La carità fraterna deve conformarsi all'esempio di Cristo
"Non c'è niente che ci spinga ad amare i nemici, cosa in cui consiste la perfezione dell'amore fraterno, quanto la dolce considerazione di quella ammirabile pazienza per cui egli, « il più bello tra i figli dell'uomo » (Sal 44, 3) offrì il suo bel viso agli sputi dei malvagi. Lasciò velare dai malfattori quegli occhi, al cui cenno ogni cosa ubbidisce. Espose i suoi fianchi ai flagelli. Sottopose il capo, che fa tremare i Principati e le Potestà, alle punte acuminate delle spine. Abbandonò se stesso all'obbrobrio e agli insulti. Infine sopportò pazientemente la croce, i chiodi, la lancia, il fiele e l'aceto, lui in tutto dolce, mite e clemente.
Alla fine fu condotto via come una pecora al macello, e come un agnello se ne stette silenzioso davanti al tosatore e non aprì bocca (cfr. Is 53, 7).
Chi al sentire quella voce meravigliosa piena di dolcezza, piena di carità, piena di inalterabile pacatezza: « Padre, perdonali » non abbraccerebbe subito i suoi nemici con tutto l'affetto? « Padre », dice, « perdonali » (Lc 23, 34). Che cosa si poteva aggiungere di dolcezza, di carità ad una siffatta preghiera? Tuttavia egli aggiunse qualcosa. Gli sembrò poco pregare, volle anche scusare. « Padre, disse, perdonali, perché non sanno quello che fanno ». E invero sono grandi peccatori, ma poveri conoscitori. Perciò: « Padre, perdonali ». Lo crocifiggono, ma non sanno chi crocifiggono, perché se l'avessero conosciuto, giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria (cfr. 1 Cor 2, 8); perciò « Padre, perdonali ». Lo ritengono un trasgressore della legge, un presuntuoso che si fa Dio, lo stimano un seduttore del popolo.
Ma io ho nascosto da loro il mio volto, non riconobbero la mia maestà ». Perciò: « Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno » (Lc 23, 34).
Se l'uomo vuole amare se stesso di amore autentico non si lasci corrompere da nessun piacere della carne. Per non soccombere alla concupiscenza della carne, rivolga ogni suo affetto alla dolcezza del pane eucaristico. Inoltre per riposare più perfettamente e soavemente nella gioia della carità fraterna, abbracci di vero amore anche i nemici.
Perché questo fuoco divino non intiepidisca di fronte alle ingiustizie, guardi sempre con gli occhi della mente la pazienza e la pacatezza del suo amato Signore e Salvatore."
Dallo « Specchio della carità » di sant'Aelredo, abate (Lib. 3, 5; PL 195, 582)
Orazione
Concedi, Signore, alla tua Chiesa di prepararsi interiormente alla celebrazione della Pasqua, perché il comune impegno nella mortificazione corporale porti a tutti noi un vero rinnovamento dello spirito. Per il nostro Signore.
A cura dell'Istituto di Spiritualità:
Pontificia Università S. Tommaso d'Aquino
AVE MARIA!
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"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
sabato 20 febbraio 2016
COME I SANTI PARLANO DELL'ESSENZIALE
L’OMOSESSUALITÀ NON È SEDE DI DIRITTO
20 febbraio 2016
“Instrumentum laboris” e attenzione verso le persone con tendenza omosessuale: lacune e silenzi
Il rinvio di una settimana della discussione in aula della famigerata legge Cirinnà è una provvidenziale grazia concessa per mano della Beata Vergine Maria per permetterci di unirci tutti in spirituale combattimento e offrire ogni preghiera, Rosari e fioretti, per riuscire, per Sua intercessione, a riportare la vittoria su questa legge contro natura e metterla per sempre fuori dell'ordinamento giuridico del Paese. Ma poiché siamo in prima linea - dopo il testo di Paolo Pasqualucci [qui] - pubblichiamo un altro contributo autorevole, per favorire questo fine di salvezza delle famiglie, dei bambini, del futuro dell'umanità. Le ragioni che il mondo non vuole sentire, ma che uomini di buona volontà non faticano ad accogliere.
