dell’esperienza secolare della Chiesa e che quella rinuncia che essa ci chiedeva , e che penetrava fin nel profondo di noi,sarebbe divenuta feconda.”

Nell’estate del 1949 un’aula del Georgianum nella Ludwigstrabe di Monaco viene resa abitabile e gli studenti possono tornare in città. L’accesso alle stanze non è molto agevole, vi si accede da uno spazio aperto e attraverso una scala a pioli. Ora è possibile frequentare anche lezioni di altre facoltà ma c’è anche un lato negativo dal momento che a Fürstenried docenti, discenti, tanto i seminaristi che gli studenti e le studentesse della città, erano vissuti insieme come una grande famiglia. Ora, come ricorda lo stesso Ratzinger, “mancano questa immediatezza e questa vicinanza e gli anni di Fürstenried restano nella mia memoria come un tempo di grandi novità, pieno di speranza e di fiduciosa attesa, ma anche come un tempo di grandi e sofferte decisioni”, e conclude, “ quando mi capita di entrare in quel parco, rimasto ancora oggi intatto, le vie esteriori che lo attraversano si uniscono tanto strettamente a quelle interiori, che qui ho cominciato a percorrere, che quel che ho vissuto in quel luogo ritorna vivo e presente dinnanzi a me in tutta la sua freschezza”.
Già allora, nel ricordo di chi lo ha conosciuto, colpiscono la personalità umile e sensibile. Una compagna di corso dei tempi dell’università, Hilda Brauer, racconta: "Era straordinariamente sensibile, tutte noi eravamo affascinate da questo suo modo di fare, così distante dall'atteggiamento di tutti gli altri compagni . Lui era molto timido, e quando ci incontravamo nei corridoi salutava con un breve cenno del capo e con una voce molto flebile. Era questa sua timidezza che incuriosiva le ragazze e che lo metteva sotto una luce diversa dagli altri. Nel nostro corso era il più brillante; nessuno era al pari suo, tutta la sua timidezza era soppiantata da una mente agile e straordinariamente attiva. Devo dire che oltre a questo sapeva essere anche molto gentile; ricordo benissimo che un giorno, noi ragazze, ci fermammo a discutere su alcuni temi teologici nel parco, e lui arrivò portando con sè alcuni mazzolini di fiori che aveva preparato per ognuna di noi, un gesto che ci svelò quanta sensibilità si celasse dietro una maschera apparentemente fredda. Fortunatamente eravamo soltanto in tre, quel giorno, altrimenti avrebbe raccolto tutti i fiori del parco! " (l’Adige, aprile 2005).
Riguardo al periodo precedente l’ordinazione, quando presentò la sua autobiografia qualcuno gli fece notare che non aveva mai parlato di “cotte” o flirt. Al giornalista curioso rispose, scherzando, tirando fuori quel senso dell’ironia che gli amici gli riconoscono: “L’editore mi aveva chiesto di non superare le 100 cartelle! Poi però è tornato sull’argomento: “A Monaco si viveva a stretto contatto coi professori, ma anche con le studentesse, così che la questione della rinuncia si poneva in termini assai pratici proprio in forza di questa convivenza quotidiana. Mi sono spesso confrontato con queste domande finchè nell’autunno del 50, potei pronunciare un “si” convinto in occasione della mia ordinazione diaconale”

