giovedì 12 marzo 2015

Va preparata nella preghiera




ARTICOLI SUL MAGISTERO DELLA CHIESA

Una confessione come Dio comanda!



Proseguendo con l’analisi dei canoni sulla penitenza, troviamo importantissime considerazioni sulla contrizione e l’accusa dei peccati, che per la loro straordinaria importanza è bene riportare nuovamente per esteso prima di commentare.

5. Se qualcuno dirà che quella contrizione, che si ottiene con l’esame, il raccoglimento, e la detestazione dei peccati - per cui uno, ripensando alla propria vita nell’amarezza della sua anima, riflettendo alla gravità, alla moltitudine, alla bruttezza dei suoi peccati, alla perdita della beatitudine eterna e all’essere incorso nella eterna dannazione, col proposito di una vita migliore - non è un dolore vero ed utile, che non prepara alla grazia, ma che rende l’uomo ipocrita e ancor piú peccatore e che, finalmente, essa è un dolore imposto, non libero e volontario, sia anatema.

7. Se qualcuno dirà che nel sacramento della penitenza non è necessario per disposizione divina confessare tutti e singoli i peccati mortali, di cui si abbia la consapevolezza dopo debita e diligente riflessione, anche occulti, e commessi contro i due ultimi precetti del decalogo ed anche le circostanze che mutassero la specie del peccato; o dire che la confessione è utile soltanto ad istruire e consolare il penitente, e che un tempo fu osservata solo per imporre la penitenza canonica; o che quelli che si studiano di confessare tutti i peccati, non intendono lasciar nulla alla divina misericordia, perché lo perdoni; o, finalmente, che non è lecito confessare i peccati veniali, sia anatema.

8. Se qualcuno dirà che la confessione di tutti i peccati, come prescrive la Chiesa cattolica, è
impossibile, e che si tratta di una tradizione umana, che i buoni devono abolire, o che ad essa non sono tenuti, una volta all’anno, tutti e singoli i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, secondo la costituzione del grande Concilio Lateranense e che, perciò, bisogna persuadere i fedeli che non si confessino in tempo di quaresima, sia anatema.
La contrizione è il dolore derivante dalla detestazione dei propri peccati unita al fermo proposito di mai più peccare. La causa specifica del perdono dei peccati da parte di Dio si ha proprio quando tale disposizione interiore è reale e sincera. Quando si sono commessi gravi peccati, questa contrizione va eccitata e provocata con la meditazione: “ripensare alla propria vita nell’amarezza della propria anima, riflettendo sulla gravità, moltitudine e bruttezza dei suoi peccati e sul fatto che essi hanno fatto perdere la grazia”. Si tratta di un vero e proprio esercizio interiore, molto doloroso ma anche assai fruttuoso e, lo si ripeta,necessario per avere la divina misericordia. Quante confessioni fatte, da questo punto di vista, con grossolana superficialità, senza un vero e sincero dolore, senza pentimento, o cercando di minimizzare, dissimulare o addirittura giustificare le proprie colpe per non sentire il salutare peso della contrizione. Altro che “rendere l’uomo ipocrita o dolore imposto”! Questo esercizio rende l’uomo consapevole di quanto ha combinato e deve essere affrontato con la maturità e la libertà di chi vuole sinceramente fare i conti con se stesso e agire di conseguenza. Prima di chiedere perdono a Dio, bisogna dunque essere sinceramente pentiti. 
Altro elemento costitutivo e fondamentale è la confessione. Si devono confessare tutti e singoli i peccati mortali, chiamandoli per nome e definendo chiaramente la specie, evidenziando eventuali circostanze aggravanti o che ne mutino la specie e cercando di fornire un numero quanto meno verosimile di tutte le colpe commesse (ciascuna secondo la propria specie). Il Concilio specifica, ammonendo i fedeli, che possono essere peccati mortali anche i peccati occulti di pensiero (i desideri impuri consentiti e i desideri dei beni altrui consentiti) e vanno anch’essi confessati con le stesse regole. Non vorrei fare esempi troppo dettagliati, ma - per esempio - un pensiero impuro su persona sposata è più grave che se fatto su una persona libera; un pensiero impuro fatto su una persona consacrata è ancora più grave; su un familiare anche. E così via. Questo per capire di cosa si parla quando si dice “circostanze che mutassero la specie del peccato”: un desiderio consentito avente come oggetto una persona libera è pensiero di fornicazione; se la persona sposata è di adulterio; se familiare è di incesto; se consacrata è di profanazione. Per ciò che concerne il numero, quando non si ricorda il numero esatto, basta dare l’ordine di grandezza: la frequenza con cui si sono commesse le colpe e per quanto tempo; si può dire “qualche volta”, “abbastanza”, “molte volte”, “moltissime volte”, “quotidianamente”, etc. L’esperienza insegna che se si vuole si può e chi desidera fare una buona confessione riesce benissimo anche a dare l’ordine di grandezza del numero dei peccati, che a detta di Sant’Alfonso M. de’ Liguori causa la nullità di moltissime confessioni, rendendole sacrileghe (su ciò concordo, peraltro, pienamente con il santo Dottore). Si ricordi, infine, che la confessione dei peccati veniali non è obbligatoria né soggetta alla regola del “numero, specie e circostanze”. Tuttavia non solo è lecita, ma anche “caldamente raccomandata” (così nel nuovo rituale della penitenza), così come confessare le imperfezioni volontarie e involontarie e, se si vuole, perfino le tentazioni. Una confessione di un figlio di Dio realmente convertitosi dovrebbe essere sempre di questo “secondo tipo”…
Notare anche i corollari e le specificazioni fatte nel testo contro i negatori di questa dolorosa verità, che costituisce requisito di validità del sacramento. C’è chi dice che la confessione dovrebbe servire solo a consolare le anime e non a torturarle, chi obietta che non serve fare “liste della spesa” tanto Dio già li conosce tutti i nostri peccati, che se uno fa così offende la divina misericordia perché dubita che Dio perdoni anche i peccati non confessati, etc. Penso che tutti i lettori abbiano sentito almeno qualche volta sciocchezze di questo genere. A testimonianza che il cuore dell’uomo, pur a 450 anni di distanza, rimane sempre lo stesso. A molti piacerebbe che le cose stessero così, forse anche a chi scrive. Ma così non è!

