venerdì 26 settembre 2014

La piu' fulgida gemma (del sacerdozio)

La piu' fulgida gemma




Paolo VI, enc. "Sacerdotalis caelibatus": sottratto il tema alla discussione conciliare, Paolo VI espone prima le obiezioni contro il celibato sacerdotale, quindi ne conferma la validita' nel suo significato cristologico, ecclesiologico ed escatologico




Paolo VI

Sacerdotalis caelibatus

Il celibato sacerdotale oggi

1. Il celibato sacerdotale, che la chiesa custodisce da secoli come fulgida gemma, conserva tutto il suo valore anche nel nostro tempo, caratterizzato da una profonda trasformazione di mentalità e di strutture. Ma nel clima dei nuovi fermenti si è manifestata anche la tendenza, anzi l’espressa volontà di sollecitare la chiesa a riesaminare questo suo istituto caratteristico, la cui osservanza secondo alcuni sarebbe resa ora problematica e quasi impossibile nel nostro tempo e nel nostro mondo.
2. Questo stato di cose, che scuote la coscienza e provoca la perplessità di alcuni sacerdoti e giovani aspiranti al sacerdozio e genera sgomento, in molti fedeli, ci impone di rompere gli indugi per mantenere la promessa già fatta ai venerabili padri del concilio, ai quali dichiarammo il nostro proposito di dare nuovo lustro e vigore al celibato sacerdotale nelle circostanze attuali. Nel frattempo, abbiamo a lungo e ardentemente invocato i necessari lumi ed aiuti dello Spirito paraclito ed abbiamo esaminato al cospetto di Dio pareri e istanze giunteci da ogni parte, innanzitutto da parecchi pastori della chiesa di Dio.


3. La grande questione relativa al sacro celibato del clero nella chiesa si è lungamente presentata al nostro spirito in tutta la sua ampiezza e in tutta la sua gravità: deve ancor oggi sussistere quella severa e sublimante obbligazione per coloro che intendono accedere agli ordini sacri maggiori? È oggi conveniente l’osservanza di una tale obbligazione? Non sarebbe maturato il tempo per scindere il vincolo che unisce nella chiesa il celibato al sacerdozio? Non potrebbe essere facoltativa questa difficile osservanza? Non ne sarebbe favorito il ministero sacerdotale, facilitato l’avvicinamento ecumenico? E se l’aurea legge del sacro celibato deve tuttora rimanere, per quali ragioni essa oggi dev’essere trovata santa e conveniente? E con quali mezzi può essere osservata, e come da peso convertita in aiuto alla vita sacerdotale?

4. La nostra attenzione si è fermata in modo particolare sulle obiezioni che in varia forma sono state e sono espresse contro il mantenimento del sacro celibato. Un tema di così grande importanza e complessità, infatti, ci impone, in virtù del nostro apostolico servizio, di considerare lealmente la realtà e i problemi che essa implica, illuminandola però, come è nostro dovere e nostra missione, con la luce della verità che è Cristo, nell’intento di compiere in tutto la volontà di colui che ci ha chiamati a questo ufficio, e di dimostrarci quali siamo di fronte alla chiesa, il servo dei servi di Dio.


Le obiezioni contro il celibato sacerdotale

5. Si può dire che non mai come oggi il tema del celibato ecclesiastico sia stato scrutato con maggiore acutezza e sotto ogni aspetto, sul piano dottrinale, storico, sociologico, psicologico e pastorale, e spesso con intenzioni fondamentalmente rette, anche se le parole possono averle talvolta tradite. Guardiamo onestamente le principali obiezioni alla legge del celibato ecclesiastico abbinato al sacerdozio. La prima, sembra provenire dalla fonte più autorevole: il nuovo testamento, nel quale è conservata la dottrina di Cristo e degli apostoli, non esige il celibato dei ministri sacri, ma lo propone piuttosto come libera obbedienza ad una speciale vocazione o ad uno speciale carisma. Gesù stesso non ha posto questa pregiudiziale nella scelta dei dodici, come anche gli apostoli per coloro i quali venivano preposti alle prime comunità cristiane.


6. L’intimo rapporto che i padri della chiesa e gli scrittori ecclesiastici hanno stabilito nel corso dei secoli tra la vocazione al sacerdozio ministeriale e la sacra verginità trova la sua origine in mentalità e situazioni storiche diverse dalle nostre. Spesso nei testi patristici si raccomanda al clero, più che il celibato, l’astinenza dall’uso del matrimonio, e le ragioni addotte per la castità perfetta dei sacri ministri sembrano talvolta ispirate a eccessivo pessimismo per la condizione umana nella carne, o a una particolare concezione della purezza necessaria per il contatto con le cose sacre. Gli argomenti antichi, inoltre, non risulterebbero più consoni a tutti gli ambienti socio-culturali, in cui oggi la chiesa è chiamata a operare mediante i suoi sacerdoti.


7. Una difficoltà che molti avvertono sta nel fatto che con la disciplina vigente del celibato si fa coincidere il carisma della vocazione sacerdotale col carisma della perfetta castità come stato di vita del ministro di Dio; e perciò si domandano se sia giusto allontanare dal sacerdozio coloro che avrebbero la vocazione ministeriale, senza avere quella della vita celibe.


8. Il mantenimento del celibato sacerdotale nella chiesa arrecherebbe inoltre gravissimo danno là dove la scarsità numerica del clero, accoratamente riconosciuta e lamentata dallo stesso sacro Concilio, provoca situazioni drammatiche, ostacolando la piena realizzazione del piano divino di salvezza e mettendo a volte in pericolo la stessa possibilità del primo annunzio evangelico. La preoccupante rarefazione del clero, infatti, viene ascritta da alcuni alla pesantezza dell’obbligo del celibato.


9. Non mancano poi quelli, i quali sono convinti che un sacerdozio uxorato non soltanto toglierebbe l’occasione a infedeltà, disordini e dolorose defezioni, che feriscono e addolorano tutta la chiesa, ma consentirebbe ai ministri di Cristo una più completa testimonianza di vita cristiana anche nel campo della famiglia, dal quale il loro stato attuale li esclude.


10. C’è ancora chi insiste nell’affermazione secondo la quale il sacerdote, in virtù del suo celibato, è in una situazione fisica e psicologica innaturale, dannosa all’equilibrio e alla maturazione della sua personalità umana; accade così - dicono - che spesso il sacerdote si inaridisca e manchi di umano calore, di una piena comunione di vita e di destino con il resto dei suoi fratelli, e sia costretto a una solitudine che è fonte di amarezze e di avvilimento. Tutto questo non indica forse una ingiusta violenza e un ingiustificabile disprezzo di valori umani derivanti dalla divina opera della creazione e integrati nell’opera della redenzione compiuta da Cristo?


11. Osservando inoltre il modo con cui un candidato al sacerdozio giunge all’accettazione di un impegno così gravoso, si eccepisce che, in pratica, esso è il risultato di un atteggiamento passivo, causato spesso da una formazione non del tutto adeguata e rispettosa della umana libertà, piuttosto che il risultato di una decisione autenticamente personale, essendo il grado di conoscenza e di autodecisione del giovane e la sua maturità psico-fisica assai inferiori, e in ogni caso sproporzionati, all’entità, alle difficoltà oggettive e alla durata dell’obbligo che egli si assume.


12. Non ignoriamo che altre obiezioni possono essere sollevate contro il sacro celibato: è questo un tema molto complesso, che tocca sul vivo la concezione abituale della vita, e che introduce in essa la luce superiore proveniente dalla divina rivelazione; una serie interminabile di difficoltà si presenterà per coloro che "non capiscono questa cosa", che non conoscono, o che dimenticano il "dono di Dio", e non sanno quale sia la logica superiore di tale nuova concezione della vita e quale la sua mirabile efficacia, la sua esuberante pienezza.


13. Questo coro di obiezioni sembrerebbe soffocare la voce secolare e solenne dei pastori della chiesa, dei maestri di spirito, della testimonianza vissuta di una legione senza numero di santi e di fedeli ministri di Dio, che del sacro celibato hanno fatto interiore oggetto ed esteriore segno della loro totale e gaudiosa donazione al mistero di Cristo. No, questa voce è tuttora forte e serena; non viene soltanto dal passato, viene anche dal presente. Solleciti sempre all’osservanza della realtà, noi non possiamo chiudere gli occhi su questa magnifica e sorprendente realtà: vi sono ancora oggi nella santa chiesa di Dio, in ogni parte del mondo, dove essa ha eretto le sue tende benedette, innumerevoli ministri sacri - suddiaconi, diaconi, presbiteri, vescovi -, che vivono in modo illibato il celibato volontario e consacrato; e, accanto a loro, non possiamo non avvertire le schiere immense dei religiosi, delle religiose, e anche di giovani, e di laici, fedeli tutti all’impegno della perfetta castità: essa è vissuta non per disprezzo del dono divino della vita, ma per amore superiore alla vita nuova sgorgante dal mistero pasquale; è vissuta con coraggiosa austerità, con gioiosa spiritualità, con esemplare integrità ed anche con relativa facilità. Questo grandioso fenomeno documenta una singolare realtà del regno di Dio vivente in seno alla società moderna, a cui presta umile e benefico ufficio di "luce del mondo" e di "sale della terra"; noi non possiamo tacere la nostra ammirazione: in esso soffia indubbiamente lo Spirito di Cristo.



Confermata la validità del celibato

14. Noi dunque riteniamo che la vigente legge del sacro celibato debba ancora oggi, e fermamente, accompagnarsi al ministero ecclesiastico; essa deve sorreggere il ministro nella sua scelta esclusiva, perenne e totale dell’unico e sommo amore di Cristo e della consacrazione al culto di Dio e al servizio della chiesa, e deve qualificare il suo stato di vita, sia nella comunità dei fedeli, che in quella profana.


15. Certo, il carisma della vocazione sacerdotale, rivolta al culto divino e al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, è distinto dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata; ma la vocazione sacerdotale, benché divina nella sua ispirazione, non diventa definitiva e operante senza il collaudo e l’accettazione di chi nella chiesa ha la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale; e quindi spetta all’autorità della chiesa stabilire, secondo i tempi e i luoghi, quali debbano essere in concreto gli uomini e quali i loro requisiti, perché possano ritenersi adatti al servizio religioso e pastorale della chiesa medesima.


16. In spirito di fede, consideriamo perciò favorevole la occasione offertaci dalla divina provvidenza per illustrare nuovamente e in una maniera più consona agli uomini del nostro tempo le ragioni profonde del sacro celibato, giacché, se le difficoltà contro la fede "possono stimolare lo spirito a una più accurata e profonda intelligenza" di essa, non altrimenti accade della disciplina ecclesiastica, che modera la vita dei credenti. Ci muove la gioia di contemplare in questa circostanza e da questo punto di vista, la divina ricchezza e bellezza della chiesa di Cristo, non sempre immediatamente decifrabile ad occhio umano, perché opera dell’amore del capo divino della chiesa e perché si manifesta in quella perfezione di santità, che stupisce lo spirito umano, e trova insufficienti a darne ragione le forze della umana creatura.

PARTE PRIMA

I. LE RAGIONI DEL SACRO CELIBATO

17. Certo, come ha dichiarato il sacro Concilio ecumenico Vaticano II, la verginità "non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta dalla prassi della chiesa primitiva e dalla tradizione delle chiese orientali", ma lo stesso sacro concilio non ha dubitato di confermare solennemente l’antica, sacra, provvidenziale vigente legge del celibato sacerdotale, esponendo anche i motivi che la giustificano per quanti sanno apprezzare in spirito di fede e con intimo e generoso fervore i doni divini.


