domenica 7 settembre 2014

Papa Benedetto XVI e la Virgo dolorosissima



LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 13.09.2009 
Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo e recita l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

In questa Domenica – la 24.ma del Tempo Ordinario – la Parola di Dio ci interpella con due questioni cruciali che riassumerei così: "Chi è per te Gesù di Nazaret?".
E poi: "La tua fede si traduce in opere oppure no?".
La prima domanda la troviamo nel Vangelo odierno, là dove Gesù chiede ai suoi discepoli: "Voi, chi dite che io sia?" (Mc 8,29). La risposta di Pietro è netta e immediata: "Tu sei il Cristo", cioè il Messia, il consacrato di Dio mandato a salvare il suo popolo. Pietro e gli altri apostoli, dunque, a differenza della maggior parte della gente, credono che Gesù non sia solo un grande maestro, o un profeta, ma molto di più. Hanno fede: credono che in Lui è presente e opera Dio.
Subito dopo questa professione di fede, però, quando Gesù per la prima volta annuncia apertamente che dovrà patire ed essere ucciso, lo stesso Pietro si oppone alla prospettiva di sofferenza e di morte.
Gesù allora deve rimproverarlo con forza, per fargli capire che non basta credere che Lui è Dio, ma spinti dalla carità bisogna seguirlo sulla sua stessa strada, quella della croce (cfr Mc 8,31-33).
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita.

Questa via è l’amore, che è l’espressione della vera fede.
Se uno ama il prossimo con cuore puro e generoso, vuol dire che conosce veramente Dio. Se invece uno dice di avere fede, ma non ama i fratelli, non è un vero credente. Dio non abita in lui

Lo afferma chiaramente san Giacomo nella seconda lettura della Messa di questa Domenica: "Se non è seguita dalle opere, [la fede] in se stessa è morta" (Gc 2,17).

A questo proposito, mi piace citare uno scritto di san Giovanni Crisostomo, uno dei grandi Padri della Chiesa, che il calendario liturgico ci invita oggi a ricordare. Proprio commentando il passo citato della Lettera di Giacomo egli scrive: "Uno può anche avere una retta fede nel Padre e nel Figlio, così come nello Spirito Santo, ma se non ha una retta vita, la sua fede non gli servirà per la salvezza. Quando dunque leggi nel Vangelo: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio» (Gv 17,3), non pensare che questo verso basti a salvarci: sono necessari una vita e un comportamento purissimi" (cit. in J.A. Cramer, Catenae graecorum Patrum in N.T., vol. VIII: In Epist. Cath. et Apoc., Oxford 1844).

Cari amici, domani celebreremo la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, e il giorno seguente la Madonna Addolorata. La Vergine Maria, che credette alla Parola del Signore, non perse la sua fede in Dio quando vide il suo Figlio respinto, oltraggiato e messo in croce. Rimase piuttosto accanto a Gesù, soffrendo e pregando, fino alla fine. E vide l’alba radiosa della sua Risurrezione. 

Impariamo da Lei a testimoniare la nostra fede con una vita di umile servizio, pronti a pagare di persona per rimanere fedeli al Vangelo della carità e della verità, certi che nulla va perso di quanto facciamo.

sabato 6 settembre 2014

SPES NOSTRA, SALVE


Esempio 

Nella quarta parte del Tesoro del rosario (al miracolo 85), si 
narra che un cavaliere molto devoto alla divina Madre aveva 
preparato nel suo palazzo un oratorio dove, davanti a una 
bella immagine di Maria, si tratteneva spesso a pregare non 
solo di giorno, ma anche di notte, interrompendo il riposo per 
andare ad onorare la sua amata regina. 

La moglie, donna per 
altro molto pia, essendosi accorta che il marito quando nella 
casa il silenzio era più profondo si alzava dal letto e ritornava 
nella stanza dopo molto tempo, cominciò ad essere gelosa e 
ad avere dei sospetti. 