L’OMOSESSUALITÀ NON È SEDE DI DIRITTO
di Enrico Maria Radaelli
1) Sulle pagine della Instrumentum laboris che riguardano coloro che anche in tale documento vengono eufemisticamente chiamati “persone a tendenza omosessuale” vorrei manifestare una riserva di carattere generale: dai tempi infatti del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica (1993), sostitutivo di quello di san Pio V, o Tridentino (1566), la Chiesa ha scelto di accettare e di includere, come se la cosa fosse possibile, una realtà supposta ontologica di “persone con tendenza omosessuale”.
Prima di questo Catechismo, di tali persone il magistero della Chiesa ha parlato di sfuggita, p. es., nelle 45 Proposizioni condannate nei decreti del S. Uffizio del 24-09-1665 [contro i lassisti], nella Proposizione 28: « La pederastia, la sodomia e le congiunzioni con animali, sono peccati della stessa specie più infima: perciò nella confessione è sufficiente dire che ci si è procurati una polluzione » (Denz 2044), e naturalmente nel Catechismo Tridentino (p. 469 edizione Cantagalli): «Disonesti e adulteri, effeminati e pederasti non erediteranno il Regno di Dio » (I Cor 6,9). Ora, invece, nel testo del sopra detto Nuovo Catechismo, che vorrebbe supplire alle carenze del primo, si dà per scontata e per reale una tendenza la cui consistenza è invece tutta da vedere, e di cui potrebbe essere messa in dubbio l’esistenza ontologica almeno con tre considerazioni (i sotto indicati punti A, B e C), accettando unicamente il fatto ahimè storicamente riscontrabile di uomini che peccano contro la castità e dunque di uomini che, come tutti i peccatori, vanno certamente accettati, amati accolti e ascoltati, ma rigettando ogni pretesa ontologista del loro status, che è solo quello di una situazione peccaminosa, transeunte, accidentale e storica, deviante dall’innata tendenza dell’uomo al bene, qui quello della castità, elargita da Dio a tutti gli uomini.
Ecco le tre considerazioni:
A) L’uomo – tutti gli uomini – tende naturalmente al bene. Ma la « tendenza omosessuale innata » (CCC 2358) contrasta sia col Vecchio che col Nuovo Testamento, che non la ammettono. Per il Vecchio Testamento si possono segnalare almeno i seguenti passi scritturali:
- L’episodio di Sodoma (Gn 19,1-11);
- « Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio » (Lv 18,22);
- « Se un uomo ha rapporti con un altro uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di essi » (Lv 20,13).
Per il Nuovo Testamento:
- « Non illudetevi: …né effeminati, né sodomiti, … erediteranno il regno di Dio » (Loc. cit.);
- « La legge … è fatta per … i fornicatori, i pervertiti … » (I Tim 1,8;10);
- « Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in sé stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento » (Rm 1,26-7).
Quindi, se le Sacre Scritture sono inerranti, v. Denz 3292s e 3652-4 (almeno in fide et moribus, e dico “almeno” a beneficio di quei chierici razionalisti che non sanno raccordare scienza e ispirazione dello Spirito Santo, ma appunto: consideriamo qui che, sull’argomento che stiamo trattando, l’inerranza è riconosciuta da tutti) e le Sacre Scritture sono certamente inerranti (almeno in fide et moribus), tale tendenza non può essere né un bene, né innata, perché Dio non punisce l’uomo per ciò che l’uomo è, anche accidentalmente, p. es. per nascere cieco, o senza qualche organo corporeo, come a volte avviene, ma punisce l’uomo per ciò che egli fa, e che fa adempiendo tre precisi parametri: piena avvertenza, deliberato consenso, materia grave.
Ma se la « tendenza omosessuale » non è un bene, gli uomini che dicono di tendervi, tendono verso il male: tendono verso una direzione anomala, perversa, contro natura, e ciò fanno per desiderio, per concupiscenza; inoltre, secondo, non essendo tale tendenza innata, perché il suo innatismo metterebbe in errore, come visto, le Sacre Scritture, tali uomini vanno instradati con opportuni consigli spirituali, forse uniti anche a terapie collaterali, così da correggersi presto e compiutamente, tirandosi fuori dal loro peccato.
