venerdì 9 ottobre 2015

"MI RITENEVO CATTOLICA..." Relazioni falsate



"MI RITENEVO CATTOLICA..."

 In ciò consistette la mia apostasìa a Dio: elevare una creatura a mio idolo. In nessuna cosa
può avvenire questo, in modo che abbracci tutto, come nell'amore di una persona dell'altro
sesso, quando quest'amore rimane arenato nelle soddisfazioni terrene.
E’ questo che forma la sua attrattiva il suo stimolo e il suo veleno.

L"'adorazione", che io tributavo a me stessa nella persona di Max, divenne per me religione
vissuta.
Era il tempo in cui in ufficio mi scagliavo velenosa contro i chiesaioli, i preti, le indulgenze, il
biascichio dei rosari e simili sciocchezze. 

Tu hai cercato, più o meno argutamente, di prendere le difese di tali cose. Apparentemente,
senza sospettare che nel più intimo di me non si trattava, in verità, di queste cose, io cercavo
piuttosto un sostegno contro la mia coscienza allora avevo bisogno di un tale sostegno per
giustificare anche con la ragione la mia apostasìa.

In fondo in fondo, mi rivoltavo contro Dio. Tu non lo comprendesti; mi ritenevo ancora
cattolica. Volevo anzi essere chiamata così; pagavo perfino le tasse ecclesiastiche. Una certa
"contro-assicurazione", pensavo, non poteva nuocere.
Le tue risposte può darsi alle volte abbiano colpito nel segno. Su di me non facevano presa,
perché tu non dovevi avere ragione.
A causa di queste relazioni falsate fra noi due, fu meschino il dolore del nostro distacco,
allorché ci separammo in occasione del mio matrimonio.

Prima dello sposalizio mi confessai e comunicai ancora una volta. Era prescritto. lo e mio
marito su questo punto la pensavamo ugualmente. Perché non avremmo dovuto compiere
questa formalità? Anche noi la compimmo come le altre formalità.
Voi chiamate indegna una tale Comunione. Ebbene, dopo quella Comunione "indegna ", io ebbi
più calma nella coscienza. Del resto fu anche l'ultima.

La nostra vita coniugale trascorreva, in genere, quanto mai in grande armonia. Su tutti i punti
di vista noi eravamo dello stesso parere. Anche in questo: che non volevamo addossarci il peso
dei figli. Veramente mio marito ne avrebbe volentieri voluto uno; non di più, si capisce. Alla
fine io seppi distoglierlo anche da questo desiderio.
Vestiti, mobili di lusso, ritrovi da tè, gite e viaggi in auto e simili distrazioni mi importavano di
più.
Fu un anno di piacere sulla terra quello trascorso tra il mio sposalizio e la mia repentina morte.
Ogni domenica andavamo fuori in auto, oppure facevamo visite ai parenti di mio marito. Essi
galleggiavano alla superficie dell'esistenza, né più né meno di noi.

Internamente, si capisce, non mi sentii mai felice, per quanto esternamente ridessi. C'era
sempre dentro di me qualche cosa d'indeterminato, che mi rodeva. Avrei voluto che dopo la
morte, la quale naturalmente doveva essere ancora molto lontana, tutto fosse finito.
Ma è proprio così, come un giorno, da bambina, sentii dire in una predica: che Dio premia ogni
opera buona che uno compie e, quando non la potrà ricompensare nell'altra vita, lo farà sulla
terra.
Inaspettatamente ebbi un'eredità dalla zia Lotte. A mio marito riuscì felicemente di portare il
suo stipendio a una cifra notevole. Così potei sistemare la nuova abitazione in modo attraente.
La religione non mandava più che da lontano la sua voce, scialba, debole ed incerta.
I caffè della città, gli alberghi, in cui andavamo durante i viaggi, non ci portavano certamente a
Dio.

Tutti coloro che frequentavano quei luoghi, vivevano, come noi, dall'esterno all'interno, non
dall'interno all'esterno.

Se nei viaggi delle ferie visitavamo qualche chiesa, cercavamo di ricrearci nel contenuto
artistico delle opere. L'alito religioso che spiravano, specialmente quelle medioevali, sapevo 
neutralizzarlo col criticare qualche circostanza accessoria: un frate converso impacciato o
vestito in modo non pulito, che ci faceva da cicerone; lo scandalo che dei monaci, i quali
volevano passare per pii, vendessero liquori; l'eterno scampanio per le sacre funzioni, mentre
non si tratta che di far soldi... 

AVE MATER SALUTIS!