Perciò un giorno per liberarsi da questo 
assillo che la tormentava si azzardò a domandare al marito se 
amasse un'altra donna. Sorridendo il cavaliere le rispose: 
«Sappi che io amo la signora più amabile del mondo. A lei 
ho donato tutto il mio cuore e potrei morire piuttosto che 
cessare di amarla. Se tu la conoscessi, mi diresti tu stessa di 
amarla più di quanto io ora la ami ». Egli intendeva parlare 
della santa Vergine che amava con tanta tenerezza. 

Ma la 
moglie, più che mai insospettita, per meglio accertarsi della 
verità, gli chiese se ogni notte si alzava dal letto e usciva dalla 
camera per incontrare quella signora. Il cavaliere, che non si 
rendeva conto del grande turbamento della moglie, rispose di 
sì. La donna, sempre più convinta della verità dei suoi 
sospetti infondati, accecata dalla passione, una notte in cui il 
marito secondo il suo solito uscì dalla camera, disperata 
prese un coltello, si tagliò la gola e poco dopo morì. Terminate 
le sue devozioni, il cavaliere ritorna nella stanza, va per 
rimettersi a letto, ma lo trova tutto bagnato. Chiama la moglie 
che non risponde, la scuote, ma la donna rimane insensibile. 
Alla fine prende il lume, vede il letto pieno di sangue e la 
moglie con la gola ferita, morta. Allora capì che la donna si 
era uccisa per gelosia. Chiuse a chiave la stanza e ritornato 
nella cappella si prostrò davanti all'immagine della santa 
Vergine. « Madre mia, cominciò a dire piangendo 
dirottamente, vedi in quale afflizione mi trovo. Se non mi 
consoli tu, a chi devo ricorrere? Pensa che per venire ad 
onorare te, ho avuto la disgrazia di vedere mia moglie morta e 
dannata. Madre mia, tu puoi porre rimedio a questa sventura; 
fallo, te ne prego! ». 

Chi prega questa Madre di misericordia 
con fiducia, ottiene da lei quello che vuole. Appena il cavaliere 
ha finito la sua preghiera, ecco che una serva viene a dirgli di 
tornare nella sua stanza perché la moglie lo chiama. La sua 
gioia è tale che egli non riesce a crederci e dice alla ragazza di 
andare a vedere se veramente la moglie vuole vederlo. La 
servetta ritorna: « Sì, andate presto, perché la padrona vi sta 
aspettando ». Va, apre la porta e vede la moglie viva che si 
butta ai suoi piedi piangendo e lo prega di perdonarlo: « Ah, 
sposo mio, la Madre di Dio per le tue preghiere mi ha liberata 
dall'inferno ». Così tutti e due piangendo di gioia andarono a 
ringraziare la santa Vergine nell'oratorio. 

La mattina seguente 
il marito invitò a un banchetto tutti i parenti ai quali fece 
narrare il fatto dalla moglie stessa, che mostrava il segno 
lasciato dalla ferita e ognuno sentì crescere in sé l'amore per 
la divina Madre. 

Salve Regina

Meditazione sulla "Salve Regina"


mariaregina1
( meditazione di Mons. Camisasca sulla preghiera del Salve Regina )
Salve Regina
La preghiera inizia con un indirizzo di saluto, come l’Ave Maria. Mentre l’angelo non aveva bisogno di catturare la benevolenza di Maria, noi sì. Perciò lui dice: “Ave Maria”, noi: “Ave Regina”. È una comprensibilissima ricerca di benevolenza. E poi Maria è contenta di sentirsi chiamare Regina, perché tutto ciò le ricorda la regalità di suo Figlio. Quando ascolto le litanie lauretane musicate da Mozart, mi par di sentire in quel “Regina”, che è un’esplosione ferma e dolcissima assieme, supplicante, le voci degli uomini e delle donne che ricorrono a Lei, perché lei può tutto.
La sua regalità le deriva dalla regalità del Figlio, che ora siede alla destra di Dio. La regalità di Maria è celebrata nel bellissimo mosaico di Santa Maria in Trastevere. Gesù incorona e abbraccia Maria. Siedono l’uno accanto all’altra sullo stesso trono. Maria partecipa della regalità di Gesù. Nello stesso tempo è una madre, ha il cuore segnato dalla compassione per i suoi figli, che è la stessa compassione che ha avuto per suo Figlio. Vuole che i suoi figli partecipino della stessa gloria che avvolge suo Figlio.
-

