domenica 7 dicembre 2014

OMAGGIO DEL SANTO PADRE Papa Benedetto XVI ALL’IMMACOLATA A PIAZZA DI SPAGNA

OMAGGIO DEL SANTO PADRE Papa Benedetto XVI ALL’IMMACOLATA A PIAZZA DI SPAGNA - PREGHIERA Giovedì, 8 dicembre 2005


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In questo giorno dedicato a Maria sono venuto, per la prima volta come Successore di Pietro, ai piedi della statua dell’Immacolata qui, a Piazza di Spagna, ripercorrendo idealmente il pellegrinaggio tante volte fatto dai miei Predecessori. Sento che mi accompagna la devozione e l’affetto della Chiesa che vive in questa città di Roma e nel mondo intero. Porto con me le ansie e le speranze dell’umanità di questo nostro tempo, e vengo a deporle ai piedi della celeste Madre del Redentore.

In questo giorno singolare, che ricorda il 40° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, torno con il pensiero all’8 dicembre del 1965 quando, proprio al termine dell’omelia della Celebrazione eucaristica in Piazza San Pietro, il Servo di Dio Paolo VI ebbe a rivolgere il suo pensiero alla Madonna "la Madre di Dio e la Madre nostra spirituale … la creatura nella quale l’immagine di Dio si rispecchia con limpidezza assoluta, senza alcun turbamento, come avviene invece in ogni creatura umana".
Il Papa si chiedeva poi: "Non è forse fissando il nostro sguardo in questa Donna umile, nostra Sorella e insieme celeste nostra Madre e Regina, specchio nitido e sacro dell’infinita Bellezza, che può … cominciare il nostro lavoro post-conciliare? Questa bellezza di Maria Immacolata non diventa per noi un modello ispiratore? Una speranza confortatrice?". E concludeva: "Noi lo pensiamo per noi e per voi; ed è questo il Nostro saluto più alto e, Dio voglia, il più valido!" (Insegnamenti di Paolo VI, III 1965, p. 746). Paolo VI proclamò Maria "Madre della Chiesa", e a Lei affidò per il futuro la feconda applicazione delle decisioni conciliari.

Memori dei tanti eventi che hanno segnato i quarant’anni trascorsi, come non rivivere oggi i vari momenti che hanno contraddistinto il cammino della Chiesa in questo periodo? La Madonna ha sorretto durante questi quattro decenni i Pastori e in primo luogo i Successori di Pietro nel loro esigente ministero a servizio del Vangelo; ha guidato la Chiesa verso la fedele comprensione ed applicazione dei documenti conciliari. Per questo, facendomi voce dell’intera Comunità ecclesiale, vorrei ringraziare la Vergine Santissima e rivolgermi a Lei con gli stessi sentimenti che animarono i Padri conciliari, i quali dedicarono proprio a Maria l’ultimo capitolo della Costituzione dogmatica Lumen gentium, sottolineando l’inscindibile rapporto che unisce la Vergine alla Chiesa.



Sì, vogliamo ringraziarti, Vergine Madre di Dio e Madre nostra amatissima, per la tua intercessione in favore della Chiesa. Tu, che abbracciando senza riserve la volontà divina, ti sei consacrata con ogni tua energia alla persona e all’opera del Figlio tuo, insegnaci a serbare nel cuore e a meditare in silenzio, come hai fatto Tu, i misteri della vita di Cristo.

Tu, che avanzasti sino al Calvario, sempre profondamente unita al Figlio tuo, che sulla croce ti donò come madre al discepolo Giovanni, fa’ che ti sentiamo sempre anche noi vicina in ogni istante dell’esistenza, soprattutto nei momenti di oscurità e di prova.

Tu, che nella Pentecoste, insieme con gli Apostoli in preghiera, implorasti il dono dello Spirito Santo per la Chiesa nascente, aiutaci a perseverare nella fedele sequela di Cristo. A Te volgiamo fiduciosi lo sguardo, come a "segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore" (n. 68).



Te, Maria, invocano con preghiera insistente i fedeli di ogni parte del mondo perché, esaltata in cielo fra gli angeli e i santi, interceda per noi presso il Figlio tuo "fin tanto che tutte le famiglie dei popoli, sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo popolo di Dio, a gloria della santissima e indivisibile Trinità" (n. 69). Amen!




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O Maria, Vergine Immacolata,


anche quest’anno, ci ritroviamo con amore filiale ai piedi di questa tua immagine per rinnovarTi l’omaggio della comunità cristiana e della città di Roma. Qui sostiamo in preghiera, seguendo la tradizione inaugurata dai Papi precedenti, nel giorno solenne in cui la liturgia celebra la tua Immacolata Concezione, mistero che è fonte di gioia e di speranza per tutti i redenti. Ti salutiamo e Ti invochiamo con le parole dell’Angelo: "piena di grazia" (Lc 1,28), il nome più bello, con il quale Dio stesso Ti ha chiamata sin dall’eternità.