18. Non è da oggi che si riflette sulla "molteplice convenienza" del celibato per i ministri di Dio, e anche se le ragioni esplicite sono state varie per la varia mentalità e le varie situazioni, esse furono sempre ispirate a considerazioni specificatamente cristiane, al fondo delle quali è la intuizione dei motivi più profondi. Questi possono venire in miglior luce, non senza l’influsso dello Spirito santo, da Cristo promesso ai suoi per la conoscenza delle cose da venire e per far progredire nel popolo di Dio l’intelligenza del mistero di Cristo e della chiesa, anche con l’esperienza data da una maggiore penetrazione delle cose spirituali nel corso dei secoli.


Significato cristologico del celibato


19. Il sacerdozio cristiano, che è nuovo, può essere compreso soltanto alla luce della novità di Cristo, pontefice sommo ed eterno sacerdote, il quale ha istituito il sacerdozio ministeriale come reale partecipazione al suo unico sacerdozio. Il ministro di Cristo e amministratore dei misteri di Dio ha dunque in lui anche il modello diretto e il supremo ideale. Il Signore Gesù, unigenito di Dio, inviato dal Padre nel mondo, si fece uomo affinché l’umanità, soggetta al peccato e alla morte, venisse rigenerata e, mediante una nascita nuova, entrasse nel regno dei cieli. Consacratosi tutto alla volontà del Padre, Gesù compì mediante il suo mistero pasquale questa nuova creazione, introducendo nel tempo e nel mondo una forma nuova, sublime, divina, di vita che trasforma la stessa condizione terrena dell’umanità.


20. Il matrimonio, che per volontà di Dio continua l’opera della prima creazione, assunto nel disegno totale della salvezza, acquista anch’esso nuovo significato e valore. Gesù, infatti, ne ha ristabilito la primigenia dignità, lo ha onorato e lo ha elevato alla dignità di sacramento e di misterioso segno della sua unione con la chiesa. Così i coniugi cristiani, nell’esercizio del mutuo amore, nel compimento dei loro specifici doveri e tendendo a quella santità che è loro propria, camminano insieme verso la patria celeste. Ma Cristo, mediatore di un più eccellente testamento, ha aperto anche un nuovo cammino, in cui la creatura umana, aderendo totalmente e direttamente al Signore e preoccupata soltanto di lui e delle sue cose, manifesta in maniera chiara e compiuta la realtà profondamente innovatrice del nuovo testamento.


21. Cristo, figlio unico del Padre, in virtù della sua stessa incarnazione, è costituito mediatore tra il cielo e la terra, tra il Padre e il genere umano. In piena armonia con questa missione, Cristo rimase per tutta la vita nello stato di verginità, che significa la sua totale dedizione al servizio di Dio e degli uomini. Questa profonda connessione tra la verginità e il sacerdozio in Cristo si riflette in quelli che hanno la sorte di partecipare alla dignità e alla missione del mediatore e sacerdote eterno, e tale partecipazione sarà tanto più perfetta, quanto più il sacro ministro sarà libero da vincoli di carne e di sangue.


22. Gesù, che scelse i primi ministri della salvezza e li volle introdotti alla intelligenza dei misteri del regno dei cieli, cooperatori di Dio a specialissimo titolo, ambasciatori suoi, e li chiamò amici e fratelli, per i quali consacrò se stesso, affinché fossero consacrati in verità, promise sovrabbondante ricompensa a chiunque avrà abbandonato casa, famiglia, moglie e figli per il regno di Dio. Anzi raccomandò anche, con parole dense di mistero e di attesa, una consacrazione ancora più perfetta al regno dei cieli con la verginità, in conseguenza di un particolare dono. La risposta a questo divino carisma ha come motivo il regno dei cieli; e parimenti da questo regno, dall’evangelo e dal nome di Cristo, sono motivati gli inviti di Gesù alle ardue rinunzie apostoliche per una partecipazione più intima alla sua sorte.

23. E, dunque, il mistero della novità di Cristo, di tutto ciò che egli è e significa, è la somma dei più alti ideali dell’evangelo e del regno, è una particolare manifestazione della grazia, che scaturisce dal mistero pasquale del redentore, a rendere desiderabile e degna la scelta della verginità da parte dei chiamati dal Signore Gesù, con l’intento di partecipare non soltanto al suo ufficio sacerdotale, ma di dividere anche con lui il suo stesso stato di vita.


24. La risposta alla divina vocazione è una risposta d’amore all’amore che Cristo ci ha dimostrato in maniera sublime; essa si ammanta di mistero nel particolare amore per le anime alle quali egli ha fatto sentire i suoi appelli più impegnativi. La grazia moltiplica con forza divina le esigenze dell’amore, che, quando è autentico, è totale, esclusivo, stabile e perenne, stimolo irresistibile a tutti gli eroismi. Perciò la scelta del sacro celibato è sempre stata considerata dalla chiesa "quale segno e stimolo della carità"; segno di un amore senza riserve, stimolo di una carità aperta a tutti. Chi mai può vedere in una vita così interamente donata, e per le ragioni che abbiamo esposto, i segni di una povertà spirituale, dell’egoismo, mentre essa è, e deve essere, un raro e oltremodo significativo esempio di una vita che ha come movente e forza l’amore, nel quale l’uomo esprime la sua esclusiva grandezza? Chi mai potrà dubitare della pienezza morale e spirituale di una vita così consacrata non a un qualsiasi pur nobilissimo ideale, ma a Cristo e alla sua opera per una umanità nuova in tutti i luoghi e in tutti i tempi?


25. Questa prospettiva biblica e teologica, che associa il nostro sacerdozio ministeriale a quello di Cristo, e che dalla totale ed esclusiva dedizione di Cristo alla sua missione salvatrice trae esempio e ragione alla nostra assimilazione alla forma di carità e di sacrificio propria di Cristo redentore, ci sembra così profonda e così ricca di verità speculative e pratiche, che noi invitiamo voi, venerati fratelli, invitiamo gli studiosi della dottrina cristiana ed i maestri di spirito, e tutti i sacerdoti capaci delle intuizioni soprannaturali della loro vocazione a perseverare nello studio di tale prospettiva e a penetrare nelle sue intime e feconde realtà, così che il vincolo fra sacerdozio e celibato sempre meglio appaia nella sua logica luminosa ed eroica d’amore unico e illimitato a Cristo Signore e alla sua chiesa.



Significato ecclesiologico del celibato


26. "Preso da Cristo Gesù" fino all’abbandono totale di tutto se stesso a lui, il sacerdote si configura più perfettamente a Cristo anche nell’amore col quale l’eterno Sacerdote ha amato la chiesa suo corpo, offrendo tutto se stesso per lei, al fine di farsene una sposa gloriosa, santa e immacolata. La verginità consacrata dei sacri ministri manifesta infatti l’amore verginale di Cristo per la chiesa e la verginale e soprannaturale fecondità di questo connubio, per cui i figli di Dio "né dalla carne né dal sangue" sono generati.

27. Il sacerdote, dedicandosi al servizio del Signore Gesù e del suo mistico corpo, nella completa libertà resa più facile dalla propria totale offerta, realizza in maniera più piena l’unità e l’armonia della sua vita sacerdotale. Cresce in lui l’idoneità all’ascoltazione della parola di Dio e alla preghiera. Infatti la parola di Dio custodita dalla chiesa suscita nel sacerdote, che quotidianamente la medita, la vive e l’annunzia ai fedeli, gli echi più vibranti e profondi.


28. Così, intento tutto e soltanto nelle cose di Dio e della chiesa come Cristo, il ministro di lui, a imitazione del sommo sacerdote sempre vivo al cospetto di Dio per intercedere a nostro favore, riceve dalla attenta e devota recita del divino ufficio, col quale egli presta la sua voce alla chiesa che prega insieme con il suo sposo, gioia e impulso incessanti, e avverte il bisogno di prolungare la sua assiduità nella preghiera, che è compito squisitamente sacerdotale.



29. E tutto il resto della vita del sacerdote acquista maggiore pienezza di significato e di efficacia santificante. Il suo particolare impegno nella propria santificazione trova infatti nuovi incentivi nel ministero della grazia, e nel ministero dell’eucaristia, nella quale è racchiuso tutto il bene della chiesa: agendo in persona di Cristo, il sacerdote si unisce più intimamente alla offerta, deponendo sull’altare tutta intera la propria vita, che reca i segni dell’olocausto.

30. Quali altre considerazioni potremmo poi fare sull’aumento di capacità, di servizio, di amore, di sacrificio del sacerdote per tutto il popolo di Dio? Cristo ha detto di sé: "Se il chicco di frumento non cade in terra e vi muore, resta solo; se invece muore, porta molto frutto" e l’apostolo Paolo non esitava ad esporsi a una quotidiana morte per possedere nei suoi fedeli una gloria in Cristo Gesù. Così il sacerdote, nella quotidiana morte a tutto se stesso, nella rinunzia all’amore legittimo di una famiglia propria per amore di Cristo e del suo regno, troverà la gloria di una vita in Cristo pienissima e feconda, perché come lui e in lui egli ama e si dà a tutti i figli di Dio.

31. Nella comunità dei fedeli affidati alle sue cure il sacerdote è Cristo presente; di qui, la somma convenienza che in tutto egli ne riproduca l’immagine e ne segua in particolare l’esempio; nella sua vita intima come nella vita di ministero. Ai suoi figli in Cristo, il sacerdote è segno e pegno delle sublimi e nuove realtà del regno di Dio di cui è dispensatore, possedendole per conto proprio nel grado più perfetto e alimentando la fede e la speranza di tutti i cristiani, che in quanto tali sono obbligati alla osservanza della castità secondo il proprio stato.

32. La consacrazione a Cristo in virtù d’un titolo nuovo ed eccelso, come il celibato, consente inoltre al sacerdote, com’è evidente, anche nel campo pratico, la massima efficienza e la migliore attitudine psicologica ed affettiva per l’esercizio continuo di quella carità perfetta che gli permetterà in maniera più ampia e concreta di spendersi tutto a vantaggio di tutti, e gli garantisce ovviamente una maggiore libertà e disponibilità nel ministero pastorale, nella sua attiva e amorosa presenza al mondo, al quale Cristo lo ha inviato, affinché egli renda a tutti i figli di Dio interamente il debito loro dovuto.



Significato escatologico del celibato

33. Il regno di Dio che non è di questo mondo è qui sulla terra presente in mistero, e giungerà alla sua perfezione con la venuta gloriosa del Signore Gesù. Di questo regno la chiesa costituisce quaggiù il germe e l’inizio; e mentre va lentamente ma sicuramente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le forze brama di unirsi col suo re nella gloria. Il pellegrinante popolo di Dio è, nella storia, in cammino verso la sua vera patria dove si manifesterà in pienezza la filiazione divina dei redenti; e dove splenderà definitivamente la trasfigurata bellezza della sposa dell’Agnello divino.

34. Il nostro Signore e Maestro ha detto che "alla risurrezione... non si prende moglie né marito, ma si è come angeli di Dio in cielo". Nel mondo dell’uomo, per tanta parte impegnato nelle cure terrene e dominato assai spesso dai desideri della carne, il prezioso dono divino della perfetta continenza per il regno dei cieli costituisce appunto " un segno particolare dei beni celesti", annunzia la presenza sulla terra degli ultimi tempi della salvezza con l’avvento di un mondo nuovo e anticipa in qualche modo la consumazione del regno, affermandone i valori supremi che un giorno rifulgeranno in tutti i figli di Dio. È, perciò, una testimonianza della necessaria tensione del popolo di Dio verso l’ultima meta del pellegrinaggio terrestre e incitamento per tutti a levare lo sguardo alle cose superne, là dove Cristo siede alla destra del Padre e dove la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio, finché si manifesterà nella gloria.


II. IL CELIBATO NELLA VITA DELLA CHIESA

35. Troppo lungo, ma assai istruttivo, sarebbe lo studio dei documenti storici sul celibato ecclesiastico. Basti l’accenno seguente. Nell’antichità cristiana i padri e gli scrittori ecclesiastici testimoniano la diffusione sia in oriente che in occidente della pratica libera del celibato nei sacri ministri, per la sua alta convenienza con la loro totale dedizione al servizio di Cristo e della sua chiesa.


