sabato 9 gennaio 2016

Com’era il viso di Gesù? Com’era il suo aspetto?

IL VERO VOLTO DI GESÙ

Paul Badde“Die Welt” del 23 settembre 2004

 E’ una delle reliquie più preziose della Cristianità che per molto tempo era considerata dispersa: il Telo della Veronica. Il nostro autore ha fatto una scoperta in Abruzzo.
Com’era il viso di Gesù? Forse come Jim Caviezel nel film “La Passione”? O forse come i ritratti di Cristo di Dürer o El Greco appesi sui muri del palazzo papale? Tutti questi artisti non hanno mai visto Gesù! E allora, com’era il suo aspetto? Esiste una risposta molto molto antica a questa domanda: si tratta di un telo con la “vera immagine” di Cristo, che neanche il Papa ha mai visto.

E’ difficile parlare di questo argomento in Vaticano, poiché questa immagine è diversa. Fino all’anno 1600 era custodita nella vecchia basilica costantiniana di San Pietro ed stata vista da milioni di persone. Ma da allora quasi nessuno ha potuto più vedere questa “vera icona”. Nella nuova cattedrale di San Pietro l’immagine di Gesù era custodita con tre catenacci. Il Cardinale Marchisano, arciprete della basilica, disse a “Die Welt” che “l’immagine nel corso dei secoli si è notevolmente sbiadita.” Ma non è soltanto sbiadita, deve trattarsi piuttosto di un’imitazione (di una finta) di cui non esiste nessuna valida fotografia. Per questa ragione, negli ultimi tempi, a coloro che desideravano venerare l’icona di Cristo veniva mostrata un'altra immagine che si trova nella sacrestia del Papa di cui si dice che sia la più antica del mondo.  
E dal suo aspetto si direbbe proprio. Perché con il tempo l’immagine è diventata quasi nera, come molti antichi dipinti in tempera su tela. La “vera immagine” di Cristo però non presenta alcuna traccia di colore. Prima di arrivare a Roma si trovava a Costantinopoli, e prima ancora in Oriente; infatti, un testo siriano di Camulia in Cappadocia del VI secolo d. C. parla di un’immagine “tirata fuori dall’acqua” e “non dipinta dalla mano dell’uomo”. Ma quando giunse a Roma attirava gli uomini come una calamita.
 I pellegrini che tornavano da Gerusalemme nella prima metà dello scorso millennio si decoravano con una palma; simbolo dei pellegrini di Santiago de Compostela fino ad oggi è la conchiglia; ma i pellegrini che si recavano a Roma spillavano alle loro mantelle miniature della “Sancta Veronica Ierosolymitana”, la santa Veronica di Gerusalemme. Le fondamenta della nuova Cattedrale di San Pietro, secondo il volere di Papa Giulio II, dovevano comprendere anche quelle di un’enorme “camera blindata” per custodire questo tesoro unico.
Durante il periodo di costruzione della Cattedrale, la cui architettura sfarzosa all’epoca era molto discussa, l’immagine sparì in modo misterioso. Ne rimase soltanto una cornice veneziana con vetri antichi frantumati, che si vede ancora oggi nel Tesoro di San Pietro. In realtà l’immagine non è scomparsa: da più di 400 anni la più preziosa reliquia della cristianità, davanti alla quale l’Imperatore di Bisanzio si poteva inginocchiare una volta all’anno, è conservata tra due lastre di cristallo nella piccola chiesa - spesso vuota per ore - dei frati Cappuccini a Manoppello, un paese montano dell’Abruzzo. È l’immagine che guidava l’Europa e che si credeva perduta. Oggi finalmente si può dire che è stata ritrovata: contro luce sbiadisce, nell’ombra si scurisce, ma non svanisce né si rovina.
