martedì 7 gennaio 2014

AD JESUM PER MARIAM




AD JESUM PER MARIAM: 
PER ARRIVARE A GESÙ DOBBIAMO PASSARE ATTRAVERSO MARIA
P. LANTERI e altri

La devozione a Maria presenta al cristiano che riflette diverse questioni di primaria importanza. È bene che egli sappia affrontare e risolvere queste questioni perché riguardano la sua stessa salvezza eterna.

La prima questione è: È vero che la devozione a Maria è di necessità di salute, ossia che essa è un sussidio indispensabile per raggiungere la salvezza eterna?

Rispondiamo subito di sì. Tale è infatti la dottrina costante della Chiesa fin dai primi secoli della sua storia. S. Luigi M. Grignion de Montfort nel suo celebre Trattato sulla vera devozione a Maria (n. 40) stende un lungo elenco di Padri e teologi che sostengono questa dottrina: Agostino, Efrem di Edessa, Cirillo di Gerusalemme, Germano di Costantinopoli, Giovanni Damasceno, Anselmo di Aosta, Bernardo di Chiaravalle, Tommaso d'Aquino, Bonaventura da Bagnoregio, Bernardino da Siena, Leonardo Lessio, Francesco Suarez... Secondo questi dottori la devozione alle Vergine è necessaria alla salvezza e, per contrario, la mancanza di tale devozione, la negligenza o il disprezzo di essa, sono segni infallibili di riprovazione e di dannazione eterna. La ragione? Eccola in poche parole. Essendo Maria necessaria a Dio di una necessità che potremmo dire ipotetica o condizionata, Essa è molto più necessaria agli uomini (avendo così voluto e stabilito Dio stesso) per raggiungere lo scopo ultimo della loro vita. Perciò la devozione a Maria non è da mettere sullo stesso piano della devozione ad altri Santi o a altre Sante, la quale, a differenza della devozione mariana, è sempre facoltativa e talvolta addirittura supererogatoria.


Passiamo alla seconda questione: È più utile e facile avvicinarsi a Gesù attraverso Maria — secondo il noto assioma Ad Jesum per Mariam - oppure avvicinarci a Lui principalmente, o senz'altro esclusivamente, coi nostri mezzi personali senza passare attraverso Maria?


Anche per questa seconda domanda la risposta non lascia dubbi: E per noi molto più facile, più utile, più sicuro, arrivare a Gesù attraverso e per mezzo di Maria che coi soli nostri poveri mezzi personali. Anche questa è dottrina tradizionale della Chiesa.

Sembrerebbe a prima vista che la via retta dovrebbe essere anche la più breve - via recta, brevissima —. Noi arriviamo a Cristo da soli, senza intermediari, senza deviazioni, senza ritardi. La mediazione di Maria sembra, in pratica, superflua, e quindi da evitarsi, o per lo meno da ritenersi facoltativa.

E invece no. Il motivo è sempre da ricercarsi là, nella voIontà e disposizione di Dio riguardo alla nostra salvezza, che Egli vuole effettuata per mezzo di Maria, o non senza Maria. Coloro che danno a Maria soltanto il posto di una devozione, sia pure della devozione principale, dice Monsignor Gay, non comprendono bene l'opera di Dio e non hanno il senso del Cristo.

Lo stesso pensiero si trova nell'enciclica Octobri mense di Leone XIII: « Si può affermare che secondo la volontà di Dio niente ci è dato che non passi per le mani di Maria, di modo che come nessuno può avvicinarsi al Padre onnipotente se non attraverso il Figlio, così nessuno, per così dire, può avvicinarsi a Cristo se non attraverso la Madre ».

E S. Pio X incalza: « La Vergine Santissima è il più efficace aiuto per la conoscenza e l'amore di Cristo » (Ad diem illum, 5 febbraio 1904).

S. Esichio ne da un'altra testimonianza: « Se Cristo è il sole, Maria è il ciclo in cui brilla; se Cristo è la gemma, Maria è lo scrigno in cui essa è contenuta; se Cristo è il fiore, Maria è la pianta da cui procede » (P.G., 93, 1465).