La chiesa d’occidente

36. La chiesa d’occidente, fin dagli inizi del secolo IV, mediante l’intervento di vari concili provinciali e dei sommi pontefici, corroborò, estese e sanzionò questa pratica. Furono soprattutto i supremi pastori e maestri della chiesa di Dio, custodi e interpreti del patrimonio della fede e dei santi costumi cristiani, a promuovere, difendere e restaurare il celibato ecclesiastico nelle successive epoche della storia, anche quando si manifestavano opposizioni nello stesso clero e i costumi della società in decadenza non erano favorevoli agli eroismi della virtù. L’obbligo del celibato fu poi solennemente sancito dal Concilio ecumenico Tridentino e inserito infine nel Codice di diritto canonico.

37. I sommi pontefici a noi più vicini spiegano il loro ardentissimo zelo e la loro dottrina per illuminare e spronare il clero in questa osservanza; e non vogliamo mancare di rendere omaggio particolare alla piissima memoria del nostro immediato predecessore ancor vivo nel cuore del mondo, il quale, nel sinodo romano pronunziò, tra il sincero consenso del nostro clero dell’urbe, le seguenti parole: "Ci accora che... si possa da qualcuno vaneggiare circa la volontà o la convenienza per la chiesa cattolica di rinunziare a ciò che per secoli e secoli fu e rimane una delle glorie più nobili e più pure del suo sacerdozio. La legge del celibato ecclesiastico e la cura di farla prevalere resta sempre un richiamo alle battaglie dei tempi eroici, quando la chiesa di Cristo dovette battersi, e riuscì, al successo del suo trinomio glorioso, che è sempre emblema di vittoria: Chiesa di Cristo, libera, casta e cattolica".


La chiesa d’oriente

38. Se altra è la legislazione della chiesa orientale in materia di disciplina celibataria del clero, come fu finalmente stabilita dal Concilio Trullano dell’anno 692 e come è stata apertamente riconosciuta dal Concilio ecumenico Vaticano II, ciò è dovuto anche a una diversa situazione storica di quella parte nobilissima della chiesa, alla quale situazione lo Spirito santo ha provvidenzialmente e soprannaturalmente contemperato il suo influsso. Noi profittiamo di questa occasione per esprimere la nostra stima e il nostro rispetto a tutto il clero delle chiese orientali, e per riconoscere in esso esempi di fedeltà e di zelo che lo rendono degno di sincera venerazione.

39. Ma ci è altresì motivo di conforto a perseverare nell’osservanza della disciplina circa il celibato del clero l’apologia che dai padri orientali ci viene sulla verginità; ci risuona nel cuore, ad esempio, la voce di s. Gregorio Nisseno, la quale ci ricorda che "la vita verginale è l’immagine della felicità che ci attende nel mondo avvenire", e non meno ci conforta l’encomio del sacerdozio, che tuttora meditiamo, di s. Giovanni Crisostomo, intento a mettere in luce la necessaria armonia, che deve regnare tra la vita privata del ministro dell’altare e la dignità di cui è rivestito in ordine ai suoi sacri uffici: "conviene a chi si accosta al sacerdozio essere puro come se stesse in cielo".

40. Per di più non è inutile osservare che anche in oriente soltanto i sacerdoti celibi sono ordinati vescovi e i sacerdoti stessi non possono contrarre matrimonio dopo l’ordinazione sacerdotale; il che fa intendere come anche quelle venerande chiese posseggano in certa misura il principio del sacerdozio celibatario e quello di una certa convenienza del celibato per il sacerdozio cristiano,. del quale i vescovi possiedono l’apice e la pienezza.

41. In ogni caso, la chiesa d’occidente non può esser da meno nella fedeltà alla propria antica tradizione, e non è pensabile che abbia per secoli seguito una via che, invece di favorire la ricchezza spirituale delle singole anime e del popolo di Dio, l’abbia in qualche modo compromessa, o che abbia, con arbitrari interventi giuridici, compromesso la libera espansione delle più profonde realtà della natura e della grazia.


Casi particolari

42. In virtù della norma fondamentale nel governo della chiesa cattolica alla quale abbiamo sopra accennato, come, da un lato, rimane confermata la legge che richiede la scelta libera e perpetua del celibato in coloro che sono ammessi agli ordini sacri, dall’altro, potrà essere consentito lo studio delle particolari condizioni di ministri sacri coniugati, appartenenti a chiese o a comunità cristiane tuttora divise dalla comunione cattolica, i quali, desiderando di aderire alla pienezza di tale comunione e di esercitarvi il sacro ministero, fossero ammessi alle funzioni sacerdotali, in tali circostanze tuttavia da non portare pregiudizio alla vigente disciplina circa il sacro celibato. E che l’autorità della chiesa non rifugga dall’esercizio di questa potestà lo dimostra l’eventualità, prospettata dal recente concilio ecumenico, di conferire il sacro diaconato anche ad uomini di matura età, viventi nel matrimonio.


43. Ma tutto questo non significa un rilassamento della legge vigente, e non deve essere interpretato come un preludio alla sua abolizione. E piuttosto che indulgere a questa ipotesi, la quale indebolisce negli animi il vigore e l’amore, onde il celibato si fa sicuro e felice, e oscura la vera dottrina, che ne giustifica l’esistenza e ne glorifica lo splendore, sia promosso lo studio in difesa del concetto spirituale e del valore morale della verginità e del celibato.
Fiducia della chiesa


44. Dono particolare è la vera verginità, ma la chiesa intera del nostro tempo, rappresentata solennemente e universalmente dai suoi responsabili pastori, e nel rispetto, che dicevamo, della disciplina delle chiese orientali, ha manifestato la sua piena certezza nello Spirito "che il dono del celibato, così confacente al sacerdozio del nuovo testamento, viene concesso liberalmente dal Padre, a condizione che coloro, i quali partecipano del sacerdozio di Cristo col sacramento dell’ordine, anzi la chiesa intera, lo richiedano con umiltà e insistenza".


45. E noi convochiamo idealmente tutto il popolo di Dio, affinché, a compimento del suo dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali, supplichi instantemente il Padre di tutti, lo sposo divino della chiesa e lo Spirito santo che ne è l’anima, perché, per intercessione della beata vergine Maria, Madre di Cristo e della chiesa, effonda specialmente nel nostro tempo questo dono divino, di cui il Padre certamente non è avaro, e perché le anime ad esso si dispongano con spirito di profonda fede e di generoso amore. Così, nel nostro mondo che ha bisogno della gloria di Dio, i sacerdoti, sempre più perfettamente configurati al Sacerdote unico e sommo, siano una irradiante gloria di Cristo e sia magnificata per loro mezzo "la gloria della grazia" di Dio nel mondo d’oggi.


46. Sì, venerabili e carissimi fratelli nel sacerdozio, che amiamo "nel cuore di Gesù Cristo", è proprio il mondo in cui oggi viviamo, travagliato da una crisi di crescenza e di trasformazione, giustamente fiero degli umani valori e delle umane conquiste, che ha urgente bisogno della testimonianza di vite consacrate ai più alti e sacri valori spirituali, affinché a questo nostro tempo non manchi la rara e incomparabile luce delle più sublimi conquiste dello spirito.

La scarsità numerica dei sacerdoti

47. Il nostro signore Gesù non dubitò di affidare a un pugno di uomini, che ognuno avrebbe giudicato insufficienti per numero e qualità, il formidabile compito della evangelizzazione del mondo allora conosciuto, e a questo "piccolo gregge" ingiunse di non perdersi d’animo, perché avrebbe riportato con lui e per lui, grazie alla sua diuturna assistenza, la vittoria sul mondo. Gesù ci ha ammonito anche che il regno di Dio ha una sua forza intima e segreta che gli permette di crescere e di giungere alla messe senza che l’uomo lo sappia. La messe del regno di Dio è molta e gli operai sono ancora, come all’inizio, pochi; non mai anzi sono stati in numero tale che l’umano giudizio avrebbe potuto giudicare bastevole. Ma il Signore del regno esige che si preghi, affinché sia il Padrone della messe a mandare gli operai nel suo campo. I consigli e la prudenza degli uomini non possono sovrapporsi alla misteriosa sapienza di colui che nella storia della salvezza ha sfidato la sapienza e la potenza dell’uomo con la sua follia e la sua debolezza.


48. Noi facciamo appello al coraggio della fede per esprimere la profonda convinzione della chiesa, secondo la quale una risposta più impegnativa e generosa alla grazia, una fiducia più esplicita e qualificata nella sua potenza misteriosa e travolgente, una testimonianza più aperta e completa al mistero di Cristo, non la faranno mai fallire, nonostante i calcoli umani e le esteriori apparenze, nella sua missione per la salvezza del mondo intero. Ognuno deve sapere di poter tutto in colui che solo dà la forza alle anime e l’incremento alla sua chiesa.

49. Non si può senza riserve credere che con l’abolizione del celibato ecclesiastico crescerebbero per ciò stesso, e in misura considerevole, le sacre vocazioni: l’esperienza contemporanea delle chiese e delle comunità ecclesiali che consentono il matrimonio ai propri ministri sembra deporre al contrario. La causa della rarefazione delle vocazioni sacerdotali va ricercata altrove, principalmente; per esempio, nella perdita o nella attenuazione del senso di Dio e del sacro negli individui e nelle famiglie, della stima per la chiesa come istituzione di salvezza, mediante la fede ed i sacramenti, per cui il problema deve essere studiato nella sua vera radice.


III. IL CELIBATO E I VALORI UMANI

50. La chiesa, come più sopra dicevamo, non ignora che la scelta del sacro celibato, importando una serie di severe rinunzie che toccano l’uomo nel profondo, comporta anche gravi difficoltà e problemi, ai quali sono particolarmente sensibili gli uomini d’oggi. Potrebbe, infatti, sembrare che il celibato non s’accordi con il solenne riconoscimento dei valori umani da parte della chiesa nel recente concilio; ma ad una più attenta considerazione risulta che il sacrificio dell’amore umano come è vissuto nella famiglia, compiuto dal sacerdote per amore di Cristo, è in realtà un omaggio singolare reso a quell’amore. È universalmente riconosciuto, infatti, che la creatura umana ha sempre offerto a Dio ciò che è degno di chi dona e di chi riceve.


Grazia e natura

51. La chiesa, d’altra parte, non può e non deve ignorare che alla scelta del celibato - se è fatta con umana e cristiana prudenza e responsabilità - presiede la grazia, la quale non distrugge e non fa violenza alla natura, ma la eleva e le dà soprannaturali capacità e vigore. Dio che ha creato l’uomo e lo ha redento, sa che cosa gli può chiedere e gli dà tutto quanto è necessario, affinché possa fare ciò che il suo Creatore e Redentore gli chiede. Sant’Agostino, il quale aveva ampiamente e dolorosamente sperimentato in se stesso la natura dell’uomo, esclamava: "Dà ciò che comandi, e comanda ciò che vuoi".

52. La conoscenza leale delle reali difficoltà del celibato è assai utile, anzi necessaria al sacerdote, perché egli si renda conto in piena coscienza di ciò che il suo celibato richiede per essere autentico e benefico; ma con uguale lealtà non si deve attribuire a quelle difficoltà un valore e un peso maggiore di quello che esse effettivamente hanno nel contesto umano o religioso, o dichiararle di impossibile soluzione.

53. Non è giusto ripetere ancora, dopo quanto la scienza ha ormai accertato, che il celibato sia contro la natura, dal momento che avversa esigenze fisiche, psicologiche e affettive legittime, il compimento delle quali sarebbe necessario per completare e maturare la personalità umana. L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, non è soltanto carne, e l’istinto sessuale non è tutto in lui; l’uomo è anche e soprattutto intelligenza, volontà, libertà: facoltà grazie alle quali egli è e deve ritenersi superiore all’universo: esse lo fanno dominatore dei propri appetiti fisici, psicologici e affettivi.