Dopo l’esame conclusivo degli studi teologici nell’estate del 1950 gli viene proposto da Sohngen un lavoro, che se premiato, potrà aprirgli la strada al dottorato, sul tema: “Popolo e casa di Dio nell’insegnamento di sant’Agostino nella Chiesa”. In questo contesto, produttiva è per lui la lettura dell’opera, regalatagli l’anno prima da Läpple, “Cattolicismo” di Henri de Lubac nella traduzione di Hans Urs von Balthasar (“questo libro è divenuto per me una lettura di riferimento”). Si mette in cerca di altre opere di De Lubac e trae profondo giovamento dalla lettura di Corpus Mysticum e, ricorda, ”potei addentrarmi, come mi veniva richiesto nel dialogo con Agostino, che in molti modi avevo già da lungo tempo tentato”.
Ratzinger dedica al lavoro tutte le ferie estive ma alla fine di ottobre riceve l’ordinazione diaconale, preludio all’ordinazione sacerdotale. Torna nel seminario di Frisinga per l’avviamento alla predicazione e alla catechesi, impegni che con fatica riesce a conciliare al lavoro teologico in corso. Lo aiutano la tolleranza del seminario, il fratello Georg, che sta svolgendo lo stesso percorso spirituale e pratico di preparazione al sacerdozio, e la sorella Maria , nel frattempo impiegata in uno studio legale, che redige nel tempo libero la copia scritta del lavoro che può essere consegnato con successo entro il termine previsto.
Nel ricordo di Läpple, “Ratzinger trovò molto di più di quello che il suo maestro gli aveva suggerito di cercare. Documentò con una quantità incredibile di citazioni cosa intendeva sant’Agostino quando definiva la Chiesa come popolo di Dio. La stessa espressione che sarebbe stata riproposta solo parecchio tempo dopo dal Concilio Vaticano II e da Paolo VI. Ma Ratzinger non contrapponeva le due definizioni di Chiesa, anzi le conciliava”.

Finalmente, Il 29 giugno 1951, nella festa dei santi Pietro e Paolo, nel duomo di Frisinga, per mano del cardinale Faulhaber, Joseph Ratzinger riceve insieme al fratello Georg l’ordinazione sacerdotale. Sono più di quaranta candidati quel giorno a rispondere, quando chiamati, adsum , “sono qui”. Di quel giorno lo stesso Ratzinger ricorda: “era una splendida giornata d’estate , che resta indimenticabile, come il momento più importante della mia vita “ e, segno beneaugurate, nel momento in cui l’anziano arcivescovo impone le sue mani su di lui, un’uccellino, forse un’allodola, si leva dall’altare maggiore della cattedrale e intona un piccolo canto gioioso (“per me fu come se una voce dall’alto mi dicesse: va bene così, sei sulla strada giusta”).
Durante la cerimonia, anche Läpple, dopo il cardinal Faulhaber, come tutti gli altri sacerdoti presenti, si mette in fila per porgli le mani sul capo e, come ama ricordare, ” lui in quel momento ha alzato la testa e mi ha detto: grazie. Dopo la messa, lui, i suoi genitori e sua sorella Maria sono saliti nella mia stanza, e io ho detto: caro Joseph, adesso dammi tu la tua benedizione. Mi ha abbracciato con una gioia indescrivibile. Lui non sa essere finto. E la cosa che gli fa più male è quando qualcuno non è sincero, quando uno fa il teatrino. Questo gli fa male. Per questo gli dispiace quando si riduce anche la liturgia a teatro. Perché – dice lui – non è così che si tratta Gesù Cristo”.

Sainte-Anne-d'Auray - Venerdì, 20 settembre 1996

FR IT ]



VIAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II 

ALLE GIOVANI COPPIE E AI LORO BAMBINI


Sainte-Anne-d'Auray - Venerdì, 20 settembre 1996

Cari amici, passando in mezzo a voi, è stata per me una gioia vedere tanti bambini. In quel momento ho avuto davanti agli occhi tutti i bambini che vivono in Francia, senza dimenticarne nessuno. A tutti i bambini esprimo il mio affetto caloroso. Purtroppo non ho potuto avvicinarmi a tutti, ma vi erano dei rappresentanti e attraverso di essi ho espresso ciò che serbo nel cuore per le famiglie e per i bambini.

