venerdì 29 aprile 2016

LIBRO CARTACEO o DIGITALE?


1) I giovani sono inclini a credere che le informazioni più utili si trovino off line, nonostante usino internet lungo tutto l’arco della giornata. Lo dimostra uno studio dello scorso anno di PewResearch. Dalla ricerca è emerso che il 62% degli under30 è convinto di questa affermazione, mentre nella fascia d’età sopra i trent’anni la percentuale cala al 53. Inoltre i natinel nuovo millennio visitano le biblioteche con maggiore frequenza rispetto ai ragazzi più grandi.
2) Gli studenti comprano soprattutto libri di testo cartacei

Uno studio condotto da Student Monitor dimostra che nel 2014 solamente il 13 % degli studenti si è avvalso di libri scolastici e universitari digitali, mentre l’87 % ha preferito comperare libri cartacei.

3) Gli studenti di materie umanistiche preferiscono studiare su copie cartacee, anche quando le versioni digitali sono gratuite. Uno studio condotto nel 2013 dallaUniversity of Washington dimostra che il 25 % degli studenti di materie umanistiche rinuncia alla versione digitale gratuita per poter studiare su quella cartacea. Al contrario gli studenti di materie scientifiche usano in prevalenza testi digitali.
4) I ragazzi tra i 13 e i 17 anni preferiscono leggere su libri cartacei

La Nielsen, una società americana che si occupa di monitorare le abitudini dei consumatori, ha verificato che, nonostante i teenager di oggi siano i più aperti nei confronti delle nuove tecnologie, per quanto riguarda i libri digitali accade il contrario. Gli ebook vengono acquistati dal 20% dei ragazzi tra i 13 e i 17 annidal 23% delle persone tra i 18 e i 29, dal 25% dei soggettitra i 30 e i 44.

5) I lettori assimilano meno sull’ereader rispetto al cartaceo

Nell’ambito di uno studio del 2012, presentato in Italia da Anne Mangen della Norway’s Stavanger University, e pubblicato sul Guardian, ai partecipanti è stato sottoposto un racconto di 28 pagine di Elizabeth George da leggere. Metà del campione ha avuto a disposizione unsupporto cartaceo, metà un Kindle. Terminata la lettura, a tutti sono state fatte delle domande sulla trama: il primo gruppo di lettori ha dimostrato una maggiore comprensione rispetto al secondo. È curioso anche come i lettori “digitali” siano stati meno coinvolti emotivamente dalla storia rispetto agli altri.

6) Sia i genitori che i figli preferiscono leggere insieme libri cartacei piuttosto che ebook

Secondo una ricerca di Digital Book World soltanto il 10 % dei genitori e dei bambini preferiscono leggere insieme su supporto digitale, piuttosto che essere catturati dalle immagini e dai giochi interattivi come ci si potrebbe aspettare. I genitori considerano i contenuti multimediali una distrazione, più che uno strumento valido.

7) Leggere su un tablet o su un e-reader a letto può renderfaticoso prendere sonno

Qualche mese fa il Guardian ha pubblicato uno studio dell’Università di Harvard che collega la difficoltà di addormentarsi con la lettura su supporti digitali. In media si impiegano dieci minuti in più a prendere sonno dopo aver letto un ebook rispetto a un libro tradizionale.

8) È facile distrarsi quando si legge da uno schermo

La professoressa di linguistica Naomi S. Baron, nel suo libro Words Onscreen: The Fate of Reading in a Digital World si sofferma, tra le altre cose, anche sulla maggiore difficoltà che si incontra a rimanere concentrati quando si legge da un supporto digitale. “Alcune ricerche che ho portato avanti con gli studenti universitari di diversi paesi confermano ciò che, scommetto, noterete anche voi se vi soffermate a pensarci – scrive la docente. – Che fosse per studiare o per piacere, la maggioranza degli studenti ha trovato più facile concentrarsi leggendo su carta. Inoltre il campione ha notato che il multitasking aumenta, quando si legge usando un dispositivo digitale, quindi distrarsi è più semplice”.