S. Luigi di Montfort fa un'osservazione molto appropriata: « La santa Chiesa, con lo Spirito Santo, benedice prima di tutto la Santa Vergine, poi Gesù Cristo: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo ventre. E questo non perché la santa Vergine sia più di Gesù Cristo, o uguale a lui, ma perché per benedire più perfettamente Gesù Cristo bisogna dapprima benedire Maria » (ivi, n. 95).

Dante Alighieri, che nella teologia mariana era molto addentro, fa capire che per arrivare a Cristo bisogna passare per Maria:
Riguarda ornai alla faccia che a Cristo
più si somiglia, che la sua chiarezza
sola ti può disporre a veder Cristo (Par. 32, 85-87).

Maria è, secondo Dante, Colei che più di chiunque altro assomiglia a Cristo perché è sua Madre secondo la carne, e le madri lasciano sempre nei figli i tratti della loro somiglianzà fisica conforme il vecchio detto filii matrizant, i figli assomigliano alle loro mamme. E perché Maria è tanto assomigliata a Cristo, partecipa della sua luce e del suo splendore: la sua « chiarezza » è il riflesso della « chiarezza » di Gesù, come la luce della luna è il riflesso della luce del sole. Dopo aver abituato l'occhio alla chiarezza di Maria, luce riflessa - dice Dante - si sarà disposti a vedere Cristo stesso, sorgente prima della luce. 

La visione di Maria è scala ad altra visione più alta, nota a questo punto Nicolo Tommaseo.
Già in altra occasione Dante aveva espresso in forma plastica, come fa sempre lui, lo stesso concetto:
... qual vuoi grazia e a Te non ricorre
sua desianza vuoi volar senz'ali (Par. 33, 9-11).
Se qualcuno intende arrivare a Cristo - ed è questa la massima grazia che si deve domandare nella preghiera - ma con mezzi propri, senza voler passare attraverso Maria che è la sola scala e il ponte insostituibile per valicare l'abisso che separa Dio dall'uomo, costui è come un povero uccellino implume che arranca invano per levarsi in volo senza le ali.

E per completare: "La Vergine Maria è il fiore più bello sbocciato dalla creazione, la "rosa" apparsa nella pienezza del tempo, quando Dio, mandando il suo Figlio, ha donato al mondo una nuova primavera. Ed è al tempo stesso protagonista, umile e discreta, dei primi passi della Comunità cristiana: Maria ne è il cuore spirituale, perché la sua stessa presenza in mezzo ai discepoli è memoria vivente del Signore Gesù e pegno del dono del suo Spirito" (Sua Santità Benedetto XVI)


Terza questione: è possibile raggiungere la perfezione cristiana in questa vita, o per lo meno uscire dalla mediocrità nell'esercizio delle virtù cristiane e nella fedele pratica del Vangelo, senza una profonda e convinta devozione a Maria?
Non, non è possibile. Non è mai stato possibile in passato - prova concreta dei fatti — e non sarà mai possibile in futuro per le diverse ragioni che saranno qui elencate basandoci sulla testimonianza dei teologi e dei Santi, specialmente di S. Luigi di Montfort il quale scrive:

« Io penso che nessuno potrà mai arrivare a un'intima unione con Dio e a una perfetta fedeltà e obbedienza alle ispirazioni dello Spirito Santo senza una molto grande e molto profonda unione con la Beata Vergine e un efficace contributo della sua protezione... Gesù è sempre e dovunque il frutto e il Figlio della B. Vergine, e Maria è sempre e dovunque il vero albero che produce il frutto della vita, e la vera Madre che lo genera. 

È soltanto Maria Colei alla quale Dio ha dato le chiavi della cella del divino amore e il potere di entrare nelle sublimi e segretissime vie della perfezione, e il potere, per così dire, di far entrare anche altri in queste vie segrete. 