Nessuno poi osi pensare che una tale confessione è impossibile! Una confessione “come Dio comanda” non può certamente essere improvvisata e va preparata nella preghiera, nel silenzio e nella meditazione, con l’ausilio da buoni schemi per l’esame di coscienza e animati dalla fermissima risoluzione di cambiare vita. Richiede il coraggio e la maturità di assumersi le proprie responsabilità e la mortificazione del dolore interiore (consumato nella contrizione) ed esteriore (causato dalla vergogna di mettersi a nudo davanti al ministro di Dio). Ciò non deve del resto stupire: questo sacramento non si chiama “penitenza”? Vuol dire che già celebrarlo come si deve è grande opera penitenziale! Necessaria. Indispensabile. Obbligatoria. Da farsi (con la cura sopra evidenziata) almeno una volta l’anno. Non per tradizione umana. Ma per tradizione divina e cattolica. Sanzionata da due Concili. 

mercoledì 11 marzo 2015

"Pulzella" di Lorena



 Sorprendenti e varie sono le vie della provvidenza!


Dio volle liberare gli ebrei dal giogo degli egizi, e spinse Mosè a presentarsi dinanzi all'orgoglioso faraone. Mosè fece miracoli per provare la sua missione divina, lanciò piaghe sull'Egitto e ostentò il potere divino, aprendo dinanzi a sé le acque del Mar Rosso e in esse seppellendo per sempre gli eserciti nemici.