San PIETRO da Verona

CREDO




Pietro, nato a Verona da genitori infetti degli errori dei Manichei, fin quasi dall'infanzia combatté le eresie, né le carezze né le minacce del padre e dello zio poterono mai scuotere la sua costanza nella fede. 


Adolescente andò a Bologna per continuarvi gli studi; dove entrò nell'ordine dei Predicatori. Nella religione le sue virtù rifulsero di grande splendore; conservò il corpo e l'anima in una tale purezza, che non si sentì mai inquinato da alcuna macchia di peccato mortale ed eccelse in mirabile zelo di penitenza e contemplazione. 

Si occupava assiduamente nel procurare la salvezza delle anime; l'ardore della fede lo infiammava talmente, che bramava di subire la morte per essa, e domandava costantemente a Dio questa grazia, che anche ottenne. Perché esercitando egli la carica d'Inquisitore, mentre da Como ritornava a Milano, un empio sicario lo ferì alla testa con due colpi di spada; e benché mezzo morto, prima di rendere lo spirito recitò il simbolo della fede che fin da bambino aveva già confessato con virile coraggio; se ne andò a ricevere la palma del martirio nell'anno della salute 1252. 

Illustrato da molti miracoli, Innocenzo IV l'iscrisse l'anno seguente nel novero dei santi Martiri.

PATRONA DELLA NOSTRA FEDE
VIRGEN DEL AMPARO DE NUESTRA FE


Caviezel e la Passione di Cristo




«Fare Gesù nella “Passione” di Gibson mi ha distrutto la carriera»
Nel 2004 l'attore recitò nel film che si attirò le accuse di anti-semitismo: Hollywood mi ha sbattuto le porte in faccia, ma come cattolico non mi pento. Anzi

MAURO PIANTA



Pentito? Macché. Jim Caviezel, il 42enne attore americano che nel 2004 ha interpretato il film “La passione di Cristo” diretto da Mel Gibson, rifarebbe tutto. Parola sua. Anche perché la pellicola, all’epoca, incassò qualcosa come 400 milioni di dollari. Solo che, stando a quanto dichiara al Daily Mail lo stesso attore, per quell’interpretazione ha dovuto pagare un prezzo decisamente alto. «Recitare quella parte con Mel ha distrutto la mia carriera, ma non mi pento affatto di avere accettato. Anzi, quell'occasione ha rafforzato la mia fede».


Il tabloid inglese riporta le dichiarazioni dell’attore mentre si rivolge a un pubblico di fedeli radunati in una chiesa di Orlando, in Florida. «Gibson mi aveva avvertito che sarebbe stata dura. Già durante le riprese sono stato colpito da un fulmine e mi sono slogato una spalla in una scena della crocifissione. Eppure il peggio doveva ancora venire».


Sì, perché Caviezel - che prima del 2004 era vezzeggiato dallo star system di Hollywood come una delle maggiori promesse -, dopo la “Passione” si ritrova con tutte le porte sbattute in faccia. «Sempre più persone a Hollywood mi hanno chiuso le porte, lasciandomi fuori. Così, piano piano, mi sono trovato ai margini del cinema. Ero consapevole del fatto che questo sarebbe potuto accadere e non mi pento della scelta che ho fatto. Come cattolico e come attore».


Tutta colpa, assicura Caviezel, delle polemiche sull’antisemitismo di Gibson. «Molti mass media mi hanno attaccato per avere partecipato al film e la potente Jewish Anti-Defamation League mi ha bollato come anti-semita per avere accettato la parte. Gibson mi aveva avvertito anche di questo…».
Ecco, appunto, Gibson. Cosa pensa l’attore del controverso regista? «E’ un peccatore ma proprio per questo ha bisogno delle nostre preghiere più che dei nostri giudizi».
 

