mercoledì 10 giugno 2015

PORTATE CON VOI IL SANTO ROSARIO OGNI GIORNO

PORTATE CON VOI 

IL SANTO ROSARIO 

OGNI GIORNO




PORTATE CON VOI IL SANTO ROSARIO OGNI GIORNO

Quando si porta con se’ un Rosario, Satana ha il mal di testa. 
Quando lo si usa, lui crolla. 
Quando vi vede pregare, lui perde forza. 

Preghiamo il Rosario ogni momento, in modo che inizi a perdere il proprio potere.

Sapevate inoltre che quando si sta per inoltrare questo messaggio, Satana cercherà di scoraggiarvi? Inoltratelo comunque e contribuite ad accelerare il trionfo di Maria, nostra Madre!

Inviatelo agli amici con cui preghate e state a vedere come opera lo Spirito Santo! C'è molto da guadagnare e assolutamente nulla da perdere!




LE QUINDICI PROMESSE DELLA MADONNA 
(Dal libro: De Rosario B. M. Virginis)

1. Coloro che mi serviranno con costanza recitando il Rosario riceveranno qualche grazia speciale.

2. A tutti quelli che reciteranno con devozione il mio Rosario prometto la mia protezione speciale e grandi grazie.

3. Il Rosario sarà un'arma potentissima contro l'inferno, eliminerà i vizi, libererà dal peccato, distruggerà le eresie.

4. Farà rifiorire le virtù e le opere sante, otterrà alle anime abbondantissime misericordie da Dio; trarrà i cuori degli uomini dal vano amore del mondo all'amore di Dio e li eleverà al desiderio delle cose eterne. Oh! quante anime si santificheranno con questo mezzo!

5. L'anima che si affida a me col Rosario non perirà.

6. Chiunque reciterà il Rosario con devozione con la meditazione dei misteri non sarà oppresso da disgrazie, non sperimenterà l'ira di Dio, non morirà di morte improvvisa, ma si convertirà se peccatore; se invece giusto, persevererà in grazia e sarà giudicato degno della vita eterna.

7. I veri devoti del mio Rosario non moriranno senza i Sacramenti.

8. Voglio che coloro che recitano il mio Rosario abbiano in vita e in morte la luce e la pienezza delle grazie; partecipino in vita e in morte dei meriti dei beati.

9. Libero ogni giorno dal purgatorio le anime devote del mio Rosario.

10. I veri figli del mio Rosario godranno di una grande gloria in cielo.

11. Qualunque cosa chiederai col Rosario la otterrai.

12. Soccorrerò in ogni loro necessità coloro che diffonderanno il mio Rosario.

13. Ho ottenuto da mio Figlio che gli iscritti alla Confraternita del Rosario possano avere per confratelli in vita e in morte tutti i santi del cielo.

14. Coloro che recitano il mio Rosario sono miei figli e fratelli di Gesù Cristo, mio unigenito.

15. La devozione al mio Rosario è un grande segno di predestinazione.





AVE MARIA PURISSIMA!

FEDE E CULTURA DI FRONTE AL MATRIMONIO





FEDE E CULTURA DI FRONTE AL MATRIMONIO

di Carlo Caffarra


Credo necessario fare una chiarificazione dei termini, così da poter indicare con rigore concettuale qual è esattamente il tema della mia riflessione.

Fede: intendo la "fides quae" circa il matrimonio. È sinonimo di “Vangelo del matrimonio” sia nel senso oggettivo: ciò che il Vangelo propone circa il matrimonio; sia nel senso soggettivo: il Vangelo, la buona notizia che è il matrimonio. È da sottolineare che non rifletterò sulla dottrina di fede circa il matrimonio considerata in sé per sé, ma in quanto è comunicata in un preciso ambito culturale, quello occidentale. In breve: rifletterò sulla comunicazione della proposta cristiana circa il matrimonio dentro alla cultura occidentale.

E passo al secondo termine: cultura. Con esso intendo la visione condivisa del matrimonio oggi in Occidente. Per visione intendo il modo di pensare il matrimonio, che soprattutto si esprime negli ordinamenti giuridici degli Stati e nelle dichiarazione degli organismi internazionali.

Ed entro in argomento, scandendo la mia riflessione in tre tempi.

Nel primo cercherò di disegnare uno schizzo della condizione culturale in cui oggi versa il matrimonio in Occidente.