Madre di misericordia
Poi la invochiamo come madre. È il nome più importante da collocare accanto a Maria, più importante ancora di quello di Vergine, di Immacolata, di Regina, di Assunta. Tutto ciò è in vista o in ragione della sua divina maternità.Madre di Dio, per questo è madre di misericordia. Dio è misericordia e ha mandato suo Figlio per rivelarlo a tutto il mondo, a tutti gli uomini. Ella dunque è la madre di Colui che è misericordia (“Il nome della misericordia è Gesù”, ha scritto Giovanni Paolo II nella Dives in misericordia), è Lei che ci ottiene il perdono dei peccati e le grazie necessarie.
-

vita, dolcezza, speranza nostra
Dobbiamo pensare a Maria come madre di Gesù, come colei che ci ha donato e ci dona continuamente Gesù. Ella è dunque la vita perché ha portato in grembo Colui che è la vita e lo ha donato a tutti noi. È la dolcezza perché Gesù è la dolcezza: “Iesu dulcis memoria… sed super mel et omnia… nihil cogitatur dulcius”. E poi è la speranza perché porta a noi Colui che è la speranza. Giussani ha commentato stupendamente: tu sei la certezza della nostra speranza. “Il tuo amore per noi e per tuo Figlio ci rende certi che ci donerai sempre tuo Figlio e sempre ci strapperai al male.”
-

A te ricorriamo, esuli, figli di Eva.
La sguardo della preghiera da Maria si rivolge ora agli uomini, a noi. E ci considera sotto due aspetti: figli di Eva ed esuli. Figli di Eva, cioè segnati dal peccato originale e quindi dai peccati.Siamo segnati da mille ferite, deboli, fiaccati, disorientati, come “pecore senza pastore”, lontani dal vero e dal bene, lontani dalla patria e perciò esuli. Il nostro male diventa grido, sospiro, invocazione. I nostri sospiri si mescolano alle lacrime e ai gemiti.
.
A te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime.
Quanto è realistico questo passaggio della preghiera! Valle di lacrime, così è chiamato questo mondo, questa vita, quasi un nome geografico e assieme spirituale. Bisognerebbe tradurre: valle delle lacrime, valle segnata dalle lacrime.
Le lacrime sono la caratteristica più emergente di questa vita: lacrime di angoscia, di paura, lacrime di chi è lasciato, maltrattato, deriso, colpito, violentato, lacrime di chi non ha più nessuno, di chi ha fame, di chi ha freddo, di chi ha subito ingiustizia. Le lacrime diventano invocazione di liberazione, di riscatto.
Si entra così nella realtà delle beatitudini: “Beati voi che piangete”.
.
Su dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi i tuoi occhi pieni di misericordia
La preghiera si rivolge poi a Maria chiamandola: avvocata. Anche lo Spirito Santo è chiamato avvocato nel vangelo di Giovanni. Avvocato di Gesù presso il Padre, nostro avvocato presso il Padre. Così Maria.
Ella interviene in nostro favore per stornare, per allontanare da noi la giusta ira del Padre. Come in ogni buona famiglia, la mamma supplica il padre di non essere troppo duro con i figli.
Tira fuori dal padre quel lato misericordioso che egli ha già dentro di sé, ma che l’affetto della madre per i figli fa risaltare.
Da queste parole si vede quanto Dante avesse meditato la Salve Regina.
Gli occhi di Maria, rivolti prima verso il Padre a supplicarlo, si rivolgono ora verso di noi, per darci la certezza dell’assistenza, del perdono, dell’affetto.Come in Dante, è un triangolo di affetti al cui centro stanno gli occhi e il cuore di Maria.
.
Mostraci, dopo questo esilio, Gesù, frutto benedetto del tuo ventreO clemente, o pia, o dolce vergine Maria.
C’è un punto a cui tende tutta la preghiera, come una freccia scoccata verso il suo obiettivo: mostrarci Gesù. La Salve Regina è come una invocazione a Maria affinché ci mostri Gesù.
Maria da sempre è vista dal popolo come colei che porta a Gesù, che indica Gesù, che rivela Gesù. Come lo ha generato un tempo, frutto benedetto del suo ventre, così ora lo genera in chi lo domanda, per farci uscire dal nostro esilio.