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Mel Gibson, nel 2004, scrisse e diresse il film religioso di maggior incasso del cinema, raccontando le ultime drammatiche ore della vita di Gesù Cristo. La pellicola – girata interamente in Italia - ottenne un successo di pubblico clamoroso, spaccando la critica. L’avrete visto decine di volte, ma siete sicuri di sapere proprio tutto?
CURIOSITÀMEL GIBSONTRAILER FILM 27 MARZO 2016  12:49 di Ciro Brandi



12 anni fa usciva “La passione di Cristo”, diretto e scritto da Mel Gibson. La pellicola, girata interamente tra Matera e Cinecittà si concentra sulle ultime ore di vita di Gesù Cristo, partendo dall'arresto nell'Orto degli Ulivi, passando poi al processo sommario presso il Sinedrio e Ponzio Pilato, alla flagellazione, fino alla morte in croce e risurrezione. Il film ottenne un grandissimo successo, anche se i critici si spaccarono nettamente in due, tra estimatori e ferventi oppositori. Tuttavia, il film di Gibson, seppur molto controverso e crudo, ha portato in sala milioni di persone. Ma siete sicuri di sapere proprio tutto?

1. Gli incidenti accaduti a Jim Caviezel

Jim Caviezel, il protagonista principale, in una delle tante interviste, ha raccontato le tante difficoltà e gli incidenti accaduti sul set. Ad esempio, nella scena delle frustate, l’attore si è procurato una cicatrice “reale” sulla schiena e, durante quella della crocifissione, stava andando quasi in ipotermia a causa delle basse temperature. Non è tutto, perché la pesantissima croce gli è caduta addosso, procurandogli la lussazione di una spalla e fu colpito anche da un fulmine.


2. I record
“La passione di Cristo” è il film in lingua straniera e/o sottotitolato ad aver incassato di più nella storia del box office americano e il film religioso con il maggiore incasso nella storia del cinema.

3. Il trucco per la flagellazione
Per preparare Caviezel alle scene della flagellazione, i truccatori impiegavano ben 10 ore. A volte, è accaduto che, per problemi relativi soprattutto alle condizioni climatiche, non si potesse girare e per non sprecare il lavoro fatto, l'attore andava a dormire truccato.


4. I divieti
In Kuwait e Bahrain il film fu vietato, dato che per l’Islam Gesù è solo un profeta e non il figlio di Dio, mentre in Malesia, il governo permise ai soli cristiani di assistere alle proiezioni, lasciando che i biglietti fossero venduti nelle chiese cristiane.

5. La dieta di Rosalinda Celentano per il ruolo di Satana
Rosalinda Celentano, che interpreta il ruolo di Satana, ha seguito una dieta fatta solo di fagioli e riso, così da avere un aspetto emaciato e un corpo talmente esile da sembrare quasi un fantasma.


6. La conversione dei membri della troupe
Dopo la conclusione delle riprese, molti componenti del cast e della troupe si convertirono al Cattolicesimo. Tra questi, c’è anche Luca Lionello, nel film Giuda Iscariota, che prima del film era ateo.

7. I camei di Mel Gibson
Forse non tutti lo sanno, ma Mel Gibson appare nel film in scene particolari e mai a figura intera. Per esempio, le dita che si vedono mentre Gesù viene crocifisso sono le sue, così come i piedi che Maria Maddalena (Monica Bellucci) pulisce nel film e le mani con cui Giuda (Luca Lionello) lega la corda su cui s'impiccherà. Anche le urla e i pianti che si sentono alla fine della pellicola sono opera del regista.


8. Gli attori italiani
Nel film ci sono tantissimi attori italiani, tra cui Monica Bellucci (Maria Maddalena), Sergio Rubini (Disma), Fancesco Cabras (Gesta), Francesco De Vito (Pietro), Mattia Sbragia (Caifa), Claudia Gerini (Claudia Procula, moglie di Pilato), Sabrina Impacciatore (Veronica) e Davide Marotta (l’Anticristo).


9. I premi e le nomination
Il film ha vinto 2 Nastri d’Argento (Miglior scenografia e Migliori costumi) ed è stato candidato a 3 Oscar (Migliore fotografia, Miglior trucco e Miglior colonna sonora).

10. Gli incassi e il budget
Il film ha incassato a livello mondiale 611.899.420 dollari a fronte di un budget di 30 milioni di dollari.
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“DEO GRATIAS!”