Cari genitori, cari figli,

1. “Voi siete il sale della terra . . . Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13-14).
Cristo rivolgeva queste parole ai discepoli che lo seguivano e che lo avevano udito proclamare le Beatitudini (cf. Mt 5, 3-12). Oggi, rivolge lo stesso messaggio a voi, giovani famiglie qui riunite. Sono lieto di incontrarvi nel corso di questa mia visita. La vostra presenza numerosa denota la vitalità delle famiglie francesi.
Certo, la famiglia, in Francia come altrove, incontra molteplici difficoltà che spesso la rendono fragile. La vostra regione è particolarmente provata dalla situazione economica che causa disoccupazione e costringe i giovani ad abbandonarla. Voi dovete affrontare problemi complessi riguardanti la sanità, l’alloggio e il lavoro delle donne. Comprendo la vostra preoccupazione per il futuro dei vostri figli. Come molti genitori, siete messi a confronto con il problema dell’educazione umana e morale dei giovani, mentre attorno a voi il senso spirituale s’indebolisce e vengono rimessi in discussione molti valori fondamentali come l’indissolubilità del matrimonio e il rispetto della vita.

2. Care famiglie, vi ripeto le parole di Cristo: siete “il sale della terra” e “la luce del mondo”. Il Verbo incarnato è il Maestro della parola di cui lui stesso dà l’interpretazione. Noi, grandi e piccoli, possiamo comprendere i due paragoni fatti da Gesù: “Voi siete il sale della terra”: tutti sappiamo che i cibi senza sale non hanno sapore. Una pietanza condita bene ha sapore ed è gradevole da consumare. Se manca il sale, è insipida. Se il sale perde la propria natura e non può più servire ad arricchire le pietanze, “a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5, 13).

“Voi siete la luce del mondo”. Che cos’è dunque la luce? Lo scopriamo anche in base all’esperienza: la luce brilla e illumina. È grazie ad essa che le nostre città e le nostre strade non rimangono nell’oscurità. La luce si vede da lontano: essa dissipa le tenebre e permette di vedere il volto dell’altro. La sera, in famiglia, alla luce del focolare, è piacevole riunirsi. Con queste immagini del sale e della luce, Cristo si rivolge oggi a voi famiglie qui riunite. Siate il sale della terra! Siate la luce del mondo! Che cosa vuol dire? Il Signore ce lo spiega: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 16).

3. Lasciatemi ripetere queste parole del Signore: voi siete “il sale della terra” e “la luce del mondo”. La Chiesa ha fiducia in voi e conta su voi genitori, soprattutto nella prospettiva del terzo millennio, affinché i giovani possano conoscere Cristo e seguirlo con generosità. Con il vostro modo di vivere rendete testimonianza della bellezza della vocazione al matrimonio. L’esempio quotidiano di coppie unite alimenta nei giovani il desiderio di imitarle. I giovani ricevendo in famiglia la testimonianza dell’amore di Dio, saranno portati a scoprirne la profondità.

La preparazione del grande Giubileo passa attraverso ogni persona e ogni famiglia, perché il mondo accolga la luce di Cristo che, solo, offre il significato ultimo all’esistenza (cf. Giovanni Paolo II, Tertio Millennio adveniente, 28). Come indicano le numerose testimonianze rese oggi, siete portatori di un ricco dinamismo spirituale. I vostri figli hanno nel cuore il desiderio di fare della loro vita qualcosa di grande. Spesso nelle famiglie dalla fede profonda nascono anche le vocazioni sacerdotali o alla vita religiosa.

4. Siete “il sale della terra” e “la luce del mondo”. Con queste parole, il Signore vi invita ad essere testimoni e missionari in mezzo ai vostri fratelli. Che la vostra vita, che trae senso da Cristo, abbia sapore per quanti vi circondano! Sia radiosa poiché in fondo al vostro cuore è presente il Signore; Egli vi ama e vi chiama alla sua gioia! È proprio il fatto di sapersi amati che permette di andare avanti nel cammino con fiducia. La vita dei battezzati consiste innanzitutto nell’essere uniti a Cristo, sorgente della vita, nel ricevere da Lui la vita in abbondanza e nel diventare suoi testimoni. “Il sacerdozio battesimale dei fedeli, vissuto nel matrimonio-sacramento, costituisce per i coniugi e per la famiglia il fondamento di una vocazione e di una missione sacerdotale” (Giovanni Poalo II, Familiaris consortio, 59).