B) L’uomo – tutti gli uomini – tende naturalmente al bene. Se vi fossero persone con « tendenze omosessuali innate » (v. sopra), ciò significherebbe che tale tendenza sarebbe un bene. Ma non può essere un bene cui tendere ciò che dalla Chiesa, nelle azioni di un uomo conseguenti alla tendenza, viene con termini inequivocabili indicato come atti « intrinsecamente disordinati, contrari alla legge naturale » (CCC 2357, dunque articolo che, pur precedendo di un solo numero quello visto sopra, lo contraddice): se le azioni sono “intrinsecamente disordinate”, non può non essere “intrinsecamente disordinata” anche la cosiddetta “tendenza” allo status che li porta a compiere tali azioni, anzi: lo dev’essere di più, come la causa (la tendenza) dev’essere di certo più dell’effetto (l’azione).
C) Tali persone, che pretendono essere riconosciute intrinsecamente “omosessuali”, quasi che la loro condotta disordinata, anomala e contro natura sia ontologica (non accettano neanche una prospettiva clinico-psico-terapeutica, sostenendo di essere tali geneticamente), asseriscono che le Sacre Scritture non si riferiscono a loro, quando parlano di sodomiti o di sodomia, ma a persone che compiono “atti omogenitali”, ma qui andrebbe chiarito invece che agli occhi di Dio (sia nel V. T che nel N. T.) ogni scelta, atteggiamento o atto sessuale che non sia teso alla vita, che non sia teso cioè a “dare figli a Dio”, è male, è atto intrinsecamente e gravemente peccaminoso. Posto che l’inclinazione al proprio genere sessuale (meglio: il desiderio, anzi l’impuro desiderio, anche per il CCC, il quale, p. es. al n. 377, lo chiama “concupiscenza”) è cosa che non porta ad atti fecondi per la vita, per dare “figli a Dio”, essa è intrinsecamente cattiva, in odio o quantomeno in disprezzo a Dio e ai suoi disegni (per orgoglio, perché tutto nasce dall’orgoglio: il narcisismo è una forma di orgoglio).
Queste tre considerazioni rigettano ab ovo ogni pensiero sul tema che sia fondato su pretese ontologiste, cioè sulle premesse attualmente in voga universalmente e che oggi allignano, come visto, pur se di certo senza suo dolo, anche nella stessa Chiesa.
Su questo punto la Chiesa odierna dovrebbe correggere il proprio insegnamento, come l’ha già corretto una volta nel passaggio dal Catechismo di San Pio V, il Tridentino, al Nuovo Catechismo, perché un sano e santo sviluppo della società e del mondo non può avviarsi che a partire da un insegnamento moralmente corretto. Esso, invece, in primo luogo si presenta fortemente disorganico nei confronti dell’insegnamento precedente, come si può osservare – il che non significa che anche l’insegnamento precedente, posto nel Tridentino, non vada corretto e migliorato, e anche in più punti –; e in secondo luogo, specialmente, non sembra essere veridico come dovrebbe, e in questi quarant’anni di vita mi pare si sia mostrato fortemente lacunoso, omettendo, Dio non voglia, per gran paura delle potenti lobbies sessiste, ma anche, in generale, dei loro fiancheggiatori, gli intellettuali a tendenza liberale, più o meno crudamente anticattolica, verità imperdibili, senza cadere peraltro in vero e grave difetto di magistero, perché tali insegnamenti sono stati dati sempre (un “sempre” relativo: esplicitamente, e in documenti conservati e ufficiali, solo dal 1566) in qualità di “verità connesse ai dogmi”, similmente a quelle “verità connesse ai dogmi” della cui forza chi scrive ha con ogni dovizia illustrato estensione e limiti in Dogma e pastorale (Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2015, pp. 53-66).
Verità imperdibili, dunque, tali “verità connesse ai dogmi” su cui si soffermano i due più conosciuti Catechismi stilati nei secoli dalla Chiesa, ma non esse stesse dogmi, e dunque compatibili con qualche imperfezione, come mostra lo stesso Catechismo Tridentino, o, in altro ambito, mostrano i due Codex Iuris Canonici (il primo del 1917, il secondo del 1983), o le canonizzazioni dei santi (che a volte, come si sa, furono anche di santi inesistenti); le “verità connesse”, va ribadito, sono verità storiche, dunque defettibili, sicché, dogmaticamente parlando, la Chiesa è salva. Ma lo scandalo dell’errore, allorché individuato, andrebbe tolto di mezzo sempre al più presto, correggendo l’errore e pubblicizzando la correzione nella misura in cui fu fatto e fatto conoscere l’errore.