SAN GIUSEPPE BENEDETTO COTTOLENGO



di Giuseppe Tuninetti

GIUSEPPE BENEDETTO Cottolengo - Nacque a Bra (nei pressi di Cuneo) il 3 maggio 1786, primogenito di dodici figli, da Giuseppe e da Benedetta Chiarotti. 
Il cognome paterno originario era il provenzale Couttolenc. Infatti il nonno Giuseppe era giunto nel 1739 a Bra - vivace centro agricolo, commerciale e artigianale - da Saint-Pons di Barcelonette, in Alta Provenza, terra di intraprendenti emigranti, dediti al commercio di tessuti. 
Il contesto commerciale di famiglia (il padre fu particolarmente abile negli affari) non fu ininfluente sul futuro fondatore della Piccola Casa, il quale sarà tutt'altro che sprovveduto nei problemi economici e nella conduzione della sua opera.

Avviatosi al sacerdozio, compì gli studi filosofico-teologici in parte privatamente, in parte nel seminario d'Asti, alla cui diocesi apparteneva Bra dal 1805. Ordinato prete a Torino l'8 giugno 1811, esercitò il ministero nel paese d'origine, con la parentesi d'un anno di vicecura a Corneliano d'Alba. Nel 1815 si recò a Torino, nel R. Collegio delle provincie, per frequentare la facoltà teologica dell'Università, dove conseguì il dottorato il 14 marzo 1816. Respinta l'offerta del rettorato spirituale nell'ospedale di S. Giovanni, fallito il concorso parrocchiale del 1817 (quando Bra tornò alla diocesi di Torino, in seguito alla ristrutturazione postnapoleonica delle diocesi), nel 1818 accettò la cooptazione nella Congregazione dei preti teologi del Corpus Domini, costituita da sei canonici, laureati in teologia.
La capitale del Regno sardo in cui giungeva G. era la Torino della Restaurazione, guidata da Vittorio Emanuele I, coadiuvato dall'aristocrazia, tornata sotto le ali protettrici dei Savoia; la Chiesa torinese, sotto la direzione dell'arcivescovo camaldolese C. Chiaveroti, stava riassestandosi e riprendendo slancio dopo lo sconquasso prodotto dalle occupazioni francese, austro-russa e napoleonica. Città burocratica e militare, Torino, con 90.000 abitanti circa, era sotto la pressione di un'intensa immigrazione dalla campagna - con eccedenza di manodopera - ed era afflitta da gravi problemi sociali e sacche di povertà antiche e nuove: pauperismo e mendicità, analfabetismo ed epidemie ricorrenti, numerose nascite illegittime e alta mortalità infantile. Fu in questo mondo - l'"altro volto di Torino" - che dopo una decina d'anni fu proiettato e coinvolto il canonico Cottolengo.
Si deve a un caso drammatico, certo non isolato, la svolta definitiva nella sua vita di prete: la morte, il 2 sett. 1827, di Jeanne-Marie Gonnet, una giovane mamma lionese (che con il marito e i figlioletti da Milano si recava a Lione passando per Torino), respinta dall'ospedale S. Giovanni perché incinta e dalla maternità perché tubercolotica. La morte della Gonnet, alla quale egli aveva amministrato i sacramenti, scosse profondamente il canonico, da qualche tempo inquieto e alla ricerca di una scelta di vita più impegnativa. Quel dramma gettò uno sprazzo di luce sul suo avvenire, confermato, secondo una sua dichiarazione, da un'ispirazione avuta poco dopo all'altare della Madonna delle Grazie nella chiesa del Corpus Domini.
Nacque così il progetto di un'infermeria per malati poveri respinti dagli ospedali, realizzato con il sostegno dei confratelli canonici il 17 genn. 1828, in via Palazzo di Città (come ricorda una lapide), con il semplice nome di Deposito de' poveri infermi. Essa, tuttavia, da luogo di transito in attesa del passaggio agli ospedali divenne di fatto un ospedaletto, chiamato popolarmente "della Volta Rossa". L'esigenza di collaboratori stabili e qualificati spinse G. a fondare nell'agosto 1830 una congregazione di suore, denominate figlie della carità sotto la protezione di s. Vincenzo de' Paoli, la cui prima responsabile fu Marianna Nasi. Il grande apostolo francese della carità verso i poveri era, infatti, il modello cui G. s'ispirava.