"Piena di grazia" Tu sei, Maria, colma dell’amore divino dal primo istante della tua esistenza, provvidenzialmente predestinata ad essere la Madre del Redentore, ed intimamente associata a Lui nel mistero della salvezza. Nella tua Immacolata Concezione rifulge la vocazione dei discepoli di Cristo, chiamati a diventare, con la sua grazia, santi e immacolati nell’amore (cfr Ep 1,4). In Te brilla la dignità di ogni essere umano, che è sempre prezioso agli occhi del Creatore. Chi a Te volge lo sguardo, o Madre Tutta Santa, non perde la serenità, per quanto dure possano essere le prove della vita. Anche se triste è l’esperienza del peccato, che deturpa la dignità di figli di Dio, chi a Te ricorre riscopre la bellezza della verità e dell’amore, e ritrova il cammino che conduce alla casa del Padre.



"Piena di grazia" Tu sei, Maria, che accogliendo con il tuo "sì" i progetti del Creatore, ci hai aperto la strada della salvezza. Alla tua scuola, insegnaci a pronunciare anche noi il nostro "sì" alla volontà del Signore. Un "sì" che si unisce al tuo "sì" senza riserve e senza ombre, di cui il Padre celeste ha voluto aver bisogno per generare l’Uomo nuovo, il Cristo, unico Salvatore del mondo e della storia. Dacci il coraggio di dire "no" agli inganni del potere, del denaro, del piacere; ai guadagni disonesti, alla corruzione e all’ipocrisia, all’egoismo e alla violenza. "No" al Maligno, principe ingannatore di questo mondo. "Sì" a Cristo, che distrugge la potenza del male con l’onnipotenza dell’amore. Noi sappiamo che solo cuori convertiti all’Amore, che è Dio, possono costruire un futuro migliore per tutti.



"Piena di grazia" Tu sei, Maria! Il tuo nome è per tutte le generazioni pegno di sicura speranza. Sì! Perché, come scrive il sommo poeta Dante, per noi mortali Tu "sei di speranza fontana vivace" (Par., XXXIII, 12). A questa fonte, alla sorgente del tuo Cuore immacolato, ancora una volta veniamo pellegrini fiduciosi ad attingere fede e consolazione, gioia e amore, sicurezza e pace.



Vergine "piena di grazia", mostraTi Madre tenera e premurosa per gli abitanti di questa tua città, perché l’autentico spirito evangelico ne animi ed orienti i comportamenti; mostraTi Madre e vigile custode per l’Italia e per l’Europa, affinché dalle antiche radici cristiane sappiano i popoli trarre nuova linfa per costruire il loro presente e il loro futuro; mostraTi Madre provvida e misericordiosa per il mondo intero, perché, nel rispetto dell’umana dignità e nel ripudio di ogni forma di violenza e di sfruttamento, vengano poste basi salde per la civiltà dell’amore. MostraTi Madre specialmente per quanti ne hanno maggiormente bisogno: per gli indifesi, per gli emarginati e gli esclusi, per le vittime di una società che troppo spesso sacrifica l’uomo ad altri scopi e interessi.



MostraTi Madre di tutti, o Maria, e donaci Cristo, la speranza del mondo! "Monstra Te esse Matrem", o Vergine Immacolata, piena di grazia! Amen!

S.Gregorius: Regola pastorale

La guida delle anime sia pura nel pensiero


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La guida delle anime sia sempre pura nel suo pensiero, affinché nessuna immondezza contamini colui che ha assunto questo ufficio ed egli sia in grado di lavare anche i cuori altrui dalle macchie dell’impurità; perché bisogna che abbia cura di essere pulita la mano che si adopera a pulire ciò che è sudicio, e non renda ancora più sporco ciò che va toccando mentre è ancora infangata. Perciò è detto per mezzo del profeta: Purificatevi voi, che portate i vasi del Signore (Is 52,12). 

Infatti portano i vasi del Signore coloro che si assumono di condurre le anime ai santuari eterni, con la fedeltà della propria condotta di vita. Dunque, vedano in se stessi quanto debbano essere purificati, quelli che dentro la promessa che hanno fatto di sé portano vasi viventi al tempio eterno. Perciò viene prescritto dalla parola divina che sul petto di Aronne aderisca, legato con nastri, il razionale del giudizio (cf. Es. Ex 28,15), affinché il cuore del sacerdote non sia posseduto da pensieri oscillanti ma sia tenuto stretto solo dalla sapienza dello spirito: e non pensi a nulla di incerto o di inutile colui che, stabilito come esempio per gli altri, deve sempre mostrare, con l’austerità della vita, quanta sapienza abbia nel cuore. 