L’immagine mostra il viso barbuto di un uomo con i riccioli alle tempie, al quale è stato rotto il naso, trattamento che oggi subiscono gli ostaggi nelle camere di tortura dei moderni “guerrieri di Dio” - o i prigionieri di Abu Ghraib. La guancia destra è gonfia, la barba parzialmente strappata. Ad un più attento esame si vede che la fronte e le labbra mostrano il colore roseo delle ferite appena guarite. Lo sguardo di quegli occhi esprime una calma inspiegabile. Sbalordimento, stupore, meraviglia sono nei tratti del suo volto. C’è dolce pietà, ma non c’è né disperazione, né dolore, né ira. Sembra il viso di un uomo che si è appena svegliato dal sonno e guarda verso un nuovo mattino. La bocca è semiaperta. Si vedono addirittura i denti. Se si volesse determinare quale suono stanno pronunciando quelle labbra, si direbbe che stiano formando una lieve A.
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Le proporzioni del volto dell’immagine sulla tela della misura 17 x 24 cm sono esattamente quelle di un volto umano. Il velo è sottilissimo e trasparente come una calza di seta. Da vicino sembra più una diapositiva che un immagine dipinta.
 Contro luce è trasparente; nell’ombra, senza luce, appare color ardesia. Una piccola scheggia di cristallo è attaccata al tessuto in basso a destra della cornice. Alla luce delle lampadine fa apparire il sottile telo colore dorato e color miele. Esattamente come Gertrude di Helfta nel XIII secolo ha descritto il volto di Cristo. Infatti, soltanto con i contrasti di luce il sottile telo mostra il volto con effetti di luce tridimensionali, quasi oleografici - su entrambi i lati, cioè sia nel recto che nel verso. Sembra tessuto in maniera così fine che, ripiegato, potrebbe entrare in un guscio di noce.
 Il Prof. Donato Vittore dell’Università di Bari e il Prof. Giulio Fanti dell’Università di Padova, hanno scoperto dai loro studi fotografici ad alta definizione che sull’intero tessuto non ci tracce di colore. Soltanto nel nero delle pupille le fibre sembrano quasi bruciacchiate, come se un calore avesse leggermente fuso i fili.
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Tutto questo però non è una novità! I contadini e i pescatori dell’Adriatico, da Ancona a Taranto, nel corso dei secoli hanno sempre venerato questo velo come il “Volto Santo”, come effige sacra. Sarebbero stati degli “Angeli” a portare l’immagine più di quattrocento anni fa, pensano i Manoppellesi (e si riferiscono a un’antica testimonianza). Potrebbe essere così, ma sembra più probabile che tra questi “angeli” fossero nascosti alcuni furbi che avevano semplicemente rubato la reliquia, commettendo il più azzardato furto nel periodo delle numerose e avventurose mascalzonate del Rinascimento. Il cristallo spezzato dall’antica cornice della Veronica di San Pietro sembra ancora denunciare questa trafugazione. La leggenda dunque presenta alcune caratteristiche tipiche di una farsa, di un giallo, di un romanzo poliziesco, di un dramma – o di un quinto Vangelo per la nostra epoca pazza per le immagini.
Quando anni fa il Prof. Heinrich Pfeiffer della Pontificia Università Gregoriana di Roma ha fatto le prime ricerche scientifiche sul telo, sia sotto l’aspetto della storia dell’arte che alla luce delle prime fonti cristiane, ha provato però che l’immagine di Manoppello era il punto di riferimento delle più antiche immagini di Cristo, prima in Oriente e poi in Occidente, la stampa mondiale ha pubblicato la scoperta semplicemente nella rubrica “Varie”, e tanti suoi colleghi, come molti prelati e cardinali del Vaticano hanno scosso il capo ad una tale fantasia debordante di un professore.