Tutto sembrò finire quando, scoppiato il colera nell'estate del 1831, gli inquilini circostanti, temendo che il Deposito fosse veicolo di contagio, il 19 settembre ne ottennero la chiusura dal governo. In realtà quanto sembrava la fine si rivelò l'occasione provvidenziale per un salto di qualità, che non sarebbe stato possibile negli angusti locali di via Palazzo di Città. Infatti G. non volle demordere e il 27 apr. 1832 aprì ufficialmente in borgo Dora, periferia nord della città, la Piccola Casa della Divina Provvidenza sotto gli auspici di s. Vincenzo de' Paoli, alla quale dedicò il suo ultimo decennio di vita. Vi furono accolti gratuitamente ammalati "senza eccezione di sorta, di ogni età, d'ogni sesso, d'ogni nazione, purché poveri, destituiti d'ogni protezione, ed affetti da malattia non ricoverabile in verun altro ospedale, sì cronica che acuta, contagiosa o no, purché non curata in altri pii istituti", scriveva il dottor L. Granetti, responsabile sanitario (Piano, 1996, p. 253).
Pertanto non stupisce che la Piccola Casa diventasse subito grande per l'alto e crescente numero di richieste: già nell'agosto 1833 ospitava più di 120 malati e forniva assistenza e istruzione a circa 200 bambini. Per usufruire dei lasciti dei benefattori, G. chiese e ottenne il 27 ag. 1833 dal re Carlo Alberto il riconoscimento giuridico, tramite il ministro dell'Interno, che aveva presentato in termini lusinghieri l'opera cottolenghina. A conferma del suo apprezzamento, il 30 agosto il sovrano insignì G. della croce dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Forse l'onorificenza intendeva riconoscere l'originalità costituita dalla Piccola Casa. A Torino non mancavano ospedali e opere di assistenza, che lo stesso re cercava di promuovere in ogni maniera per affrontare le gravi piaghe del pauperismo e delle malattie. Ciò che mancava era la qualità dell'assistenza medica e infermieristica: le strutture ospedaliere erano disumane, più carceri che luoghi di cura. In tale penoso contesto spiccavano in particolare due aspetti innovativi della Piccola Casa: l'umanizzazione del servizio assistenziale e ospedaliero; il superamento del concetto di malato incurabile e irrecuperabile, a cominciare da quello mentale, al quale G. riservò un'attenzione privilegiata (i cosiddetti "buoni figli"), mentre soltanto nel 1848 sorse ad Aosta il primo istituto del Regno per handicappati mentali.
A G. premeva che nella Piccola Casa, quantunque in notevole e costante espansione anche edilizia, regnasse uno spirito di famiglia. Per questo chiamò "famiglie" i vari reparti: quelli degli epilettici, sordomuti, bambini orfani, invalidi (mutilati, paralitici e rachitici, provvisto di laboratori artigianali), cerebrolesi ("buoni figli" e "buone figlie"), non vedenti ecc. La motivazione religioso-caritativa ("servire Cristo nei fratelli") che sosteneva G., le suore, il personale medico e infermieristico e i volontari (il motto erano le parole paoline "Caritas Christi urget nos") nelle intenzioni di G. non doveva sminuire, ma potenziare l'attenzione amorevole alle singole persone. Rispetto al basso livello dell'assistenza nelle strutture pubbliche (soltanto nel 1925 si avrà in Italia il primo intervento legislativo per le scuole infermieristiche), il servizio medico-infermieristico nella Piccola Casa era soddisfacente: l'assistenza medica era prestata dal Granetti, che cercava di fornire alle suore un minimo di preparazione infermieristica. Spettava a G. educare il personale, a cominciare dalle suore, a un buon rapporto umano con i malati, cui offriva ambienti accoglienti, alimentazione buona, cure adeguate (persino, se necessario, quelle termali ad Acqui). Attento al recupero degli handicappati, con l'aiuto di Paolo Basso, sordomuto proveniente dall'istituto dell'abate Ottavio Assarotti di Genova, fondò l'istituto e la scuola dei sordomuti, per l'apprendimento del nuovo metodo.