Nel secondo cercherò di individuare i problemi fondamentali che questa condizione culturale pone alla proposta cristiana riguardante il matrimonio.

Nel terzo indicherò alcune modalità fondamentali con cui il Vangelo del matrimonio oggi deve proporsi.


1. Condizione del matrimonio


"Rari nantes in gurgite vasto". Il famoso verso di Virgilio fotografa perfettamente la condizione del matrimonio in Occidente. L’edificio del matrimonio non è stato distrutto; è stato decostruito, smontato prezzo per pezzo. Alla fine abbiamo tutti i pezzi, ma non c’è più l’edificio.

Esistono ancora tutte le categorie che costituiscono l’istituzione matrimoniale: coniugalità; paternità-maternità; filiazione-fraternità. Ma esse non hanno più un significato univoco.

Perché e come è potuta accadere questa decostruzione? Cominciando a scendere in profondità, constatiamo che è in opera una istituzionalizzazione del matrimonio che prescinde dalla determinazione biosessuale della persona. Diventa sempre più pensabile il matrimonio separandolo totalmente dalla sessualità propria di ciascuno dei due coniugi. Questa separazione è giunta perfino a coinvolgere anche la categoria della paternità-maternità.

La conseguenza più importante di questa debiologizzazione del matrimonio è la sua riduzione a mera emozione privata, senza una rilevanza pubblica fondamentale.

Il processo che ha portato alla separazione dell’istituto matrimoniale dall’identità sessuale dei coniugi, è stato lungo e complesso.


- Il primo momento è costituito dal modo di pensare il rapporto della persona col proprio corpo, un tema che ha sempre accompagnato il pensiero cristiano. Mi sia consentito descrivere come sono andate le cose attraverso una metafora.

Ci sono dei cibi che ingeriti possono essere metabolizzati senza creare problemi né immediati, né remoti; né causano indigestioni, né aumentano il colesterolo. Ci sono cibi che ingeriti sono di difficile digestione. Ci so no infine cibi che per l’organismo sono dannosi, anche a lungo termine.

Il pensiero cristiano ha ingerito la visione platonica e neoplatonica dell’uomo, ed una tale decisione ha creato gravi problemi di “metabolismo”. Come amavano esprimersi i teologi medievali, il vino della fede rischiava di trasformarsi nell’acqua di Platone, anziché l’acqua di Platone nel vino della fede.

Agostino vide molto chiaramente e profondamente che la difficoltà stava nella "humanitas-humilitas Verbi", nel suo essersi fatto carne, corpo.

La difficoltà propriamente teologica non poteva non divenire anche difficoltà antropologica riguardante precisamente i l rapporto persona-corpo. La grande tesi di san Tommaso che affermava l’unità sostanziale della persona non è risultata vincente.


- Secondo momento. La separazione del corpo dalla persona trova un nuovo impulso nella metodologia propria della scienza moderna, la quale bandisce dal suo oggetto di studio ogni riferimento alla soggettività, in quanto grandezza non misurabile. Il percorso della separazione del corpo dalla persona può dirsi sostanzialmente concluso: la riduzione, la trasformazione del corpo in puro oggetto.

Da una parte il dato biologico viene progressivamente espulso dalla definizione di matrimonio, dall’altra, e di conseguenza in ordine alla definizione di matrimonio, le categorie di una soggettività ridotta a pura emotività diventano centrali.

Mi fermo un poco su questo. Prima della svolta debiologizzante, in sostanza il “genoma” del matrimonio e famiglia era costituito dalla relazione fra due relazioni: la relazione di reciprocità (la coniugalità) e la relazione intergenerazionale (la genitorialità). Tutte e tre le relazioni erano intrapersonali: erano pensate come relazioni radicate nella persona. Esse non si riducevano certamente al dato biologico, ma il dato biologico veniva assunto ed integrato dentro la totalità della persona. Il corpo è un corpo-persona e la persona è una persona-corpo.

Ora la coniugalità può essere sia etero che omosessuale; la genitorialità può essere ottenuta da un procedimento tecnico. Come giustamente ha dimostrato Pier Paolo Donati, stiamo assistendo non ad un cambiamento morfologico, ma ad un cambiamento del genoma della famiglia e del matrimonio.


2. Problemi posti al Vangelo del matrimonio


In questo secondo punto vorrei individuare i problemi fondamentali che questa condizione culturale pone alla proposta cristiana del matrimonio.