    E si ha cura di aggiungere che in questo razionale si scrivano i nomi dei dodici patriarchi; infatti, portare di continuo i padri scritti sul petto significa meditare senza interruzione la vita degli antichi, e il sacerdote procede in modo irreprensibile quando fissa il suo sguardo senza posa sugli esempi dei padri che l’hanno preceduto, considera incessantemente le orme dei santi e reprime pensieri illeciti per non oltrepassare il limite di un agire ordinato. 


Ed è anche appropriato il nome di razionale del giudizio, poiché il sacerdote deve sempre discernere con esame sottile e retto il bene e il male e studiare attentamente come si accordino gli oggetti e i mezzi, il tempo e il modo; e non cercare mai nulla per sé ma considerare vantaggio proprio il bene altrui. Perciò là è scritto: Porrai sul razionale del giudizio la dottrina e la verità, che staranno sul petto di Aronne quando entrerà davanti al Signore, e porterà il giudizio dei figli di Israele sul suo petto, davanti al Signore, sempre (Ex 28,30). 
     Per il sacerdote, portare il giudizio dei figli di Israele sul petto davanti al Signore, significa trattare le cause dei sudditi avendo di mira solo la volontà del Giudice interiore, perché ad essa nulla si mescoli di umano in ciò che egli dispensa come rappresentante di Dio né alcun risentimento personale inasprisca l’ardore della correzione. 
   E quando si mostra pieno di zelo contro i vizi altrui, persegua innanzitutto i propri perché una invidia nascosta non contamini la pacatezza del giudizio, o non la turbi un’ira precipitosa. Ma considerando il sacro terrore che si deve a colui che sta sopra a tutto, cioè l’intimo Giudice, non si devono governare i sudditi senza grande timore: quel timore che mentre umilia l’animo di chi governa lo purifica, perché la presunzione spirituale non lo esalti né lo contamini il piacere carnale o non lo oscurino sconvenienti pensieri terrestri, frutto della cupidigia di cose mondane. 
   Tutte queste tentazioni non possono non assalire l’anima di chi governa, ma è necessario affrettarsi a lottare contro di esse per vincerle affinché, per il fatto che l’anima tarda a respingerle, il vizio che la tenta con la suggestione non la sottometta con la mollezza del piacere e non la uccida con la spada del consenso.


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La guida delle anime sia esemplare nel suo agire per potere annunciare ai sudditi, col suo modo di vivere, la via della vita; e il gregge che va dietro alla voce e ai costumi del Pastore, proceda più con l’aiuto dei suoi esempi che delle sue parole. Infatti, chi per dovere indeclinabile del suo ministero è tenuto a dire cose elevate, dal medesimo dovere è costretto a mostrare cose elevate nei fatti; giacché il cuore degli ascoltatori è più facilmente penetrato dalle parole che trovano conferma nella vita di chi parla, il quale con l’esempio aiuta ad eseguire ciò che comanda a parole. Perciò è detto per mezzo del profeta: Sali su un monte eccelso, tu che evangelizzi Sion (Is 40,9). 

Cioè, chi pratica la divina predicazione deve mostrare che, abbandonando le più basse attività terrestri, sta saldo al di sopra delle cose; e tanto più facilmente può attirare i sudditi verso il meglio, quanto è con il merito della sua vita che egli grida le verità celesti. 
    Per questo, per la legge divina, nel sacrificio il sacerdote riceve la spalla destra separata dal resto (cf. Es. Ex 29,22), perché la sua condotta non sia solo utile ma anche esemplare, il suo agire sia retto non solo tra i cattivi ma egli superi per le virtù della sua vita anche i sudditi che operano il bene come è superiore a loro, per la dignità dell’Ordine. 
     A lui, poi, viene assegnata, come cibo, oltre alla spalla, anche la parte tenera del petto, perché quanto gli è prescritto di prendere dal sacrificio impari ad immolarlo in se stesso al Creatore. Ed egli non deve solamente meditare retti pensieri nel suo petto, ma invitare quanti lo osservano ad azioni elevate, indicate dalle spalle: non aspiri alla prosperità della vita presente, non tema le avversità, disprezzi le lusinghe del mondo come per un intimo senso di terrore, ma poi, ai terrori che esse suscitano, non badi, volgendosi al conforto della dolcezza interiore. 
    E per questo la parola divina ordina pure che le spalle del sacerdote siano avvolte dal velo omerale (cf. Es. Ex 29,5), perché egli sia sempre difeso dall’ornamento delle virtù contro l’avversità e contro la prosperità affinché, secondo la parola di Paolo, avanzando con le armi della giustizia a destra e a sinistra (cf. 2Co 6,7) e indirizzando ogni sforzo solo verso i beni interiori, non pieghi né da un lato né dall’altro verso alcun basso piacere.