Nel 1839 le persone ospitate erano circa 900, alla morte del fondatore 1300. Mancando entrate certe, ci si domandava con stupore, a cominciare dall'arcivescovo L. Fransoni e da Carlo Alberto, come si potesse provvedere a tutti. In proposito, G. era solito rispondere che tutto era dono della divina provvidenza, manifestatosi, a suo parere, attraverso numerosi benefattori di ogni ceto sociale: offerte giornaliere e saltuarie, lasciti anche cospicui e il costante e generoso aiuto finanziario di Carlo Alberto, che dal 1835 al 1840 erogò la notevole somma di 211.000 lire. Quanto la fede nella divina provvidenza impregnasse l'atmosfera della Piccola Casa è indicato anche dal saluto che vi circolò dal tempo del fondatore e che ancora oggi risuona nelle case cottolenghine: "Deo gratias".
Alcuni episodi confermano la fama e la stima che già accompagnavano la Piccola Casa anche oltre confine. Nel 1835 la società Monthyon et Franklin, fondata a Parigi per far conoscere i benefattori dell'umanità, conferì a G. una medaglia d'oro. Nel luglio 1840 la Bibliothèque universelle de Genève, in un articolo sulle istituzioni assistenziali torinesi, scriveva a proposito dell'opera cottolenghina "che senza dubbio uno stabilimento simile non può giustificarsi in economia politica […], ma bisogna confessare nondimeno che c'è qualche cosa di molto toccante e ben profondamente religioso in questa fede senza limiti" (Piano, 1996, p. 368), e ravvisava nella presenza delle suore una delle ragioni del successo. Non a caso, dopo la circolare governativa del 1833 che invitava le amministrazioni degli istituti d'assistenza a ricorrere a personale religioso, le suore del Cottolengo cominciarono a essere chiamate in numerosi comuni piemontesi.
Al fine di potenziare il servizio infermieristico e spirituale, alle suore che erano il principale sostegno della Piccola Casa G. nel 1833 affiancò la Congregazione religiosa dei fratelli di S. Vincenzo e, nel 1839, la Congregazione dei preti della Ss. Trinità.
Uomo attivissimo e impegnato nel darsi senza risparmio agli altri (e un simile impegno richiedeva anche ai collaboratori), G. era però anche un contemplativo, ossia uomo di intensa preghiera, convinto che il servizio ai poveri e agli ammalati e l'espansione della Piccola Casa dovevano essere accompagnati e garantiti da un parallelo approfondimento delle sue radici in Dio. Questo spiega perché fondasse monasteri di vita contemplativa nella Piccola Casa e volesse che non s'interrompesse mai la preghiera d'adorazione del Ss. Sacramento, chiamata laus perennis.
Morì, colpito da tifo, il 30 apr. 1842 a Chieri, presso un fratello canonico, Luigi. La salma fu tumulata nella chiesa della Piccola Casa in Torino. La fama di santità crebbe subito, venendo confermata da Gregorio XVI già nel 1842 e da Pio IX nel 1854. Tuttavia la causa di canonizzazione fu introdotta a Torino soltanto il 16 genn. 1863; nel 1882, a suo sostegno, fu pubblicata la prima biografia, curata dall'oblato P.P. Gastaldi. 
Le tappe successive furono: la dichiarazione dell'eroicità delle virtù (10 febbr. 1901); la beatificazione, celebrata da Benedetto XV il 29 apr. 1917; infine la canonizzazione proclamata da Pio XI (19 marzo 1934). Nel 2000 case cottolenghine sono presenti in Italia, India, Kenya, Ecuador, Svizzera e Stati Uniti d'America.