Penso che non si tratti in primo luogo di un problema etico, di condotte umane. La condizione in cui versa oggi il matrimonio e la famiglia non può essere affrontata in primo luogo con esortazioni morali. È una questione radicalmente antropologica quella che viene posta all’annuncio del Vangelo del matrimonio. Vorrei ora precisare in che senso.


- La prima dimensione della questione antropologica è la seguente. È noto che secondo la dottrina cattolica il matrimonio sacramento coincide col matrimonio naturale . La coincidenza fra i due penso che non si possa più oggi mettere teologicamente in dubbio, anche se con e dopo Duns Scoto – il primo a negarla – si è lungamente discusso nella Chiesa latina al riguardo.

Ora ciò che la Chiesa intendeva ed intende per “matrimonio naturale” è stato demolito nella cultura contemporanea. È stata tolta la “materia”, mi sia consentito dire, al sacramento del matrimonio.

Giustamente teologi, canonisti, e pastori si stanno interrogando sul rapporto fede-sacramento del matrimonio. Ma esiste un problema più radicale. Chi chiede di sposarsi sacramentalmente, è capace di sposarsi naturalmente? Oppure: non la sua fede, ma la sua umanità è così devastata da non essere più in grado di sposarsi? Sono certamente da tenere presenti i canoni 1096 ("È necessario che i contraenti non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tra l'uomo e la donna, ordinata alla procreazione") e 1099. Tuttavia la "praesumptio iuris" del § 2 del canone 1096 ("Tale ignoranza non si presume dopo la pubertà") non deve essere un’occasione di disimpegno nei confronti della condizione spirituale in cui molti versano in ordine al matrimonio naturale.


- La questione antropologica ha una seconda dimensione. Essa consiste nell’incapacità di percepire la verità e quindi la preziosità della sessualità umana. Mi sembra che Agostino abbia descritto nel modo più preciso questa condizione: "Sommerso ed accecato come ero, non ero capace di pensare alla luce della verità e ad una bellezza che meritasse di essere amata per se stessa che non fosse visibile agli occhi della carne, ma nell’interiorità" (Confessioni VI 16, 26).

La Chiesa deve chiedersi perché ha di fatto ignorato il magistero di san Giovanni Paolo II sulla sessualità e l’amore umano. Dobbiamo chiederci anche: la Chiesa possiede una grande scuola in cui impara la profonda verità del corpo-persona: la liturgia. Come e perché non ha saputo farne tesoro anche in ordine alla domanda antropologica di cui stiamo parlando? Fino a che punto la Chiesa ha coscienza del fatto che la teoria del "gender" è un vero tsunami, che non ha di mira principalmente il comportamento degli individui, ma la distruzione totale del matrimonio e della famiglia?

In sintesi: il secondo problema fondamentale che si pone oggi alla proposta cristiana del matrimonio è la ricostruzione di una teologia e filosofia del corpo e della sessualità, che generino un nuovo impegno educativo in tutta la Chiesa.


- La questione antropologica posta dalla condizione in cui versa il matrimonio alla proposta cristiana dello stesso ha una terza dimensione: la più grave.

Il collasso della ragione nella sua tensione verso la verità di cui parla l'enciclica "Fides et ratio" (81-83) ha trascinato con sé anche la volontà e la libertà della persona. L’impoverimento della ragione ha generato l’impoverimento della libertà. In conseguenza del fatto che disperiamo della nostra capacità di conoscere una verità totale e definitiva, noi abbiamo difficoltà a credere che la persona umana possa realmente donare se stessa in modo totale e definitivo, e ricevere l’autodonazione totale e definitiva di un altro.

L’annuncio del Vangelo del matrimonio ha a che fare con una persona la cui volontà e libertà è privata dalla sua consistenza ontologica. Nasce da questa inconsistenza l’incapacità oggi della persona di pensare l’indissolubilità del matrimonio se non in termini di una legge "exterius data": una grandezza inversamente proporzionale alla grandezza della libertà. È questa una questione molto seria anche nella Chiesa.

Il passaggio negli ordinamenti giuridici civili dal divorzio per colpa al divorzio per consenso, istituzionalizza la condizione in cui oggi versa la persona nell’esercizio della sua libertà.


- Con quest'ultima constatazione siamo entrati nella quarta ed ultima dimensione della questione antropologica posta all’annuncio del Vangelo del matrimonio: la logica interna propria de gli ordinamenti giuridici degli Stati riguardo a matrimonio e famiglia. Non tanto il "quid juris", ma il "quid jus", direbbe Kant. Sulla questione in generale, Benedetto XVI ha espresso il magistero della Chiesa in uno dei suoi discorsi fondamentali, quello tenuto davanti al parlamento della repubblica federale tedesca a Berlino il 22 settembre 2011.