Non lo esalti la prosperità, non l’abbatta l’avversità, nessuna lusinga lo alletti fino a fargli ricercare il piacere; l’asprezza delle difficoltà non lo spinga alla dispersione, e così, senza che alcuna passione trascini verso il basso la tensione del suo spirito, egli possa mostrare di quanta bellezza il velo omerale ricopra le sue spalle. 

   Ed è anche giustamente prescritto che il velo omerale sia d’oro, di violaceo, di porpora, di scarlatto tinto due volte e di bisso ritorto (cf. Es. Ex 28,8), per dimostrare di quante virtù debba risplendere il sacerdote. 
   Ora, nell’abito del sacerdote, soprattutto rifulge l’oro poiché in lui deve brillare principalmente una intelligenza sapiente. 
Ad esso si aggiunge il violaceo che risplende di riflessi d’oro, affinché attraverso ogni conoscenza a cui perviene, egli non ricerchi basse soddisfazioni, ma si innalzi all’amore delle cose celesti; e non avvenga che mentre si lascia prendere incautamente dalle lodi che gli vengono rivolte, resti privo proprio dell’intelligenza della verità. 
All’oro e al violaceo si mescola pure la porpora, per indicare cioè che il cuore sacerdotale, mentre spera le cose somme che predica, deve reprimere anche in se stesso le suggestioni dei vizi e contraddire ad essi come in virtù di un potere regale, poiché egli deve avere sempre di mira la nobiltà di una continua intima rigenerazione e difendere, coi suoi costumi, l’abito del regno celeste. Di questa nobiltà dello spirito, per mezzo di Pietro è detto: Ma voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale (1P 2,9). E anche riguardo a questo potere di sottomettere i vizi, siamo confortati dalla parola di Giovanni che dice: Ma a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio (Jn 1,12). Ed è considerando la dignità di questa potenza che il salmista dice: Per me sono stati molto onorati i tuoi amici, o Dio, quanto è stato rafforzato il loro principato (Ps 138,17).

Poiché è certo che l’animo dei santi si leva verso le più grandi altezze principalmente quando, all’esterno, essi sono visibilmente sottoposti all’abiezione. Inoltre, all’oro, al violaceo e alla porpora si aggiunge lo scarlatto tinto due volte, a significare che agli occhi del Giudice interiore ogni bene di virtù deve adornarsi della carità, e tutto quanto risplende davanti agli uomini, alla presenza del Giudice occulto deve essere acceso dalla fiamma dell’amore intimo. Ed è evidente che la carità, in quanto ama Dio e il prossimo, rifulge quasi di una doppia tintura. 
Pertanto, colui che anela alla bellezza del Creatore, ma trascura di occuparsi del prossimo, oppure si occupa del prossimo ma è torpido nell’amore di Dio, per avere trascurato uno di questi due precetti, non sa portare lo scarlatto tinto due volte, sul velo omerale. 

Resta ancora però, senza dubbio, che quando lo spirito è teso verso i comandamenti della carità, la carne deve macerarsi nell’astinenza
Perciò si aggiunge allo scarlatto il bisso ritorto. Infatti il bisso nasce dalla terra con un aspetto splendente, e che cosa può essere designata dal bisso se non la castità luminosa per la dignità di un corpo puro? Ed essa si intreccia, ritorta, alla bellezza del velo omerale perché la castità è portata al candore perfetto della purezza quando la carne si affatica nell’astinenza. E quando, tra le altre virtù progredisce anche il merito di una carne umiliata, è come bisso ritorto che risplende nella varia bellezza del velo omerale.


AMDG et BVM


PREGHIERA ALLA MADONNA DI GUADALUPE

sabato 6 dicembre 2014

"Non basta fare opere buone, ma bisogna farle bene. Acciocchè le opere nostre sian buone e perfette è necessario farle col puro fine di piacere a Dio. Questa fu la degna lode che fu data a Gesù Cristo: Bene omnia fecit (Marc. VII, 37). Molte azioni saranno in sè lodevoli, ma perchè saran fatte per altro fine che della divina gloria, poco o niente varranno appresso Dio. Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: «Iddio rimunera le nostre opere a peso di purità".




Caritas non aemulatur.

L'anima che ama Gesù Cristo
non invidia i grandi del mondo,
ma solamente coloro che più amano Gesù Cristo.