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Fonti e Bibl.: Torino, Arch. della Piccola Casa della Divina Provvidenza: 27 voll. di manoscritti di G., raccolti in occasione del processo di canonizzazione, contenenti regole, epistolario, prediche e scritti vari; Ibid., Arch. Arcivescovile: 61 voll. e fascicoli manoscritti relativi al processo di canonizzazione; D. Carena, Documenti originali: il Cottolengo alle terme di Acqui (promanuscripto), Torino 1971; Id., Documenti originali: il Cottolengo e la civica amministrazione torinese (promanuscripto), Torino 1971; Id., Documenti originali: il Cottolengo e i fratelli della Piccola Casa (promanuscripto), Torino 1972; Id., Il Cottolengo costruttore (documenti originali relativi al primo sviluppo edilizio e amministrativo della Piccola Casa),(promanuscripto), Torino 1976; Carteggio di s. G. C., ed. critica a cura di L. Piano, I-II, Torino 1989-90; Raccolta delle regole delle famiglie religiose della Piccola Casa della Divina Provvidenza, anteriori all'approvazione pontificia, ed. critica a cura di L. Piano, Torino 2000; Positio super introductionecausae…, Romae 1877; Positio super virtutibus…, ibid. 1896; Nova positio super virtutibus…, ibid. 1899; P.P. Gastaldi, Vita del venerabile servo di Dio G.B. C., I-III, Torino 1882 (prima biografia, occasionata dal processo di beatificazione e apparsa più volte fino alla sesta edizione in vol. unico, dal titolo I prodigi della carità cristiana, Pinerolo 1959); G. Antonelli Costaggini, Vita del beato G.B. C., Roma-Torino 1917; S. Ballario, Il Cottolengo: l'uomo e l'opera sua, Torino 1917; Id., L'apostolo della carità cristiana: s. G.B. C., Pinerolo 1944; A. Gallassi, La Piccola Casa della Divina Provvidenza. L'opera di s. G.B. C., Pinerolo 1950; V. Di Meo, La spiritualità di s. G.B. C., Pinerolo 1959; G. Donna d'Oldenico, Il primato sociale del Cottolengo nell'assistenza ospitaliera e ospedaliera del Risorgimento, Ciriè 1961; Id., Lorenzo Granetti, primo primario chirurgo e direttore sanitario dell'ospedale Cottolengo, Ciriè 1963; Fratel Nicodemo [M. Carena], Il pensiero formativo e pedagogico di s. G. C., Torino 1964; Id., Esclusione o promozione degli handicappati, Bologna 1971; G. Barra, Quando l'amore si fa pane, Torino 1974; M. Resio, L'educazione negli scritti e nell'opera del Cottolengo, tesi di laurea, Università di Torino, facoltà di lettere e filosofia, 1976; L. Piano, S. G.B. C. Cenni biografici, Torino 1977; Id., Le suore di s. G.B. C. dagli inizi (1830) al 1891, Torino 1978; D. Carena, Il Cottolengo e gli altri, Torino 1983; Conferenze e omelie tenute in occasione del cinquantesimo anniversario di canonizzazione di s. G.B. C., Torino 1984; G. Bergoglio, L'opera assistenziale e sociale di s. G.B. C., Bra 1986; U. Levra, L'altro volto di Torino risorgimentale (1814-1848), Torino 1988, ad indicem; M. Molinari,Il canto e la musica nella Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, tesi di laurea, Pontificio Istituto ambrosiano di musica sacra, 1989; Spinti dalla carità di Cristo sulle orme di s. G.B. C. a 150 anni dalla morte, Atti del convegno, … 1992, Torino 1993; L. Piano, S. G.B. C. fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza sotto gli auspici di s. Vincenzo de' Paoli (1786-1842), Torino 1996; M.T. Colombo, I Couttolenc. Note per un profilo storico della famiglia di s. G.B. C., Bra 1997; R. Audisio, Il controllo sulla società torinese: polizia, beneficenza, sanità, carcere, in Storia di Torino, VI, La città del Risorgimento (1798-1864), a cura di U. Levra, Torino 2000, pp. 253-274; G. Gozzini, Sviluppo demografico e classi sociali tra la Restaurazione e l'Unitàibid., pp. 279-340; Enc. Italiana, XI, pp. 747 s.; Bibliotheca sanctorum, VI, coll. 1310-1317, s.v.Diz. degli istituti di perfezione, IV, coll. 1340-1343, s.v.Dictionnaire de spiritualité, ascétique et mystique, VIII, Paris 1974, coll. 1412-1414, s.v.Joseph Benoît Cottolengo.
“DEO GRATIAS!”