ARTICOLI SUL MAGISTERO DELLA CHIESA
Una confessione come Dio comanda!
Proseguendo con l’analisi dei canoni sulla penitenza, troviamo importantissime considerazioni sulla contrizione e l’accusa dei peccati, che per la loro straordinaria importanza è bene riportare nuovamente per esteso prima di commentare.
5. Se qualcuno dirà che quella contrizione, che si ottiene con l’esame, il raccoglimento, e la detestazione dei peccati - per cui uno, ripensando alla propria vita nell’amarezza della sua anima, riflettendo alla gravità, alla moltitudine, alla bruttezza dei suoi peccati, alla perdita della beatitudine eterna e all’essere incorso nella eterna dannazione, col proposito di una vita migliore - non è un dolore vero ed utile, che non prepara alla grazia, ma che rende l’uomo ipocrita e ancor piú peccatore e che, finalmente, essa è un dolore imposto, non libero e volontario, sia anatema.
7. Se qualcuno dirà che nel sacramento della penitenza non è necessario per disposizione divina confessare tutti e singoli i peccati mortali, di cui si abbia la consapevolezza dopo debita e diligente riflessione, anche occulti, e commessi contro i due ultimi precetti del decalogo ed anche le circostanze che mutassero la specie del peccato; o dire che la confessione è utile soltanto ad istruire e consolare il penitente, e che un tempo fu osservata solo per imporre la penitenza canonica; o che quelli che si studiano di confessare tutti i peccati, non intendono lasciar nulla alla divina misericordia, perché lo perdoni; o, finalmente, che non è lecito confessare i peccati veniali, sia anatema.
8. Se qualcuno dirà che la confessione di tutti i peccati, come prescrive la Chiesa cattolica, è
impossibile, e che si tratta di una tradizione umana, che i buoni devono abolire, o che ad essa non sono tenuti, una volta all’anno, tutti e singoli i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, secondo la costituzione del grande Concilio Lateranense e che, perciò, bisogna persuadere i fedeli che non si confessino in tempo di quaresima, sia anatema.
La contrizione è il dolore derivante dalla detestazione dei propri peccati unita al fermo proposito di mai più peccare. La causa specifica del perdono dei peccati da parte di Dio si ha proprio quando tale disposizione interiore è reale e sincera. Quando si sono commessi gravi peccati, questa contrizione va eccitata e provocata con la meditazione: “ripensare alla propria vita nell’amarezza della propria anima, riflettendo sulla gravità, moltitudine e bruttezza dei suoi peccati e sul fatto che essi hanno fatto perdere la grazia”. Si tratta di un vero e proprio esercizio interiore, molto doloroso ma anche assai fruttuoso e, lo si ripeta,necessario per avere la divina misericordia. Quante confessioni fatte, da questo punto di vista, con grossolana superficialità, senza un vero e sincero dolore, senza pentimento, o cercando di minimizzare, dissimulare o addirittura giustificare le proprie colpe per non sentire il salutare peso della contrizione. Altro che “rendere l’uomo ipocrita o dolore imposto”! Questo esercizio rende l’uomo consapevole di quanto ha combinato e deve essere affrontato con la maturità e la libertà di chi vuole sinceramente fare i conti con se stesso e agire di conseguenza. Prima di chiedere perdono a Dio, bisogna dunque essere sinceramente pentiti.
Altro elemento costitutivo e fondamentale è la confessione. Si devono confessare tutti e singoli i peccati mortali, chiamandoli per nome e definendo chiaramente la specie, evidenziando eventuali circostanze aggravanti o che ne mutino la specie e cercando di fornire un numero quanto meno verosimile di tutte le colpe commesse (ciascuna secondo la propria specie). Il Concilio specifica, ammonendo i fedeli, che possono essere peccati mortali anche i peccati occulti di pensiero (i desideri impuri consentiti e i desideri dei beni altrui consentiti) e vanno anch’essi confessati con le stesse regole. Non vorrei fare esempi troppo dettagliati, ma - per esempio - un pensiero impuro su persona sposata è più grave che se fatto su una persona libera; un pensiero impuro fatto su una persona consacrata è ancora più grave; su un familiare anche. E così via. Questo per capire di cosa si parla quando si dice “circostanze che mutassero la specie del peccato”: un desiderio consentito avente come oggetto una persona libera è pensiero di fornicazione; se la persona sposata è di adulterio; se familiare è di incesto; se consacrata è di profanazione. Per ciò che concerne il numero, quando non si ricorda il numero esatto, basta dare l’ordine di grandezza: la frequenza con cui si sono commesse le colpe e per quanto tempo; si può dire “qualche volta”, “abbastanza”, “molte volte”, “moltissime volte”, “quotidianamente”, etc. L’esperienza insegna che se si vuole si può e chi desidera fare una buona confessione riesce benissimo anche a dare l’ordine di grandezza del numero dei peccati, che a detta di Sant’Alfonso M. de’ Liguori causa la nullità di moltissime confessioni, rendendole sacrileghe (su ciò concordo, peraltro, pienamente con il santo Dottore). Si ricordi, infine, che la confessione dei peccati veniali non è obbligatoria né soggetta alla regola del “numero, specie e circostanze”. Tuttavia non solo è lecita, ma anche “caldamente raccomandata” (così nel nuovo rituale della penitenza), così come confessare le imperfezioni volontarie e involontarie e, se si vuole, perfino le tentazioni. Una confessione di un figlio di Dio realmente convertitosi dovrebbe essere sempre di questo “secondo tipo”…
Notare anche i corollari e le specificazioni fatte nel testo contro i negatori di questa dolorosa verità, che costituisce requisito di validità del sacramento. C’è chi dice che la confessione dovrebbe servire solo a consolare le anime e non a torturarle, chi obietta che non serve fare “liste della spesa” tanto Dio già li conosce tutti i nostri peccati, che se uno fa così offende la divina misericordia perché dubita che Dio perdoni anche i peccati non confessati, etc. Penso che tutti i lettori abbiano sentito almeno qualche volta sciocchezze di questo genere. A testimonianza che il cuore dell’uomo, pur a 450 anni di distanza, rimane sempre lo stesso. A molti piacerebbe che le cose stessero così, forse anche a chi scrive. Ma così non è!
Nessuno poi osi pensare che una tale confessione è impossibile! Una confessione “come Dio comanda” non può certamente essere improvvisata e va preparata nella preghiera, nel silenzio e nella meditazione, con l’ausilio da buoni schemi per l’esame di coscienza e animati dalla fermissima risoluzione di cambiare vita. Richiede il coraggio e la maturità di assumersi le proprie responsabilità e la mortificazione del dolore interiore (consumato nella contrizione) ed esteriore (causato dalla vergogna di mettersi a nudo davanti al ministro di Dio). Ciò non deve del resto stupire: questo sacramento non si chiama “penitenza”? Vuol dire che già celebrarlo come si deve è grande opera penitenziale! Necessaria. Indispensabile. Obbligatoria. Da farsi (con la cura sopra evidenziata) almeno una volta l’anno. Non per tradizione umana. Ma per tradizione divina e cattolica. Sanzionata da due Concili.