« HALTEN SIE SICH UNBEDINGT AN DIE LEHRE! »



« HALTEN SIE SICH UNBEDINGT 
AN DIE LEHRE! »

traduzione: 

« RIMANETE ASSOLUTAMENTE FERMI SULLA DOTTRINA! »

Papa Em. Benedetto XVI

San Giovanni Leonardi, Sacerdote

San Giovanni Leonardi Sacerdote
Diecimo, Lucca, 1541 - Roma, 9 ottobre 1609

Nato a Diecimo, nella lucchesia, nel 1541 Giovanni Leonardi a 26 anni fa il farmacista. Quando la prospera repubblica viene colpita da una grave crisi decide di soccorrere i poveri e l'esperienza lo porta a diventare prete nel 1572. Ama l'insegnamento, lo fa prima con i bambini e poi con gli adulti. Nel 1574 fonda la famiglia religiosa dei «Chierici regolari della madre di Dio» e diventa un protagonista della riforma cattolica. A Lucca cominciano a non amarlo e così, nel 1584 mentre si trova a Roma, viene bandito in perpetuo dalla sua città perché disturba l'ordine pubblico e manca di rispetto all'autorità costituita. A Roma, però, cresce il suo prestigio e Clemente VIII lo manda a riordinare congregazioni religiose e riformare monasteri. Muore a Roma nel 1609 e viene proclamato santo da Pio XI nel 1938. 
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: San Giovanni Leonardi, sacerdote, che a Lucca abbandonò la professione di farmacista da lui esercitata, per diventare sacerdote. Fondò, quindi, l’Ordine dei Chierici regolari, poi detto della Madre di Dio, per l’insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli, il rinnovamento della vita apostolica del clero e la diffusione della fede cristiana in tutto il mondo, e per esso dovette affrontare molte tribolazioni. Pose a Roma le fondamenta del Collegio di Propaganda Fide e morì in pace in questa città, sfinito dal peso delle sue fatiche. 



Nella Bolla della sua canonizzazione, san Giovanni Leonardi è definito uno dei maggiori apostoli del secolo della Riforma cattolica. Un impegno, il suo, che gli costò opposizioni, calunnie e persino la messa al bando dal suo paese natale, ma che non diminuì in alcun modo la sua azione profetica. Nato a Diecimo presso Lucca nel 1541, da una famiglia di modesti proprietari terrieri, fu mandato a Lucca per imparare l’arte dello speziale, come si chiamava allora il farmacista. Lì frequentò il gruppo dei cosiddetti “Colombini”, impegnati a vivere da autentici cristiani assistendo i poveri e i pellegrini. 

Avvertita la vocazione al sacerdozio, a 26 anni, su consiglio del suo direttore spirituale, abbandonò la professione di farmacista per iniziare gli studi ecclesiastici e nel 1571 celebrò la sua prima Messa. Da allora si dedicò alla predicazione, alla confessione e soprattutto all’insegnamento della dottrina cristiana secondo le norme emanate dal Concilio di Trento. Con l’aiuto di alcuni “Colombini” cominciò a riunire nella chiesa di S. Giovanni i ragazzi del rione per un tipo di catechesi che, per quei tempi, costituiva una novità e per questo spinse il vescovo a conferirgli l’incarico di insegnare la dottrina in tutte le chiese di Lucca: alle “lezioni” del santo accorrevano anche gli adulti, conquistati dal suo metodo. Dalla città questo apostolato si estese anche alle parrocchie vicine, promuovendo una confortante ripresa della vita cristiana in un ambiente caratterizzato, oltre che dalla decadenza dei costumi, dalla presenza di alcuni predicatori eretici.

Per dare continuità alla sua iniziativa, il Leonardi fondò una Compagnia della Dottrina Cristiana gestita da laici, con regolari statuti approvati dal vescovo, la quale si diffuse in altre città italiane come Pescia, Pistoia, Siena, Napoli e Roma. A Lucca, inoltre, egli si impegnò nella promozione della pratica delle Quarantore e della Comunione frequente. Un ulteriore passo si ebbe nel 1574, quando prese avvio la Confraternita dei preti Riformati, i cui membri avrebbero poi preso il nome di Chierici Regolari della Madre di Dio. A questo punto lo zelo del santo si scontrò con l’opposizione di gruppi comprendenti non solo eretici, ma anche sacerdoti e laici, che mal sopportavano la sua azione riformatrice e che costrinsero i membri della congregazione ad abbandonare la chiesa di S. Maria della Rosa per trasferirsi in quella di S. Maria Corteorlandini. 

Nel 1581 l’autorità diocesana riconobbe il nuovo Ordine, che due anni dopo tenne il suo primo Capitolo generale in cui il Leonardi fu eletto superiore generale. Egli partì per Roma per ottenere l’approvazione dello statuto che era stato approvato dal vescovo nel 1584, e durante la sua assenza si scatenò una furiosa campagna denigratoria contro di lui da parte dei magnati della città che, sobillati da alcuni sacerdoti ed eretici, emisero un decreto con cui lo bandivano in perpetuo come nemico della patria, con l’accusa di perturbare l’ordine pubblico e di non rispettare le autorità costituite. Un’inchiesta sollecitata dal santo per accertare le presunte colpe non ebbe esito, ma si continuò ugualmente a perseguitarlo. Persino alcuni membri della sua comunità entrarono in conflitto tra loro, ma egli comunque dimostrò sempre magnanimità e carità verso i suoi persecutori. A Roma, dove rimase in esilio per alcuni anni, si fece apprezzare dalla Curia per le sue qualità di sacerdote e per la coerenza della sua condotta. 