54. Il motivo vero e profondo del sacro celibato è - come abbiamo detto - la scelta di una relazione personale più intima e completa con il mistero di Cristo e della chiesa a vantaggio della intera umanità: in questa scelta, non c’è dubbio che quei supremi valori umani abbiano modo di esprimersi in massimo grado.


Il celibato come elevazione dell’uomo

55. La scelta del celibato non comporta l’ignoranza e il disprezzo dell’istinto sessuale e dell’affettività, il che nuocerebbe all’equilibrio fisico e psicologico del sacerdote, ma esige lucida comprensione, attento dominio di sé e sapiente sublimazione della propria psiche su un piano superiore. In tal modo, il celibato, elevando integralmente l’uomo, contribuisce effettivamente alla sua perfezione.

56. Il desiderio naturale e legittimo dell’uomo di amare una donna e di formarsi una famiglia, sono, sì, superati dal celibato, ma non è detto che il matrimonio e la famiglia siano l’unica via per la maturazione integrale della persona umana. Nel cuore del sacerdote non è spento l’amore. Attinta alla più pura sorgente, esercitata a imitazione di Dio e di Cristo, la carità, non meno di ogni autentico amore, è esigente e concreta, allarga all’infinito l’orizzonte del sacerdote, approfondisce e dilata il suo senso di responsabilità - indice di personalità matura -, educa in lui, come espressione di una più alta e vasta paternità, una pienezza e delicatezza di sentimenti che lo arricchiscono in sovrabbondante misura.


57. Tutto il popolo di Dio deve rendere testimonianza al mistero di Cristo e del suo regno, ma questa testimonianza non è univoca per tutti. Lasciando ai suoi figli laici sposati il compito della necessaria testimonianza di una vita coniugale e familiare autenticamente e pienamente cristiana, la chiesa affida ai suoi sacerdoti la testimonianza di una vita totalmente dedicata alle ultime e affascinanti realtà del regno di Dio. Se al sacerdote viene a mancare una esperienza personale e diretta della vita matrimoniale, non gli mancherà certamente, a ragione della sua formazione, del suo ministero e per la grazia del suo stato, una conoscenza fors’anche più profonda del cuore umano, che gli consentirà di raggiungere quei problemi nella loro origine e di essere così di valido aiuto nel consiglio e nell’assistenza ai coniugi e alle famiglie cristiane. La presenza, presso il focolare cristiano, del sacerdote che vive in pienezza il proprio celibato sottolineerà la dimensione spirituale di ogni amore degno di questo nome e il suo personale sacrificio meriterà ai fedeli uniti dal sacro vincolo del matrimonio la grazia di un’autentica unione.


La solitudine del sacerdote celibe e l’esempio di Cristo


58. È vero: il sacerdote, per il suo celibato, è un uomo solo; ma la sua solitudine non è il vuoto, perché è riempita da Dio e dall’esuberante ricchezza del suo regno. Inoltre, a questa solitudine, che dev’essere pienezza interiore ed esteriore di carità, egli si è preparato, se l’ha scelta consapevolmente e non per l’orgoglio di essere differente dagli altri, non per sottrarsi alle comuni responsabilità, non per estraniarsi dai suoi fratelli o per disistima del mondo. Segregato dal mondo, il sacerdote non è separato dal popolo di Dio, perché "è costituito a vantaggio degli uomini", "consacrato interamente "alla carità e "all’opera per la quale lo ha assunto il Signore".


59. A volte la solitudine peserà dolorosamente sul sacerdote, ma non per questo egli si pentirà di averla generosamente scelta. Anche Cristo, nelle ore più tragiche della sua vita, restò solo, abbandonato da quelli stessi che Egli aveva scelti a testimoni e compagni della sua vita e che aveva amati "fino alla fine", ma dichiarò: "Io non sono solo, perché il Padre è con me". Chi ha scelto di essere tutto di Cristo troverà innanzi tutto nella intimità con lui e nella sua grazia la forza d’animo necessaria per dissipare la malinconia e per vincere gli scoraggiamenti; non gli mancherà la protezione della vergine Madre di Gesù; la materna premura della chiesa al cui servizio si è consacrato; non gli mancherà la sollecitudine del suo padre in Cristo, il vescovo, non gli verrà meno la fraternità intima dei suoi confratelli nel sacerdozio e il conforto di tutto il popolo di Dio. E se l’ostilità, la diffidenza, l’indifferenza degli uomini renderanno a volte assai amara la sua solitudine, egli saprà di dividere così con drammatica evidenza la stessa sorte di Cristo, come un apostolo che non è da più di colui che lo ha inviato, come un amico ammesso ai segreti più dolorosi e gloriosi del divino Amico, che lo ha scelto, affinché in una vita apparentemente di morte porti frutti misteriosi di vita.


PARTE SECONDA

I. LA FORMAZIONE SACERDOTALE

60. La riflessione sulla bellezza, importanza e intima convenienza della sacra verginità per i ministri di Cristo e della chiesa impone anche a chi vi è Maestro e Pastore il dovere di assicurarne e di promuoverne la positiva osservanza, a partire dal momento in cui comincia la preparazione ad accogliere un dono così prezioso. Infatti, le difficoltà e i problemi che rendono ad alcuni penosa, o addirittura impossibile l’osservanza del celibato, derivano non di rado da una formazione sacerdotale che, per i profondi mutamenti di questi ultimi tempi, non è più del tutto adeguata a formare una personalità degna di un "uomo di Dio".

61. Il Concilio ecumenico Vaticano II ha già indicato a tal proposito criteri e norme sapientissime, intonate anche al progresso della psicologia e della pedagogia, nonché alle mutate condizioni degli uomini e della società contemporanea. È nostra volontà che siano emanate al più presto istruzioni apposite, nelle quali il tema sia trattato con la necessaria ampiezza, col concorso di persone esperte, per fornire a coloro i quali hanno nella chiesa il gravissimo compito di preparare i futuri sacerdoti un competente ed opportuno ausilio.



Risposta personale alla divina vocazione


62. Il sacerdozio è un ministero istituito da Cristo a servizio del suo corpo mistico che è la chiesa, alla cui autorità perciò appartiene di ammettervi coloro che essa giudica adatti, cioè quelli ai quali Dio ha concesso, con gli altri segni della vocazione ecclesiastica, anche il carisma del sacro celibato. In virtù di tale carisma, corroborato dalla legge canonica, l’uomo è chiamato a rispondere con libera decisione e dedizione totale, subordinando il proprio io al beneplacito di Dio che lo chiama. In concreto, la vocazione divina si manifesta in un individuo determinato, in possesso di una propria struttura personale, alla quale la grazia non usa fare violenza. Nel candidato al sacerdozio, perciò, si deve coltivare il senso della ricettività del dono divino e della disponibilità nei confronti di Dio, dando essenziale importanza ai mezzi soprannaturali.


63. Ma è anche necessario che sia esattamente tenuto conto del suo stato biologico e psicologico per poterlo guidare e orientare verso l’ideale del sacerdozio. Una formazione veramente adeguata deve dunque coordinare armoniosamente il piano della grazia e il piano della natura, in un soggetto di cui siano note con chiarezza le reali condizioni e le effettive capacità. Le sue reali condizioni dovranno essere accertate appena si delineano i segni della sacra vocazione con la cura più scrupolosa, senza fidarsi di un frettoloso e superficiale giudizio, ma ricorrendo anche all’assistenza e all’aiuto di un medico o di uno psicologo competenti. Non si dovrà omettere una seria indagine anamnestica per accertare l’idoneità del soggetto anche su questa importantissima linea dei fattori ereditari.

64. I soggetti, che siano riscontrati fisicamente e psichicamente o moralmente inadatti, devono essere subito distolti dalla via del sacerdozio: sappiano gli educatori che questo è un loro gravissimo dovere; non si abbandonino a fallaci speranze e a pericolose illusioni e non permettano in alcun modo che il candidato le nutra, con risultati dannosi sia a lui che alla chiesa. Una vita così totalmente e delicatamente impegnata nell’intimo e all’esterno, come quella del sacerdote celibe, esclude, infatti, soggetti di insufficiente equilibrio psicofisico e morale, né si deve pretendere che la grazia supplisca in ciò la natura.


Sviluppo della personalità ed esercizio dell’autorità

65. Una volta accertata l’idoneità del soggetto e dopo averlo ammesso a percorrere l’itinerario che lo condurrà alla meta del sacerdozio, si dovrà curare il progressivo sviluppo della sua personalità, con l’educazione fisica, intellettuale e morale, in ordine al controllo e al dominio personale degli istinti, dei sentimenti e delle passioni.
66. Questa sarà comprovata dalla fermezza d’animo con la quale viene accettata una disciplina personale e comunitaria, quale è quella richiesta dalla vita sacerdotale. Tale disciplina, la cui mancanza o insufficienza è da deplorarsi, perché espone a gravi rischi, non deve essere sopportata solo come una imposizione dall’esterno, ma, per dir così, interiorizzata, inserita nel complesso della vita spirituale come una componente indispensabile.


67. L’arte dell’educatore dovrà stimolare i giovani alla virtù sommamente evangelica della sincerità e alla spontaneità, favorendo ogni buona iniziativa personale, affinché il soggetto stesso impari a conoscersi e a valutarsi, ad assumere consapevolmente le proprie responsabilità, a formarsi a quel dominio di sé che è di importanza suprema nella educazione sacerdotale.

68. L’esercizio dell’autorità, il cui principio dev’essere in ogni caso tenuto fermo, si ispirerà a sapiente moderazione, a sentimenti pastorali e si svolgerà come in un colloquio, e in un graduale allenamento, che consenta all’educazione una comprensione sempre più penetrante della psicologia del giovane e dia a tutta l’opera educativa un carattere eminentemente positivo e persuasivo.

69. La formazione integrale del candidato al sacerdozio deve mirare a una pacata, convinta e libera scelta dei gravi impegni che egli dovrà assumere nella propria coscienza, dinanzi a Dio e alla chiesa. L’ardore e la generosità sono mirabili qualità della gioventù e, illuminate e sorrette, le meritano, con la benedizione del Signore, l’ammirazione e la fiducia della chiesa, come di tutti gli uomini. Ai giovani non verrà nascosta nessuna delle vere difficoltà personali e sociali a cui con la loro scelta andranno incontro, affinché il loro entusiasmo non sia superficiale e fatuo; ma, insieme con le difficoltà, sarà giusto mettere in risalto con non minore verità e chiarezza la sublimità della scelta, che se da una parte provoca nella persona umana un certo vuoto fisico e psichico, dall’altra apporta una pienezza interiore capace di sublimarla dal profondo.
Un’ascesi per la maturazione della personalità


70. I giovani dovranno convincersi di non poter percorrere la loro difficile via senza una ascesi particolare, superiore a quella richiesta a tutti gli altri fedeli e propria degli aspiranti al sacerdozio. Una ascesi severa, ma non soffocante, che sia meditato e assiduo esercizio di quelle virtù che fanno di un uomo un sacerdote: rinnegamento di sé nel grado più alto - condizione essenziale per mettersi al seguito di Cristo - umiltà e obbedienza come espressione di interiore verità e di ordinata libertà; prudenza e giustizia, fortezza e temperanza, virtù senza le quali non può esistere una vita religiosa vera e profonda; senso di responsabilità, di fedeltà e di lealtà nella assunzione dei propri impegni; armonia tra contemplazione e azione; distacco e spirito di povertà, che danno tono e vigore alla libertà evangelica; castità come perseverante conquista, armonizzata con tutte le altre virtù naturali e soprannaturali; contatto sereno e sicuro col mondo al servizio del quale il candidato si dedicherà per Cristo e per il suo regno. In tal modo, l’aspirante al sacerdozio acquisterà, con l’aiuto della grazia divina, una personalità equilibrata, forte e matura, sintesi di elementi nativi e acquisiti, armonia di tutte le sue facoltà nella luce della fede e della intima unione con Cristo, che lo ha scelto per sé e per il ministero della salvezza del mondo.