Da come stanno le cose, potrebbe sembrare quasi che le lobbies sessiste e i loro fiancheggiatori siano riuscite a spostare la linea di demarcazione che la Chiesa dovrebbe riconoscere tra bene e male inducendola, con impropri, inaccettabili e tendenziosi argomenti cosiddetti “scientifici”, a farle includere nel bene anche gli atti di coloro che sarebbero “affetti” da tali « tendenze omosessuali innate », ma la vera e originale linea di demarcazione è quella tra purezza e impurità, tra carnale e spirituale, tra castità e fornicazione, come dicono le Scritture: « Chi semina nella sua carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna » (Gal 6,8).
Le lobbies omosessuali e i loro fiancheggiatori sono riusciti anche a spostare l’attenzione di tutta la società su un suo aspetto marginale (non accidentale, ma marginale, circoscritto), come la sessualità, moralmente corrompendo tutta la società come materialmente la corruppe la peste nera nel 1348, così che ora viviamo in una società ipersessualizzata, ipercarnale, potremmo dire anche insatanassata, dove cioè il sesso è presente come fosse il sale della terra, con grave perdita della sua spiritualità, che è invece il suo elemento davvero non marginale, non circoscritto, ma sostanziale e illimitato (v. Mc 5,13).
Al contempo di questa invadente e abietta ipertrofia sessista, inaspettatamente avviene che, in sgradevole simmetria eguale e contraria, ci tocca vivere anche in una società che oggi si rivela gravemente e volutamente infeconda, destinata perciò alla propria atrofia, al proprio autoannientamento. D’altronde, né il singolo uomo né la società può vivere etsi Deus non daretur, “come se Dio non ci fosse”, che è il principio che si è voluto dare la società occidentale e liberaloide d’oggi, a partire dalle sue stesse Costituzioni. Sicché questa tendenza autodistruttiva è destinata a essere prima o poi corretta da Dio, con una correzione che Dio stesso, nella sua bontà, garantisce col suo celebre giuramento: « Portæ Inferi non prævalebunt » (Mt 16,18).
La Chiesa è l’unica Società che può salvare i popoli e le Nazioni, ma si ha l’impressione che forse qualche suo Pastore – come d’altronde è avvenuto in altri secoli in duri confronti avutisi con altri potentati – si sia lasciato prendere da un eccessivo timore delle lobbies sessiste dominanti, così da produrre senza volere delle convinzioni come quelle viste al punto A), e il combattimento dunque per la necessaria correzione degli insegnamenti da dare sul tema potrebbe essere portato ancheintra mœnia e potrebbe non essere privo di grandi scosse.
Ma la purissima Vergine ha sempre protetto e sempre proteggerà la sua santa Chiesa, specie quei suoi figli che ciò vogliono e chiedono, salvaguardandola, lei e i suoi figli, dagli schizzi di impurità anche minimi con cui il Nemico vorrebbe infangarla, spingendola presto alla purezza dogmatica che la guida.
A proposito, infine, della castità, cui ora si è accennato, andrebbe ricordato – e questo vale anche per i cosiddetti divorziati risposati, cioè i concubini – che la castità e la purezza di cuore sono dovuti a una condotta di vita richiesta dal Signore come status naturale da tenere sia nella condizione di celibi, sia in quella di sposati, sia infine in quella di consacrati, come indicato dal Signore: « Se non vi farete piccoli come questo bambino non entrerete nel Regno dei cieli » (Mt 18,4): l’impudicizia, la concupiscenza, la fornicazione, è una tentazione; la purezza non è uno dei tanti possibili modi di vivere il matrimonio (e la vita in generale), ma è lo status ontologico dell’uomo, fuori e dentro il matrimonio che sia.
Certo, per mantenerla è necessaria la grazia, ma lo status dell’uomo, anche nel matrimonio, è la purezza, è la castità, non l’impurità, non la lussuria. È vivere secondo lo Spirito, non vivere secondo la carne: « Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione, chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna » (Loc. cit.).