Gli ordinamenti giuridici sono andati progressivamente sradicando il diritto di famiglia dalla natura della persona umana. È una sorta di tirannia dell’artificialità che si va imponendo, riducendo la legittimità alla procedura.

Ho parlato di “tirannia dell’artificialità”. Prendiamo il caso del la attribuzione della coniugalità alla convivenza omosessuale. Mentre gli ordinamenti giuridici, fino ad ora, partendo dal presupposto della naturale capacità di contrarre matrimonio fra uomo e donna, si limitavano a determinare gli impedimenti all’esercizio di questa naturale capacità o la forma in cui doveva esercitarsi, le leggi attuali di equiparazione si attribuiscono l’autorità di creare la capacità di esercitare il diritto di sposarsi. La legge si arroga l’autorità di rendere artificialmente possibile ciò che naturalmente non lo è.

Sarebbe un grave errore il pensare – e agire di conseguenza – che il matrimonio civile non interessi il Vangelo del matrimonio, al quale interesserebbe solo il sacramento del matrimonio. Abbandonare il matrimonio civile alle derive delle società liberali.


3. Modalità dell’annuncio 


Vorrei ora in questo terzo ed ultimo punto indicare alcune modalità in cui la proposta cristiana del matrimonio non deve essere fatta, ed alcune modalità in cui può essere fatta.

Vi sono tre modalità che vanno evitate.

La modalità tradizionalista, la quale confonde una particolare forma di essere famiglia con la famiglia ed il matrimonio come tale.

La modalità catacombale, la quale sceglie di ritornare o rimanere nelle catacombe. Concretamente: bastano le virtù “private degli sposi”; è meglio lasciare che il matrimonio, dal punto di vista istituzionale, sia definito da ciò che la società liberale decide.

La modalità buonista, la quale ritiene che la cultura di cui ho parlato sopra sia un processo storico inarrestabile. Propone di venire, quindi, a compromessi con esso, salvando ciò che in esso sembra essere riconoscibile come buono.

Non ho ora il tempo per riflettere più a lungo su ciascuna di queste tre modalità, e passo quindi all’indicazione di alcune modalità positive.

Parto da una constatazione. La ricostruzione della visione cristiana del matrimonio nella coscienza dei singoli e nella cultura dell’Occidente è da pensarsi come un processo lungo e difficile. Quando una pandemia si abbatte su un popolo, la prima urgenza è sicuramente curare chi è stato colpito, ma è anche necessario eliminare le cause.

La prima necessità è la riscoperta delle evidenze originarie riguardanti il matrimonio e la famiglia. Togliere dagli occhi del cuore la cataratta delle ideologie, le quali ci impediscono di vedere la realtà. È la pedagogia socratico-agostiniana del maestro interiore, non semplicemente del consenso. Cioè: recuperare quel “conosci te stesso” che ha accompagnato il cammino spirituale dell’Occidente.

Le evidenze originarie sono inscritte nella stessa natura della persona umana. La verità del matrimonio non è una "lex exterius data", ma una "veritas indita".

La seconda necessità è la riscoperta della coincidenza del matrimonio naturale col matrimonio-sacramento. La separazione fra i due finisce da una parte col pensare la sacramentalità come qualcosa di aggiunto, di estrinseco, e dall’altra parte rischia di abbandonare l’istituto matrimoniale a quella tirannia dell’artificiale di cui parlavo.

La terza necessità è la ripresa della “teologia del corpo” presente nel magistero del Beato Giovanni Paolo II. Il pedagogo cristiano si trova oggi ad aver bisogno di un lavoro teologico e filosofico che non può più essere rimandato, o limitato ad una particolare istituzione.

Ho indicato tre processi più che tre interventi di urgenza.

Sono anch’io, alla fine, del parere di George Weigel che alla base delle discussioni del sinodo è il rapporto che la Chiesa vuole avere con la postmodernità, nella quale i relitti della decostruzione del matrimonio sono la realtà più drammatica ed inequivocabile.

