mercoledì 5 febbraio 2014

MOTHER OF SALVATION: All those of different faiths must begin also to recite my Holy Rosary, for it will bring each of you great protection


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Mother of Salvation: All those of different faiths must begin also to recite my Holy Rosary, for it will bring each of you great protection

February 2, 2014, 5:09 pmMy dearest children, I ask that you recite my Most Holy Rosary every day from now on to protect this Mission from satanic attacks. By reciting my Most Holy Rosary, each day, you will dilute the wickedness of Satan and those he influences, when he tries to take souls away from following this special Call […]
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martedì 4 febbraio 2014

“Maria Giglio della Trinità”: Domini Sacrarium, Nobile Triclinium et Complementum SS. Trinitatis!: Preziosissima chiarificazione

“Maria Giglio della Trinità”: Domini Sacrarium, Nobile Triclinium et Complementum SS. Trinitatis!: Preziosissima chiarificazione: Regina Regum et Domina Dominantium ora pro nobis! La vera Carità, quella con la C maiuscola Una volta un collega ateo per provoc...

MARIA E LA SUA « TEOLOGIA SILENZIOSA »


MARIA E LA SUA « TEOLOGIA SILENZIOSA »

La più superficiale lettura del nuovo Testamento rivela che nell'azione « potente » dell'Incarnazione, nell'opera del « Braccio di Dio » - fecit potentiam in brachio suo — in cui Maria ebbe tanta parte, vi è assenza quasi totale di fuochi d'artifizio mistico nelle parole, nei gesti, nello spirito e nell'atteggiamento esteriore di Maria.

L'Incarnazione del Verbo è indiscutibilmente il fatto più centrale della storia umana, il perno intorno a cui rotea e si alterna il passato e il futuro, il collegamento più che allegorico e simbolico del ciclo con la terra, l'abbraccio lungamente atteso e ardentemente invocato della giustizia con la pace.

Maria nell'attuazione di quest'opera grandiosa ed eterna entra come personaggio di primo piano. Non vi entra a caso, ma per un disegno da sempre premeditato; non inconsciamente, ma con piena conoscenza e valutazione e dei dolori e dei rischi che avrebbe incontrato; non passivamente, quasi abbandonata solo alla grazia che agiva in lei, ma collaborando attivamente, con impegno di intelligenza e di volontà, con contributo morale e fisico, all'opera di Dio.

Eppure non ne parla mai, o ne parla ben poco, molto meno di quanto ci si potrebbe aspettare. Noi infatti avremmo avuto il desiderio e la gioia di sentirla parlare abbondantemente del tema dolcissimo che formava l'ideale e l'amore di tutta la sua vita.

Giovanni figlio di Zebedeo, che aveva posato il capo sul petto di Gesù, detto il « teologo » perché aveva potuto penetrare meglio degli altri il mistero di Dio nascosto nel suo Cristo, ci ha lasciato il ricordo, benché frammentario, delle sue esperienze mistiche nel quarto Vangelo, nelle tre lettere e nell'Apocalisse. Maria, che ha posato più volte il suo capo sul petto di Gesù, la « teologa » che ha potuto più degli altri, più di Giovanni, penetrare il mistero di Dio nascosto nel suo Cristo, non ci ha lasciato scritto nulla.

E anche le parole di Lei riportate nei quattro Vangeli sono molto poche, sette in tutto ci dicono gli esegeti. Il Vangelo è il « Buon Annuncio » di Gesù: Maria ha voluto restare nell'ombra. Sette frasi pronunciate da Maria nell'Annunciazione, in casa di Elisabetta, nel tempio di Gerusalemme, alle nozze di Cana; frasi comuni che noi stentiamo talvolta a adattare al grande evento dell'Incarnazione operatosi per Maria.

C'è evidentemente esaltazione spirituale nel Magnificat, l'inno di lode al Dio di Abramo innalzato dal cuore di Maria, ma nelle parole dette a Gesù dodicenne nel tempio troviamo più che altro la preoccupazione e l'ansietà di una madre la quale, sì, vive di fede, ma soffre atrocemente per gli eventuali mali occorsi al figlio; e a Cana, nell'improvvisa contingenza di una confusione immeritata e fuori posto, la sollecitudine di una solerte massaia di casa che ha occhio per ogni cosa. Ma tutto con semplicità, con naturalezza, senza accenti di esaltazione, senza pose mistiche, senza esibizionismi inutili.