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 Era stata suor Blandina Paschalis Schlömer, una trappista tedesca, farmacista ed iconografa, a fornire lo spunto agli studi del professore, dopo aver scoperto e dimostrato con tenacia, diversi anni prima, che il volto del velo di Manoppello corrisponde esattamente in ogni particolare al volto dell’uomo della Sindone, sia nelle proporzioni, sia nelle misure, sia nei segni delle ferite, ad eccezione dell’aspetto aperto e fresco delle ferite che si trovano ancora nell’immagine della Sindone.
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 Ma tutto ciò ha lasciato indifferente coloro che dubitano dell’autenticità del velo di Manoppello – al contrario. La loro obiezione principale è semplice e convincente: si tratta di un dipinto. Non vale la pena vederlo da vicino. Sarebbe fatto in maniera troppo raffinata per non essere un dipinto: gli occhi, le ciglia (visibili solo ad ingrandimento), i sacchi lacrimali, i peli della barba, i denti (!) sono disegnati in maniera troppo definita per non tradire la mano di un artista e maestro. In sostanza questa immagine non sarebbe certo un modello, ma solo la copia di altre copie di un originale sconosciuto - o forse semplicemente la copia del volto della Sindone a Torino.
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 Una domanda posta fino ad oggi raramente, ma di primaria importanza è quella del tessuto. Dalla consistenza si direbbe che si tratti di nylon, se questa ipotesi non fosse assurda per un tessuto esposto da quattrocento anni. Cotone, lana, lino sono troppo spessi per permettere quella trasparenza immateriale e lo splendore madreperlato. Neppure la seta consente di ottenere questi effetti.
I frati Cappuccini di Manoppello non permettono ulteriori indagini scientifiche e chimiche, né di togliere il velo dai vetri dell’ostensorio, esposto nella loro chiesa sull’altare maggiore.
“Non è necessario!” mi ha detto Padre Germano, l’ultimo Padre Guardiano del convento, alcune settimane fa. “La scienza ci viene incontro! Si sviluppa così velocemente che dobbiamo soltanto aspettare.” E’ giusto. Molte foto che negli ultimi mesi ho potuto realizzare con la mia macchina fotografica digitale mostrano particolarità come non avevo mai visto prima in altre foto del tessuto. Il Vangelo di Giovanni parla di due teli rimasti nel sepolcro vuoto di Cristo a Gerusalemme. Secondo questa fonte Pietro e “l’altro discepolo” sono corsi al sepolcro di buon mattino; ”l’altro discepolo” arrivò per primo, si inchinò e vide le bende di lino, ma non entrò. Poi arrivò anche Simone Pietro, che lo aveva seguito ed entrò nel sepolcro. Vide le bende e il sudario che era stato posto sul capo di Gesù. Ma il sudario non era vicino alle bende di lino, ma da un’altra parte piegato a fagottino. Allora entrò anche l’altro discepolo che era giunto prima al sepolcro e “vide e credette”.
Questo sudario, che si trovava nel sepolcro vuoto, per i manoppellesi è da sempre l’immagine custodita nel loro paese dai frati Cappuccini, anche se non vi si ravvisano le sia pur minime tracce di sudore. Del resto il velo è troppo sottile per assorbire una sola goccia di sudore o di sangue .