Entrò in amicizia con san Filippo Neri che lo presentò a papa Clemente VIII e questi nel 1582 lo incaricò di dirimere una delicata situazione creatasi nel santuario della Madonna dell’Arco, in diocesi di Nola, circa l’amministrazione delle offerte dei pellegrini. Condotta felicemente a termine questa missione, il Pontefice lo inviò come Visitatore apostolico alla congregazione di Montevergine, un insigne ramo dell’Ordine benedettino nell’avellinese, per promuoverne la riforma: egli durante cinque anni visitò tutti i monasteri personalmente, rendendosi conto dei disordini e degli abusi che avevano determinato lo scadimento di quella famiglia religiosa; soppresse i monasteri con meno di dodici membri e negli altri varò norme uniformi circa il vitto, il vestito e le suppellettili in ossequio al voto di povertà. Inoltre, eliminò le ingerenze laicali nella vita delle comunità monastiche, provvide alla nomina delle cariche e creò un noviziato pilota che servisse di esempio agli altri monasteri.

Il Papa gli ordinò di recarsi a Lucca per visitare i suoi discepoli, che egli esortò alla carità e all’osservanza delle Costituzioni. Analoghi compiti di riforma gli furono poi affidati tra i benedettini di Vallombrosa, dove il santo rimosse le cariche, corresse gli abusi, ai novizi ordinò la confessione e la comunione settimanali, e a tutti la meditazione e gli esercizi spirituali. Intanto a Roma gli veniva affidata la chiesa di S. Maria in Portico, dove introdusse subito il regolare insegnamento della dottrina cristiana; inoltre fu chiamato come direttore spirituale nel monastero delle Cappuccine di S. Urbano e in quello delle Oblate di Santa Francesca Romana. 

Fu anche mandato in visita alla comunità del Chierici regolari delle Scuole Pie (gli Scolopi), diventando amico del loro fondatore, san Giuseppe Calasanzio. Tra il 1607 e il 1608, con il prelato spagnolo G. Battista Vives e il gesuita Martin de Funes, progettò una congregazione di preti che avessero come scopo precipuo la propaganda cristiana tra gli infedeli: nacque così nel 1603 quello che poi sarebbe diventato il Collegio Urbano di Propaganda Fide, del quale il santo è considerato il cofondatore. In quello stesso anno il card. Baronio, collaboratore di san Filippo Neri, che era stato nominato Protettore della Congregazione, lo volle superiore generale della stessa, nonostante l’opposizione dei notabili lucchesi che non avevano cessato di essergli ostili perché ritenevano che il Leonardi sarebbe stato un inviato dell’Inquisizione che essi non volevano a Lucca.

Il santo visse i suoi ultimi anni a Roma, dove morì l’8 ottobre 1609. Dapprima sepolto in S. Maria in Portico, fu poi traslato nella chiesa di S. Maria in Campitelli, divenuta la sede generalizia dell’Ordine. Beatificato da Pio IX nel 1861, fu canonizzato da Pio XI il 17 aprile 1938. Di particolare interesse tra gli scritti del santo è il celebre Memoriale a Paolo V per la riforma generale di tutta la Chiesa: in esso l’autore rivolge al Pontefice un caldo invito a promuovere una serie di interventi quali, ad esempio, la celebrazione di sinodi nazionali, che consentano un’attenta diagnosi dei mali che travagliano la Chiesa; il potenziamento della catechesi dei fanciulli perché «fin dai primi anni siano educati nella purezza della fede cristiana e nei santi costumi»; il rinnovamento del clero che, a suo avviso, «è la necessaria premessa per la riforma anche dei laici». Un documento, come si vede, di evidente portata profetica.



Autore: Angelo Montonati

AVE MARIA!

mercoledì 7 ottobre 2015

Battaglia di Lepanto

Hoc est hora Mariae    . . .  Ave Domina !

7 Ottobre 2015 - 

444° Anniversario della Battaglia di Lepanto


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(Battaglia di Lepanto, Andrea Vicentino, Venezia, Palazzo Ducale) 













Non ci si poteva esimere dal ricordare ancora questa data, solitamente taciuta dai media, ma anche dalla Chiesa recente, tutta presa a scusarsi anche di essersi difesa: ha mutato la vita nel nostro Continente a quel tempo, e per i secoli a venire; e, insieme, ci lascia misurare con inquietudine quanto la situazione nelle nostre terre sia mutata oggi, e di segno opposto.

7 ottobre 1571: San Pio V, il Papa di Lepanto



Con indescrivibile tensione aveva Pio V tenuto gli occhi rivolti all’Oriente. I suoi pensieri erano continuamente presso la flotta cristiana, i suoi voti la precorrevano di molto. Giorno e notte egli in ardente preghiera la raccomandava alla protezione dell’Altissimo. Dopo che ebbe ricevuto notizia dell’arrivo di Don Juan a Messina, il papa raddoppiò le sue penitenze ed elemosine. Egli aveva ferma fiducia nella potenza della preghiera, specialmente del rosario.