Dio volle salvare la Francia dal dominio inglese nel Medioevo, e invece di far nascere tra i figli di questa nazione un grande generale, chiamò per realizzare la sua opera una fanciulla, innocente pastorella della Lorena.
All'improvviso, un paese sconfitto e decadente, fatto a pezzi dall'ambizione, governato da un principe debole ed esitante, risuscita nel sentire la convocazione di Giovanna. La sua verginale voce dona forza ai deboli, coraggio ai codardi e fede ai non credenti. La sua innocenza infonde terrore ai nemici, restaura la purezza dei dissoluti. Il suo nome è un urlo di guerra. La sua figura uno stendardo immacolato.



Nella sua breve vita conobbe gli splendori della gloria e le umiliazioni della più vile persecuzione: quella della calunnia - l'ultima risorsa degli invidiosi, un'arma perfida degli infami, che risparmia il corpo e ferisce l'onore.
Condannata a morte come strega, ridotta alle ceneri dal fuoco, la sua innocenza trionfò negli altari per sempre: Santa Giovanna d'Arco. Sentiamo il nostro fondatore proclamare la grandezza della verginale "Pulzella" di Lorena:

Nel tempo in cui la Francia feudale, la Francia dell'eroismo e dei cavalieri, si trovava sotto il giogo conquistatore dell'Inghilterra, una pastorella fu chiamata da Dio in un villaggio molto umile, il cui nome suona come il rintocco delle campane: Domrémy.
Fin da molto giovane Giovanna coltivava l'abitudine di pregare e di trovarsi da sola nei campi, portando a pascolare il gregge dei suoi genitori. Un giorno ascoltò delle voci misteriose che finirono per identificarsi come le voci di San Michele e di due sante. Queste voci la esortarono a presentarsi al re di Francia e a comuicargli che Dio la inviava con lo scopo di annunciargli il Suo aiuto per espellere gli inglesi dal territorio francese.

Quella vergine incantevole decise allora di partire e di presentarsi al sovrano. Appena arrivò alla corte le successe un bellissimo fatto, che venne a provare l'autenticità della sua missione. In un epoca come quella, in cui non vi era nè stampa né televisione, esisteva soltanto una maniera di conoscere il volto del re: quella di guardarlo direttamente. Chi non lo avesse mai visto non sarebbe stato capace di identificarlo, attraverso la sua fisionomia, in mezzo a tante persone. Il giorno in cui il re Carlo VII accondiscese ad ascoltare Santa Giovanna d'Arco si vestì come un semplice nobile, e dall'affollato salone delle udienze si ritirò verso un luogo appartato, inviando un altro verso la postazione centrale, vestito come se fosse il monarca.

Santa Giovanna d'Arco entrò, guardò tutti, e senza indugiare si incamminò verso colui che si nascondeva in un angolo dicendogli: "O Re, io vengo a parlarvi!"
Nel colloquio che seguì, Carlo VII mise in difficoltà la giovane pastorella, tuttavia lei superò tutte le prove. Convinto della sua missione, il monarca la mise, fragile e debole, a capo di uno degli eserciti più forti dell'Europa. E lei, nella sua fragilità verginale e incantevole, lo comandò e respinse gli inglesi quasi completamente fuori dalla Francia.

Una volta, Santa Giovanna d'Arco si rivolse a Carlo VII e gli disse che voleva da lui un inestimabile regalo, e chiese se il monarca era disposto a farlielo. Lui disse di sì. Lei allora, affermò che voleva il Regno di Francia! Sorpreso e forzato il re accondiscese.
Santa Giovanna d'Arco immediatamente fece chiamare un quattro notai e stilò un contratto tramite cui riceveva da Carlo VII la Francia, spogliando il sovrano, a proprio vantaggio, di tutti i diritti sul Regno. Dopo che il re ebbe firmato il documento, Santa Giovanna d'Arco ne fece stilare un altro, tramite cui lei, in nome di Dio, riconsegnava al monarca il Regno di Francia!

In Carlo VII, che non era stato ancora incoronato, la regalità si trovava abbastanza viva per non morire, ma abbastanza morta per non rivivere. In realtà, si trovava sul punto di perire e quasi disturbava il corso della Storia. Santa Giovanna d'Arco chiese la sua rinuncia e restaurò in lui - per mandato divino - ciò che stava morendo, dando al regno di Francia una nuova vita.