Dopo le due frasi pronunziate a Cana il silenzio completo; nel Vangelo non troviamo più nessuna parola riportata di Maria.

Essa partecipa, e in forma molto efficiente, all'opera reden-trice di Gesù durante la vita pubblica, durante la passione e morte, durante la vita gloriosa, ma in silenzio. Partecipazione silenziosa ai piedi della croce e acccttazione della protezione di Giovanni; alla partenza definitiva di Gesù nell'ascensione; alla discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste. Partecipazione silenziosa non perché Maria non avesse nulla da dire, ma perché nel suo silenzio meglio risaltasse la forza esplosiva della Parola, del Verbo suo Figlio, e perché nel silenzio consiste ancora, per chi lo sa capire, la migliore e più perfetta eloquenza.

Silenzio dopo l'ascensione di Gesù. Gli scritti apostolici, oltre i Vangeli, che tanto parlano e trattano di Cristo, dimostrano, si ha l'impressione, una strana ritrosia a parlare della Mamma di Gesù.

E anche nelle molte apparizioni mariane le sue parole sono poche, limitate a poche frasi e all'essenziale: messe tutte insieme diffìcilmente arriverebbero a formare la stesura di una modesta omelia.

Maria, che visse e agì in perfetta conformità alle ispirazioni dello Spirito Santo, ebbe il dono della sapienza ma non il dono delle lingue. Per questo disse non molte parole, ma disse parole esatte e appropriate al bisogno; non parlò di molte cose, ma parlò di cose buone che portavano a salvezza.

Maria è maestra della teologia del silenzio. Lezione eloquente alla nostra epoca di verbalismo incontrollato, di lalocrazia vuota, di attivismo senza scopo, di irrequietezza spirituale, di irriflessione e incapacità di concentramento, di religiosità rumorosa, esteriore, agitata e convulsionaria.



* FAMIGLIA


Famiglia

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25 Dicembre 2011 – Onorate l’importanza della Famiglia

Oggi, figlia Mia, è la celebrazione della Mia nascita. È anche un giorno speciale per le famiglie.
Ricordate che anche la Sacra Famiglia è nata in questo giorno. Questa Sacra Famiglia è oggi il sostegno delle genti di tutto il mondo.
Proprio come tutte le anime sulla terra fanno parte della famiglia del Mio Eterno Padre così, a motivo di ciò, le persone dovrebbero onorare ovunque l’importanza della famiglia.
È solo attraverso la famiglia, che nasce il vero amore. Mentre molte famiglie in tutto il mondo vivono il disagio, la rabbia e la separazione è importante capire questo.
Se non ci fossero famiglie sulla terra non potrebbe esserci nessuna vita. La famiglia rappresenta tutto ciò che il Mio Eterno Padre desidera per i Suoi figli sulla terra.
Le famiglie, quando sono insieme, creano un intimo amore conosciuto solo nei Cieli. Danneggiate la famiglia e danneggerete l’amore puro che esiste all’interno di ogni anima che fa parte di quella famiglia.
Satana ama dividere le famiglie. Perché? Perché sa che il seme dell’amore, essenziale per la crescita spirituale dell’umanità, morirà quando la famiglia è divisa.
Per favore, figlioli, pregate affinché le famiglie restino unite. Pregate affinché le famiglie preghino insieme. Pregate per impedire a Satana di entrare nella casa della vostra famiglia.
Non dimenticate mai che voi siete tutti parte della famiglia del Padre Mio e che dovete emulare questa unità sulla terra quanto più è possibile. So bene che non è sempre il caso, ma lottate sempre per l’unità familiare al fine di mantenervi nell’amore l’uno per l’altro.
Se non avete una famiglia sulla terra allora ricordatevi che siete parte della famiglia che ha creato il Padre Mio. Lottate per unirvi alla famiglia del Padre Mio nella Nuova Era di Pace.
Pregate per le grazie di cui avete bisogno per essere in grado di trovare la vostra legittima casa in questo Nuovo Paradiso in cui sarete invitati a entrare alla Mia Seconda Venuta.
Il Vostro amato Gesù
Salvatore dell’Umanità