È soltanto Maria che ha dato ai miseri figli di Eva la possibilità di entrare nel paradiso terrestre, che essi possono percorrere piacevolmente con Dio, nascondersi là in sicurezza dai loro nemici, e nutrirsi là deliziosamente senza più paura di morire, dei frutti dell'albero della vita e della scienza del bene e del male, e bere a larghi sorsi le acque celesti di quella beata sorgente che là sgorga con abbondanza; o meglio, Essa stessa è quel paradiso terrestre, quella terra vergine e benedetta da cui furono allontanati Adamo ed Eva, i peccatori, ed Essa non vi fa entrare se non coloro che a Lei piacerà far arrivare alla santità... » (ivi, n. 43-45).
Maria attinge l'Infinito!
La prima e più alta creatura

lunedì 6 gennaio 2014

16. 4. 2012 : Non starò a guardare la Mia Chiesa disintegrarsi, per mano di una setta che non ha nessun diritto di giocare un ruolo nella Santa Sede.


16 Aprile 2012 Io, il tuo amato Gesù, non potrei mai minare la Mia stessa Chiesa.

Mia amatissima figlia, Mi rivolgo a tutti i figli di Dio e vi assicuro che Io, il vostro amato Gesù, non potrei mai minare la Mia stessa Chiesa.

Tuttavia, non starò a guardare la Mia Chiesa disintegrarsi, per mano di una setta che non ha nessun diritto di giocare un ruolo nella Santa Sede.
Questo è precisamente ciò che il Falso Profeta e gli impostori che idolatrano Satana, stanno cercando di fare. Vogliono far cadere la Chiesa cattolica e romperla in piccoli pezzi.
Questo, figli Miei, è il modo in cui Satana starà in ribellione finale contro Dio, il creatore di tutte le cose.
Questo scellerato piano per distruggere la Mia Chiesa è in corso da 100 anni ma, dal 1967 si è intensificato.
Molti impostori, che sono membri di questa setta malvagia, che adorano Satana, entrarono nei seminari per ottenere un punto d’appoggio nel Vaticano.
I loro poteri, benché permessi da Dio Padre, sono stati limitati fino ad ora. Poiché i tempi si avvicinano, questo cambierà.
Questa setta malvagia scatenerà ora ogni potere per garantire che essi eleggeranno un nuovo sostituto del Mio Santo Vicario Papa Benedetto XVI.
Tutti coloro che conoscono i Miei insegnamenti vedranno cambiamenti nella recita del Santa Messa
Nuove leggi secolari saranno introdotte e ciò sarà un affronto alla Mia morte sulla croce.
Molti Miei devoti seguaci vedranno questo e si sentiranno male. Le loro opinioni saranno respinte e molti sacramenti cesseranno di essere offerti.
Questo è il motivo per cui è necessaria molta preparazione.
Per quei cattolici che saranno feriti e sgomenti, ricordatevi che Io sono qui.
Chiamate Me, il vostro amato Gesù, e sappiate che non dovete aver paura di proclamare la verità dei Miei insegnamenti.
Non dovete aver paura di voltare le spalle all’eresia.
Io vi guiderò e vi proteggerò durante il viaggio e sarete guidati dalla potenza dello Spirito Santo.
Il vostro amato Salvatore
Gesù Cristo

La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.

Santi Re Magi. Bassorilievo.
Chiesa di Sant'Eustorgio, Milano. Dove si conservano
le Reliquie dei Santi Gasparre Melchiorre e Baldassarre 

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Domenica, 6 gennaio 2013


Cari fratelli e sorelle!
Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia. Per questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72, che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme. Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui. La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4).




Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle Chiese particolari. Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente. Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più concreta. In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.



Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica. Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.



Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae. L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore.



Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.



Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.



Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. 
Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!

In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo. E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.



I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).



Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo (Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui. Amen.