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Nel citare George Weigel, il cardinale Caffarra si è riferito in particolare al seguente saggio, pubblicato lo scorso gennaio su "First Things":

> Between Two Synods. An Analysis of the Challenge of This Particular Catholic Moment

> Traduzione italiana

"Ciò che Dio ha unito, l’uomo non separi"

Diavolo d'un occidente

Anticipazione fogliante. Esce in Francia un gran libro del cardinale prefetto del Culto divino. Parole chiare su gender, aborto, eutanasia, relativismo. La crisi della postmodernità occidentale vista dalla battagliera chiesa d’Africa
di Robert Sarah 
Il cardinale Robert Sarah
Nella mia vita, Dio ha fatto tutto; da parte mia non ho voluto che pregare. Sono sicuro che il rosso del mio cardinalato è veramente il riflesso del sangue della sofferenza dei missionari che sono venuti fino al fondo dell’Africa per evangelizzare il mio villaggio.

La perversa ideologia del gender

E’ a ragione che Benedetto XVI sottolinea che “l’identità europea si manifesta nel matrimonio e nella famiglia. Il matrimonio monogamico, come struttura fondamentale della relazione tra uomo e donna e al tempo stesso come cellula nella formazione della comunità statale, è stato forgiato a partire dalla fede biblica”. Al contrario, ci sono tentativi ripetuti per impiantare una nuova cultura che nega l’eredità cristiana. In certi paesi africani sono stati creati ministeri dedicati alla teoria del gender in cambio di aiuti economici! Alcuni governi africani, per fortuna minoritari, hanno già ceduto alle pressioni in favore dell’accesso generale ai diritti sessuali e riproduttivi. Constatiamo con grande sofferenza che la salute riproduttiva è divenuta una “norma” politica mondiale, contenente ciò che l’occidente ha di più perverso da offrire al resto del mondo in cerca di sviluppo integrale. Come possono, certi capi di stato occidentali, esercitare una tale pressione sui loro omologhi in paesi spesso fragili? L’ideologia del gender è diventata la condizione perversa per la cooperazione e lo sviluppo.

In occidente, persone omosessuali chiedono che la loro vita comune sia giuridicamente riconosciuta per essere assimilata al matrimonio; dando eco alle loro rivendicazioni, alcune organizzazioni esercitano forti pressioni affinché questo modello sia così riconosciuto dai governi africani in nome del rispetto dei diritti umani. In questo caso preciso, a mio giudizio, usciamo dalla storia morale dell’umanità. In altri casi, ho potuto constatare l’esistenza di programmi internazionali che impongono l’aborto e la sterilizzazione delle donne. Queste politiche sono tanto più ripugnanti in quanto la gran parte delle popolazioni africane è senza difesa, alla mercé di ideologi occidentali fanatici. (…) La Santa Sede deve giocare il proprio ruolo. Noi non possiamo accettare la propaganda e i gruppi di pressione delle lobby lgbt – lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Il processo è tanto più inquietante perché rapido e recente. Perché questa volontà forsennata di imporre la teoria del gender? Una visione antropologica sconosciuta fino a pochi anni fa, frutto dello stavagante pensiero di qualche sociologo e di qualche scrittore, come Michel Foucault, sarebbe il nuovo eldorado mondiale? Non è possibile rimanere inteneriti davanti a una tale prepotenza, immorale e demoniaca. PF ha ragione a criticare l’azione del demonio che opera per minare le fondamenta della civilizzazione cristiana. Dietro alla nuova visione prometeica dell’Africa o dell’Asia, c’è il segno del diavolo. I primi nemici delle persone omosessuali sono le lobby lgbt. E’ un grave errore ridurre un individuo ai suoi comportamenti, soprattutto sessuali. (…)


Dignità della donna non è sì all’aborto

E’ stata dichiarata una guerra contro la vita, con mezzi finanziari giganteschi. Come è concepibile che tanti bambini senza difesa siano eliminati nel seno della loro madre con il pretesto di un diritto della donna alla libertà del suo corpo? La dignità della donna è una nobile e grande sfida, ma non passa dalla morte dei nascituri. Giovanni Paolo II aveva compreso che intenzioni generose nascondevano un vero programma di lotta contro la vita. In Africa, quando vedo le somme faraoniche promesse dalla Fondazione Bill e Melinda Gates indirizzate ad aumentare esponenzialmente l’accesso alla contraccezione per le ragazze non sposate e alle donne, aprendo così la via all’aborto, non posso che ribellarmi di fronte a una volontà di morte.