Era una pastorella chiamata a splendere nella corte di un re. Era una vergine chiamata a vivere in un campo militare, in cui, purtroppo tante e tante volte il linguaggio è impuro, e la presenza delle donne dissolute si fa notare. Lei vi splendette come un cero di purissima cera in piena notte.

La sua verginità aveva qualcosa di immacolatamente argentato, aveva lo sfolgorio dell'argento. Furono così grandi le vittorie di Santa Giovanna d'Arco che ancor prima che gli inglesi fossero al di fuori del territorio francese, sorsero delle condizioni propizie all'incoronazione di Carlo VII nella cattedrale di Reims.

Lei condusse fin lì Carlo VII e lui fu incoronato in mezzo a una gloria indicibile. Santa Giovanna d'Arco assistette alla cerimonia nel posto d'onore, portando il suo stendardo azzurro e bianco in cui vi erano ricamati i nomi di Gesù e Maria.
Dato che lei aveva sempre avuto nemici tra i francesi, uno di essi le chiese:
- Cosa ci fa il tuo stendardo? È uno stendardo per la guerra, non per le feste!
E lei rispose:
- Esso è stato con me nell'ora della lotta e della fatica, è naturale che sia con me nell'ora della gloria!
Dopo l'incoronazione di Carlo VII, restava ancora una parte della Francia da riconquistare.
Nella battaglia di Compiège, il tradimento immondo come la vipera si arrotolò intorno all'eroica pastorella. I borgognoni, vassalli che si erano ribellati contro il re di Francia la arrestarono, e in cambio di soldi la consegnarono agli inglesi.

Le voci che lei aveva sentito sembrava le avessero promesso che sarebbe morta soltanto quando il potere inglese fosse sconfitto in Francia. E lei sperava tanto di salvare quel nobile paese che arrivò a saltare giù da una torre in cui si trovava prigioniera, per fuggire e continuare a lottare. Nei suoi insondabili disegni Dio non fece il miracolo di aiutarla, e neppure le voci la aiutarono, e lei fu arrestata nuovamente!
Gli inglesi si misero d'accordo con un vescovo francese, espulso da poco dalla propria diocesi grazie al suo sostegno all'invasore straniero, e accusarono Santa Giovanna d'Arco di stregoneria. Dicevano che le sue vittorie erano frutto di un patto con il demonio.
Nel corso del processo lei si difese come una leonessa. Le sue risposte alle domande dei giudici erano caste come una corazza e affilate come la lama di una spada. Tuttavia, contro ogni aspettativa, fu condannata dal tribunale dell'Inquisizione al rogo, come una vile strega!

Dio, che era stato così presente in tutti i suoi combattimenti, adesso era assente. Nel mattino della sua morte la vestirono con una tunica infamante e la condussero su di un carretto, in piedi e con le mani legate alla schiena, come se fosse una malvivente, verso il luogo del supplizio. Il popolo gremiva le strade per cui lei passava, e sul cammino un araldo leggeva la sentenza, tutta fatta di infami e false accuse.

Continuando il tragitto, il carretto arrivò alla piazza in cui era preparato il rogo. Santa Giovanna D'Arco scese e camminò verso di essa. Si può immaginare la perplessità che le invadeva l'anima: "Ma, allora, quelle voci non erano vere? Quelle voci avrebbero mentito? Dio mio, la mia vita sarà stata un inganno? É l'Inquisizione che mi condanna! È un tribunale ecclesiastico, guidato da un vescovo, composto da teologi e da uomini di legge....Mi sarò sbagliata o mio Dio?!"
Il rogo venne acceso. Non passò molto tempo e la suppliziata cominciò a sentir crescere i dolori della morte. In un certo momento le parve di aver avuto una visione, la sentirono gridare all'interno delle fiamme: "Le voci non mentirono! Le voci non mentirono!"
Il fuoco avvolse il suo corpo, lei morì con tutti i dolori di colui che è bruciato vivo, però ripetè fino all'ultimo momento: "Le voci non mentirono! Le voci non mentirono!" Sembrava volesse dire: "Vi è un mistero, ma io muoio felice perché faccio la volontà di Dio!"