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Roma, 1° settembre 2004, Aeroporto di Fiumicino: un venticello dal vicino Mar Mediterraneo rinfresca l’aria di una mattina di tarda estate. L’orologio all’interno dell’aeroporto segna le ore 07.35 quando il volo Alitalia AZ 1570 proveniente da Cagliari atterra sulla pista. Alcuni minuti prima i terroristi nella lontana città di Beslan avevano assalito una scuola commettendo il crimine più crudele dopo il l’11 settembre 2001.
L’orrore apocalittico di tante tragedie è diventato il pane quotidiano per molti giornalisti nel mondo. Ma io quella mattina non avevo sentito il notiziario, nemmeno più tardi alla radio sull’autostrada per Pescara. Mentre aspetto l’atterraggio dell’aereo mi viene da pensare che per i reporter le cose sono facili: non devono verificare niente, non sono giudici, avvocati o maestri, possono soltanto dare notizia di ciò che hanno visto e osservato sotto ogni luce nel corso dei giorni.
Quando Chiara Vigo varca l’uscita, la riconosco subito nonostante non l’avessi mai vista. Pier Paolo Pasolini avrebbe potuto assegnarle il ruolo di protagonista in ogni film. Le sue unghie sembrano dei fusi. Viene dalla piccola Isola di Sant’Antioco di fronte alla costa sarda, dove lei è l’ultima tessitrice del mondo che lavora il bisso marino in una tradizione tramandata da generazione in generazione.
Per il nostro popolo il bisso è un tessuto sacro”, dice in macchina. Che cosa vuole intendere con l’espressione ”nel popolo nostro? L’isola forse non fa parte della Sardegna? “No”, risponde con un riso roco. “Parlo l’italiano e il sardo e conosco molte canzoni in aramaico. La gente dell’isola dice di discendere dai caldei e dai fenici e riconduce l’arte di lavorare il bisso alla Principessa Berenice, una figlia del Re Erode che divenne l’amante dell’Imperatore Tito”. Poi alza un bioccolo di bisso naturale non filato verso la luce del mattino - è più fine dei capelli d’angelo. L’oro del mare! Nella sua mano risplende il colore bronzeo sotto il sole. Il bioccolo è stato ricavato dai fili della “Pinna nobilis”. Nel mese di maggio, sotto la luce della luna piena, Chiara Vigo si immerge nell’acqua in una profondità di cinque metri per prenderli e poi pettinarli, filarli e infine tesserne oggetti preziosi .
Il bisso è il tessuto il più prezioso dell’antichità. E’ stato rinvenuto nelle tombe dei faraoni e si conosce anche dalla Bibbia, dove se ne parla come tessuto obbligatorio per il tappeto all’interno del Santissimo e per l’efod, parte del vestito del sommo sacerdote. In un bagno di limone diventa color oro; anticamente si utilizzava l’urina delle vacche che rendeva il bisso più pallido, più chiaro. Voliamo sull’autostrada verso Manoppello.
Suor Blandina ci aspetta sulla collina del santuario. Quando ci lasciamo alle spalle le canne di un finto organo ed avanziamo lungo la navata centrale, l’immagine del Volto Santo risplende contro luce come una rettangolare ostia lattescente sopra il tabernacolo. La croce formata dal montante e dalla traversa di una finestra del coro dietro all’altare sembra attraversare la trama. Una volta salite le scale di fronte all’immagine Chiara Vigo cade in ginocchio. Un velo tessuto in maniera così sottile non lo ha mai visto: “Ha lo sguardo di un Agnello” dice e fa il segno della croce. “Anche di un leone!” e poi: “Questo è bisso!” Chiara Vigo lo dice una volta, due volte, tre volte.
In macchina aveva detto che il bisso può essere tinto solo con la porpora. “ Il bisso non può essere dipinto. È impossibile! O Dio! O Dio mio!”
Ma questo è bisso. Il che significa che questo non è un dipinto, è qualcosa di diverso, qualcosa prima di ogni immagine. 