La grazia è decisiva per il combattimento, ma l’uomo, di suo, non è che dopo il battesimo sia costretto quasi a guadagnare un territorio di santità e di purezza in cui non si troverebbe originariamente, ma, dopo il battesimo, e ancor più dopo la cresima, e ancora più poi dopo ogni comunione eucaristica, dovrebbe ricordare che il suo status naturale è la purezza, dunque lontano da ogni tendenza malsana, da ogni tentazione-inclinazione impura: per grazia, si manterrà puro come puri sono i bambini, ossia come puro era stato egli stesso fin quando era stato bambino.
La purezza del cuore è l’unica via a essere atta, oltre che per la santità, anche per tornare a rendere feconda la società, viva la civiltà, promettente il futuro. La castità e la legge morale garantiscono e donano un benessere sociale anche materiale, perché il Signore, Cristo Gesù, premia con grazie anche materiali, se pur secondarie rispetto alle spirituali, la condotta morale di una società che segue i suoi comandamenti, il suo Vangelo, come suggeriscono anche alcune dottrine economico-finanziarie cattoliche che sollecitano a intraprendere politiche che sappiano legare con rigore ambiti solo apparentemente lontani tra loro, come parrebbero essere il morale e l’economico-finanziario, ma le Scritture sono piene di vivi suggerimenti in tal senso: « Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli » (Sal 32,10), « Il Signore ha dato, il Signore ha tolto » (Gb 1,21), e, nel N. T., Lc 12,6: « Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio », o anche I Cor 3,7: « Né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma è Dio che fa crescere ».
Il Signore, padrone anche della materia, premia chi segue con purezza d’animo e con apertura alla vita (anche il rifiuto di metodi contraccettivi fa parte della castità) i misericordiosi e santi insegnamenti della Chiesa, dando alla società fecondità e benessere: spirituali sempre, e a volte, per i Suoi fini superiori e dunque sempre squisitamente spirituali, anche materiali.
Prof. Enrico Maria Radaelli
International Science and Commonsense Association (ISCA)
Department of Metaphysics of Beauty and Philosophy of Arts,
Research Director (http://www.isca-news.org/?page_id=351)
www.enricomariaradaelli.it
venerdì 19 febbraio 2016
SANCTA MISSA
"TANTUM VALET
CELEBRATIO MISSÆ,
QUANTUM VALET
MORS CHRISTI IN CRUCE"
S. G. Crisostomo, Apud Discipul. Serm. 48.
mercoledì 17 febbraio 2016
Il passaggio del Mar Rosso (Es 14, 5‑31) - Le acque di Mara (Es 15, 22‑25) - Le palme di Elim (Es 15, 27) - L’acqua dalla roccia (Es 17, 1‑7) - La manna (Es 16, 9‑27) -
Il
passaggio del Mar Rosso (Es
14, 5‑31)
Mosè la
seguiva e altrettanto raccomandava di fare al popolo. Giunsero così, dietro
tale guida, sulle rive del Mar Rosso. Ma l’esercito egiziano piombò alle
spalle degli Israeliti, mettendoli in grave angustia, poiché non avevano altra
via di scampo che spingersi dentro il mare. Sorretto dalla forza di Dio, Mosè
operò allora un prodigio grande, incredibile. Stando sulla riva del mare, ne
colpì con la verga le acque ed ecco, sotto i colpi della verga, il mare si
divise e le onde, rotte a una estremità, portarono la loro spaccatura fino alla
riva opposta, proprio come succede in un vetro, quando la frattura fatta a un
capo si estende fino all’altro capo.
Tutti,
Mosè e il popolo, scesero nel fossato che aveva diviso in due il mare e lì non solo
si trovarono all’asciutto, ma perfino il sole arrivò ad avvolgerli con la sua
luce. Attraversarono allora a piedi il fondo asciutto del mare, senza paura
delle pareti di ghiaccio che di qua e di là si levavano come un muro[1].
Anche il Faraone entrò coi suoi per la strada aperta in mezzo alle acque, ma
queste subito tornarono ad accavallarsi e confondersi e il mare, ripresa
uniformità d’aspetto, ricominciò a fluire alla maniera consueta.
Quando
gli Israeliti avevano ormai terminato il tragitto sul fondo del mare e si
trovarono sull’altra riva, intonarono un inno di vittoria in onore del Signore,
che aveva drizzato innanzi a loro un trofeo non intriso di sangue[2] e aveva sommerso nelle acque gli Egiziani, con cavalli,
carri e armi.