Molte delle testimonianze che abbiamo ascoltato sottolineano il ruolo essenziale dell’Eucaristia. Avete ragione, poiché essa è una fonte alla quale attingono i coniugi cristiani. Nel sacrificio della nuova Alleanza che Cristo suggella con l’umanità, essi scoprono un modello per il loro amore, che è un dono gratuito e un rendimento di grazie. Il rapporto coniugale non può fondarsi solo sui sentimenti d’amore: esso si basa prima di tutto sull’impegno definitivo chiaramente voluto, sull’alleanza e sul dono, che passano attraverso la fedeltà. Con la loro vita coniugale, i coniugi testimoniano il vero amore che integra tutte le dimensioni della persona, quella spirituale, intellettuale, volontaria, affettiva e fisica.

5. Il rapporto amoroso contribuisce alla crescita del coniuge. È un servizio all’altro che prende esempio da Cristo servitore che ha lavato i piedi degli Apostoli la sera del Giovedì santo. La vita coniugale non è mai esente da prove, che fanno attraversare momenti dolorosi in cui l’amore e la fiducia nell’altro e in se stessi sembrano vacillare. Gli sposi attingeranno la loro forza unendosi ai sentimenti di Cristo durante la notte del Venerdì santo. Molti ne hanno già fatto esperienza: la prova attraversata può contribuire a purificare l’amore. Ma ci sono anche momenti intensi di gioia che derivano dalla comunione nell’amore. Questi momenti fanno ricordare che, al di là di ogni sofferenza, vi sono la luce sfolgorante e la vittoria definitiva del mattino di Pasqua. Il sacramento del matrimonio ha infatti una struttura pasquale.

La vita coniugale e familiare è un cammino spirituale. In effetti, in coppia e in famiglia, qualsiasi incontro esige di accogliere l’altro con delicatezza. Voi conoscete il ruolo del dialogo all’interno della coppia e della famiglia. Nel nostro mondo, dove la preoccupazione del guadagno in tutte le attività lascia poco spazio agli incontri gratuiti, è importante che le coppie e le famiglie possano riservarsi momenti di scambio che consentano di rafforzare il loro amore.

6. La vita coniugale passa anche attraverso l’esperienza del perdono, poiché, cosa sarebbe un amore che non giunge fino al perdono? Questa, che è la più alta forma di unione, impegna tutto l’essere che, per volontà e per amore, accetta di non fermarsi all’offesa e di credere che un futuro è sempre possibile. 

Il perdono è una forma eminente di dono, che afferma la dignità dell’altro riconoscendolo per ciò che è, al di là di ciò che fa. Chi perdona permette anche a chi è perdonato di scoprire la grandezza infinita del perdono di Dio. Il perdono fa ritrovare la fiducia in se stessi e ripristina la comunione fra le persone, dato che non può esserci vita coniugale e familiare di qualità senza una conversione costante e senza la volontà di spogliarsi dei propri egoismi. 

Contemplando Cristo sulla Croce che perdona, il cristiano trova la forza del perdono. Nel 1986, durante la Messa delle famiglie a Paray-le-Monial, ho mostrato che l’amore per il cuore di Gesù deve essere la fonte di qualsiasi amore umano.

7. Nella vita coniugale, i rapporti carnali sono il segno e l’espressione della comunione fra le persone. Le manifestazioni di tenerezza e il linguaggio del corpo esprimono il patto coniugale e rappresentano il mistero dell’alleanza e quello dell’unione di Cristo e della Chiesa. I momenti di profonda comunione conferiscono a ogni membro del focolare domestico una reale forza per la sua missione in mezzo ai fratelli come anche per il suo lavoro quotidiano.