71. Tuttavia, per giudicare con miglior certezza della idoneità di un giovane al sacerdozio e per avere successive prove della sua raggiunta maturità umana e soprannaturale, memori del fatto che "è più difficile comportarsi bene nella cura delle anime a causa dei pericoli esterni", sarà opportuno che l’impegno del sacro celibato sia osservato durante determinati periodi di esperimento, prima di diventare stabile e definitivo col presbiterato.


72. Una volta raggiunta la morale certezza che la maturità del candidato offre sufficienti garanzie, egli sarà in grado di assumere il grave e soave impegno della castità sacerdotale, come donazione totale di sé al Signore e alla sua chiesa. In tal modo, l’obbligo del celibato, che la chiesa annette oggettivamente alla sacra ordinazione, è fatto personalmente proprio dal soggetto, sotto l’influsso della grazia divina e con piena consapevolezza e libertà, non senza, è ovvio, il consiglio prudente e sapiente di provati maestri di spirito, intesi non già ad imporre, ma a rendere più cosciente la grande e libera opzione; e in quel solenne momento, che deciderà per sempre di tutta la sua vita, il candidato sentirà non il peso di una imposizione dall’esterno, ma l’intima gioia di una scelta fatta per amore di Cristo.



II. LA VITA SACERDOTALE


73. Il sacerdote non deve credere che l’ordinazione gli renda tutto facile e che lo metta definitivamente al riparo da ogni tentazione o pericolo. La castità non si acquisisce una volta per sempre, ma è il risultato di una laboriosa conquista e di una quotidiana affermazione. Il mondo del nostro tempo dà grande rilievo al valore positivo dell’amore nel rapporto tra i sessi, ma ha anche moltiplicato le difficoltà e i rischi in questo campo; quindi è necessario che il sacerdote, per salvaguardare con ogni cura il bene della sua castità e per affermarne il sublime significato, consideri con lucidità e serenità la sua condizione di uomo esposto al combattimento spirituale contro le seduzioni della carne in se stesso e nel mondo, col proposito incessantemente rinnovato di perfezionare sempre più e sempre meglio la sua irrevocabile offerta, che lo impegna a una piena, leale e reale fedeltà.

74. Nuova forza e nuova gioia verrà al sacerdote di Cristo nell’approfondire ogni giorno nella meditazione e nella preghiera i motivi della sua donazione e la convinzione di aver scelto la parte migliore. Egli implorerà con umiltà e perseveranza la grazia della fedeltà, che non mai è negata a chi la chiede con cuore sincero, ricorrendo nello stesso tempo ai mezzi naturali e soprannaturali di cui dispone. Non trascurerà, soprattutto, quelle norme ascetiche che sono garantite dalla esperienza della chiesa e che nelle odierne circostanze non sono meno necessarie d’un tempo.
Intensa vita spirituale


75. Il sacerdote si applichi innanzi tutto a coltivare con tutto l’amore che la grazia gli ispira la sua intimità con Cristo, esplorandone l’inesauribile e beatificante mistero; acquisti un senso sempre più profondo del mistero della chiesa, al di fuori del quale il suo stato di vita rischierebbe di apparirgli inconsistente ed incongruo. La pietà sacerdotale alimentata alla purissima fonte della parola di Dio e della santissima eucaristia, vissuta nel dramma della sacra liturgia, animata da una tenera e illuminata devozione alla Vergine, madre del sommo ed eterno Sacerdote e regina degli apostoli, lo metterà a contatto con le sorgenti di una autentica vita spirituale, che sola dà all’osservanza della sacra verginità solidissimo fondamento.


76. Con la grazia e la pace nel cuore il sacerdote affronterà così con grande animo i molteplici impegni della sua vita e del suo ministero, trovando in essi, se esercitati con fede e con zelo, nuove occasioni di dimostrare la sua totale appartenenza a Cristo e al mistico corpo di lui per la santificazione propria e altrui. La carità di Cristo che lo sospinge lo aiuterà, non a rinunziare ai migliori sentimenti del suo animo, ma a sublimarli e approfondirli in spirito di consacrazione, a imitazione di Cristo, il sommo sacerdote che partecipò intimamente alla vita degli uomini e li amò e soffrì per essi, a somiglianza dell’apostolo Paolo, che partecipava alle ansie di tutti, per irradiare nel mondo la luce e la potenza dell’evangelo della grazia di Dio.


77. Giustamente geloso della propria integrale donazione al Signore, sappia il sacerdote difendersi da quelle inclinazioni del sentimento che mettono in gioco una affettività non sufficientemente illuminata e guidata dallo spirito e si guardi bene dal cercare giustificazioni spirituali e apostoliche a quelle che, in realtà, sono pericolose propensioni del cuore.

78. La vita sacerdotale esige una intensità spirituale genuina e sicura per vivere dello Spirito e per conformarsi allo Spirito, una ascetica interiore ed esteriore veramente virile in chi, appartenendo a speciale titolo a Cristo, ha in lui e per lui crocifisso la carne con le sue passioni e le sue voglie, non dubitando per questo di affrontare duri e diuturni cimenti. Il ministro di Cristo potrà così meglio manifestare al mondo i frutti dello Spirito, che sono: "carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, longanimità, mitezza, fedeltà, moderazione, continenza, castità".

79. La castità sacerdotale è incrementata, custodita e difesa anche da un genere di vita, da un ambiente e da un’attività confacenti a un ministro di Dio, per cui è necessario fomentare al massimo quella "intima fraternità sacramentale", della quale tutti i sacerdoti godono in virtù della sacra ordinazione. Il Signore nostro Gesù ha insegnato l’urgenza del comandamento nuovo della carità e ne ha dato mirabile esempio proprio quando istituiva il sacramento della eucaristia e del sacerdozio cattolico, e pregò il Padre celeste affinché l’amore col quale il Padre lo ha amato da sempre fosse nei suoi ministri ed egli in loro.


80. Sia dunque perfetta la comunione di spirito tra i sacerdoti e intenso lo scambio di preghiere, di serena amicizia e di aiuti d’ogni genere. Non si raccomanderà mai abbastanza ai sacerdoti una certa loro vita comune tutta tesa al ministero propriamente spirituale; la pratica di incontri frequenti con fraterni scambi di idee, di consigli e di esperienza tra confratelli; l’impulso alle associazioni che favoriscono la santità sacerdotale.

81. Riflettano i sacerdoti al monito del concilio, che li richiama alla comune partecipazione nel sacerdozio perché si sentano vivamente responsabili nei confronti dei confratelli turbati da difficoltà, che espongono a serio pericolo il dono divino che è in essi. Si sentano ardere di carità per coloro, che hanno più bisogno di amore, di comprensione, di preghiere, di aiuti discreti ma efficaci, e che hanno titolo per contare sulla carità senza limiti di quelli che sono e devono essere i loro più veri amici.

82. Vorremmo finalmente, a complemento e a ricordo di questo nostro epistolare colloquio con voi, venerati fratelli nell’episcopato, e con voi sacerdoti e ministri dell’altare, suggerire che ognuno di voi si proponga di rinnovare ogni anno, nel giorno anniversario della rispettiva sacra ordinazione, ovvero tutti insieme spiritualmente nel giovedì santo, il giorno misterioso dell’istituzione del sacerdozio, la dedizione totale e fiduciosa a Cristo Signore, di riaccendere in tale modo in voi la coscienza della vostra elezione al suo divino servizio, e di ripetere nello stesso tempo, con umiltà e coraggio, la promessa della vostra indefettibile fedeltà al suo unico amore e alla vostra castissima oblazione.


III. DOLOROSE DISERZIONI

83. A questo punto, il nostro cuore si rivolge con paterno amore, con trepidazione e dolore grande a quegli infelici, ma sempre amatissimi e desideratissimi fratelli nostri nel sacerdozio, i quali, mantenendo impresso nell’anima il carattere sacro conferito dall’ordinazione sacerdotale, furono disgraziatamente infedeli agli obblighi assunti al tempo della loro consacrazione sacerdotale. Il loro lacrimevole stato, e le conseguenze private e pubbliche che ne derivano, muovono alcuni a pensare se non sia proprio il celibato responsabile in qualche modo di tali drammi e degli scandali che ne soffre il popolo di Dio. In realtà, la responsabilità ricade non sul sacro celibato in se stesso, ma su una valutazione a suo tempo non sempre sufficiente e prudente delle qualità del candidato al sacerdozio o sul modo col quale i sacri ministri vivono la loro totale consacrazione.

84. La chiesa è sensibilissima alla triste sorte di questi suoi figli e ritiene necessario fare ogni sforzo per prevenire o sanare le piaghe che le sono inferte dalla loro defezione. Seguendo l’esempio dei nostri immediati predecessori di s.m., anche noi abbiamo voluto e disposto che la investigazione delle cause riguardanti l’ordinazione sacerdotale sia estesa ad altri motivi gravissimi non previsti dall’attuale legislazione canonica, i quali possono dar luogo a fondati e reali dubbi sulla piena libertà e responsabilità del candidato al sacerdozio e sulla sua idoneità allo stato sacerdotale, in modo da liberare quanti un accurato processo giudiziario dimostri effettivamente non adatti.
La concessione delle dispense

85. Le dispense che vengono eventualmente concesse, in una percentuale in verità minima nei confronti del grande numero dei sacerdoti sani e degni, mentre provvedono con giustizia alla salute spirituale degli individui, dimostrano anche la sollecitudine della chiesa per la tutela del sacro celibato e la fedeltà integrale di tutti i suoi ministri. Nel fare questo, la chiesa procede sempre con l’amarezza nel cuore, specialmente nei casi particolarmente dolorosi nei quali il rifiuto a portare degnamente il giogo soave di Cristo è dovuto a crisi di fede, o a debolezze morali, spesso perciò responsabile e scandaloso.



86. Oh, sapessero questi sacerdoti quanta pena, quanto disonore, quanto turbamento essi procurano alla santa chiesa di Dio, riflettessero quale era la solennità e la bellezza degli impegni assunti, e a quali pericoli essi vanno incontro in questa vita e a quella futura, essi sarebbero più cauti e più riflessivi nelle loro decisioni, più solleciti alla preghiera e più logici e coraggiosi nel prevenire le cause del loro collasso spirituale e morale.

87. Particolare interesse la madre chiesa rivolge ai casi dei sacerdoti ancora giovani, i quali avevano iniziato con entusiasmo e con zelo la loro vita di ministero: non è forse facile oggi ad essi, nella tensione dell’impegno sacerdotale, provare un momento di sfiducia, di dubbio, di passione, di follia? Per questo la chiesa vuole che sia tentato, specialmente per questi casi, ogni mezzo persuasivo, allo scopo d’indurre il fratello vacillante alla calma, alla fiducia, al pentimento, a ritornare al primitivo fervore. E solo quando sembrerà che il sacerdote non possa essere indotto a tornare sulla buona strada, solo allora l’infelice ministro di Dio è radiato del ministero a lui affidato.

88. Che se egli si dimostrasse irrecuperabile per il sacerdozio, ma presentasse tuttavia qualche seria e buona disposizione di vivere cristianamente come laico, la sede apostolica, studiate attentissimamente tutte le circostanze, d’accordo con l’ordinario del luogo o col superiore religioso, lasciando che sul dolore vinca ancora l’amore, concede talvolta ogni richiesta dispensa, non senza accompagnarla con l’imposizione di opere di pietà e di riparazione, affinché rimanga nel figlio infelice, ma sempre caro, un segno salutare del materno dolore della chiesa e un ricordo più vivo del comune bisogno della divina misericordia.