1. Spiega S. Gregorio quest'altro contrassegno della carità, e dice che la carità non invidia, poichè non sa invidiare a' mondani quelle terrene grandezze ch'ella non desidera, ma disprezza: Non aemulatur, quia per hoc quod in praesenti mundo nihil appetit, invidere terrenis successibus nescit (Mor. l. 10. c. 8). Quindi bisogna distinguere due sorta di emulazioni, una malvagia e l'altra santa. La malvagia è quella che invidia e si rattrista per li beni mondani che gli altri possedono in questa terra. L'emulazione poi santa è quella che non già invidia, ma più tosto compatisce i grandi di questo mondo che vivono tra gli onori e piaceri terreni. Ella non cerca nè desidera altro che Dio, ed altro non pretende in questa vita che di amarlo quanto può; e perciò santamente invidia chi l'ama più di lei, mentr'ella nell'amarlo vorrebbe superare anche i serafini.

2. Questo è quell'unico fine che hanno in terra le anime sante, fine che innamora e ferisce di amore talmente il cuore di Dio che gli fa dire: Vulnerasti cor meum, soror mea sponsa, vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum (Cant. IV, 9). Quell'uno degli occhi significa l'unico fine che ha l'anima sposa in tutti i suoi esercizi e pensieri, di piacere a Dio. Gli uomini del mondo nelle loro azioni guardano le cose con più occhi, cioè con diversi fini disordinati, di piacere agli uomini, di farsi onore, di acquistar ricchezze e, se non di altro, di contentare se stessi; ma i santi non hanno che un occhio, per guardare in tutto ciò che fanno il solo gusto di Dio; e dicono con Davide: Quid... mihi est in caelo? et a te quid volui super terram?... Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum (Ps. LXXII, 25 et 26): che altro io voglio, mio Dio, in questo e nell'altro mondo, se non voi solo? Voi solo siete la mia ricchezza, voi l'unico signore del mio cuore. Si godano pure, dicea san Paolino, i ricchi i loro tesori di terra, si godano i re i loro regni, voi, Gesù mio, siete il mio tesoro e 'l regno mio: Habeant sibi divitias suas divites, regna sua reges, Christus mihi gloria et regnum est.

3. Quindi avvertiamo che non basta fare opere buone, ma bisogna farle bene. Acciocchè le opere nostre sian buone e perfette è necessario farle col puro fine di piacere a Dio. Questa fu la degna lode che fu data a Gesù Cristo: Bene omnia fecit (Marc. VII, 37). Molte azioni saranno in sè lodevoli, ma perchè saran fatte per altro fine che della divina gloria, poco o niente varranno appresso Dio. Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: «Iddio rimunera le nostre opere a peso di purità». Viene a dire che secondo è pura la nostra intenzione, così il Signore gradisce e premia le nostre azioni. Ma oh Dio, e quanto è difficile a trovare un'azione fatta solo per Dio! Io mi ricordo d'un santo religioso vecchio che molto avea faticato per Dio e morì in concetto di santità; ora costui un giorno, dando un'occhiata alla sua vita, tutto mesto ed atterrito mi disse: «Oimè, che guardando tutte le opere di mia vita, non ne trovo una fatta solo per Dio». Maledetto amor proprio che ci fa perdere o tutto o la maggior parte del frutto delle nostre buone azioni. Quanti nei loro impieghi più santi di predicatori, confessori, missionari, faticano, stentano, e poco o niente guadagnano, perchè non guardano Dio solo, ma la gloria mondana o l'interesse o la vanità di comparire o almeno la propria inclinazione!

4. Dice il Signore: Attendete a non fare il bene per essere veduti dagli uomini, altrimenti non avrete alcun premio dal Padre celeste: Attendite ne iustitiam vestram faciatis coram hominibus, ut videamini ab eis: alioquin mercedem non habebitis apud Patrem vestrum, qui in caelis est (Matth. VI, 1). Chi fatica per contentare il suo genio, già riceve il suo premio: Amen dico vobis, receperunt mercedem suam (Ibid. 5). Mercede però che si riduce ad un poco di fumo o ad una effimera soddisfazione che presto passa, e niente profitto ne resta all'anima. Dice il profeta Aggeo che chi fatica per altro che per piacere a Dio, ripone le sue mercedi in un sacco rotto che quando va ad aprirlo niente più vi ritrova: Et qui mercedes congregavit misit eas in sacculum pertusum(Agg. I, 6). E da ciò poi nasce che costoro, se dopo le loro fatiche non ottengono l'intento di qualche cosa che imprendono, molto s'inquietano. Questo è il segno che non hanno avuto per fine la sola gloria di Dio: chi fa un'opera per la sola gloria di Dio, ancorchè poi quella non riesca, niente si turba: mentre egli già ha ottenuto il suo fine di dar gusto a Dio, avendo operato con retta intenzione.