Siete invitati a mostrare al mondo la bellezza della paternità e della maternità e a favorire la cultura della vita, che consiste nell’accogliere i figli che vi vengono donati e nel farli crescere. Qualsiasi essere umano già concepito ha diritto ad esistere, poiché la vita donata non appartiene più a quelli che l’hanno generata. La vostra presenza in questo luogo con i vostri figli è un segno della felicità insita nel dare la vita in maniera generosa e nel vivere nell’amore.

8. Anche voi giovani siete il sale della terra e la luce del mondo. Per ognuno di voi la casa è un luogo privilegiato dove amate e siete amati. I vostri genitori vi hanno chiamato alla vita e desiderano guidarvi nella crescita. Sappiate ringraziarli e rendere grazie al Signore! Anche nei momenti difficili prendete coscienza del fatto che i vostri genitori vogliono aiutarvi ad essere felici, ma che l’accesso alla felicità comporta anche delle esigenze! Come i vostri genitori, siete responsabili della vita in famiglia e dell’esistenza di un clima sempre più sereno, che lasci a ciascuno lo spazio sufficiente per dare il meglio di sé e per sviluppare la propria personalità.

Come abbiamo ascoltato prima, nel momento in cui la vita spirituale si risveglia nei bambini e questi s’interrogano su Dio, grazie ad essi, i genitori ritrovano il cammino della Chiesa e della fede che avevano in parte smarrito. In questo modo, attraverso i piccoli, il Signore compie meraviglie e affida a ciascuno nella famiglia un ruolo di evangelizzazione. Alcune testimonianze precisano che in alcuni focolari domestici vi è un angolo per pregare, che i bambini hanno la gioia di adornare e dove vanno volentieri per incontrare Gesù nel silenzio. Sono lieto di questo spazio riservato a Cristo e alla Vergine Maria nelle vostre case.

9. La società deve riconoscere il grande valore del ruolo dei genitori che prepara il futuro di una nazione. Voi siete infatti i primi responsabili dell’educazione umana e cristiana dei vostri figli. La comunità familiare fondata sull’amore e sulla fedeltà offre ai figli la sicurezza e la stabilità che consentono loro di accedere all’età adulta. È in un clima di amore e di tenerezza, di dono e di perdono, che le personalità possono modellarsi e svilupparsi armoniosamente.

Nell’Ovest della Francia la scuola cattolica ha una ricca tradizione: alcune comunità religiose non hanno lesinato sforzi per renderla dinamica. Essa ha un progetto pedagogico specifico da sviluppare, per proporre ai giovani i valori cristiani, ma è innanzitutto una scoperta della persona di Cristo, poiché i valori che non sono legati alla sorgente viva che è il Signore rischiano di snaturarsi. Ciò non impedisce a molti giovani non cattolici di venire accolti e sostenuti con sollecitudine nei loro studi da questi istituti scolastici nel rispetto delle prospettive cristiane che li caratterizzano.

Desidero anche salutare i cappellanati dell’insegnamento pubblico per il lavoro compiuto, nell’offrire ai giovani l’educazione religiosa necessaria allo sviluppo della loro vita di fede. Essi devono confrontarsi con numerose attività parascolastiche nelle quali i ragazzi sono impegnati e che lasciano poco spazio alla catechesi. Ci sono anche movimenti che svolgono una missione molto importante, quali l’Azione Cattolica dell’Infanzia, il Movimento Eucaristico dei Giovani e lo Scoutismo.

10. Molte coppie partecipano attivamente alla vita della Chiesa, nei servizi diocesani, nei movimenti e nelle parrocchie. Rendo grazie per tutto il lavoro compiuto e incoraggio tutte le famiglie a proseguire la loro azione. In particolare, la vostra esperienza vi autorizza a proporre ai vostri contemporanei un approccio ai problemi coniugali e familiari. In questo spirito, i centri di preparazione al matrimonio offrono ambiti di riflessione e di formazione per i giovani che si preparano ad impegnarsi definitivamente mediante il sacramento del matrimonio. Essi propongono con chiarezza il messaggio cristiano sul vero amore e sull’esercizio della sessualità nella castità, che conferisce tutta la sua dignità alla vita coniugale. I movimenti familiari favoriscono la riflessione e la vita spirituale delle coppie. Desidero esprimere il mio apprezzamento anche per il lavoro realizzato dai gruppi che organizzano riunioni e ritiri per le coppie, per le famiglie e per i giovani.