AMDG et BVM

CRONOVISORE

mercoledì 6 gennaio 2016

MARIA VALTORTA.


"L'Evangelo come mi è stato rivelato"

in ordine di volume






AVE MARIA!

EPIFANIA CON SANT'ANTONIO - 2



EPIFANIA DEL SIGNORE
1. “Essendo nato Gesù in Betlemme di Giuda”... ecc. (Mt 2,1).
In questo brano evangelico considereremo tre avveni­menti:
- l’apparizione della stella,
- il turbamento di Erode,

I. l’apparizione della stella

2. “Essendo nato Gesù a Betlemme” (Mt 2,1), ecc. Nella prima parte c’è questo insegnamento morale: in quale modo uno, dalla vanità del mondo, si converte a vita nuova. Prima però ascoltiamo brevemente la storia, il racconto.
Gesù nacque in una notte di domenica, perché nel giorno in cui Dio disse: “Sia fatta la luce, e la luce fu” (Gn 1,3), “venne a visitarci dall’alto un sole che sorge” (Lc 1,78).
Si racconta che Ottaviano Augusto, su indicazione della Sibilla, abbia veduto in cielo una vergine, gravida di un figlio, e che da allora vietò che lo chiamassero Dominus, Signore, perché era nato “il Re dei re e il Signore dei signori” (Ap 19,16). Perciò il poeta scrisse: “Ecco, una nuova prole scende dall’alto del cielo” (Virgilio, Egloga IV,7). Per tutto il giorno sgorgò da una vecchia taverna un abbondante getto d’olio, perché in quel giorno nasceva sulla terra colui che è consacrato con olio di letizia, a preferenza dei suoi eguali (cf. Sal 44,8). Il tempio della Pace crollò dalle fondamenta. I Romani, infatti, a motivo della pace universale in cui si trovava tutto il mondo sotto Cesare Augusto, avevano costruito un meraviglioso tempio alla Pace. Coloro che vi entravano per consultare la divinità e sapere quanto sarebbe durata quella pace, ebbero questo responso: Finché una vergine partorirà. Essi furono felici perché lo interpretarono così: La pace durerà in eterno, perché mai una vergine potrà partorire. Ma Dio distrusse la sapienza dei sapienti e la prudenza dei prudenti (cf. 1Cor 1,19), perché il tempio crollò dalle fondamenta nell’ora della nascita del Signore.
Tredici giorni dopo la sua nascita, cioè come oggi, “ecco che dall’oriente arrivarono a Gerusalemme dei Magi, che doman­davano: “Dov’è il Re dei Giudei, che è nato? Abbiamo veduto la sua stella” (Mt 2,1-2). Erano chiamati “Magi” per la vastità delle loro cono­scenze; quelli che i Greci chiamano filosofi, i Persiani li chiamano magi. Venivano dai territori dei Persiani e dei Caldei. Forse non fu loro impossibile percorrere in tredici giorni, in groppa ai dromedari, quelle grandi distanze.
La stella che avevano visto si distingueva dalle altre per lo splendore, per la posizione e per il movimento. Per lo splendore, che neppure la luce del giorno faceva scomparire; per la posizione, perché non stava nel firmamento con le stelle minori, e neppure nell’etere con i pianeti, ma faceva il suo viaggio nell’aria, nelle vicinanze della terra; e per il movimento, perché restò dapprima immobile sopra la Giudea, poi diede ai Magi l’indica­zione per arrivarvi; essi presero per loro conto la decisione di entrare in Gerusalemme, che della Giudea era la capitale. Quando ne uscirono, con il primo movimento visibile la stella li precedette. Portato a termine il suo compito scomparve, ritornando alla primitiva materia, dalla quale era stata presa.
Questa festa si chiama Epifania, dai termini greci epì, sopra, e fanè, manifestazione, perché come oggi Cristo fu manifestato con il segno della stella. È detta anche Teofania, sempre dai termini greci Theòs, Dio, e fanè, perché come oggi Cristo, passati trent’anni, fu manifestato dalla voce del Padre, e battezzato nel Giordano. È detta anche Bethfania, dal termine ebraico beth, casa, perché, passato un anno dal battesimo, come oggi compì un miracolo divino tra le mura di una casa, ad una festa di nozze.