Le acque
di Mara (Es 15, 22‑25)
Avanzarono
nel deserto per tre giorni, senza trovare acqua. Mosè era preoccupato per l’impossibilità
di soddisfare la sete di tante persone. Si accamparono attorno a una palude
dalle acque salate e più amare di quelle del mare. La gente, divorata dalla
sete, fissava, seduta sui bordi, l’acqua della palude. Ma ispirato da Dio, Mosè
andò in cerca di un pezzo di legno e lo gettò nelle acque: subito esse
divennero dolci.
Per
effetto del legno, l’acqua amara era diventata dolce. Poiché la nube riprese a
precederli, essi non avevano che da seguire gli spostamenti di quella guida,
stando a questa regola: se la nube si fermava sospendevano la marcia;
viceversa quando riprendevano il cammino, la nube tornava a guidarli.
Le palme
di Elim (Es 15, 27)
Seguendola,
giunsero in una località ricca di buone acque, che zampillavano tutt’intorno
da dodici abbondanti fonti, ombreggiate da un boschetto di palme. Erano appena
settanta queste palme, ma tanto alte, belle e grosse da lasciare meravigliati
chi le mirava.
L’acqua
dalla roccia (Es 17, 1‑7)
La nube
li guidò verso un’altra località, dove fecero sosta. Il luogo era deserto,
coperto di sabbia asciutta e bruciata, senza alcuna vena d’acqua che lo
inumidisse. Di nuovo allora tornò la sete a tormentarli e Mosè procurò acqua
dolce, buona e abbondante più del bisogno, facendola ancora scaturire da una
roccia della collina, colpita con la sua verga.
La manna (Es 16,
9‑27)
Intanto
si era esaurita la provvista di cibo che ciascuno aveva preso per il viaggio e
si trovavano ormai stretti dalla fame, quando avvenne un’incredibile
meraviglia. Il cibo arrivò non dalla terra come è normale, ma dal cielo, al
pari di rugiada. Proprio come una rugiada infatti esso scendeva di mattina,
ma nell’atto in cui lo raccoglievano, trovavano che si trattava di cibo. Non
erano infatti delle gocce, come avviene nella rugiada, ma certi grani
cristallini, simili al seme di coriandro, rotondi e dal sapore di miele.
I fatti
riguardanti la raccolta di questo cibo hanno dello straordinario: succedeva
anzitutto che i più deboli non raccogliessero meno degli altri, tutti invece
finivano per avere una porzione eguale, anche se età e capacità fisiche erano
differenti e ciascuno cercasse di raccoglierne in proporzione dei propri
bisogni.
Ma non
mancava qualcuno che, non accontentandosi del fabbisogno quotidiano, ne
ammassava per il giorno seguente. Orbene, la porzione accantonata diveniva
immangiabile, trasformandosi in vermi.
Solo nel
giorno precedente a quello consacrato, per mistica ragione, al riposo, ognuno
scopriva di aver raccolto una porzione doppia, nonostante che la quantità
discesa e raccolta fosse la medesima degli altri giorni. Avveniva questo,
perché la necessità di raccogliere il cibo, non servisse di pretesto per
violare la legge del sabato. Si trovavano dunque di fronte a una più chiara
manifestazione della divina Potenza. Infatti negli altri giorni, il cibo preso
in più si guastava; esso invece restava intatto e non meno fresco del solito,
quando veniva raccolto per il sabato, che era il loro giorno festivo.
[1]
Il testo biblico (Es 14,22)
parla di «muraglia», prodotta dalle acque. La precisazione che si trattasse di
pareti di ghiaccio è un’ovvia deduzione, già contenuta in Filone, Vita Moysis 1, 32, 177‑180.
[2]
L’espressione significa: una
vittoria incruenta, senza spargimento di sangue. Essa deriva dalla
terminologia relativa al martirio nei primi secoli della Chiesa. Il martirio
infatti era un segno di vittoria, ma intriso del sangue dei martiri.
da VITA DI MOSE' di Gregorio di Nissa
VIENI
SIGNORE GESU'
NOI TI
ATTENDIAMO. AMEN.