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domenica 5 gennaio 2014

EPIFANIA DI NOSTRO SIGNORE



 
L'anno liturgico
di dom Prosper
Guéranger


EPIFANIA DI NOSTRO SIGNORE

Il nome della festa.
La festa dell'Epifania è la continuazione del mistero di Natale; ma si presenta, sul Ciclo cristiano, con una sua propria grandezza. Il nome che significa Manifestazione, indica abbastanza chiaramente che essa è destinata ad onorare l'apparizione di Dio in mezzo agli uomini.
Questo giorno, infatti, fu consacrato per parecchi secoli a festeggiare la, Nascita del Salvatore; e quando i decreti della Santa Sede obbligarono tutte le Chiese a celebrare, insieme con Roma, il mistero della Natività il 25 dicembre, il 6 gennaio non fu completamente privato della sua antica gloria. Gli rimase il Nome di Epifania con la gloriosa memoria del Battesimo di Gesù Cristo, di cui la tradizione ha fissato a questo giorno l'anniversario.
La Chiesa Greca dà a questa Festa il venerabile e misterioso nome di Teofania, celebre nell'antichità per significare un'Apparizione divina. Ne parlano Eusebio, san Gregorio Nazianzeno, sant'Isidoro di Pelusio, e, nella Chiesa Greca, è il titolo proprio di questa ricorrenza liturgica.
Gli Orientali chiamano ancora questa solennità i santi Lumi, a motivo del Battesimo che si conferiva un tempo in questo giorno in memoria del Battesimo di Gesù Cristo nel Giordano. È noto come il Battesimo sia chiamato dai Padri illuminazione, e quelli che l'hanno ricevuto illuminati.
Infine, noi chiamiamo comunemente, in Francia, tale festa la Festa dei Re, in ricordo dei Magi la cui venuta a Betlemme è celebrata oggi in modo particolare.
L'Epifania condivide con le Feste di Natale, di Pasqua, della Ascensione e di Pentecoste, l'onore di essere qualificata con il titolo di giorno santissimo, nel Canone della Messa; e viene elencata fra le feste cardinali, cioè fra le solennità sulle quali si basa l'economia dell'Anno liturgico. Una serie di sei domeniche prende nome da essa, come altre serie di domeniche si presentano sotto il titolo di Domeniche dopo PasquaDomeniche dopo la Pentecoste.

Il giorno dell'Epifania del Signore è dunque veramente un gran giorno; e la letizia nella quale ci ha immersi la Natività del divino Bambino deve effondersi nuovamente in questa solennità. Infatti, questo secondo irradiamento della Festa di Natale ci mostra la gloria del Verbo incarnato in un nuovo splendore; e senza farci perdere di vista le bellezze ineffabili del divino Bambino, manifesta in tutta la luce della sua divinità il Salvatore che ci è apparsonel suo amore. Non sono più soltanto pastori che son chiamati dagli Angeli a riconoscere il VERBO FATTO CARNEma è il genere umano, è tutta la natura che la voce di Dio stesso chiama ad adorarlo e ad ascoltarlo.

I misteri della festa.
Nei misteri della divina Epifania, tre raggi del sole di giustizia scendono fino a noi. Questo sesto giorno di gennaio, nel ciclo della Roma pagana, fu assegnato alla celebrazione del triplice trionfo d'Augusto, autore e pacificatore dell'Impero; ma quando il pacifico Re, il cui impero è eterno e senza confini, ebbe con il sangue dei suoi martiri, la vittoria della propria Chiesa, questa Chiesa giudicò, nella sapienza del cielo che l'assiste, che un triplice trionfo dell'Imperatore immortale dovesse sostituire, nel rinnovato Ciclo, i tre trionfi del figlio adottivo di Cesare.
Il 6 gennaio restituì dunque al venticinque dicembre la memoria della Nascita del Figlio di Dio; ma in cambio tre manifestazioni della gloria di Cristo vennero ad adunarsi in una stessa Epifania: il mistero dei Magi venuti dall'Oriente sotto la guida della Stella per onorare la divina Regalità del Bambino di Betlemme; il mistero del Battesimo di Cristo proclamato Figlio di Dio nelle acque del Giordano dalla voce stessa del Padre celeste; e infine il mistero della potenza divina di quello stesso Cristo che trasforma l'acqua in vino al simbolico banchetto delle Nozze di Cana.