3. Vediamo ora che cosa significhino, in senso morale, la stella, i Magi, l’oriente e Gerusalemme.
La stella simboleggia l’illuminazione della grazia divina, o anche la conoscenza della verità. Infatti Gesù, dal quale proviene ogni grazia, dice nell’Apocalisse: “Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino” (Ap 22,16). Gesù Cristo, benché figlio, è anche radice, cioè padre di Davide. Oppure, come la radice sostiene la pianta, così la misericordia di Cristo sostenne Davide peccatore e penitente. Cristo è stella radiosa nella illuminazione della mente; è stella del mattino nella conoscenza della verità.
I Magi rappresentano i sapienti del mondo, dei quali dice Isaia: “I sapienti, i consiglieri del faraone, gli diedero un consiglio stolto” (Is 19,11). Il faraone, nome che s’in­ter­preta “che scopre l’uomo”, è figura del mondo che, dopo aver coperto l’uomo con la sua vanità, lo scopre nella miseria della morte; il mondo non dà, ma solo impresta, e nel momento della massimo bisogno, esige ciò che ha impre­stato e così abbandona l’uomo nella miseria e nella nudità.
Stolto è quindi il consiglio di quei sapienti che esortano ad accumulare le cose altrui, i beni di questo mondo, che non potranno portare con sé, che inducono a caricarsi di cose solo imprestate, che non potranno far passare con sé attraverso il passaggio stretto. Infatti il passaggio della morte è così stretto, che a stento vi può passare l’anima sola e nuda. Quando si arriva a quel passaggio ogni carico di cose temporali dev’essere lasciato: solo i peccati, che non sono sostanza (materiale), vi passano agevolmente insieme con l’anima.
L’oriente è figura della vanità del mondo o della sua prosperità. Dice Ezechiele: “Vidi, ed ecco degli uomini con le spalle rivolte al tempio del Signore, e la faccia ad oriente, che adoravano il sole nascente” (Ez 8,16). Il tempio raffigura l’umanità di Cristo, o anche la vita di ogni giusto. Hanno il dorso rivolto al tempio del Signore e la faccia ad oriente coloro che, dimentichi della passione e della morte di Cristo, orientano alla vanità del mondo tutto ciò che conoscono e tutto ciò che sanno. Per questo il Signore si lamenta per bocca di Geremia: “Voltarono verso di me il dorso, non il volto. Ma al tempo della loro sventura”, cioè della morte, “diranno: Àlzati e salvaci! Dove sono i tuoi dèi”, cioè i piaceri e le ricchezze, “che ti sei procurato? Si alzino loro e ti liberino nel tempo della tua sventura” (Ger 2,27-28). O anche: hanno il dorso contro il tempio e adorano il sole nascente coloro che disprezzano la povertà, l’umiltà e le sofferenze dei giusti, e proclamano felici quelli che abbondano di piaceri e di ricchezze.
Gerusalemme, che significa “pacifica”, raffigura la vita nuova, cioè la vita di penitenza. Dice Isaia: “Il mio popolo dimorerà in una pace meravigliosa, nelle tende della fiducia e nella quiete della ricchezza” (Is 32,18). Felice condizione, nella quale c’è la grazia della coscienza tranquilla, la fiducia della condotta santa, la ricchezza della carità fraterna. Perciò, come la stella richiamò i Magi dall’oriente, così la grazia divina richiama i peccatori dalla vanità del mondo alla penitenza, affinché ricerchino il nato Re, cercandolo lo trovino e trovatolo lo adorino.