La garrincha. Un po' di sport non fa male


...Gli atleti del calcio, sono diversi da tutti gli altri. Abituati anche per via della pubblicità, ad ammirare i bicipiti di Cristiano Ronaldo, ci sfugge che il calciatore medio è un atleta in fondo modesto, a volte bruttino, persino con difetti fisici e quindi assai comune. Alcuni esempi. Maradona ha lottato per l'intera sua carriera con il mal di schiena e ha un piede del 37; questo spiega anche perché riusciva a imprimere al pallone traiettorie impensabili per altri. A Messi, il campione vivente fra i più grandi, fu diagnosticata all'età di 11 anni, una grave deficienza nella secrezione dell'ormone della crescita. Fu proprio il Barcellona a contribuire alle sue cure; oggi Messi è un campione anche perché la bassa statura gli consente una rapidità di movimenti che gli permette di essere sempre in vantaggio sul difensore.
Il caso più eclatante, dolce e tragico al tempo medesimo, però, è quello di uno dei più grandi calciatori di sempre: il brasiliano Manoel Francisco dos Santos, detto Manè Garrincha. Nato nello stato di Pau, egli era un bambino della giungla, che viveva fra fiumi e foresta tropicale. Ingenuo fino poter sospettare una psicologia mai divenuta veramente adulta, fin da bambino fu afflitto da diversi difetti congeniti dovuti alla malnutrizione e addirittura – secondo alcune fonti – a una leggera forma di poliomielite. Oltre allo strabismo, Garrincha aveva la spina dorsale deformata da uno sbilanciamento del bacino, le ginocchia afflitte da disturbi congeniti e operate più volte. Infine, l'ultimo problema, addirittura stupefacente per un calciatore: una gamba sei centimetri più corta dell'altra, a causa di un'operazione! In quale altro sport, un atleta considerato normo dotato potrebbe eccellere? Eppure Garrincha fu fra i più grandi di sempre. Il soprannome gli viene proprio dal suo corpo gracile e gli fu dato dalla sorella: la garrincha è un piccolo uccello minuto e simpatico. Al campione brasiliano ha dedicato un racconto assai bello Ugo Riccarelli, lo scrittore romano recentemente scomparso, nella sua più bella raccolta, intitolata L'angelo di Coppi.
Su Garrincha esistono molti aneddoti, uno dei quali viene ripreso proprio nel libro citato. Quando il Brasile vinse il mondiale in Svezia nel 1958, fra i regali che il campione chiese c'era una radio. Sapendo della sua scarsa cultura e dell'ingenuità di quell'uomo buono ma del tutto sprovveduto, qualcuno pensò di fargli uno scherzo dicendogli: “Manè, ma cosa te ne fai di una radio che parla svedese?” e lui la lasciò lì. Un altro assai divertente accadde proprio durante la cerimonia di premiazione sempre in Svezia. Mentre sfilavano sul palco d'onore Garrincha, del tutto estraneo a quanto stava accadendo e perso nel suo mondo, si rivolse al capitano della squadra chiedendogli: “Ma cosa sta succedendo?” “Manè, abbiamo vinto il mondiale” rispose il compagno sorpreso e lui di rimando: “Sì, ma quando la giochiamo la partita di ritorno?”
L'episodio più straordinario però è un altro e accadde al ritorno in patria. Tutta la squadra fu ricevuta dal Governatore di Rio. Alla fine del discorso, il politico disse che c'era una villetta per ognuno di loro sulla spiaggia, come premio. Garrincha gli si avvicinò e disse "A me non interessa la villetta, ho un altro desiderio...". Invitato a parlare dal Governatore, Garrincha chiese la liberazione di una colomba (secondo altre fonti si trattava di un passero), che l'uomo politico teneva chiuso in un gabbia. Garrincha non smise mai di essere un ragazzo della foresta, che non seppe sopravvivere al successo e alla grande città. Morì di droga e alcolismo all'età di 49 anni, ma il riso ingenuo e solare, nel vederlo ancora oggi nelle fotografie, è contagioso. Circola un aneddoto fra i brasiliani, non so quanto vero ma certamente verosimile, che ci fa capire cosa sia stato Garrincha per i suoi connazionali. Se si parla di Pelè a un vecchio questi si toglie il cappello per un senso di gratitudine, ma se gli si parla di Garrincha, il vecchio si mette a piangere. Il calcio come metafora