89. Una tale disciplina, severa e misericordiosa insieme, sempre ispirata a giustizia e verità, a somma prudenza e riservatezza, contribuirà senza dubbio a confermare i buoni sacerdoti nel proposito di una vita intemerata e santa e sarà di monito agli aspiranti al sacerdozio, affinché, con la saggia guida dei loro educatori, avanzino verso l’altare con piena consapevolezza, con supremo disinteresse, con slancio di corrispondenza alla grazia divina e alla volontà di Cristo e della sua chiesa.

90. Non vogliamo, infine, omettere di ringraziare con gioia profonda il Signore nel rilevare che non pochi di quelli, i quali furono purtroppo infedeli temporaneamente al loro impegno, ricorrendo con commovente buona volontà a tutti i mezzi idonei, e principalmente a una intensa vita di preghiera, di umiltà, di sforzi perseveranti sostenuti dall’assiduità al sacramento della penitenza, hanno ritrovato per grazia del sommo Sacerdote la via giusta e son ritornati, per la gioia di tutti, ad essere suoi esemplari ministri.


IV. LA PATERNITÀ DEL VESCOVO

91. Un insostituibile e validissimo aiuto per l’osservanza più agevole e felice dei doveri assunti, i nostri carissimi sacerdoti hanno il diritto e il dovere di trovarlo in voi, venerabili fratelli nell’episcopato. Voi li avete accettati e destinati al sacerdozio, voi avete imposto le mani sul loro capo, a voi essi sono congiunti per l’onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell’ordine, voi essi rendono presenti nella comunità dei loro fedeli, a voi essi sono uniti con animo fiducioso e grande, prendendo su di sé, secondo il loro grado, i vostri uffici e la vostra sollecitudine. Scegliendo il sacro celibato essi hanno seguito l’esempio, vigente fin dall’antichità, dei presuli d’oriente e d’occidente: ciò costituisce tra il vescovo e il sacerdote un motivo nuovo di comunione e un fattore propizio per viverla più intimamente.

92. Tutta la tenerezza di Gesù per i suoi apostoli si manifestò con ogni evidenza allorquando egli li fece ministri del suo corpo reale e mistico, e anche voi, nella cui persona "è presente in mezzo ai credenti il signore Gesù Cristo, pontefice Sommo", sapete di dovere il meglio del vostro cuore e delle vostre pastorali premure ai sacerdoti e ai giovani che si preparano ad essere tali. In nessun altro modo voi potrete meglio manifestare questa vostra convinzione che nella consapevole responsabilità e nella sincera e invincibile carità con la quale presiederete alla educazione degli allievi del santuario e aiuterete con ogni mezzo i sacerdoti a mantenersi fedeli alla loro vocazione e ai loro doveri.

93. La solitudine umana del sacerdote, origine non ultima di scoraggiamenti e di tentazioni, sia riempita innanzi tutto dalla vostra fraterna e amichevole presenza e azione. Prima di essere superiori e giudici, siate per i vostri sacerdoti maestri, padri, amici e fratelli buoni e misericordiosi, pronti a comprendere, a compatire, ad aiutare. Incoraggiate in tutti i modi i vostri sacerdoti a un’amicizia personale e a un’apertura confidente con voi, che non sopprima, ma superi nella carità pastorale il rapporto di obbedienza giuridica, affinché la stessa obbedienza sia più volenterosa, leale e sicura. Una devota amicizia e una filiale confidenza con voi permetteranno ai sacerdoti di aprirvi in tempo il loro animo, di confidarvi le loro difficoltà, nella certezza di poter sempre disporre del vostro cuore per deporvi anche le eventuali sconfitte, senza il servile timore del castigo, ma nella attesa filiale di correzione, di perdono e di soccorso, che li invoglierà a riprendere con nuova fiducia il loro arduo cammino.

94. Tutti voi, venerabili fratelli, siete certamente convinti che ridare a un’anima sacerdotale la gioia e l’entusiasmo per la propria vocazione, la pace interiore e la salvezza, sia un ministero urgente e glorioso, che ha un influsso incalcolabile su una moltitudine di anime. Che se, a un certo momento, sarete costretti a ricorrere alla vostra autorità e a una giusta severità verso quei pochi che, dopo aver resistito al vostro cuore, causano con la loro condotta scandalo al popolo di Dio, nel prendere i necessari provvedimenti procurate di proporvi innanzi tutto il loro ravvedimento. A imitazione del signore Gesù, pastore e vescovo delle anime nostre, non spezzate la canna già incrinata e non spegnete il lucignolo fumante; sanate, come Gesù, le piaghe, salvate ciò che era perduto, andate in cerca con ansia ed amore della pecorella smarrita per riportarla al caldo dell’ovile, e tentate come lui, fino all’ultimo, di richiamare l’amico infedele.

95. Siamo sicuri, venerabili fratelli, che non lascerete nulla di intentato per coltivare assiduamente nel vostro clero, con la vostra dottrina e sapienza, col vostro pastorale fervore, l’ideale del celibato sacro e non perderete mai di vista i sacerdoti che hanno abbandonato la casa di Dio, che è la loro vera casa, qualunque sia l’esito della loro dolorosa avventura, perché restano per sempre vostri figli.

V. LA PARTE DEI FEDELI


96. La virtù sacerdotale è un bene di tutta quanta la chiesa, è una non umana ricchezza e gloria, che ridonda a edificazione e beneficio di tutto il popolo di Dio; vogliamo perciò rivolg

COELI BEATUS




COELI BEATUS: OSSERVAZIONI DI UN BIOLOGO

Data: Sabato, 02 aprile @ 11:08:18 CEST
Argomento: Sacerdozio e vita religiosa


Di Jérôme Lejeune

Sulla terra l'uomo è il solo che si domanda chi è, dove va, e che talvolta si sente rivolgere queste temibili domande: "Cosa ne è di tuo fratello?", "Cosa hai fatto di tuo figlio?".
Le pulsioni elementari che sono alla base della perpetuazione delle specie sono presenti in tutti gli esseri viventi, ma l'uomo è il solo a conoscere il misterioso rapporto tra l'amore e il futuro. Né lo scimpanzé più malizioso né quello meglio ammaestrato potranno mai concepire che esista un rapporto tra la monta della sua femmina e l'arrivo, nove mesi più tardi, di un cucciolo che gli assomiglia.
L'uomo, da parte sua, ha sempre saputo che l'appetito sessuale e la sua soddisfazione voluttuosa sono collegati, per loro natura, alla procreazione. In modo poetico, e assolutamente realista, gli antichi non rappresentavano forse la passione amorosa con i tratti di un bambino?





Natura umana

Oggigiorno, ognuno di noi sa bene che la natura umana non esiste più. Le nostre pulsioni e i nostri atti, soprattutto nella sfera sessuale, non sono altro che mere convenzioni imposte dalla società e che variano secondo i tempi. Non c'è nessuna legge biologica che sia in grado di guidarci né di illuminarci, come è stato formalmente decretato dai nuovi umanisti.

Dato che lo spirito scientifico non accetta affermazioni perentorie se non con beneficio d'inventario è permesso pensarci due volte prima di ammettere che gli istinti nella nostra specie non esistono, o che le pulsioni amorose non sono altro che brividi senza significato né logica. La neuroanatomia ci mostra quale imprudenza sarebbe disconoscere il modo in cui siamo fatti.

Il "sacco di pelle" che copre e delimita questa casa di carne di cui siamo gli abitanti è repertoriato punto per punto nella corteccia cerebrale. All'incirca all'altezza del cerchietto con il quale le ragazze tengono fermi talvolta i capelli, si osserva, sul versante posteriore della scissura di Rolando, la rappresentazione sensitiva di tutto il nostro corpo.
L'omuncolo neurologico si trova come allungato sulla parietale ascendente, la testa rivolta verso il basso, le gambe verso l'alto, con i piedi penzoloni nel solco che separa i due emisferi.
Ogni parte si ritrova nell'ordine consueto: la testa, il collo, la mano, il braccio, il tronco, il bacino, la gamba, il piede e le sue dita e, in fondo alle dita del piede, gli organi genitali. Questa disposizione, a prima vista scioccante, diventa assolutamente ovvia non appena ci si ricorda che viviamo in piedi. Se l'uomo camminasse a quattro zampe, vedremmo che l'organo genitale si troverebbe effettivamente all'estremità posteriore del tronco e, di conseguenza, verrebbe proiettato immediatamente dopo la rappresentazione della gamba e delle dita del piede.
In questo modo, la sfera genitale è la sola parte del nostro corpo la cui rappresentazione cerebrale viene direttamente in contatto con l'enorme lobo limbico, sede di tutte le emozioni; è in quest'ultimo, infatti, che si organizzano le pulsioni che ci muovono: quelle che mirano alla sopravvivenza dell'essere (la fame, la sete, l'aggressività), e quelle che mirano alla continuazione della specie (l'appetito genitale, l'attrazione verso il partner, la difesa del piccolo, la fedeltà al proprio simile).
Ne consegue che siamo fatti in modo tale che ciò che coinvolge la sfera genitale turba direttamente il morale dal punto di vista neurologico. Da cui l'impossibilità, sembrerebbe, di dominare il comportamento emotivo e di controllare gli istinti, se l'impero della volontà non si estende anche, e forse anzitutto, al comportamento genitale cosciente e deliberato.
La vecchia battuta degli amorali di un tempo: "se la morale esiste si trova molto mal collocata in fondo ai calzoni" , non era che ignoranza della neuroanatomia. Non è lo smarrimento dei rigoristi che ha collocato l'organo genitale in stretto contatto con le emozioni, è la memoria della vita...

Fontes vitae

Durante tutto il corso della vita, le pulsioni amorose si presentano di volta in volta sia isolatamente sia tutte insieme, e spetta alla persona equilibrarle.
Pulsione particolarmente potente, l'appetito genitale può manifestarsi del tutto isolatamente negli esseri viventi di grado più basso. Certi pesci maschi, per esempio, spargono il loro sperma sulle uova deposte da una femmina sconosciuta che non incontreranno mai. Ridotto alla pulsione genitale, il comportamento sessuale sarebbe soddisfatto da un mero sfogo automatico.
Negli esseri superiori, l'attrazione verso l'altro sesso orienta questo appetito e, in noi, la tenerezza gli dà tutto il suo significato: è necessaria l'unione di due persone per generarne una terza.
Questa trilogia caratteristica della riproduzione naturale impone che la tenerezza unisca persone di sesso diverso. Da cui l'espressione del linguaggio comune, che reputa contro natura il rapporto omosessuale, che soddisfa l'appetito in modo contraffatto e non può in alcun modo rispettare il partner, e ancor meno il figlio.
La trasmissione della vita non si esaurisce nella procreazione; la difesa del piccolo ne rappresenta il seguito obbligato. Questa pulsione è cosi forte in tutti i vertebrati (e persino negli invertebrati) che non parrebbe necessario insistere sulla sua importanza per noi esseri umani. Al primo strillo del neonato ognuno percepisce la forza di questo irresistibile richiamo. Tuttavia, l'aborto e l'infanticidio dimostrano quanto la natura umana sia terribilmente dilaniata.

Infine, la fedeltà alla famiglia e al gruppo, questo sentimento di appartenenza, questo bisogno di darsi totalmente costituisce la base della società. Tuttavia, l'abbandono de bambini o la soppressione dei malati che certi innovatori esaltano, rispolverando instancabilmente i più antichi sofismi rivelano la vulnerabilità degli istinti nella nostra specie.