5. Ecco i segni per vedere se uno che s'impiega in qualche affare spirituale opera solo per Dio. 1º Se non si disturba allorchè non ottiene l'intento, perchè non volendolo Dio neppur egli lo vuole. 2º Se gode egualmente del bene che han fatto gli altri, come se esso l'avesse fatto. 3º Se non desidera più un impiego che un altro, ma gradisce quello che vuole l'ubbidienza de' superiori. 4º Se dopo le sue operazioni non cerca dagli altri nè ringraziamenti nè approvazioni: e perciò se mai dagli altri ne vien mormorato o disapprovato, non si affligge, contentandosi solamente di aver contentato Dio. E se mai ne riceve qualche lode dal mondo, non se ne invanisce, ma risponde alla vanagloria che gli si presenta innanzi per esser accettata, ciò che le rispondea il Ven. Giovanni d'Avila: «Va via, sei arrivata tardi, perchè l'opera già me la trovo data tutta a Dio».

6. Questo è l'entrare nel gaudio del Signore, cioè godere del godimento di Dio, come sta promesso ai servi fedeli: Euge, serve bone et fidelis quia super pauca fuisti fidelis... intra in gaudium domini tui (Matth. XXV, 23). Ma se noi arriviamo ad aver la sorte di fare qualche cosa che piace a Dio, dice il Grisostomo, che altro andiamo cercando? Si dignus fueris agere aliquid quod Deo placet, aliam praeter id mercedem requiris? (Chrys. L. 2. de Compunct. cord.). Questa è la maggior mercede, la maggior fortuna a cui può giungere una creatura, il dar gusto al suo Creatore.
7. E ciò è quello che pretende Gesù Cristo da un'anima che l'ama: Pone me, le dice, ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum(Cant. VIII, 6). Vuole che lo metta come segno sopra il suo cuore e sopra il suo braccio: sopra il suo cuore, acciocchè quanto ella medita di fare, intenda di farlo sol per amore di Dio; sopra il suo braccio, acciocchè quanto opera, tutto lo faccia per dar gusto a Dio; sicchè Dio sia sempre l'unico scopo di tutti i suoi pensieri e di tutte le sue azioni. Dicea S. Teresa che chi vuol farsi santo bisogna che viva senza altro desiderio che di dar gusto a Dio. E la sua prima figlia, la Ven. Beatrice dell'Incarnazione, dicea: «Non v'è prezzo con cui possa pagarsi qualunque cosa, benchè minima, fatta per Dio». E con ragione, perchè tutte le cose fatte per piacere a Dio sono atti di carità che ci uniscono a Dio e ci acquistano beni eterni.

8. Dicesi che la purità d'intenzione è l'alchimia celeste per la quale il ferro diventa oro, cioè le azioni più triviali, come il lavorare, il cibarsi, il ricrearsi, il riposare, fatte per Dio, diventano oro di santo amore. Quindi credea per certo S. Maria Maddalena de' Pazzi che quei che fanno con pura intenzione tutto quel che fanno, vadano diritto in paradiso senza entrar nel purgatorio. Si narra nell'Erario Spirit. (to. 4. cap. 4) che un santo solitario prima di fare qualunque azione solea fermarsi per un poco ed alzare gli occhi al cielo. Richiesto perchè ciò facesse, rispose: «Procuro di accertare il colpo». E volea dire che siccome il sagittario prima di scoccar la saetta prende la mira per indovinare il tiro, così egli prima di metter mano a qualunque azione prendea di mira Iddio, acciocchè quell'opera riuscisse di suo piacere. Così dobbiamo fare ancor noi; anzi nel proseguire l'opera incominciata è bene che rinnoviamo da quando in quando l'intenzione di dar gusto a Dio.

9. Quei che ne' loro affari non guardano altro che il volere divino godono quella santa libertà di spirito che hanno i figli di Dio, la quale fa che abbraccino ogni cosa che piace a Gesù Cristo, non ostante qualunque ripugnanza dell'amor proprio o del rispetto umano. L'amore a Gesù Cristo mette i suoi amanti in una totale indifferenza, per cui tutto ad essi è eguale, il dolce e l'amaro: niente vogliono di quel che piace a se stessi, e tutto vogliono di quel che piace a Dio. Colla stessa pace s'impiegano nelle cose grandi e nelle picciole, nelle cose grate e nelle dispiacevoli: basta loro che piacciano a Dio.

10. Molti all'incontro voglion servire a Dio, ma in quell'impiego, in quel luogo, con quei compagni, con quelle circostanze, altrimenti o lasciano l'opera o la fanno di mala voglia. Questi non hanno la libertà di spirito, ma sono schiavi dell'amor proprio, e perciò poco meritano anche in ciò che fanno; e vivono inquieti, mentre riesce loro grave il giogo di Gesù Cristo. I veri amanti di Gesù Cristo amano di fare solo quel che piace a Gesù Cristo, e perchè piace a Gesù Cristo; quando vuole, dove vuole e nel modo che vuole Gesù Cristo; ed o che voglia Gesù Cristo impiegarli in una vita onorata dal mondo, o in una vita oscura e negletta. Ciò importa l'amar Gesù Cristo con puro amore; ed in ciò noi dobbiamo affaticarci, combattendo contra gli appetiti dell'amor proprio che vorrebbe vederci occupati in opere grandi di onore e di nostra inclinazione.