¿Qué mandáis hacer de mí?



¿Qué mandáis hacer de mí?

         El estribillo de una de las poesías de Santa Teresa que estábamos comentando dice así: “Que hoy os canta amor así. ¿Qué mandáis hacer de mí?”.  La santa nos dice que el amor “canta”. Cuando una persona ama está contenta y se le nota en todo su ser, especialmente en su mirada, pero también en su porte y en actos externos y sobre todo se le ve alegre. Y ya sabemos que la alegría se manifiesta en el canto. El amor canta. David cantaba salmos y tocaba el arpa. Muchos santos y santos han querido cantar loes al Señor, entre otros San Francisco que ha compuesto el hermoso Cántico del Hermano Sol y de la Hermana Luna. 

No siempre será necesario que cantemos cuando oremos, pero sí debe cantar el corazón de lo alegre que está de percibir el amor del Amado y querer corresponder a su amor. No ahoguemos el corazón, dejémoslo cantar, cuando él necesite desahogar sus sentimientos, a veces de alegría; a veces de congoja; a veces de plenitud. El salmista dice: “Mi corazón está preparado, mi corazón está preparado, Dios mío: voy a cantar, a tañer. ¡Gloria mía, despierta!¡Despertad arpa y cítara!¡Despertaré a la aurora!” (Sal 57, 8-9).

            Y ¿qué es lo que canta Santa Teresa? Ella canta: “¿Qué mandáis hacer de mí?”. ¿Qué es lo que quieres que haga, Señor? ¿Cómo puedo agradarte?¿Cuál es tu voluntad sobre mí? La oración busca y encuentra la voluntad del Señor sobre nosotros. En la oración el Señor va hablando al corazón, lo va preparando, lo va fortaleciendo para que el orante haga su voluntad y lo haga por amor y con amor. Y que además la pueda hacer con alegría, con paz, con decisión, con un corazón de enamorado. ¿Qué mandáis hacer de mí? ¡Qué bella oración ésta que sale del corazón como una saeta y se clava en el corazón de Dios! La oración prepara el alma para ajustarse al querer de Dios: “Si me amáis, cumpliréis mis mandamientos” (Jn 14, 15). El Señor nos irá revelando su voluntad  y su querer en la oración. Y su querer será para nosotros prenda segura de santificación personal (1 Tes 4, 3) y fruto apostólico.