Le scienze naturali, però, non sono in grado di condurre oltre; pur non rinunciando a un'analisi approfondita, il biologo osserva con prudenza e rispetto questo fenomeno, squisitamente umano, dell'impegno delle persone:
- lasciare il padre e la madre per formare una carne sola, per sempre, con il proprio sposo, appare facilmente immaginabile;
- proteggere i propri figli, i propri genitori e tutti i membri del gruppo si rivela assolutamente auspicabile;
- dare la propria vita per coloro che si amano, anche questo pare concepibile, almeno teoricamente.
Senza pretendere di ignorare le difficoltà e le sofferenze, o semplicemente gli inconvenienti, si vede che il matrimonio da equilibrio ai rapporti d'amore.
Allora, perché rifiutare le umili gioie del focolare, il fascino dei figli, il calore della famiglia e del gruppo?
Perché questo abbandono volontario delle felicità più garantite?
Nessuna inclinazione ci predispone in questo senso. Cionondimeno, il celibato consacrato dimostra chiaramente che un altro equilibrio è possibile.

Coelibatus

La riflessione di un biologo non può pretendere di spiegare un fenomeno religioso, ma rimane la possibilità di studiarne gli effetti più evidenti.

Il sentimento d'appartenenza può trovare nel celibato il suo maggior sviluppo.
Ne è testimone questa confidenza di un missionario di grande esperienza: "In tutta la mia carriera - diceva - e nelle regioni più sperdute, non ho mai incontrato stranieri. Dovunque ho trovato dei fratelli".

Vista dal cielo, infatti, se si potesse dire così, la prospettiva è più ampia. Il sacerdote riconosce nel suo prossimo un suo simile, ma egli, al tempo stesso, sente, nel fratello che vede, lo spirito del Padre che non vede. La natura umana è uno specchio deformante scalfito e gonfiato dalla cicatrice del nostro peccato originale, intelligenza divisa tra la ragione e il cuore. Ma questa similitudine incerta, questa immagine indecisa, quasi irriconoscibile, rimane tuttavia accessibile a colui il cui occhio è cambiato.

La difesa del piccolo viene anch'essa esercitata in pieno. L'inibizione geniale dei popoli cristiani è quella di associare al carattere genitoriale una virtù, la bontà.

Di quelle che servono i più poveri, i diseredati, i poco amati, si dice molto giustamente che sono sorelle e, meglio ancora, che sono buone. Più di ogni parametro sociologico o statistico, il ruolo delle buone sorelle rappresenta la misura empirica del grado di cristianità. Un dettaglio dell'abbigliamento viene in aiuto alla loro azione. Il velo è estremamente efficace affinché l'affetto manifestato e la carità prodigata non si prestino a false interpretazioni.

Una piccola sorella degli infermi osservava che, vestita alla meno peggio, come si fa oggigiorno, non osava più entrare con la stessa sicurezza di una volta negli ambienti mal frequentati: "La gente", diceva lei, "non riesce più a vedere nel nome di Chi io vengo".

Essa esprimeva così l'impegno della persona, sola ragione del celibato, così come me lo ha fatto comprendere una superiora che guidava il suo convento con la più efficace delle dolcezze.
"L'impegno, la scelta dello sposo, ed è di vocazione che si parla! Il prete e la suora, dicono, non devono sposarsi perché possano restare pienamente disponibili per consacrare a Dio e dedicarsi agli altri.
- Certo, questo non è sbagliato, ma è vero nell'ordine inverso: quando ci si è impegnati totalmente per Dio, come potrebbe contrarre un altro matrimonio?
- Alle postulanti rispondo: se voi non vi sentite chiamate a seguire il Signore come se foste le sue compagne, cercatevi un marito. Entrambe le vocazioni sono legittime, ma non contemporaneamente! ".

Resta l'appetito genitale, questa pulsione esplosiva più insistente nell'uomo, almeno a livello fisico. Per fondamentale che essa sia (ne dipende l'avvenire della specie), questa funzione biologica è l'unica la cui mancata soddisfazione non comporta alcuna patologia.
Non si può dire lo stesso della fame, della sete, o del bisogno di dormire.

Nel celibato, la pulsione persiste, sempre altrettanto specializzata, ma l'appetito si generalizza. Da genitale che era si accresce genialmente, risalendo l'albero della vita fino a Colui che la genera. Cercando la propria felicità sull'altro versante del tempo, l'essere umano, finalmente guarito, si unisce all'infinito Presente.
Questo appetito sublime è forse l'origine della parola coelibatus. Seneca la impiegava per lo stato non matrimoniale; Giulio Valeriano l'applicava alla vita celeste. Lo storico poco conosciuto è forse andato più vicino alla verità di un moralista di fama: il cuore che rinuncia agli amori per l'amore più grande è davvero Coeli beatus [= un celeste beato, un cittadino celeste.!]







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MEMENTO, DOMINA, VERBI TUI
SERVO TUO
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giovedì 25 settembre 2014

4. - UN REGALO ECCEZIONALE di EMMANUEL ANDRÈ


LIBRO QUARTO

Le virtù necessarie all'esercizio del ministero




CAPITOLO I
LA GRANDEZZA DEL MINISTERO È LA MISURA DELLE VIRTÙ CHE RICHIEDE

Il ministero è un'opera divina: "Questa è l'opera di Dio credere in colui che egli ha mandato" (Gv. 6,29). San Paolo lo chiama opera del Signore: "Opus Domini" (I Cor. 16,10) Dio, infatti è il primo autore della salvezza degli uomini; fu il primo a volerla, il primo che ne pose le condizioni e ne istituì i mezzi, il primo che vi si è adoperato in Gesù Cristo Nostro Signore: "È stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo" (2 Cor. 5,19). 
Dio chiamo gli uomini a suoi cooperatori nell'opera della salvezza degli uomini, tuttavia Egli è l'agente principale nell'esecuzione dell'opera divina: "Affidando a noi la parola della riconciliazione; noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro" (Ivi 19,20). Ne consegue che il sacerdote è veramente l'ambasciatore, l'incaricato d'affari, il ministro di Dio, e come dice San Paolo: l'uomo di Dio: "Homo Dei" (I Tim. 6,2). 
Da questo San Paolo conclude che l'uomo di Dio è preparato, disposto, diremmo quasi equipaggiato per ogni opera: "L'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona" (2 Tim. 3,17). Ossia l'uomo di Dio diventa così, a suo modo, l'uomo-Dio e per i poteri divini che esercita dev'essere ornato di ogni virtù. Dev'essere perfetto come il Padre celeste è perfetto (Matteo, 5,48). 
Perciò abbiamo molto da fare prima di poter dire come San Paolo: "Ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza" (2 Cor. 3,6). 
Fra tutte le virtù necessarie al sacerdote, al ministro della salvezza delle anime, al pastore, San Gregorio Magno ne richiede principalmente dieci: ne parla in modo ammirevole nella seconda parte del suo Pastorale: voglia egli perdonarci se scriviamo al suo seguito qualche cosa intorno a quelle virtù ch'egli possedeva e che noi non possediamo.



CAPITOLO II
LA CASTITÀ

Dio è santo, anzi è la stessa santità; per questo egli vuole che i suoi ministri siano santi. Orbene: il carattere proprio della santità del sacerdote è la castità. 
Il vescovo nell'atto di ordinare i diaconi dice loro: "Estote assumpti a carnalibus desideriis, a terrenis concupiscentiis; estote nitidi, puri, casti sicut decet ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei" (Pont. Rom). Per cui se nel diacono si deve effettuare un tale ministero di assunzione, tanto più deve divenir grande nel sacerdote. L'uomo di Dio non può essere uomo della carne, perché Dio è tutto spirito. 

Il sacerdote sia che si consideri in faccia a Dio e in faccia a nostro Signore, vedrà che deve a Dio e a nostro Signore l'omaggio della più perfetta castità. Se poi si considererà in faccia ai fedeli vedrà che a tutti deve sempre castità per essere sempre per loro l'uomo di Dio, pronto a dare i sacramenti, pronto a lavorare per guarire le piaghe delle anime. 
La castità del sacerdote dev'essere una castità eccellente; se no sarebbe in difetto rispetto a Dio per la quotidiana celebrazione del Sacrificio e per la comunione quotidiana; in difetto rispetto ai fedeli per i quali non sarebbe mai un medico capace, qualora diventasse un uomo colpevole. 

La purezza del sacerdote esige da lui una vita seria, regolata, mortificata, assente alle dissipazioni mondane, una vita di preghiera, ritirata e di studio. 

È a questo prezzo che il sacerdote sarà l'uomo di Dio e si manterrà in alto nello stato di assunzione che il vescovo gli ha augurato, ordinandolo diacono. In questo modo egli potrà ascoltare la voce di Dio nella preghiera; potrà vedere con tranquillità e dall'alto lo stato delle anime sulla terra: potrà impegnarsi a guarirle senza esporsi a contrarre egli stesso il male. 
Insomma, la castità è una virtù così indispensabile al sacerdote che assolutamente non esitiamo di affermare che la potenza del sacerdote è in ragione diretta della sua castità
Per giudicarne, si guardino da un lato i Santi e dall'altro un sacerdote caduto o che sta per cadere: i Santi sono potenti "in opere et sermone"; i sacerdoti caduti o che stanno per cadere non possono nulla: danno a sé stessi la testimonianza della loro impotenza ed hanno il solo diritto di tacere.



CAPITOLO III
IL BUON ESEMPIO

"Sii esempio ai fedeli", dice San Paolo al suo discepolo Timoteo (I Tim. 4,12). "Offri te stesso come esempio in tutto", dice a Tito (Tit. 2,7). 
Scrive San Giovanni Crisostomo che l'anima del sacerdote dev'essere più pura dei raggi del sole (De Sacerdotio lib. VI, cap. 2). 
Scrive anche che i vizi di un sacerdote non possono restare nascosti e quando fossero poca cosa si rivelano molto presto: "Ne utiquam possunt sacerdotum vitia latere, sed etiam exigua cito conspicua sunt" (Ibid. lib. III, cap. 14). 

Senza il buon esempio il sacerdote non può né agire, né parlare utilmente per le anime. Egli deve avere il diritto d'insegnare agli altri. 
San Gregorio Nazianzeno non pensava altrimenti quando diceva: "Prima di purificare bisogna essere purificati e prima d'insegnare la sapienza bisogna averla acquistata. Prima di rischiarare bisogna diventare luminosi; prima di condurre gli altri a Dio bisogna esserne vicini noi stessi e prima di santificare, bisogna essere santo" (Oratio I o II). 
Il sacerdote non saprà mai insegnare le virtù che non possiede e non riuscirà a far praticare il bene ch'egli non avrà praticato. L'esempio è la prima forma di predicazione e senza questa non servirà a nulla tutta l'eloquenza di questo mondo: "Bronzo che risuona o un cembalo che tintinna"
San Girolamo suppone il caso di un sacerdote che avesse intorno a sé dei fedeli virtuosi senza essere virtuoso egli stesso, o meno di coloro che devono imparare da lui e nettamente afferma che un sacerdote così fatto è la distruzione, la rovina della Chiesa, e una rovina violenta: "Vehementer enim Ecclesiam Dei destruit,  meliores esse laicos quam clericos". 
È facile cogliere la ragione di questo detto. I fedeli non trovando nei loro pastori ciò di cui hanno bisogno per progredire nelle virtù e anche per preservarsi, andranno verso il declino che sarà tanto più rapido quanto il pastore sarà meno atto a sostenerli là dov'essi avrebbero potuto spiccare il volo. 
L'esempio è perciò necessario e dev'essere tanto più perfetto quando si devono istruire delle anime più perfette.




CAPITOLO IV
LA DISCREZIONE NEL SILENZIO

Il sacerdote deve saper conservare un silenzio discreto: il rispetto che deve a Dio, a nostro Signore, al Santo Sacramento e alle anime, delle quali è pastore gl'impongono una legge indispensabile di discreto silenzio. 
Una sua parola di troppo può compromettere il suo ministero e nuocere alla stessa parola di Dio quando l'annuncerà. 