In un concistoro del 27 agosto Pio V invitò i cardinali a digiunare un giorno la settimana ed a fare straordinarie elemosine, solo colla penitenza potendosi sperare misericordia da Dio in sì grande distretta. Sua Santità – così notificò ai 26 di settembre del 1571 l’ambasciatore spagnuolo – digiuna tre giorni la settimana e dedica quotidianamente molte ore alla preghiera: ha ordinato anche preghiere nelle chiese. Per assicurare Roma da un’improvvisa irruzione di corsari turchi, il papa al principio di settembre aveva comandato che si terminasse la fortificazione di Borgo. Soltanto molto rare arrivavano notizie sull’armata cristiana e pertanto alla Curia si stava in penosa incertezza. Fu quindi come una liberazione l’apprendere finalmente ai primi di ottobre l’arrivo della flotta della lega a Corfù.

Giunta ai 13 di ottobre la nuova che la flotta turca trovavasi a Lepanto e che quella della lega si sarebbe messa in movimento il 30 settembre, non v’aveva dubbio che il cozzo era imminente. Il papa, sebbene fermamente fiducioso della vittoria delle armi cristiane, ordinò tuttavia straordinarie preghiere diurne e notturne in tutti i monasteri di Roma: egli poi in simili esercizi andava avanti a tutti col migliore esempio. La sua preghiera doveva finalmente venire esaudita. Nella notte dal 21 al 22 ottobre arrivò un corriere mandato dal nunzio a Venezia Facchinetti e rimise al cardinal Rusticucci che dirigeva gli affari della segreteria di Stato una lettera del Facchinetti contenente la notizia portata a Venezia il 19 ottobre da Giofrè Giustiniani della grande vittoria ottenuta presso Lepanto sotto l’ottima direzione di Don Juan. Il cardinale fece tosto svegliare il papa, che prorompendo in lagrime di gioia pronunziò, le parole del vecchio Simeone:“nunc dimittis servum tuum in pace”. Si alzò subito per ringraziare Iddio in ginocchio e poi ritornò in letto, ma per la lieta eccitazione non potè trovar sonno.

La mattina seguente si recò a S. Pietro per nuova calda preghiera di ringraziamento, ricevendo poscia gli ambasciatori e cardinali ai quali disse che ora dovevansi fare nel prossimo anno gli sforzi estremi per continuare la guerra turca. In quest’occasione egli alludendo al nome di Don Juan ripetè le parole della Scrittura: “fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Ioannes”. (…) Tanto Colonna quanto il papa avevano chiara coscienza di quanto mancasse ancora per raggiungere la grande meta dell’abbattimento della potenza degli ottomani: ambedue erano così concordi sui passi da intraprendersi che Pio V associò il suo esperimentato ammiraglio ai cardinali deputati per gli affari della lega, che dal 10 dicembre tenevano quasi ogni giorno coi rappresentati di Spagna, Requesens e Pacheco, e cogli inviati di Venezia due sedute, spesso della durata di cinque ore.

Sotto pena di scomunica riservata al papa tutto era tenuto rigorosissimamente segreto, perchè il sultano aveva mandato a Roma degli spioni parlanti italiano. Nelle consulte ordinate dal papa nei mesi di ottobre e novembre era venuta in prima linea la provvista dei mezzi finanziarii; ora trattavasi principalmente dello scopo dell’impresa da compiersi nella prossima primavera. E qui solo malamente i rappresentanti sia di Spagna, sia di Venezia potevano nascondere la gelosia e avversione, che nutrivano a vicenda. Gli interessi particolari dei due alleati emersero sì fortemente che venne messa in forse qualsiasi azione comune. I veneziani volevano servirsi della lega non solo per riavere Cipro, ma anche per fare nuove conquiste in Levante. Filippo II, invece, avverso ad ogni rafforzamento della repubblica di S. Marco, fece dichiarare dal Requesens che la lega doveva in primo luogo muovere contro gli stati berbereschi dell’Africa, perchè questi tornassero in possesso della Spagna. In questa proposta i veneziani videro una trappola per impedirli dalla riconquista di Cipro ed esporli al pericolo di perdere anche Corfù mentre la loro flotta combatteva gli stati berbereschi pel re di Spagna. A Venezia ritenevasi ora sicuro che Filippo II volesse trarre il maggior utile possibile nel suo proprio interesse dalle forze della lega.

Non può dirsi con certezza quanto le lagnanze per ciò sollevate siano giustificate. Per giudicare rettamente il re di Spagna va in ogni modo tenuto conto del contegno della Francia, il cui governo fu abbastanza svergognato da proporre al sultano subito dopo la battaglia di Lepanto un’alleanza diretta contro la Spagna. Filippo II era perfettamente a giorno delle trattative che la Francia conduceva non solo col sultano, ma anche cogli ugonotti, i capi della rivoluzione neerlandese e con Elisabetta d’Inghilterra. In conseguenza egli doveva fare i conti con un contemporaneo attacco d’una coalizione franco-neerlandese-inglese-turca. Non fu pertanto solo gelosia verso Venezia quella che guidò il re cattolico. Del resto lo stesso Don Juan confessò ch’era contro il tenore del patto della lega rinunciare alla guerra contro il sultano a favore di un’impresa in Africa.