Il giorno consacrato alla memoria di questi tre prodigi è insieme l'anniversario del loro compimento? È una questione discussa. Ma basta ai figli della Chiesa che la loro Madre abbia fissato la memoria di queste tre manifestazioni nella Festa di oggi, perché i loro cuori applaudano i trionfi del divin Figlio di Maria.
Se consideriamo ora nei particolari il multiforme oggetto della solennità, notiamo innanzi tutto che l'adorazione dei Magi è il mistero che la santa Romana Chiesa onora oggi con maggior compiacenza. A celebrarlo è impiegata la maggior parte dei canti dell'Ufficio e della Messa, e i due grandi Dottori della Sede Apostolica san Leone e san Gregorio, sembra che abbiano voluto insistervi quasi unicamente, nelle loro Omelie sulla festa, benché confessino con sant'Agostino, san Paolino di Noia, san Massimo di Torino, san Pier Crisologo, sant'Ilario di Arles e sant'Isidoro di Siviglia, la triplicità del mistero dell'Epifania. La ragione della preferenza della Chiesa Romana per il mistero della Vocazione dei Gentili deriva dal fatto che questo grande mistero è sommamente glorioso a Roma che, da capitale della gentilità quale era stata fino allora, è diventata la capitale della Chiesa cristiana e dell'umanità, per la vocazione celeste che chiama oggi tutti i popoli alla mirabile luce della fede, nella persona dei Magi
La Chiesa Greca non fa oggi menzione speciale dell'adorazione dei Magi. Essa ha unito questo mistero a quello della Nascita del Salvatore negli Uffici per il giorno di Natale. Tutte le sue lodi, nella solennità odierna, hanno per unico oggetto il Battesimo di Gesù Cristo.


Questo secondo mistero dell'Epifania è celebrato insieme con gli altri due dalla Chiesa Latina, il 6 gennaio. Se ne fa più volte menzione nell'Ufficio di oggi; ma siccome la venuta dei Magi alla culla del neonato Re attira soprattutto l'attenzione della Roma cristiana in questo giorno, è stato necessario, perché il mistero della santificazione delle acque fosse degnamente onorato, legare la sua memoria a un altro giorno. Dalla Chiesa d'Occidente è stata scelta l'Ottava dell'Epifania per onorare in modo particolare il Battesimo del Salvatore.
Essendo inoltre il terzo mistero dell'Epifania un po' offuscato dallo splendore del primo, benché sia più volte ricordato nei canti della Festa, la sua speciale celebrazione è stata ugualmente rimessa a un altro giorno, e cioè alla seconda Domenica dopo l'Epifania.
Alcune Chiese hanno associato al mistero del cambiamento dell'acqua in vino quello della moltiplicazione dei pani, che ha infatti parecchie analogie con il primo, e nel quale il Salvatore manifestò ugualmente la sua potenza divina; ma la Chiesa Romana tollerando tale usanza nel rito Ambrosiano e in quello Mozarabico, non l'ha mai accolta, per non venir meno al numero di tre che deve segnare nel Ciclo i trionfi di Cristo il 6 gennaio, e anche perché san Giovanni ci dice nel suo Vangelo che il miracolo della moltiplicazione dei pani ebbe luogo nella prossimità della Festa di Pasqua, il che non potrebbe attribuirsi in alcun modo al periodo dell'anno nel quale si celebra l'Epifania.

Diamoci dunque completamente alla letizia di questo bel giorno e nella Festa della Teofania, dei santi Lumi, dei Re Magi, consideriamo con amore la luce abbagliante del nostro divino Sole che sale a passi da gigante, come dice il Salmista (Sal 18) e che riversa su di noi i fasci d'una luce tanto dolce quanto splendente. Ormai i pastori accorsi alla voce dell'Angelo hanno visto accrescere la loro schiera fedele; il Protomartire, il Discepolo prediletto, la bianca coorte degli Innocenti, il glorioso san Tommaso, Silvestro, il Patriarca della Pace, non sono più soli a vegliare sulla culla dell'Emmanuele; le loro file si aprono per lasciar passare i Re dell'Oriente, portatori dei voti e delle adorazioni di tutta l'umanità. L'umile stalla è diventata troppo stretta per un simile afflusso di persone; Betlemme appare vasta come il mondo. Maria, il Trono della divina sapienza, accoglie tutti i membri di quella corte con il suo grazioso sorriso di Madre e di Regina; presenta il Figlio alle adorazioni della terra e alle compiacenze del cielo. Dio si manifesta agli uomini, perché è grande, ma si manifesta attraverso Maria, perché è misericordioso.