11. Il mio pensiero è vicino alle coppie e alle famiglie che portano pesanti fardelli, in particolare ai genitori che devono accogliere un figlio disabile e alle famiglie che seguono con dedizione gli ammalati e le persone anziane del loro ambito familiare. Rendo grazie al Signore per la loro disponibilità e per la grandezza del loro amore. Essi sanno riconoscere nell’essere sofferente un figlio particolarmente amato da Dio. Comprendo anche la sofferenza di quanti vivono con dolore la mancanza di figli. Possano essi trovare persone attente all’interno della comunità cristiana e scoprire la gioia di donarsi al servizio dei fratelli! Non voglio dimenticare neanche quanti vivono nella solitudine perché non hanno potuto realizzare il loro progetto coniugale: devono trovare conforto e amicizia nella propria famiglia.

La Chiesa si preoccupa anche di quanti sono separati, divorziati e divorziati risposati: essi rimangono membri della comunità cristiana, “potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 84), accogliendo al contempo nella fede la verità di cui la Chiesa è portatrice nella sua disciplina sul matrimonio. 

Parlare della famiglia vuol dire anche ricordare i nonni. Con la saggezza che deriva loro da una lunga vita di coppia, essi sono per i figli un sostegno e per i nipoti punti di riferimento e di stabilità e spesso sono le prime persone a parlare loro di Cristo. Il dialogo e la prossimità fra le generazioni rimangono aspetti non trascurabili della vita familiare.

12. La famiglia è un luogo di sviluppo incomparabile. Possiate, grazie a Cristo e all’amore che vi unisce, vivere nella gioia! In questo luogo di pellegrinaggio, il popolo cristiano onora sant’Anna, madre della Vergine Maria, e viene filialmente a mettersi sotto la sua protezione. Affido le vostre famiglie alla sua intercessione e concedo di tutto cuore la mia Benedizione Apostolica a voi e a tutti i vostri cari.

Prima di congedarsi dalla grande folla radunata nel “Parc du Mémorial”, il Santo Padre ha aggiunto le seguenti parole che pubblichiamo in una nostra traduzione italiana:

Molte, molte grazie per questo grande incontro. Voglio ringraziarvi per la vostra presenza, per ciò che siete come famiglie, come movimenti, come Chiesa domestica, Chiesa-famiglia: per tutto ciò che portate nella vita della vostra nazione, della vostra patria, della Chiesa in Francia, della Chiesa in tutto il mondo. Molte, molte grazie. 

Attorno a Sainte-Anne-d’Auray, abbiamo vissuto una giornata di speranza. Questa mattina, lasciando Tours, non potevo immaginare che qui avrei trovato il sole. Abbiamo quindi molte ragioni per ringraziare tutti il Signore, ringraziare per il suo amore e per le responsabilità che voi incarnate, ringraziare anche il sole di Sainte-Anne-d’Auray. 

Ringraziando, benediciamo tutti i presenti, le vostre famiglie, i vostri rosari, le vostre case, la vostra patria, tutto quanto si crea e si sviluppa attraverso la vostra vita.

SANT'ANNA







Anna d'Aronnesposa di Gioacchino, madre di Maria Vergine 1.002 - 1.005 - 1.009.


SANTI AUGURI A 
TUTTE LE ANNE

VIDEO * Amare Me significa aderire alla Parola di Dio

VIDEO... 