Di fronte al contrasto degli interessi spagnuoli e veneziani Pio V continuò a rappresentare la concezione più vasta e sommamente disinteressata: egli pensava alla liberazione di Gerusalemme, a cui doveva precedere la conquista di Costantinopoli. Ma, come scrisse Zúñiga all’Alba il 10 novembre 1571, un colpo efficace nel cuore della potenza ottomana era possibile soltanto in vista di un attacco contemporaneo e all’impensata per terra e per mare. Di qui i continuati sforzi di Pio V per arrivare a una coalizione europea contro i Turchi. Se a questo riguardo nulla era da sperarsi dalla Francia, che nel luglio aveva mandato un ambasciatore in Turchia, egli tuttavia sperava di guadagnare all’idea almeno altre potenze, prima di tutti l’imperatore, poi Polonia e Portogallo. A dispetto di tutti gli insuccessi finallora incontrati egli coi suoi legati e nunzi continuò a spingere sempre a questa meta.

Pio V cercava di utilizzare al possibile a questo riguardo il più leggero segno di buona volontà. Così prese occasione dalle frasi generiche, con cui Massimiliano II assicurò di essere disposto ad aiutare la causa cristiana, per dargli l’aspettativa da parte degli alleati di un aiuto di 20,000 uomini a piedi e di 2000 a cavallo. L’imperatore ringraziò ai 25 di gennaio del 1572 dell’offerta deplorando di non potere subito decidersi in un negozio di tale importanza. A Roma il duca di Urbino fece risaltare che c’era poco da sperare da Massimiliano ed anzi nulla dai principi tedeschi, specialmente dai protestanti. In un memoriale del papa del gennaio 1572 egli sostenne con buone ragioni l’idea che la guerra dovesse condursi là dove esercito e flotta potessero operare congiunte e dove «noi siamo padroni della situazione», quindi principalmente colla flotta in Levante. Se i Turchi venissero attaccati in Europa dall’imperatore e dalla Polonia, tanto meglio; ma la cosa principale è che si attacchi tosto, perchè chi semplicemente si difende non combatte; chi vuole conquistare deve andare avanti risoluto.

La lega quindi si volga contro Gallipoli aprendosi così lo stretto dei Dardanelli. Ma per tale impresa era incondizionatamente necessaria una intesa della Spagna con Venezia, mentre invece i loro rappresentanti da mesi altercavano a Roma nel modo più spiacevole. Quando finalmente i veneziani fecero la proposta, conforme alle clausole del patto della lega del maggio 1571, di far decidere dal papa i punti contestati, anche la Spagna non osò fare opposizione.

Decise Pio V che la guerra della lega dovesse continuarsi nel Levante, che nel marzo la flotta pontificia si riunisse con la spagnuola a Messina e s’incontrasse con la veneta a Corfù, donde le tre forze unite dovevano procedere secondo gli ordini dei loro ammiragli, che gli alleati aumentassero, potendolo, le loro galere fino a 250 e procurassero secondo la proporzione prescritta nel patto della lega 32,000 soldati e 500 cavalieri oltre alla corrispondente artiglieria e munizioni e che alla fine di giugno dovessero trovarsi riuniti a Otranto 11,000 soldati (1000 pontifici, 6000 spagnuoli e 4000 veneziani). Ognuno degli alleati doveva preparare vettovaglie per sette mesi. Queste convenzioni vennero sottoscritte il 10 febbraio 1572.

Il 16 Pio V ammonì il gran maestro dei Gerosolimitani di tenere pronte le sue galere a Messina. I preparativi nello Stato pontificio, pei quali il denaro venne procurato principalmente col Monte della Lega, furono spinti avanti sì alacremente che nello stesso giorno si potè inviare ad Otranto 1800 uomini. A Civitavecchia erano pronte tre galere ed altre là erano attese da Livorno. Il papa era tutto pieno del pensiero della crociata: egli viveva e movevasi nel progetto, di cui fin dal principio era stato da solo l’anima.

Per dieci anni, così si espresse Pio V col cardinale Santori, deve farsi guerra ai Turchi per mare e per terra. La bolla del giubileo, in data 12 marzo 1572, concedeva a tutti coloro, che prendevano essi stessi le armi o volevano equipaggiare un altro o contribuire con denaro, le stesse indulgenze che per il passato avevano acquistate i crociati; i beni di quelli, che partivano per la guerra, dovevano essere sotto la protezione della Chiesa nè potevano venire pregiudicati da chicchessia; tutte le loro liti dovevano sospendersi fino al loro ritorno o a che ne fosse accertata la morte ed essi dovevano restare esenti da ogni tributo.

Da una notizia del 15 marzo 1572 appare quanto la faccenda tenesse occupato il papa: in questa settimana si sono tenute in Vaticano niente meno che tre consulte in proposito. Per infervorare Don Juan, alla fine di marzo del 1572 gli vennero mandati come speciale distinzione lo stocco e il berretto benedetti a Natale. Con nuove speranze Pio V guardava al futuro: buona ventura gli risparmiò di vedere che la gloriosa vittoria di Lepanto rimanesse senza immediate conseguenze strategiche e politiche a causa della gelosia e dell’egoismo degli spagnuoli e veneziani, che dal febbraio 1572 disputarono sulle spese della spedizione dell’anno passato. Tanto più grandi furono però gli effetti mediati.