Ricordi storici.
Nei primi secoli della Chiesa troviamo due avvenimenti notevoli che hanno illustrato il grande giorno che ci raduna ai piedi del Re pacifico. Il 6 gennaio del 361, l'imperatore Giuliano già apostata nel cuore, alla vigilia di salire sul trono imperiale, che presto la morte di Costanzo avrebbe lasciato vacante, si trovava a Vienna nelle Gallie. Aveva ancora bisogno dell'appoggio di quella Chiesa cristiana nella quale si diceva perfino che avesse ricevuto il grado di Lettore, e che tuttavia si preparava ad attaccare con tutta l'astuzia e tutta la ferocia della tigre. Nuovo Erode, artificioso come il primo, volle inoltre, in questo giorno dell'Epifania, andare ad adorare il Neonato Re. Nella relazione del suo panegirista Ammiano Marcellino, si vede il filosofo incoronato uscire dall'empio santuario dove consultava segretamente gli aruspici, avanzare quindi sotto i portici della Chiesa e in mezzo all'assemblea dei fedeli offrire al Dio dei cristiani un omaggio tanto solenne quanto sacrilego.
Undici anni dopo, nel 372, anche un altro Imperatore penetrava nella chiesa, sempre nel giorno dell'Epifania. Era Valente, cristiano per il Battesimo come Giuliano, ma persecutore, in nome dell'Arianesimo, di quella stessa Chiesa che Giuliano perseguitava in nome dei suoi dei impotenti e della sua sterile filosofia. La liberta evangelica d'un santo Vescovo abbatte Valente ai piedi di Cristo Re nello stesso giorno in cui la politica aveva costretto Giuliano ad inchinarsi davanti alla divinità del Galileo.

San Basilio usciva allora allora dal suo celebre colloquio con il prefetto Modesto, nel quale aveva vinto tutta la forza del secolo con la libertà della sua anima episcopale. Valente giunse a Cesarea con l'empietà ariana nel cuore, e si reca alla basilica dove il Pontefice celebrava con il popolo la gloriosa Teofania. "Ma - come dice eloquentemente san Gregorio Nazianzeno - l'Imperatore ha appena varcato la soglia del sacro tempio, che il canto dei salmi risuona al suo orecchio come un tuono. Egli contempla sbalordito la moltitudine del popolo fedele simile ad un mare.
L'ordine, e la bellezza del santuario risplendono ai suoi occhi con una maestà più angelica che umana. Ma ciò che lo colpisce più di tutto, è l'Arcivescovo ritto davanti al suo popolo, con il corpo, gli occhi e la mente raccolti come se nulla di nuovo fosse accaduto, tutto intento a Dio e all'altare. Valente osserva anche i ministri sacri, immobili nel raccoglimento, pieni del sacro terrore dei Misteri. Mai l'Imperatore aveva assistito a uno spettacolo così sublime. La sua vista si oscura, il capo gli gira, e la sua anima è presa dallo sbigottimento e dall'orrore".
Il Re dei secoli, Figlio di Dio e Figlio di Maria, aveva vinto. Valente sentì svanire i suoi progetti di violenza contro il santo Vescovo, e se in quel momento non adorò il Verbo consustanziale al Padre, confuse almeno i suoi omaggi esteriori a quelli del gregge di Basilio. Al momento dell'offertorio, avanzò verso la balaustra, e presentò i suoi doni a Cristo nella persona del suo Pontefice. Il timore che Basilio non lo volesse ricevere agitava con tanta violenza il principe che la mano dei ministri del santuario dovette sostenerlo perché non cadesse, nel suo turbamento, ai piedi stessi dell'altare.
Così, in questa grande solennità, la Regalità del neonato Salvatore è stata onorata dai potenti di questo mondo che si son visti, secondo la profezia del Salmo, abbattuti e prostrati bocconi a terra ai suoi piedi (Sal 71).
Ma dovevano sorgere nuove generazioni d'imperatori e di re che avrebbero piegato i ginocchi e presentato a Cristo Signore l'omaggio d'un cuore devoto e ortodosso. Teodosio, Carlo Magno, Alfredo il Grande, Stefano d'Ungheria, Edoardo il Confessore, Enrico II Imperatore, Ferdinando di Castiglia, Luigi IX di Francia tennero questo giorno in grande devozione, e furono orgogliosi di presentarsi insieme con i Re Magi ai piedi del divino Bambino e di offrirgli i loro cuori come quelli gli avevano offerto i loro tesori. Alla corte di Francia s'era anche conservata, fino al 1378 e oltre (come testimonia il continuatore di Guillaume de Nangis) l'usanza che il Re cristianissimo, giunto all'offertorio, presentasse dell'oro, dell'incenso e della mirra come un tributo all'Emmanuele.