Quali sono le motivazioni nascoste di queste campagne di grande portata che hanno come esito decine di migliaia di morti? C’è una ben studiata pianificazione per eliminare i poveri in Africa e altrove? Dio e la storia un giorno ce lo diranno.


L’eutanasia come idolo della postmodernità

Oggi, l’eutanasia è diventata la nuova battaglia ideologica della postmodernità occidentale. Quando una persona sembra aver finito il suo percorso di vita su questa terra, con il pretesto di alleviare le sue sofferenze certe organizzazioni sostengono che è meglio darle la morte!   In Belgio, questo diritto – che diritto non è – è stato appena esteso ai minori! Con la scusa di aiutare un bambino che soffre, è possibile dargli freddamente la morte. I sostenitori dell’eutanasia vogliono ignorare che le cure palliative sono oggi perfettamente adattate a coloro che non hanno più speranza di guarigione; la morte fredda e brutale è diventata l’unica risposta. L’eutanasia è diventata il marcatore più evidente di una società senza Dio, infraumana, che ha perduto la speranza. Rimango stupefatto nel vedere fino a che punto chi propaga questa cultura si ammanta di una buona coscienza, dandosi l’aura facile di eroi di una nuova umanità. Per una sorta di strana inversione dei ruoli, gli uomini che lottano per la vita diventano mostri da abbattere, barbari d’altri tempi che rifiutano il progresso. Con l’aiuto dei media, i lupi fanno credere di essere generosi agnelli a fianco dei più deboli! Ma il piano dei promotori dell’aborto, dell’eutanasia e di tutti gli attentati alla dignità umana è sempre più pericoloso.

Se non usciamo dalla cultura di morte, l’umanità va verso la perdizione. In questo inizio di Terzo millennio, la distruzione della vita non è più barbarie ma progresso della civiltà; la legge prende a pretesto il diritto alla libertà individuale per dare all’uomo la libertà di uccidere il suo prossimo. Il mondo potrebbe diventare un vero inferno. Non si tratta più di decadenza, ma di una dittatura dell’orrore, di un genocidio programmato di cui sono responsabili le potenze occidentali. Questo accanimento contro la vita rappresenta una nuova tappa, determinante, nell’accanimento contro il piano di Dio. Tuttavia, durante i miei viaggi, assisto a un risveglio delle coscienze. I giovani cristiani dell’America del nord vanno sempre più al fronte per respingere la cultura di morte. Dio non si è addormentato, Egli è davvero con coloro che difendono la vita! (…)


L’occidente ha tradito le sue radici

Oggi l’occidente vive come se Dio non esistesse. Come hanno potuto, paesi di antiche tradizioni cristiane e spirituali, tradire le loro radici fino a questo punto? Le conseguenze appaiono talmente drammatiche da rendere indispensabile comprendere l’origine di questo fenomeno.

L’occidente ha deciso di prendere le distanze dalla fede cristiana sotto l’influenza dei filosofi dei Lumi e delle correnti politiche che ne sono derivate. Se esistono comunità cristiane tuttora vivaci e in missione, la gran parte delle popolazioni occidentali non vede più in Gesù che una forma di idea, ma non un avvenimento, e ancor meno una persona che gli apostoli e numerosi testimoni del Vangelo hanno incontrato, amato e alla quale hanno consacrato tutta la loro vita.

L’allontanamento da Dio non è il prodotto di un ragionamento ma di una volontà di distaccarsi da Lui. L’orientamento ateo di una vita è quasi sempre un’opzione della volontà. L’uomo non vuole più riflettere sul suo rapporto con Dio perché vuole diventare egli stesso Dio. Il suo modello è Prometeo, personaggio mitologico della razza dei Titani che rubò il fuoco sacro per darlo agli uomini; l’uomo è entrato in una logica di appropriazione di Dio, non più di adorazione. Prima del movimento detto “dei Lumi”, quando l’uomo ha tentato di prendere il posto di Dio, di essere a Lui uguale o di eliminarlo, si trattava di fenomeni individuali minoritari. 