Quanto profondamente venisse scosso l’impero del sultano, risulta dal movimento che prese i suoi sudditi cristiani. Non era affatto ingiustificata la speranza d’una insurrezione di cui sarebbe stata la base la popolazione cristiana di Costantinopoli e Pera, che contava 40,000 uomini. Aggiungevasi la sensibile perdita della grande flotta, che d’un colpo era stata annientata con tutta l’artiglieria e l’equipaggio difficile a surrogarsi.

Se anche, in seguito della grandiosa organizzazione dell’impero e della straordinaria attività di Occhiali, si riuscì a creare un nuovo equivalente, l’avvenire doveva tuttavia insegnare che dalla battaglia di Lepanto data la lenta decadenza di tutta la forza navale di Turchia: era stato messo un termine al suo avanzare e l’incubo della sua invincibilità era stato per la prima volta distrutto. Ciò sentì istintivamente il mondo cristiano ora respirante più agevolmente. Di qui la letizia interminabile, che passò rumorosa per tutti i paesi. «Fu per noi tutti come un sogno», scrisse l’11 novembre 1571 a Don Juan da Madrid Luis de Alzamara; “credemmo di riconoscere l’immediato intervento di Dio”.

Le chiese de’ paesi cattolici risuonarono dell’inno di ringraziamento, il Te Deum. Primo fra tutti Pio V richiamò il pensiero al cielo: nelle medaglie commemorative, che fece coniare, egli pose le parole del salmista: “la destra del Signore ha fatto cose grandi; da Dio questo proviene”. Poichè la battaglia era stata guadagnata la prima domenica d’ottobre, in cui a Roma le confraternite del rosario facevano le loro processioni, Pio V considerò autrice della vittoria la potente interceditrice, la misericordiosa madre della cristianità e quindi ordinò che ogni anno nel giorno della battaglia si celebrasse una festa di ringraziamento come “commemorazione della nostra Donna della vittoria”.

Addì 1° aprile 1573 il suo successore Gregorio XIII stabilì che la festa venisse in seguito celebrata come festa del Rosario la prima domenica d’ottobre. In Ispagna e Italia, i paesi più minacciati dai Turchi, sorsero ben presto chiese e cappelle dedicate a Maria della Vittoria. Il senato veneto pose sotto la rappresentazione della battaglia nel palazzo dei dogi le parole: “nè potenza e armi nè duci, ma la Madonna del Rosario ci ha aiutato a vincere”. Molte città, come ad es. Genova, fecero dipingere la Madonna del Rosario sulle loro porte ed altre introdussero nelle loro armi l’immagine di Maria che sta sulla mezza luna.


Da Ludwig von Pastor, "Storia dei Papi. Dalla fine del medio evo", Desclée, Roma 1950, vol. 8, 1566-1572.
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Segnalazioni:
_Imola Oggi ricorda la giornata, citando l'art.661 c.p., sull’abuso della credulità popolare, a proposito dell'ideologia coatta pro immigrazione di massa. Previste manifestazioni davanti alle Prefetture. (al link, maggiori dettagli)

 lepanto


_Un articolo, trovato in maniera del tutto casuale, riporta un'intervista a uno studioso, dalle idee e storia personale assolutamente diverse da me, e dalla maggior parte dei lettori del sito, ma che arriva a conclusioni anche più nette delle nostre, basandosi sul principio di realtà.
Da Libero, Renaud Camus parla ormai apertamente di sostituzione di popoli, in un testo volutamente non tradotto in italiano dalla stampa sotto tutela.
Le Grand Remplacement, cioè la Grande Sostituzione. 
Spiega perché e soprattutto come si sta compiendo una sostituzione di popoli ai danni degli europei.
(per maggiori dettagli, cliccare sui links segnalati)

Il vero amore del prossimo è strappare le anime dall’inferno col sacrificio


... Adattamento della Dottrina a una vita facile



V: ...Guai (con voce seria), guai ai preti che non dicono cio che dovrebbero dire, che non
vivono più ciò che dovrebbero vivere e insegnano ai fedeli a seguire false vie. Sarebbe
meglio... sarebbe meglio che ciascuno di loro dicesse pubblicamente sul pulpito dinanzi a tutti i
fedeli: "Perdonatemi, ho peccato! Non sono sulla via della virtù! Pregate per me affinché mi
riprenda e di nuovo possa insegnarvi il buon modo di vivere nel senso più vivo".

Ecco quanto farebbe meglio a dire. Sarebbe un atto di umiltà e noi non avremmo più questo
potere su di loro, anche se una parte di gente li disprezzasse. Essa avrebbe malgrado tutto,
infine, nel più profondo di se stessa, un’alta stima per questo prete. Sarebbe, comunque, una
via migliore della via dell’ipocrisia e della perfidia (proferendo a stento le parole).
Ha un senso stare in piedi, avanti, celebrare la messa di fronte al popolo e dire: "Dio
perdonerà (respiro faticoso), andate da Lui. Egli vi comprende, andate dal Padre. Egli è il Padre
di Luce: se siete nelle tenebre, comprenderà e vi accoglierà di nuovo nella grazia e
nell’amore".