“Dov’è il Re dei Giudei, che è nato?”. Vale a dire: Dov’è il Re di coloro che confessano i loro peccati, il Re dei penitenti? Cercano il Re dei penitenti, che è nato in loro, coloro che promettono di fare penitenza. Noi, dicono, che abitavamo in oriente, che eravamo presi dalla vanità del mondo, abbiamo visto la sua stella, cioè abbiamo ricono­sciuto la sua grazia, e così “per mezzo di lui”, per sua grazia, “siamo venuti ad adorarlo” (Mt 2,2).

II. il turbamento di erode

4. “ Il re Erode, sentendo ciò, restò turbato” (Mt 2,3). Il diavolo, il re della turba turbata, si turba! Anche il mondo si turba, quando sente che Cristo è ormai nato nei penitenti e vede anche altri peccatori convertirsi a lui per opera della grazia. Satana freme al vedere che il suo regno si riduce e il Regno di Cristo si allarga ogni giorno di più. Leggiamo nell’Esodo: “Disse il faraone al suo popolo: Ecco che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Venite, opprimiamolo in tutti i modi, perché non cresca ancor più di numero” (Es 1,9-10).
L’astuzia del diavolo opprime i figli di Dio con la suggestione, la malizia del mondo li opprime con la bestemmia e con l’ingiuria. Continua infatti l’Esodo: “Gli Egiziani odiavano i figli d’Israele e li facevano soffrire insultandoli, e resero loro amara la vita” (Es 1,13-14). Tormento (in lat. frixorium, padella per friggere, o griglia), tormento dei giusti è la vita dei peccatori! Dice il salmo: “Moab è il vaso della mia speranza” (Sal 59,10). Moab s’interpreta “dal padre”, cioè coloro che vengono da quel padre che è il diavolo; essi sono “il vaso della speranza” perché anche gli empi vivono per i giusti, cioè per la loro utilità, per il loro vantaggio.
Erode dunque restò turbato. Erode s’interpreta “gloria della pelle”. Egli restò turbato perché era nato quel Re povero che dice: “Io non ricevo gloria dagli uomini” (Gv 5,41), e “Io non cerco la mia gloria (Gv 8,50). “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18,36). Erode, gloria della pelle, resta turbato, perché vede il suo splendore cambiarsi in negrezza, il suo lusso e la sua effeminatezza in ruvidezza, come dice Isaia: “Invece del profumo raffinato ci sarà il fetore, invece della cintura una corda, invece di una chioma ricciuta la calvi­zie, e invece della fascia pettorale il cilicio” (Is 3,24). E queste parole non hanno bisogno di commento perché nei penitenti si avverano alla lettera.
Vedi il sermone della domenica XIV dopo Pentecoste, seconda parte.
Leggiamo ancora nell’Esodo: “Ora tògliti i tuoi ornamenti e poi saprò che cosa dovrò farti” (Es 33,5). Per questo “La regina Ester cercò rifugio presso il Signore, sgomenta per il pericolo che sovrastava. Deposte le vesti regali, indossò vesti adatte al pianto e al lutto; e invece dei vari profumi si cosparse la testa di cenere e di immondi­zie; mortificò con digiuni il suo corpo, e con i capelli sconvolti si aggirava per le stanze nelle quali prima viveva in letizia” (Est 14,1-2).
Ester, nome che s’interpreta “nascosta”, raffigura l’anima penitente che si apparta dalla dissipazione del mondo e si rifugia nella solitudine dello spirito e talvol­ta anche del corpo; si rifugia presso il Signore, perché in nessuno se non in lui c’è rifugio dal pericolo del peccato, che sempre le è presente e la minaccia, e quindi ne ha paura. Si toglie le vesti della gloria, indossa gli indumenti della penitenza e, invece dei profumi dei vari piaceri, si cosparge il capo, cioè la mente, con la cenere della sua fragilità e con le immondizie della propria iniquità; insiste nei digiuni, e ripensa con angoscia a tutti i luoghi nei quali prima si divertiva. Questo è ciò che dice Gregorio della Maddalena: “Quanti erano stati i piaceri provati in se stessa, tanti furono i sacrifici (le espiazioni) che a se stessa impose”.

Omnes gentes plaudite manibus,
jubilate Deo in voce exultationis.

PRODIGI LEGATI AL TEMPO NATALIZIO. PER NON SCORDARLI RIPUBBLICHIAMO .

San Bonaventura: I prodigi della notte di Natale

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San Bonaventura è una delle figure più alte della Chiesa nell’epoca medioevale.