San Giuseppe da Leonessa

  San Giuseppe da LeonessaSan Giuseppe da Leonessa (RI)
Sacerdote Cappuccino (1556-1612)
          approfondimenti:


            L'identità di San Giuseppe svelata dalla ricognizione
            delle reliquie 
- di mons. Giuseppe Chiaretti 


Giuseppe Desideri, terzo di otto figli, nacque a Leonessa (Ri) l'otto gennaio 1556 da Giovanni e Francesca Paolini. Nel battesimo ricevette il nome di Eufranio, dal significato molto bello: portatore di gioia. Sui tredici anni Eufranio rimase orfano di ambedue i genitori e si prese cura di lui lo zio paterno Giovanbattista Desideri che lo condusse a Viterbo per fargli continuare gli studi, iniziati nella sua patria. 


immagine San Giuseppe da Leonessa

Nel 1571 si trasferirono a Spoleto dove lo zio fu chiamato all'insegnamento delle Lettere. In questa località, all'insaputa dello zio e degli altri parenti, Eufranio decise di entrare nell'Ordine dei Cappuccini che aveva conosciuto da poco, mentre veniva costruito il convento di Leonessa. 
A sedici anni indossò l'abito cappuccino ad Assisi. Fin dal noviziato egli praticava la più rigorosa mortificazione: si sceglieva l'abito più povero e rifiutato da tutti; tutti i giorni durante le quaresime, e per tre volte la settimana negli altri tempi, viveva di solo pane e acqua; ed infine martoriava il suo corpo con orribili penitenze. 

Spesso passava la notte intera davanti all'immagine del suo Signore crocifisso contemplando i misteri della Passione e cercava di riviverli nelle sue penitenze. Se poteva andava ogni ora a fare visita al Santissimo Sacramento. Si confessava quasi quotidianamente per cancellare dalla sua anima ogni minima traccia di peccato. 

Ordinato sacerdote, il 24 settembre 1580, ad Amelia (Tr), iniziò il suo fecondo apostolato tra le popolazioni dell'Umbria, dell'Abruzzo e del Lazio. Tanta era la fiamma dell'amore divino che lo infuocava e lo spingeva con ardore apostolico in mezzo agli uomini, che riposava poche ore la notte per portare con sollecitudine sollievo ai poveri e ai sofferenti. Il suo desiderio più ardente era quello di morire martire per la fede. 

Nel mese di agosto 1587 ottenne il permesso di andare missionario in Turchia. Dopo aver lucrato il "Perdono di Assisi", partì per Venezia dove si imbarcò per Costantinopoli prendendo alloggio in un vecchio monastero a Pera. Si prese cura dei tanti cristiani prigionieri dei turchi, rapiti nelle varie scorrerie compiute da questi in Italia, confortandoli in tutti i modi possibili e invitandoli a non lasciare il Vangelo per seguire la dottrina di Maometto. Era infaticabile nelle opere di carità e di misericordia. Una epidemia gli portò via tutti i compagni, eccetto fra Gregorio da Leonessa. 

Cominciò allora predicare Cristo per le strade e alle entrate delle moschee. Un giorno si introdusse nel palazzo del sultano, Murad III che, presolo per pazzo, lo scacciò via dalla sua presenza facendolo condannare al crudele e doloroso supplizio del gancio. Giuseppe non aspettava altro: morire per la religione cristiana era il suo grande desiderio! Aveva 33 anni, come Gesù, sul monte Calvario. Resistette per tre giorni e, secondo gli atti della canonizzazione, venne liberato da un angelo che lo guarì anche dalle ferite. 

Segnato dalle stigmate del martirio, fece ritorno in Italia e, nel mese di dicembre del 1589, riprese con raddoppiato zelo la sua attività apostolica. Iniziò il suo girovagare per il centro della nostra penisola arrivando a predicare fino a 6-8 volte al giorno. 