11. E bisogna che siamo distaccati da tutti gli esercizi anche spirituali, quando il Signore ci vuole impiegati in altre opere di suo gusto. Un giorno il P. Alvarez, trovandosi molto occupato, desiderava sbrigarsene per andare a fare orazione, poichè gli parea che in quel tempo egli non era con Dio; ma il Signore allora gli disse: «Quantunque io non ti tenga meco, ti basti che io mi serva di te». Ciò vale per quelle persone che talvolta s'inquietano per vedersi obbligate dall'ubbidienza o dalla carità a lasciare le loro solite divozioni: sappiano che tal inquietudine allora certamente non viene da Dio, ma viene o dal demonio o dal loro amor proprio. Diasi gusto a Dio, e si muoia. Questa è la prima massima de' santi.


Affetti e preghiere.

Eterno mio Dio, io vi offerisco tutto il mio cuore; ma oh Dio, e qual cuore vi offerisco? Cuore bensì creato per amarvi, ma che, in vece d'amarvi, tante volte si è ribellato da voi. Ma guardate, Gesù mio, che se un tempo questo mio cuore vi è stato ribelle, ora sta tutto addolorato e pentito de' disgusti che vi ha dati. Sì, mio caro Redentore, mi pento di avervi disprezzato, e sto risoluto di volervi ubbidire ed amare ad ogni costo. Deh tiratemi tutto al vostro amore; fatelo per quell'amore che mi portaste morendo in croce per me.

V'amo, Gesù mio, v'amo con tutta l'anima, v'amo più di me stesso, o vero, o unico amante dell'anima mia, mentre non trovo altri che voi che per amor mio avete sacrificata la vita.
Mi fa piangere il vedere l'ingratitudine che vi ho usata. Povero me, io già mi era perduto, ma spero che voi colla grazia vostra mi abbiate restituita la vita. Questa sarà la mia vita, l'amarvi sempre, sommo mio bene.
Fate ch'io v'ami, o amore infinito, e niente più vi dimando.

O Maria, madre mia, accettatemi per vostro servo, e fatemi accettare da Gesù vostro figlio.

LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

DIO - GESÙ CRISTO (il Vero)- CHIESA CATTOLICA (la Vera)




DIO - GESÙ CRISTO - CHIESA CATTOLICA: 
I TRE CAPOSALDI DELLA FEDE E DELLA SALVEZZA 
MESSI IN FORSE DALL'ERESIA DEGLI ULTIMI TEMPI

Anche il male ha la sua strategia. Come il bene, del resto. Il bene per conservare e edificare, il male e l'errore per distruggere.

La strategia del male è guidata da satana, il nemico di sempre. La strategia del bene e della verità è guidata da Dio, l'amico dell'uomo. Per portare a buon fine la strategia del bene Dio si serve di Maria.
La strategia del satana è cominciata con la prima pagina della storia dell'uomo nel paradiso terrestre ed ha registrato subito un successo clamoroso con la caduta di Eva e di Adamo che ha portato il satana al dominio dell'umanità come «principe di questo mondo». La strategia di Dio, apparentemente posteriore a quella del satana, effettivamente la precede perché Dio amava l'uomo con « amore perpetuo » (Ger. 31, 3), prima ancora della caduta, prima ancora della promessa della redenzione, e si effettua già fin da allora per mezzo di Maria: « Porrò inimicizie fra te e la Donna » (Gen. 3, 15).

Obiettivo primo ed unico della strategia del satana è la distruzione di Dio e di tutto ciò che a Dio si riferisce, non altro. Ma non è facile distruggere Dio. Dio è la vita, non la morte. Dio è solito vincere, non perdere. Tra i due antagonisti, satana e Dio, il primo è il pigmeo, il secondo il gigante. La lotta impari è facile prevedere come andrà a finire, anche se nel decorso della lotta ci saranno vicende alterne, alti e bassi, che diano l'illusione di una vittoria apparente o di una temporanea sconfitta. Il satana, perfidissimo ma intelligentissimo, lo sa. Ed ecco allora messa in campo l'astuzia sua propria per accerchiare l'avversario, distrarlo, isolarlo e farlo cadere se possibile prima dello scontro diretto.
Dio si manifesta nel suo Cristo, e Cristo si esplica e continua nella sua Chiesa. Tre gradi, tre aspetti del cammino che l'uomo deve percorrere per arrivare alla salvezza: attraverso la Chiesa, « colonna di verità » (1 Tim. 3, 15), incontrare Cristo, e in Cristo, via, verità e vita, incontrare Dio e realizzare con lui l'intimità spirituale attraverso la grazia santificante, seme della gloria eterna. L'economia divina della salvezza si attua praticamente, attraverso queste tre tappe: battesimo-fede-grazia. Il battesimo ci inserisce nella Chiesa e infonde nell'anima la virtù teologale della fede, infonde la grazia santificante che è abitazione della Santissima Trinità e ci rende figli di Dio, membri della sua famiglia, fratelli di Cristo e coeredi della vita eterna. La strategia di Dio segue questa linea.