L’ateismo trova la propria principale origine nell’individualismo esacerbato dell’uomo europeo. L’individuo-re, che aspira sempre più a una forma di autonomia o di indipendenza assoluta, tende all’oblio di Dio. Sul piano morale, questa ricerca della libertà assoluta implica progressivamente un rigetto senza distinzioni delle regole e dei princìpi etici. L’universo individualista diventa centrato unicamente sulla persona che non ammette più alcuna costrizione. Da questo punto di vista, Dio è considerato come colui che crea ostacoli per imprigionare la nostra volontà imponendo leggi; Dio diventa il nemico dell’autonomia e della libertà. Pretendendosi totalmente libero, l’uomo rifiuta ciò che considera una costrizione e arriva anche a respingere qualsiasi forma di dipendenza nei confronti di Dio. Egli rifiuta l’autorità di Dio che tuttavia ci ha creato liberi affinché, attraverso l’esercizio responsabile della nostra libertà, potessimo superare i nostri impulsi selvaggi e padroneggiare tutto ciò che di istintivo è in noi, assumendo pienamente la responsabilità della nostra esistenza e della nostra crescita.

L’ateismo rappresenta così una volontà di ignorare la ragione che ci rapporterebbe al nostro Creatore, vera luce che dovrebbe illuminarci, orientarci e mostrarci il cammino della vita. In questa logica, certi filosofi non parlano più di Dio come di un Padre ma come di un architetto dell’universo. Il rifiuto di Dio si colloca in un movimento di conquista scientifica e tecnica che connota l’Europa dalla fine del XVIII secolo. L’uomo vuole dominare la natura e prendersi la propria indipendenza. La tecnica gli dà l’impressione di essere padrone del mondo. Diventa dunque il solo reggente di uno spazio senza Dio. La scienza non dovrebbe peraltro allontanare l’uomo da Dio. Al contrario, dovrebbe avvicinare l’uomo all’amore divino. Certo, il grande mistero del male può spingere alcuni verso il dubbio e l’ateismo. Infatti, se Dio è nostro Padre, come può permettere che tanti innocenti soffrano? E’ superfluo insistere sulla quantità insondabile dei mali da cui è afflitta l’umanità. In Africa abbiamo, purtroppo, pagato un pesante tributo alle guerre, alle carestie, alle epidemie. Nel Pontificio consiglio Cor Unum, sono stato testimone di tante sofferenze che cerchiamo di lenire con mezzi ridicoli rispetto all’ampiezza delle necessità. (…)


Dio è diventato un’ipotesi superflua

Nel mondo postmoderno, Dio è diventato un’ipotesi superflua, sempre più allontanata dalle diverse sfere della vita. Penso che gli uomini che vogliono conservare la presenza di Dio nella loro esistenza debbano essere coscienti delle sottigliezze che possono tanto facilmente condurre verso l’ateismo pratico e lo svuotamento della fede; essi potrebbero diventare, come i pagani di un tempo, quegli uomini “senza speranza e senza Dio nel mondo”, descritti da san Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2, 12). Oggi, non possiamo non essere coscienti del modo in cui Dio è sistematicamente respinto nell’oscurità; anestetizzati, gli uomini salgono su una barca che li conduce sempre più lontani dal Cielo. (…)

Vorrei citare un passaggio dell’omelia del 18 aprile 2005 nella Missa pro eligendo Romano Pontifice. Il cardinale Joseph Ratzinger dichiarava allora: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. E’ lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. E’ quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede – solo la fede – che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come ‘un cembalo che tintinna’ (1 Cor 13, 1)”. Oggi, il relativismo appare come l’asse filosofico delle democrazie occidentali che rifiutano di considerare come la verità cristiana possa essere superiore a ogni altra. In modo perfettamente consapevole, esse negano la frase di Cristo: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giov 14,6). In un sistema relativista, tutte le vie sono possibili, come frammenti multipli di una marcia del progresso. Il bene comune sarebbe il frutto di un dialogo continuo di tutti, un incontro di differenti opinioni private, una fraterna torre di Babele dove ciascuno possiede un pezzetto della verità. Il relativismo moderno arriva a pretendere di essere l’incarnazione della libertà. In questo senso, quest’ultima diventa l’obbligo aggressivo di credere che non esiste alcuna verità superiore; in questo nuovo Eden, se l’uomo rifiuta la verità rivelata da Cristo, diventa libero. Il vivere insieme prende la forma di un orizzonte ineludibile, in cui ogni individuo può disporre della propria visione morale, filosofica e religiosa. Di conseguenza, il relativismo spinge l’uomo a crearsi la propria religione, popolata di molteplici divinità, più o meno patetiche, che nascono e muoiono a seconda delle pulsioni, in un mondo che non può non richiamare le antiche religioni pagane.