I miseri, gli abbandonati, la gente dispersa dei paesini montani, i pastori che vivevano lontani dal consorzio umano, erano fatti oggetto delle sue attenzioni e delle sue premure, anche attraverso l'istituzione dei monti frumentari per combattere la piaga dell'usura, pure a quel tempo molto diffusa, ed assicurare loro la sussistenza. 
Si fece letteralmente tutto a tutti. 

Aveva tanta forza e coraggio nel richiamare i cuori più induriti, tanto da non aver timore di rimproverare apertamente i signorotti del tempo, come il Barone Orsini di Amatrice. 

Uno dei mezzi principali da lui usati per il rinnovo della vita religiosa fu la pratica delle Quarant'ore. Era una specie di missione popolare. Ad ogni ora d'adorazione seguiva una predica. Alla fine delle Quarant'ore padre Giuseppe innalzava su una collina vicina al paese una croce a ricordo della missione, croce che egli stesso portava sulle spalle. 


Crocifisso San Giuseppe da Leonessa. Link alla pagina del Crocifisso


Questo duro apostolato durò per ben ventidue anni, continuamente nutrito e potenziato dalla preghiera e dalla penitenza. Questi viaggi apostolici gli procuravano fatiche a non finire, ma provava grande gioia nel servire il Signore nei fratelli. 


Per il Giubileo del 1600 padre Giuseppe si preparò con un anno di digiuno, di preghiere e di penitenze, recandosi poi a Roma da Otricoli (Tr), dove si trovava a predicare, per lucrarne l'indulgenza. 


Nel mese di ottobre 1611 predicò per l'ultima volta a Campotosto (Aq). Era il 18, giorno della festa di san Luca. 



Tornò al convento di Amatrice appoggiandosi al suo bastone. Era minato da un male incurabile che ben preso lo avrebbe condotto alla tomba. 



Si recò a Leonessa alla fine del mese, restandovi circa dieci giorni: era l'ultimo incontro con i parenti, con i paesani, con la sua patria di origine. Lungo la strada del ritorno ad Amatrice benedisse la sua Leonessa con parole che ancor oggi commuovono i suoi paesani. 



Nel convento di Amatrice celebrò l'ultima santa Messa il 28 dicembre, festa liturgica dei santi Innocenti. Il male peggiorava di giorno in giorno, le forze gli venivano meno. Volle ricevere ogni giorno la comunione fuori della sua cella, perché non riteneva opportuno che Gesù eucaristico entrasse nel suo povero tugurio. Il due febbraio fu operato dal medico di Amatrice, Severo Canonico. Una operazione inutile e dolorosa. Giuseppe accettò, per ubbidienza, le sofferenze con coraggio e rassegnazione rimettendosi alla volontà del Signore tenendo tra le braccia il suo amato crocifisso. Il tre febbraio il chirurgo tentò un altro intervento con la speranza di strapparlo alla morte, tutto risultò inutile. 



Sorella morte lo chiamò nel pomeriggio del sabato quattro febbraio, mentre Giuseppe invocava la Madre del cielo; furono le sue ultime parole su questa terra: "Sancta Maria succurre miseris"



La sua morte diede adito ad una sorta di gara tra le popolazioni amatriciane, ognuno voleva accaparrarsi qualche sua reliquia: da tutti era ritenuto "Santo". 



Fu beatificato nel 1737 e il 29 giugno del 1746 nella Basilica di san Giovanni in Laterano fu elevato alla gloria dei Santi dal papa Benedetto XIV, insieme a san Camillo de Lellis, suo contemporaneo e abruzzese come lui. Il Papa disse: «Negli ultimi secoli è difficile trovare uno che più di lui si sia dato alle penitenze e alle mortificazioni». 



San Giuseppe riposa a Leonessa, tra i suoi paesani, nel Santuario eretto in suo onore nella casa paterna che lo vide nascere. Nel 1950 Pio XII lo ha proclamato patrono delle Missioni in Turchia. Il due marzo 1967 il Papa Paolo VI lo ha proclamato "Patrono principale" dell'Altopiano leonessano. 