Il mistero si spiegò a lei: le voci non avevano mentito.
L'impeto dato da Santa Govanna d'Arco nell'offensiva contro gli invasori inglesi era stato così grande che essi non osarono resistere all'esercito francese. Poco dopo il sacrificio dell'eroina, cadde il potere inglese in Francia. Lei morì senza poter vedere la caduta del muro. Tuttavia, le voci non avevano mentito. Circa 120 anni dopo, Calais, l'ultima città inglese in Francia, cadde e si concluse la riconquista del territorio francese.
L'Inghilterra, durante questo periodo, divenne protestante e Calais diventò una città eretica: era l'unghia dell'eresia conficcata nel suolo benedetto della Francia. Ma le voci non mentirono e l'opera di Santa Giovanna d'Arco giunse a termine.


Per Dio non esiste fretta. Lui è eterno. Sono trascorsi più di trecento anni.... Soltanto nel 1908 volle l'Altissimo che San Pio X, in una cerimonia magnifica, in mezzo a gioiosi rintocchi di campane, canonizzasse la vergine guerriera di Domrémy. Il trionfo della santa pastorella coperta da un'armatura costituiva ancora uno sfulgorio che la Chiesa emetteva dal suo interno.
Il nome di Santa Giovanna d'Arco rimarrà come una saga, un mito, un poema, fino alla fine del mondo: la vergine eroica e debole, che scacciò gli inglesi dal dolce Regno di Francia e che realizzò così la volontà di Nostra Signora, Regina del Cielo e della terra. (Mons. João Clá Dias, EP)
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Il valore delle devote immagini


Il valore delle devote immagini
3. *
Un romito nel monte Oliveto teneva nella sua cella una devota immagine di Maria, avanti alla quale faceva molte orazioni. 

Il demonio, non potendo soffrire tanta devozione alla Ss. Vergine, lo tormentava continuamente con tentazioni disoneste; in modo che il povero vecchio romito, non vedendosene libero, con tutte le orazioni e mortificazioni che faceva, un giorno disse al nemico: E che t'ho fatto io, che non mi lasci vivere? 

Allora gli apparve il demonio e gli rispose: È più il tormento che tu dai a me, ch'io do a te. Orsù, poi gli soggiunse, giurami il segreto, ch'io ti dirò quello che hai da lasciar di fare, ed io non ti darò più molestia. Il romito fece il giuramento ed allora il demonio gli disse: Voglio che non ti volti più a quell'immagine che tieni in cella. 
Il romito confuso andò a consigliarsene coll'abate Teodoro, il quale gli disse che  non era tenuto al giuramento, e che si guardasse bene di lasciare di raccomandarsi a Maria in quell'immagine come prima faceva. 
Ubbidì il romito e 'l demonio restò scornato e vinto. 
(Bonif., Hist. Virg., c. 6).


AMDG et BVM

martedì 10 marzo 2015

Dono a Maria


2. *
Un giovane nobile viaggiando per mare si pose a leggere un libro osceno, a cui portava molto affetto. Un religioso gli disse: Orsù, doneresti una cosa alla Madonna? Rispose di sì. Or via, quello soggiunse, vorrei che per amor della S. Vergine lacerassi cotesto libro e lo buttassi in mare. 
Eccolo, Padre, disse il giovane. No, voglio che voi stesso fate questo dono a Maria. Lo fece, e la Madre di Dio appena ch'egli ritornò in Genova sua patria, gl'infiammò il cuore in tal modo che si andò a far religioso (Ann. Mar. 1605).



* Esempio 2. -AURIEMMA, Affetti scambievoli, parte 2, cap. 7. Bologna, 1681, II, pag. 131. - IO. NADASI, Annales Mariani Societatis Iesu, Romae, 1658: n. 404, anno 1605, pag. 225-227. Quel giovine, nobile Genovese, si fece Carmelitano.