Tutti questi preti dimenticano che sono necessarie certe cose perché questo Padre di Luce
prenda di nuovo nelle sue braccia questi preti o questi fedeli che sono caduti. Certo, li prende
di nuovo, ma è necessario il pentimento e non solo è necessario il pentimento, perché la
riparazione fa anche parte del pentimento e della confessione. Se voglio migliorarmi, devo
prima estirpare queste vie che conducono al peccato e mi sono fatali.
Devo prima cominciare nel più intimo di me stesso, e solo dopo posso essere un modello per
gli altri, in tutta la profondità voluta. Si potrebbe dire in poche parole, predicare alla luce dello
Spirito Santo ciò che devo predicare, ciò che sono incaricato di predicare e che sarebbe dinanzi
a QUELLO DI LASSÙ... (gesto verso 1’alto)... (respiro faticoso).

Si parla solo dell’amore del prossimo ma non si parla più dell’amore di Dio
Si parla troppo dell’amore del prossimo e si dimentica che 1’amore del prossimo deriva solo dal
perfetto amore di Dio. Perché parlare sempre di amore del prossimo, di riconciliazione e di
reciproca comprensione se si dimentica il principale comandamento a questo proposito? Il
primo è il più grande comandamento è: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con
tutta la tua anima e con tutte le tue forze"...

Esorcista: Di la verità e solo la verità in nome di Gesù Cristo! 


V: (lamenti) ...e solo dopo viene "e il prossimo tuo come te stesso". Se questi preti, ognuno di
loro, facessero la pace con QUELLO DI LASSÙ (gesto verso 1’alto), il che dovrebbero peraltro
fare, se volessero amarLo, 1’amore del prossimo verrebbe da sé stesso e ne deriverebbe. È, è
una... Non voglio parlare!

E: Di la verità, Verdi Garandieu, in nome... per la gloria di Dio, in nome di Gesù Cristo, della
Santissima Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nient’altro che la verità e solo la
verità!

V: ...è una messinscena, completamente riuscita, della Massoneria il dire sempre: amore del
prossimo, vivere nella carità, riappacificarsi 1’un 1’altro, perdonarsi e sostenersi a vicenda. E
dove arrivano? Dove si arriva con questo sostegno e questa riconciliazione? Guardate la
quotazione dei suicidi!

Se questi uomini vedessero dov’e davvero il principale comandamento!
Certo, è detto nel primo e più grande comandamento: "E il prossimo tuo come te stesso", ma
ciò viene dopo: "Amerai il Signore Dio tuo". Non si può davvero chiamare amore quello che
questi preti vivono da anni, questi preti che non sono mai ancora vissuti cosi male come
adesso. Si deve cominciare soltanto qui. Si deve praticare di nuovo il principale comandamento
e le prime frasi totalmente, senza limiti.

E allora questo "il prossimo tuo come te stesso" sarà incluso da sé stesso. Tutti i
comandamenti in modo generale sono inclusi in questo principale comandamento. Se lo si
osservasse, non si sarebbe costretti a parlare sempre di carità, d’amore del prossimo, di
tentativi di riconciliazione e non so che cosa. Tutto questo sarebbe compreso nella sola visione
di un’erba o di un ramo verdi, ma nulla di simile accade. Si discute solo e si parla sempre di
assemblee ecclesiastiche e di conferenze episcopali.

Perfino al vertice, a Roma, non si fa che parlare, dibattere, discutere, esaminare, fare adottare
e ancora blaterare, sopprimere ancora qualcosa e lasciarla ancora passare, sicché infine sono
state soppresse e lasciate passare tante cose che cio non può assolutamente più durare,
dinanzi a LUI LASSÙ (gesto verso l’alto). Perché LUI LASSÙ non è soltanto misericordia, ma
è anche giustizia infinita quanto misericordia. Questo, io l’ ho visto, io (piangendo), io, Verdi,
Verdi. Ho dovuto farne 1’esperienza io stesso. Se avessi solo...

E: Garandieu, di la verità, solo la verità in nome di Gesù Cristo e della Santissima Vergine
Maria!

Il vero amore del prossimo è strappare le anime dall’inferno col sacrificio

V: ...se solo fossi vissuto meglio! Se avessi praticato la virtù! Se solo avessi pregato di più! Se
solo avessi fatto penitenza! Se solo avessi cercato di amarlo, LUI LASSÙ! se solo avessi detto:
"Io ti seguo in croce. Dammi croci per le mie pecore, per quanto posso sopportarle, affinché ti
segua". Tutto questo, ho dimenticato di dirlo. Tutto questo ho dimenticato di dirlo quando ho
smesso di volerlo dire! 

E anche la maggior parte dei preti d’oggi dimentica di parlare
dell’imitazione di Cristo, della via della Croce, e di dire che si deve fare penitenza ed espiare
per gli altri affinché non si perdano. Questo non è detto. Dovrebbero gridare dall’alto del
pulpito: "Voi laici, fate penitenza, sacrificatevi per gli altri quando vedete che affondano nel
fango del peccato". Sarebbe il più grande amore del prossimo. Ogni altro amore del prossimo
come: portare da mangiare, procurare vestiti, cercare case...