Nato nel 1217 a Bagnoregio (VT), entrò nel 1243 nell’ordine francescano, per conto del quale insegnò come maestro di teologia all’Università di Parigi. Nel 1257 il capitolo generale dei frati minori, riunito a Roma, lo elesse ministro generale, e come tale nel 1260 fu uno degli artefici delle prime costituzioni generali dell’ordine. Nel 1273 venne nominato cardinale e vescovo di Albano da Papa Gregorio X, che lo fece partecipare al Concilio ecumenico di Lione; ma proprio alla fine del Concilio, nel 1274, Bonaventura morì.
Canonizzato nel 1492, nel 1588 fu proclamato Dottore della Chiesa, e ricevette il titolo di Doctor Seraphicus per la luminosità della sua dottrina e per l’ardore del suo insegnamento. Oltre a scrivere numerose opere, il santo predicò celebri sermoni, fra i quali il Sermone XXI De nativitate Domini, pronunciato nella chiesa di Santa Maria della Porziuncola, che illustrava alcuni fatti miracolosi accaduti nel momento del Santo Natale.
Ne presentiamo qui sotto una traduzione dal testo originale latino.
«Questi, secondo diverse testimonianze, sono i miracoli manifestatisi al popolo peccatore il giorno della Natività di Cristo.
Primo – Una stella splendente apparve nel cielo verso Oriente, e dentro di essa si vedeva la figura di un bellissimo bambino sul cui capo rifulgeva una croce, per manifestare la nascita di Colui che veniva a illuminare il mondo con la sua dottrina, la sua vita e la sua morte.
Secondo – In Roma, a mezzo giorno, apparve sopra il Campidoglio un cerchio dorato attorno al sole – che fu visto dall’Imperatore e dalla Sibilla raffigurante al centro una Vergine bellissima che portava un Bambino, volendo così rivelare che Colui che stava nascendo era il Re del mondo che si manifestava come lo «splendore della gloria del Padre e la figura della sua stessa sostanza» (Ebrei 1,3).
Vedendo questo segnale, il prudente Imperatore (Augusto) offrì incenso al Bambino, e da allora rifiutò di essere chiamato dio.
Terzo – In Roma venne distrutto il “tempio della Pace”, sul quale, quando era stato costruito, i demoni si domandavano per quanto tempo sarebbe durato. Il vaticinio fu: «fino al momento in cui una vergine concepirà». Questo segnale rivelò che stava nascendo Colui che avrebbe distrutto gli edifici e le opere della vanità.
Quarto – Una fonte di olio di oliva sgorgò improvvisamente a Roma e fluì abbondantemente, per molto tempo, fino al Tevere, per dimostrare che stava nascendo la Fonte della pietà e della misericordia.
Quinto – Nella notte della Natività, le vigne di Engadda, che producevano balsamo e aromi, si coprirono di foglie e produssero nettare, per significare che stava nascendo Colui che avrebbe fatto fiorire, rinnovare, fruttificare spiritualmente e attirare con il suo profumo il mondo intero.
Sesto – Circa trentamila ribelli furono uccisi per ordine dell’Imperatore, per manifestare la nascita di Colui che avrebbe conquistato alla sua Fede il mondo intero e avrebbe precipitato i ribelli nell’inferno.
Settimo – Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò San Gerolamo commentando il salmo:«È nata una luce per il giusto», per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità.
Ottavo – Nella Giudea un animale parlò, e lo stesso fecero anche due buoi, affinché si comprendesse che stava nascendo Colui che avrebbe trasformato gli uomini bestiali in esseri razionali.
Nono – Nel momento in cui la Vergine partorì, tutti gli idoli dell’Egitto caddero in frantumi, realizzando il segno che il profeta Geremia aveva dato agli egiziani quando viveva tra loro, affinché si intendesse che stava nascendo Colui che era il vero Dio, l’unico che doveva essere adorato assieme al Padre e allo Spirito Santo.
Decimo – Nel momento in cui nacque il Bambino Gesù, e venne deposto nella mangiatoia, un bue e un asino si inginocchiarono e, come se fossero dotati di ragione, Lo adorarono, affinché si capisse che era nato Colui che chiamava al suo culto i giudei e i pagani.

Undicesimo -–Tutto il mondo godette della pace e si trovò nell’ordine, affinché fosse palese che stava nascendo Colui che avrebbe amato e promosso la pace universale e impresso il sigillo sui propri eletti per sempre.
Dodicesimo – In Oriente apparvero tre stelle che in breve si trasformarono in un unico astro, affinché fosse a tutti manifesto che stava per essere rivelata l’unità e trinità di Dio, e anche che la Divinità, l’Anima e il Corpo si sarebbero congiunti in una sola Persona.
Per tutti questi motivi la nostra anima deve benedire Dio e venerarlo, per averci liberato e per avere manifestato la sua maestà, con così grandi miracoli, a noi poveri peccatori».