In queste catene totalitarie, la Chiesa perde il suo carattere assoluto; i suoi dogmi, i suoi insegnamenti e i suoi sacramenti sono praticamente proibiti o ridimensionati nel loro rigore e nella loro necessità. La Sposa del Figlio di Dio è marginalizzata, in un disprezzo che genera cristianofobia, perché rappresenta un ostacolo permanente. La Chiesa diventa una tra le altre, e l’obiettivo finale del relativismo filosofico resta la sua morte per progressiva diluizione; i relativisti attendono con impazienza questo grande avvenimento, e con loro il principe del mondo. Essi lavorano all’avvento del regno delle tenebre.

Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger, come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, avevano colto l’importanza del mortifero pericolo delle teorie relativiste. La dichiarazione “Dominus Iesus” è in gran parte una risposta al relativismo. (…)


 La mondanità spirituale

Ci possono essere nella chiesa, specialmente nel suo governo, persone che si lasciano andare a comportamenti e abitudini mondane. La mondanità spirituale si nasconde dietro apparenze religiose e spirituali, ma non è altro che una vera negazione di Cristo. Il Figlio di Dio è venuto a dare agli uomini la salvezza, e non un po’ di effimera felicità in salotti rivestiti di bei velluti cremisi. Chi cerca il benessere materiale, il comfort mondano o la propria gloria, lavora per il diavolo, non per l’opera di Cristo. Chi usa il suo sacerdozio per vivere meglio i piaceri di questa terra è un rinnegato. Chi dimentica che il vero potere viene solo da Dio, contravviene alle promesse della sua ordinazione. In molti casi la mondanità spirituale non è lontana dal cadere in una forma di pelagianismo. Il mondano conta sulle proprie forze, lasciando da parte il vero potere della grazia. Infatti, la mondanità è il nemico più perverso dello spirito missionario.


La battaglia in vista del Sinodo

Ho molto rispetto per il cardinale Reinhard Marx. Ma la sua affermazione (“la ricerca di un accompagnamento teologicamente responsabile e pastoralmente appropriato dei credenti divorziati o divorziati e risposati civilmente  appare ovunque tra le sfide urgenti della pastorale familiare e coniugale nel contesto dell’evangelizzazione”, ndt) mi sembra l’espressione di una pura ideologia che si vuole imporre a marce forzate a tutta la chiesa. Secondo la mia esperienza, in particolare come segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, la questione dei “credenti divorziati o divorziati e risposati civilmente” non è una sfida urgente per le chiese d’Africa e d’Asia. Al contrario, si tratta dell’ossessione di certe chiese occidentali che vogliono imporre soluzioni cosidette “teologicamente responsabili e pastoralmente appropriate”, che contraddicono radicalmente l’insegnamento di Gesù e del magistero della chiesa. (…)

La verità del Vangelo deve sempre essere vissuta nel difficile crogiolo dell’impegno di piena vita sociale, economica e culturale. Di fronte alla crisi morale, in particolare a quella del matrimonio e della famiglia, la Chiesa può contribuire alla ricerca di soluzioni giuste e costruttive, ma non ha altra possibilità che parteciparvi riferendosi in modo vigoroso a ciò che la fede in Gesù Cristo apporta di proprio e di unico all’impresa umana. In questo senso, non è possibile immaginare una qualsiasi distorsione tra il magistero e la pastorale. L’idea che consisterebbe nel piazzare il magistero in un bello scrigno separandolo dalla pratica pastorale, la quale potrebbe evolvere a seconda delle circostanze, delle mode e delle passioni, è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica.  Affermo dunque solennemente che la chiesa d’Africa si opporrà fermamente a ogni ribellione contro l’insegnamento di Gesù e del magistero.

Se posso permettermi un richiamo storico, nel IV secolo la chiesa d’Africa e il concilio di Cartagine hanno decretato il celibato sacerdotale. Poi, nel XVI secolo, quello stesso concilio africano costituisce la base sulla quale Papa Pio IV farà affidamento per  fronteggiare le pressioni dei principi tedeschi, che gli chiedevano di autorizzare il matrimonio dei sacerdoti. Anche oggi, la chiesa d’Africa si impegna in nome del Signore Gesù a mantenere invariato l’insegnamento di Dio e della chiesa sull’indissolubilità del matrimonio: ciò che Dio ha unito, l’uomo non separi.


«DIEU OU RIEN» du Cardinal Robert Sarah avec Nicolas Diat © Librairie Arthème Fayard, 2015
(Traduzione di Nicoletta Tiliacos)