SAN PAOLO AI ROMANI - cap. IX -
San Paolo - Rubens |
LETTERA AI ROMANI
Capo IX.
Dolore di S. Paolo per la riprovazione d’Israele
[1]Dico la verità in Cristo, non mentisco e me lo attesta la mia coscienza per lo Spirito Santo: 2ho una grande tristezza, un continuo dolore nel mio cuore, 3(tale) che vorrei essere io stesso separato da Cristo pei miei fratelli che sono del sangue mio secondo la carne, 4gli Israeliti, ai quali appartengono l’adozione in figli, la gloria, l’alleanza, la legge, il culto, le promesse, 5i patriarchi, e dai quali è, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli. Così sia.
La salvezza non dipende dalla discendenza, ma è dono di Dio
6Non già che sia venuta meno la parola di Dio, perché non tutti quelli che vengono da Israele sono Israeliti; ‘né i nati dalla stirpe di Abramo son tutti figlioli; ma «in Isacco sarà la tua discendenza». 8Quindi non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono contati come discendenti. 9Le parole della promessa infatti erano queste: Verso questo tempo io tornerò, e Sara avrà un figlio. 10E non soltanto a Sara, ma avvenne così anche a Rebecca, la quale da una sola unione con Isacco, padre nostro, concepì due gemelli.11Or non essendo questi ancor nati e non avendo fatto nulla di bene o di male (affinché il disegno di Dio rimanesse secondo la elezione), 12non dipendente dalle opere, ma da Colui che chiama, fu detto a Rebecca:13Il maggiore servirà al minore, secondo sta scritto: Ho amato Giacobbe ed ho odiato Esaù.
Dio non è ingiusto a salvare chi vuole
[14]Che diremo adunque? V’è l’ingiustizia in Dio? Giammai! 15Perché egli dice a Mosè: Avrò misericordia di colui al quale mi piacerà usar misericordia, e avrò compassione di colui con il quale vorrò essere compassionevole. 16Quindi non dipende da chi vuole, né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia. 17Dice infatti la Scrittura a Faraone: Io t’ho suscitato apposta per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia celebrato su tutta la terra. 18Egli dunque usa misericordia a chi vuole, e indura chi vuole. [19]Tu mi dirai: E di che ora si lamenta? Chi mai può opporsi ai suoi voleri? 20O uomo, chi sei tu da contendere con Dio? Dirà forse il vaso d’argilla al vasaio: Perché mi hai fatto così? 21Il vasaio non è egli padrone dell’argilla da poter fare della medesima quantità un vaso per uso onorato, come un vaso per uso vile?
22E che (c’è da ripetere) se Dio volendo mostrare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con molta pazienza vasi d’ira già pronti alla perdizione, 23per far conoscere le ricchezze della sua gloria in favore dei vasi di misericordia che egli aveva già preparati per la sua gloria, 24(in favore di noi) che egli ha chiamati non solo dai Giudei, ma anche dai Gentili?
La riprovazione dei giudei e la vocazione dei gentili era stata predetta
[25]Come dice in Osea: Chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo, e diletta quella che non era amata, e pervenuta a misericordia quella che non aveva conseguito misericordia. 26E dove loro fu detto: Voi non siete il mio popolo, quivi saran chiamati figli del Dio vivente. 27Isaia poi esclama sopra Israele: Anche se il numero dei figli d’Israele fosse come la rena del mare, soltanto gli avanzi saranno salvati; 28perché Dio compirà e affretterà con equità ciò che ha detto, e sarà di poche parole sulla terra. 29E come pure predisse Isaia: Se il Signore degli eserciti non avesse di noi lasciata semenza, saremmo divenuti come Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra.
La colpa d’Israele
[30]Che diremo dunque? Che i Gentili, i quali non cercavano la giustizia, hanno abbracciata la giustizia, quella giustizia che viene dalla fede; 31mentre Israele, che seguiva la legge della giustizia, non ha raggiunto la legge della giustizia. 32E perché? Perché (la cercò) non nella fede, ma come venisse dalle opere: e così urtò nella pietra d’inciampo, 33secondo quello che è scritto: Ecco io pongo in Sion una pietra d’inciampo, una pietra di scandalo; ma chi crede in lui non resterà confuso.
"VIENI SIGNORE GESU'
NOI TI ATTENDIAMO!"
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