DI ENORME IMPORTANZA 

PER I PROSSIMI EVENTI




..... L’orgoglio sarà la rovina dell’umanità; sicché, per amare Me, dovete agire senza condizioni e questo non è un compito facile. Amare Me significa aderire alla Parola di Diose devierete da questo, il vostro amore per Me appassirà finché, alla fine, vivrete secondo le vostre regole personali..
Il vostro Gesù

https://www.youtube.com/watch?v=9N9dm1qWO4M



lunedì 25 luglio 2016

Udienza con satana



Benedetto XVI, udienza con satana

E' uscito il nuovo libro del decano degli esorcisti italiani, padre Gabriele Amorth. Con racconti inediti e impressionanti.
2.2.2012


Arriva in libreria L’ultimo esorcista. La mia battaglia contro Satana, il libro che don Amorth ha scritto con il vaticanista Paolo Rodari (Edizioni Piemme, pp. 263). Ecco l’estratto di un capitolo dedicato a Papa Ratzinger.



È una mattina di maggio dell’anno 2009. Joseph Ratzinger è Papa già da quattro anni. Nel corso del suo pontifi cato ha parlato più volte di Satana. Capisco che per lui il demonio è uno spirito esistente, che lotta e agisce contro la Chiesa. E contro di lui. Altrimenti non si spiegherebbero frasi del genere: «Per quanti continuano a peccare senza mostrare nessuna forma di pentimento, la prospettiva è la dannazione eterna, l’inferno, perché l’attaccamento al peccato può condurci al fallimento della nostra esistenza. È il tragico destino che spetta a chi vive nel peccato senza invocare Dio. Solo il perdono divino ci dà la forza di resistere al male e non peccare più. Gesù è venuto per dirci che ci vuole tutti in paradiso e che l’inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore».

E ancora: «Oggi constatiamo con dolore nuovamente che a Satana è stato concesso di vagliare i discepoli visibilmente davanti a tutto il mondo. E sappiamo che Gesù prega per la fede di Pietro e dei suoi successori. Sappiamo che Pietro, attraverso le acque agitate della storia, va incontro al Signore ed è in pericolo di affondare, ma viene sempre di nuovo sorretto dalla mano del Signore e guidato sulle acque».
Fa caldo in piazza San Pietro. La primavera è oramai inoltrata. Il sole picchia sulla piazza dove una folla di fedeli aspetta il Papa. È mercoledì, il giorno dell’udienza generale. I fedeli sono arrivati da tutto il mondo. Dal fondo della piazza entra un gruppetto di quattro persone. Due donne e due giovani uomini. Le donne sono due mie assistenti. Mi aiutano durante gli esorcismi, pregano per me e per i posseduti e assistono per quanto è loro possibile i posseduti nel loro lungo e difficile percorso di liberazione. I due giovani uomini sono due posseduti. Nessuno lo sa. Lo sanno soltanto loro e le due donne che li “scortano”.

Quel mercoledì le donne decidono di portare i due all’udienza del Papa perché pensano che potrebbero trarne giovamento. Non è un mistero che molti gesti e parole del Papa facciano imbestialire Satana. Non è un mistero che anche la sola presenza del Papa inquieti e in qualche modo aiuti i posseduti nella loro battaglia contro colui che li possiede. I quattro si avvicinano verso le transenne in prossimità del “palco” da dove Benedetto XVI di lì a poco è chiamato a parlare. Le guardie svizzere li fermano. Non hanno i biglietti per proseguire oltre. Le due donne insistono. È importante per loro riuscire a portare i due posseduti il più possibile vicino al Papa. Le guardie svizzere non ammettono deroghe e intimano loro di allontanarsi. Così una delle due donne fa finta di sentirsi male. La sceneggiata ottiene un risultato.

I quattro vengono fatti accomodare oltre le transenne, nei posti riservati ai disabili.
«Avete visto, Giovanni e Marco?» chiedono le due donne ai due posseduti. «Ce l’abbiamo fatta. Tra poco arriverà il Papa e noi siamo qui vicini a lui.» I due non parlano. Sono stranamente silenziosi. È come se coloro che li possiedono (si tratta di due demoni diversi) stiano cominciando a capire chi di lì a poco arriverà in piazza.
Suonano le dieci. Dall’arco delle campane, il portone a fianco della basilica vaticana, esce una jeep bianca. Sopra tre uomini. Un guidatore, il Papa in piedi e, seduto al suo fianco, il suo segretario particolare monsignor Georg Gänswein.