La festa liturgica in suo onore si celebra il 4 febbraio, giorno della sua morte.


4 febbraio
4 aprile
SAN GIUSEPPE DA LEONESSAconfessore
Giuseppe da Leonessa - Immagine venerata a VindoliSan Giuseppe (al secolo Eufranio Desideri) nacque a Leonessa (Rieti) nel Gennaio 1556 da un agiata famiglia di mercanti. Seguendo l'esempio di San Francesco d'Assisi rinunciò alle ricchezze famigliari. Vestito l'abito dei Cappuccini tra il 1571 ed il 1572 intraprese un'intensa attività di predicazione nei territori appenninici tra Marche e l'Umbria, fino a quando nel 1587 chiese ed ottenne da Papa Sisto V di recarsi in Turchia per curare, confortare e consolare gli schiavi cristiani inermi e gli appestati , per evangelizzare i turchi e lo stesso sultano. Quando tentò di avvicinarsi a quest'ultimo, che si chiamava Amurat III fu incarcerato e torturato. Fu sottoposto al supplizio del gancio, a cui venne appeso con una mano ed un piede per ordine del sultano stesso. Sfiorò il martirio. Dopo esser stato torturato fu espulso da Costantinopoli. Secondo altre fonti fu torturato perché accusato di omicidio e quindi salvato miracolosamente da un angelo che gli ordinò di ritornare in Italia. Ritornato in patria, riprese la predicazione con rinnovata lena. Si dedicò ai poveri e agli infermi, lottò contro le prepotenze e le ingiustizie, realizzando rifugi per ammalati e pellegrini ed istituendo i monti frumentari e quelli di pietà nei paesi pedemontani dove più misere erano le condizioni economiche della popolazione. Fra Giuseppe era considerato un Santo già in vita, i contemporanei gridarono al miracolo in più di una circostanza, famoso è rimasto il miracolo della moltiplicazione delle fave. Morì in fama di santità dopo una malattia lunga e dolorosa il 4 febbraio del 1612. La morte lo colse ad Amatrice, altro paese del reatino dove fu sepolto. Alla sua morte il barone Latino Orsini chiese ed ottenne che il pittore Pasquale Rigo si recasse da Montereale ad Amatrice per immortalare il Santo. L'immagine consegnata ai posteri dall'artista locale, a cui l'iconografia di San Giuseppe da Leonessa ha fatto costante riferimento nei secoli a venire, è oggi venerata nel paese di Vimdoli. Proprio il pittore Rigo nel gennaio del 1613 rilasciò la seguente dichiarazione al notaio Cipriano Rufino, che la avalla e la trasmette al tribunale ecclesiastico per il processo di canonizzazione: ".. l'anno passato, e proprio nel mese di febraro , ritrovandomi alquanto indisposto dalla polacra, che spesse volte mi soleva travagliare, fui chiamato per parte dell'università dell'Amatrice , che volese andare in detta terra per fare il ritratto del padre fra Giuseppe cappuccino da Leonessa, già poco prima morto; et io ritrovandomi impedito, come ho detto, recusai d'andare. (…) ecco che mentre uscì dalla messa, mi trovai guarito, e così ancorché fusse cattivissimo tempo di neve, ghiacci, venti, me ne andai alla istessa hora senza patire scomodità alcuna per il viaggio ne mai più (Iddio gratia) ho inteso dolore di detta infermità. Il che reputo a gratia fattami dal Signore per la intercessione di detto padre fra Giuseppe". Il Santo fu canonizzato da Papa Benedetto XIV. Gli abitanti di Leonessa, ritenendo più giusto che le spoglie del Santo riposassero nella città d'origine, una notte del 1639 perpetrarono il "sacro furto", trasportandone il corpo nel paese natio. Ancora oggi le spoglie del Santo riposano nella chiesa barocca di San Giuseppe a Leonessa. Alla processione di aprile con il cuore del Santo partecipano moltissime persone; i festeggiamenti in onore del Santo si ripetono anche la seconda domenica di settembre. 
[ Testo di Andrea Del Vescovo ]