Il sacerdote dovrebbe parlare soltanto quando ha da Dio l'ordine di parlare: ciò appartiene agli obblighi del ministro che deve aprire la bocca soltanto secondo le intenzioni del principe che lo ha inviato. Se il sacerdote è uomo di preghiera non avrà difficoltà ad osservare la legge della discrezione e del silenzio: quando si ha l'onore d'intrattenerci con Dio nella preghiera, con Nostro Signore durante il Santo Sacrificio, non si ha punta inclinazione a conversare con gli uomini. 
Il sacerdote chiacchierone non sarà mai considerato dalle anime come uomo di Dio e in questo le anime non sbagliano mai.



CAPITOLO V
L'UTILITÀ DELLA PAROLA

C'è, dice lo Spirito Santo, un tempo per tacere e un tempo per parlare. L'uomo di Dio deve saper discernere questi tempi, e quando viene il tempo di parlare bisogna ch'egli vigili per dire ciò che Dio vuole ch'egli dica, e ciò che le anime hanno diritto di aspettarsi da un inviato di Dio. 
San Pietro, ammaestrando tutti i cristiani disse: "Chi parla, lo faccia come con parole di Dio" (1 Pt. 4,11). Ma s'egli avesse scritto ai soli sacerdoti, avrebbe detto senza dubbio: "Se il sacerdote parla, lo faccia con parole di Dio". Avrebbe cioè soppressa la parola "come". 
Sul pulpito il sacerdote deve parlare come Dio stesso; fuori di là, come l'uomo di Dio
È nota l'espressione di San Bernardo riguardo alle parole buffe: "In ore saecularium nugae nugae sunt; in ore sacerdotum blasphemiae". La parola del sacerdote dev'essere sempre senza affettazione, affabile senza trivialità, dolce senza adulazioni, grave senza durezza, deve richiamare alle anime il ricordo di Nostro Signore del quale si dice: "Mai un uomo ha parlato come parla quest'uomo!" (Gv. 7,46).




CAPITOLO VI
LA CARITÀ COMPASSIONEVOLE VERSO TUTTI

Il sacerdote è debitore a Dio e al prossimo: a Dio deve la preghiera, al prossimo deve una tenera e compassionevole carità. 
Nostro Signore che nell'Evangelo ci ha dato un si grande numero di divini insegnamenti di tenerezza verso i peccatori e ci ha insegnato le parabole si commoventi del figlio prodigo, della pecorella sperduta, la storia della donna adultera, è egli stesso il modello della tenera carità che deve avere il pastore delle anime. 
"Che il pastore, scrive San Gregorio, sia avvicinato da tutti i suoi fedeli per la sua compassione: che con le viscere della sua misericordia attiri a sé e prenda su di sé per caricarle, le infermità di tutti. Che il pastore si mostri in modo tale che i fedeli non abbiano alcuna ripugnanza a rivelargli quanto hanno di più segreto, e quando i piccoli sono agitati dai flutti delle tentazioni facciano ricorso a lui, come al seno d'una madre, "quasi ad matris sinum!".


CAPITOLO VII

L'UNIONE A DIO NELLA PREGHIERA

Quando la carità compassionevole, la tenerezza paterna e anche materna deve avvicinare il pastore ai suoi fedeli, altrettanto lo zelo della preghiera deve mantenerlo unito a Dio. 
Il pastore è l'uomo di Dio: non può nulla se non con l'aiuto della grazia: deve ricevere da Dio le istruzioni di Dio: da Dio deve sollecitare le grazie necessarie e a sé e al suo gregge. Come farà se prima di tutto egli non sarà uomo di preghiera? 

Dice San Paolo: Noi siamo gli ambasciatori di Gesù Cristo: "Pro Christo legatione fungimur" (2 Cor. 5,20). Ora, ogni ambasciatore deve ricevere le istruzioni di colui che lo manda per farne gl'interessi: perciò come il sacerdote potrà adoperarsi per gl'interessi di Dio presso le anime se da Dio non ebbe una parola? E come avrà egli una parola da Dio se non con la preghiera? 
E qui ritorna l'affermazione di San Pietro che abbiamo più volte ricordata: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4). Dove si vede che l'Apostolo pone prima di ogni cosa la preghiera nella quale riceverà le luci di Dio che poi trasmetterà ai fedeli con la predicazione. "Preghiera e ministero della parola". La parola che non è stata "pregata" sarà sempre un vano rumore; impotente e infeconda: invece di essere la parola di Dio sarà la parola dell'uomo. Perciò, prima di tutto e sopra tutto: bisogna pregare.




CAPITOLO VIII
L'UMILTÀ

Il sacerdote ha doppiamente bisogno della grazia di Dio: ne ha bisogno per se stesso, ne ha bisogno per il suo gregge. Siccome poi Iddio, seguendo la più che saggia legge della sua misericordia e della sua giustizia, resiste ai superbi e dà la sua grazia agli umili, ne consegue che il sacerdote ha una duplice necessità, una necessità più viva, di quanto ne hanno i fedeli, di essere veramente umile. Ha bisogno di conoscere le vie di Dio e i suoi segreti; ha bisogno di conciliarsi la grazia di Dio e di conciliarla alle anime delle quali è pastore. Come potrà egli essere mediatore associato a Dio se non è umile? Forse Iddio si rivelerà all'uomo che vuol penetrare nei suoi segreti per rapirgli la sua gloria e attribuirla a sé stesso? Farà Iddio canale della sua grazia l'uomo che col suo orgoglio si fa nemico della grazia? Come potrà trattare con Dio della riconciliazione delle anime colpevoli chi pone sé stesso in rivolta con Dio col suo orgoglio? 
Senza umiltà non c'è ministero possibile: Dio certamente ci vuole elargire la sua grazia, ma non vuole che lo rapiniamo della sua gloria: e dal momento che un sacerdote cerca la gloria per sé, cessa di essere il mediatore della grazia: "Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia" (Giac. 4,6).


CAPITOLO IX

DELLO ZELO DELLA GIUSTIZIA

Lo zelo della giustizia è perfetta abnegazione agli interessi di Dio e negli interessi di Dio sono necessariamente compresi gl'interessi delle anime: perché Dio vuole la salvezza delle anime; è lo stesso interesse di Dio, dal momento che lì sta la sua maggior gloria. 

Gl'interessi di Dio sovente sono compromessi dagli uomini: in questo caso il pastore, che sta tra Dio e gli uomini, si troverà spesse volte in lotta con gli uomini per difendere gl'interessi di Dio. Lotta che non è senza difficoltà: poiché se il pastore deve sé stesso a Dio di cui è l'uomo, deve anche sé stesso alle anime delle quali è pastore, e pastore responsabile. Se egli vede gl'interessi di Dio, per così dire con un occhio solo, si affaticherà in un modo imperfetto e comprometterà le anime: e, per altro, se mira a non compromettere le anime, potrà tuttavia mancare gl'interessi di Dio. 

La difficoltà è grande, sovente estrema: vi è un pericolo d'ambo i lati. Da un lato il pastore dovrà temere di venir meno nei riguardi di Dio e dall'altro di mancare verso le anime. 
In un tale modo di essere le cose, lo zelo non è un consigliere sufficiente: può, se è solo, far cadere negli eccessi e può compromettere lo stesso bene che cerca. Con lo zelo ci vuole anche la scienza; con la scienza, l'umiltà, la purezza delle vedute e dell'intenzione; cose tutte che il pastore non troverà mai se non è prima di tutto uomo di preghiera: "Orationi... instantes erimus".



CAPITOLO X
IL SACERDOTE DEV'ESSERE UOMO INTERIORE

La molteplicità delle cose che fanno parte delle sollecitudini di un pastore è necessariamente grandissima: le persone e le cose, i corpi e le anime, gl'interessi spirituali dei fedeli e quelli temporali della chiesa, tutto pesa insieme sul pastore. 
Tutti gli avvenimenti possono avere un influsso sugli interessi delle anime e il pastore deve necessariamente vigilare su tutto. Tutte le età, tutte le condizioni, tutti i buoni e tutti gli altri devono essere per lui oggetto d'incessante sollecitudine. Pero non ci può essere lì il pericolo di lasciarsi assorbire dalle sollecitudine esterne, dalle preoccupazioni delle persone e delle cose? 
La carità che il pastore deve al suo gregge non potrebbe essere per lui una causa, un pretesto e un'occasione per lasciarsi assorbire nella cura delle cose esteriori, della salute, degli interessi temporali e di qualsiasi altro interesse? 
Un pastore deve pensare un po' a tutto, tener conto di tutto, estendere la sua carità a tutto, ma questo tutto non deve punto assorbirlo. Sopra questo tutto che è il gregge, c'è il tutto che è Dio, e il sacerdote deve applicarsi a Dio più che a tutto, e non potrà essere veramente utile a tutto a condizione che sia tutto di Dio. Il pastore troverà in Dio la luce, la misura, il vero zelo, la discrezione e le virtù necessarie per transitare in mezzo alle sollecitudini esterne del ministero per esser utile al gregge senza nuocere a sé stesso; per dedicarsi al prossimo senza cessare di stare unito con Dio.


CAPITOLO XI
IL SACERDOTE DEV'ESSERE DISINTERESSATO


"Avaro nihil est scelestius", dice lo Spirito Santo (Eccl. X,9). Noi possiamo dire anche che nulla è più contrario allo spirito del ministero quanto l'amore al denaro. 
Dio non è né oro, né denaro e l'uomo del denaro non può essere l'uomo di Dio. 
Il sacerdote, se fosse possibile, non dovrebbe toccare per terra, "Perché è il messaggero del Signore degli eserciti" (Ml. 2,7). 
Messaggero celeste, ambasciatore di Dio, il pastore deve aspirare soltanto al cielo e volere soltanto Dio; l'eredità da lui scelta quando divenne chierico: "Il Signore è mia parte di eredità" (Sal. 16,5). 
Il pastore dedito a Dio e alle anime non può essere preso dalle sollecitudini del bene e del mangiare: "Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? Che cosa berremo?" (Mt. 6,31). 
Il pastore che si rimettesse semplicemente per tutte queste cose alle cure della Provvidenza, non mancherebbe di nulla. 
Questo esattamente accadde per gli Apostoli. Nostro Signore li aveva inviati a predicare, e li aveva inviati con nulla, e non manco loro alcunché: "Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa? Risposero: nulla" (Lc. 22,35-6). 

Il pastore riceverà da Dio il suo pane quotidiano, e non riceverà soltanto per sé stesso, ma anche per i suoi poveri. Riceverà con una mano e darà con l'altra; e avrà tanto più da dare quanto più si rimetterà soltanto a Dio per ciò che gli occorrerà. Testimone San Vincenzo de' Paoli, l'uomo che in questo mondo ha dato di più.


La via della luce


Indicazioni per trovarla:

<<Ama chi ti ha creato e temi chi ti ha plasmato.
Glorifica chi ti ha redento dalla morte.
Odia tutto ciò che dispiace a Dio.
Disprezza ogni ipocrisia:
“Lingua doppia, laccio di morte”.
Meglio tacere che parlar precipitoso.
Non abbandonare i comandamenti del Signore.
Non esaltarti mai, ma sii umile in tutte le cose.
Non disinteressarti dei figli, ma insegna loro
il santo timor di Dio fin dall’infanzia.
Ama il prossimo tuo più della tua vita.
Non essere avaro, né insaziabile.
Frequenta persone umili e giuste.
Qualunque cosa ti accada prendila in bene
sapendo che nulla avviene che Dio non voglia.
Ama come pupilla degli occhi chi ti dice la parola di Dio.
Massimo impegno nel mantenerti casto.
Giorno e notte, sempre, ricorda il giudizio finale
e sospira il Paradiso.
Medita assiduamente come salvare
un’anima sia pure con una parola.
Odia il male, giudica con giustizia,
evita dissidi, porta la pace.
Confessa umilmente i tuoi peccati,
e prega sempre con coscienza pura.

Questa è la via della luce.>>

(San Barnaba)