Le due donne si girano verso Giovanni e Marco. Istintivamente li sorreggono con le braccia. I due, infatti, iniziano ad avere comportamenti strani. Giovanni trema e batte i denti. Le due donne capiscono che qualcuno sta cominciando ad agire nel corpo di Giovanni e di Marco. Qualcuno che col passare dei minuti si mostra sempre più agitato. «Giovanni, mantieni il controllo di te stesso» dice una delle due donne.
«Mantieni il controllo, Giovanni. Non farti sopraffare. Reagisci. Mantieni il controllo.» L’altra donna dice le stesse parole a Marco. Giovanni non sembra ascoltare le parole della donna. Salvo, d’improvviso, girarsi e dirle con voce lenta e che sembra venire da non si sa quale mondo: «Io non sono Giovanni».

La donna non dice più nulla. Sa che con il diavolo solo un esorcista può parlare. Se lei lo facesse sarebbe molto rischioso. Così rimane in silenzio e si limita a sostenere il corpo di Giovanni ora completamente in mano al demonio. La jeep gira per tutta la piazza. I due posseduti si piegano per terra. Battono la testa per terra. Le guardie svizzere li osservano ma non intervengono. Sono forse abituate a scene del genere? Forse sì. Forse altre volte hanno assistito alle reazioni dei posseduti innanzi al Papa.
La jeep compie un lungo percorso. Poi arriva in cima alla piazza, a pochi metri dal portone della basilica vaticana. Il Papa scende dall’auto e saluta le persone poste nelle prime file.

Giovanni e Marco, insieme, iniziano a ululare. Sdraiati per terra ululano. Ululano fortissimo. «Santità, santità, siamo qui!» urla al Papa una delle due donne cercando di attirare la sua attenzione. Benedetto XVI si gira ma non si avvicina. Vede le due donne e vede i due giovani uomini per terra che urlano, sbavano, tremano, danno in escandescenze. Vede lo sguardo d’odio dei due uomini. Uno sguardo diretto contro di lui. Il Papa non si scompone. Guarda da lontano. Alza un braccio e benedice i quattro. Per i due posseduti è una scossa furente. Una frustata assestata su tutto il corpo. Tanto che cadono tre metri indietro, sbattuti per terra. Adesso non urlano più. Ma piangono, piangono, piangono. Gemono per tutta l’udienza. Quando poi il Papa se ne va, rientrano in se stessi. Tornano se stessi. E non ricordano nulla.

Benedetto XVI è temutissimo da Satana. Le sue messe, le sue benedizioni, le sue parole sono come dei potenti esorcismi. Non credo che Benedetto XVI compia esorcismi. O almeno la cosa non mi risulta. Credo tuttavia che tutto il suo pontificato sia un grande esorcismo contro Satana. Efficace. Potente. Un grande esorcismo che molto dovrebbe insegnare ai vescovi e ai cardinali che non credono: costoro comunque dovranno rispondere della loro incredulità. Non credere e soprattutto non nominare esorcisti laddove ce ne è esplicito bisogno è, a mio avviso, un peccato grave, un peccato mortale.

Il modo con cui Benedetto XVI vive la liturgia. Il suo rispetto delle regole. Il suo rigore. La sua postura sono efficacissimi contro Satana. La liturgia celebrata dal Pontefice è potente. Satana è ferito ogni volta che il Papa celebra l’eucaristia.
Satana molto ha temuto l’elezione di Ratzinger al soglio di Pietro. Perché vedeva in lui la continuazione della grande battaglia che contro di lui ha fatto per ventisei anni e mezzo il suo predecessore, Giovanni Paolo II.
* (con Paolo Rodari)