La strategia della distruzione segue l'ordine inverso di questo processo: si comincia col disgregare la Chiesa, ecco il protestantesimo del secolo xvi che ha portato alla frattura nell'unità ecclesiale e lo stacco dalla « Pietra » su cui la Chiesa è fondata. Segue il deismo illuminista e massonico del secolo xvm che porta alla negazione della divinità di Cristo e al rifiuto di tutto il suo insegnamento dogmatico e morale. E infine si ha l'ateismo radicale del secolo xx con la negazione di Dio, della sua autorità e della sua esistenza, per instaurare un ambiguo regnum hominis: apostasia completa, di cui noi oggi siamo e i protagonisti e i testimoni e le vittime. La conclamata civiltà moderna è in grandissima parte una civiltà laica, ossia come si espresse Paolo VI, una civiltà atea.

Tre date storiche, legate tra loro da una singolare uniformità con l'intervallo di due secoli, segnano le fasi discendenti di questa apostasia: 1517, protestantesimo, negazione della Chiesa romana; 1717, massoneria, negazione di Cristo; 1917, bolscevismo, negazione di Dio. Diamo un'occhiata a queste tre date storiche un po' più da vicino.

Nel 1517 inizia la ribellione di Lutero, seguita da altri corifei dell'errore in Germania, Svizzera, Inghilterra, nord Europa che si staccano da Roma. Crisi dogmatica, sì, ma soprattutto crisi disciplinare, perciò scisma. Senza lo scisma la crisi protestante si sarebbe potuta, presto o tardi, ancora ricomporre. Il « Vangelo puro » che il protestantesimo si è sempre vantato di conservare, non si è dimostrato in pratica che una mossa equivoca e propagandistica. Il distacco da Roma è stato fatale alla Germania e agli altri Stati del nord Europa. La vita sacramentaria è stata ridotta, e quindi la vita spirituale si è atrofizzata per la mancanza del sacerdozio vero. I diversi tentativi di un ritorno sincero ed effettivo alle sorgenti che sono stati fatti in seno al protestantesimo con piena buona fede nel corso di questi quattro secoli sono tutti più o meno falliti, disgraziatamente. Il motivo è sempre lo stesso: la Chiesa di Cristo è fondata su una « Pietra » e ignorare la « Pietra » significa anche svuotare il Vangelo e tutto il messaggio di Cristo.

Esattamente duecento anni dopo, il 24 giugno 1717, veniva fondata a Londra la prima loggia massonica. La massoneria si estendeva in pochi anni a tutti gli Stati d'Europa e di America nonostante le molte e ripetute condanne della Chiesa, imponendo una nuova concezione religiosa da cui era escluso il dogma rivelato. Nacque così la nuova teoria mezzo razionalista e mezzo protestante che fu detta deismo. Ma quale Dio era inteso? Non certo il Dio della rivelazione e della Bibbia, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Gesù Cristo, il Dio trascendente, ma un Dio raffazonato su misura umana, dimensionato all'uomo, quasi si direbbe creato dall'uomo. Come creato dall'uomo questo Dio non poteva contenere misteri, non poteva essere Trinità, quindi Cristo fu declassato al semplice livello di uomo: uomo singolare, di eccezione, grande maestro di morale, grande benefattore dell'umanità, ma soltanto uomo, spoglio delle sue qualità e attributi divini. La religione illuministica e massonica fu in questo modo fatta naturale, utilitaristica, contingente a seconda dei tempi e dei luoghi. Così la legge morale su tutta la vasta gamma delle sue applicazioni pratiche.

Passano così altri duecento anni ed ecco il 1917, l'anno del bolscevismo ateo e del più crasso materialismo assurto a nuova religione e a nuova fede in sostituzione di qualunque altra religione trascendente, definita tout court come « oppio del popolo », un narcotico velenoso e mortifero, una piaga sociale che è necessario e doveroso eliminare e combattere con tutti i mezzi: l'ultimo gradino della disgregazione a cui l'uomo, per la ferrea logica dell'errore, era stato costretto ad arrivare.

Ma l'anno dell'esplosione atea e materialista, il 1917, era stato anche, fortunatamente, l'anno delle apparizioni e del messaggio materno di Maria a Fatima.


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