E: Di la verità e solo la verità, Garandieu! Di la verità in nome di Gesù Cristo!

V: ...tutto questo cade in rovina. Certo è necessario al sostentamento della vita, ma
normalmente è Dio stesso che lo da, soprattutto nel nostro tempo, e in Europa, dove la 
maggior parte della gente ha abbastanza da mangiare, e dove i salari e il tenore di vita sono
cosi alti che tutti se la cavano in qualche modo.

Non si deve vantare come la cosa essenziale che bisogna aiutarsi a vicenda e sostenersi e
assistersi, visitarsi reciprocamente e venire in aiuto gli uni gli altri. Certo bisogna aiutare chi e
nel bisogno, ma lo si mette troppo in rilievo, Si dovrebbe gridare dall’alto del pulpito: "Laici,
sacrificatevi per tale e tal’altra anima, perché è in pericolo di peccare. Pregate per lei,
accendete candele benedette. Fate il segno della croce su quest’anima".

I laici possono anche questo. Non hanno 1’alta potenza della benedizione del prete, ma fare un
segno di croce sugli altri, qualsiasi laico può farlo. Meglio è che prendano per farlo un
Crocifisso o il rosario e che gettino anche da lontano acqua benedetta su queste anime. Non è
esagerazione. Ogni laico può farlo. E questo porta inoltre certe benedizioni. Egli non deve dire:
"Sono potente, posso benedire" e che so ancora. Può farlo in silenzio, ma porta comunque sia
benedizioni, e noi giù (in inferno) dobbiamo ritirarci. Si dovrebbe predicare (con voce forte)...
Non voglio parlare.

E: In nome di Gesù Cristo, della Santissima Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
Verdi Garandieu, di la verità e solo la verità per la gloria di Dio!

V: Si dovrebbe predicare dall’alto del pulpito: "Voi uomini, che volete chiamarvi figli di Dio, che
venite nella nostra chiesa, prendete le cose sul serio, prendetele sul serio, fate penitenza e
sacrificatevi per il prossimo. Esso è in pericolo. Pregate gli uni per gli altri, per non perdervi,
per perseverare fino alla fine e seguire la via della virtù. Voi, laici, pregate il più possibile per i
preti e le personalità ecclesiastiche, affinché il Maligno non possa vincerli assalendoli, e
possano condurvi molto diritto, perché anche voi, preti, io non sono più, non sono più sulla
terra adesso, ma mi è rimasto il sacerdozio. E per questo devo soffrire terribilmente (respiro
faticoso)...

E: Parla, Garandieu, di la verità e solo la verità in nome di Gesù Cristo! 

Bisogna pregare e sacrificarsi per i preti

V: ...perché anche voi, preti, avete bisogno della preghiera. Per ogni prete sul pulpito, dove
dovete predicare, Giuda è già stato costretto a dirlo: sarebbe meglio predicare sul pulpito....
I preti non dovrebbero vergognarsi di dire ai laici: "Pregate, pregate anche per me, affinché vi
conduca sulla retta via. Pregate abitualmente per noi preti, perché noi siamo attaccati
dall’inferno più di quanto lo crediate. Pregate affinché perseveriamo fino all’ora della nostra
morte, e pregate per voi stessi, gli uni per gli altri, affinché seguiate la via della virtù fino alla
morte e non solo per qualche settimana o qualche anno o proprio in una cosa momentanea". È
una terribile malizia del destino, devo dirlo io, Verdi Garandieu...

E: Di la verità, Verdi Garandieu, solo la verità in nome di Gesù Cristo, della Santa Croce...

V: ...che vi sono tanti preti e tanti laici che seguono certo la via della virtù e sono stati buoni
preti e buoni laici finche, si potrebbe dire in un certo senso, siano avanzati e abbiano raggiunto
il punto di cui parla Gesù a proposito del grano: un seminatore usci per spargere la sua
semente.

Granelli caddero tra le spine e furono soffocati, e granelli spuntarono. Si credette che essi
fossero ben spuntati. Si potrebbe dire la stessa cosa di quelli che hanno seguito fino a quel
punto la via della virtù, ma quando vengono le tentazioni, e quando tutto il clero della Chiesa
strombazza loro: adesso si deve seguire tale e tal’altra via, adesso è valida 1’altra..., e non la
via di Dio. Ma essi non dicono la via di Dio, ma è in un certo senso la stessa cosa agli occhi del
Cielo, perché è la via sempre seguita che non è più valida oggi. Allora cadono nel dubbio. Al
momento della tentazione cadono... e venne il sole, li bruciò e seccarono. Questo vale oggi per 
migliaia e decine di migliaia di preti e di laici che non possono resistere. Essi non hanno potuto
praticare grandi virtù prima e perciò cadono e non sono forti quando si tratta di praticare
veramente la virtù di forza.

Pregare per ottenere la perseveranza 
...
Da: http://www.potenzadellacroce.net/contenuti/libri/trattato_sull_inferno.pdf  pg 55-57


AMDG et BVM