Usanze.
Ma questa rappresentazione dei tre mistici doni dei Magi non era in uso solo nella corte dei re. Nel medioevo, anche la pietà dei fedeli presentava al Sacerdote, perché lo benedicesse, nella festa dell'Epifania, dell'oro, dell'incenso e della mirra; e si conservavano in onore dei tre Re quei commoventi segni della loro devozione verso il Figlio di Maria, come un pegno di benedizione per le case e per le famiglie. Tale usanza è rimasta ancora in alcune diocesi della Germania.
Più a lungo è durata un'altra usanza, ispirata anch'essa dall'età di fede. Per onorare la regalità dei Magi venuti dall’Oriente verso il Bambino di Betlemme, si eleggeva a sorte, in ogni famiglia, un Re per la festa dell'Epifania. In un banchetto animato da una santa letizia, e che ricordava quello delle nozze di Galilea, si rompeva una focaccia di cui una parte serviva a designare l’invitato al quale era attribuita quella momentanea regalità. Due porzioni della focaccia erano prese per essere offerte al Bambino Gesù e a Maria, nella persona dei poveri che godevano anch'essi in quel giorno del trionfo del Re umile e povero. Le gioie della famiglia si confondevano con quelle della religione; i legami della natura, dell'amicizia, della vicinanza si rinforzavano attorno alla tavola dei Re; e se la debolezza poteva apparire qualche volta nell'abbandono di un banchetto, l'idea cristiana non era lontana e splendeva in fondo ai cuori.

Beate ancor oggi le famiglie nel cui seno si celebra con cristiana pietà la festa dei Re! Per troppo tempo un falso zelo ha trovato da ridire contro queste semplici usanze nelle quali la gravità dei pensieri della fede si univa alle effusioni della vita domestica. Si faceva guerra a queste tradizioni della famiglia con il pretesto del pericolo dell'intemperanza, come se un banchetto privo di ogni linea religiosa fosse meno soggetto agli eccessi. Con uno spirito di ricerca alquanto difficile a giustificarsi, si è giunti fino a pretendere che la focaccia dell'Epifania e la innocente regalità che l'accompagnava non fossero altro che un'imitazione dei Saturnali pagani, come se fosse la prima volta che le antiche feste pagane avessero dovuto subire una trasformazione cristiana. Il risultato di sì imprudenti conclusioni doveva essere ed è stato, infatti, su questo punto come su tanti altri, di isolare dalla Chiesa i costumi della famiglia, di espellere dalle nostre tradizioni una manifestazione religiosa, di favorire quella che è chiamata la secolarizzazione della società.
Ma torniamo a contemplare il trionfo del regale Bambino la cui gloria risplende in questo giorno con tanta luce. La santa Chiesa ci inizierà essa stessa ai misteri che dobbiamo celebrare. Rivestiamoci della fede e dell'obbedienza dei Magi; adoriamo, con il Precursore, il divino Agnello al di sopra del quale si aprono i cieli; prendiamo posto al mistico banchetto di Cana, presieduto dal nostro Re tre volte manifestato, e tre volte glorioso. Ma, nei due ultimi prodigi, non perdiamo di vista il Bambino di Betlemme, e nel Bambino di Betlemme non cessiamo inoltre di vedere il gran Dio del Giordano, e il padrone degli elementi.

MESSA
A Roma, la Stazione è a San Pietro in Vaticano, presso la tomba del Principe degli Apostoli a cui sono state affidate in eredità da Cristo tutte le genti.
EPISTOLA (Is 60, 1-6). - Sorgi, ricevi la luce, o Gerusalemme; la tua luce brilla, e sopra te è spuntata la gloria del Signore. Ecco: le tenebre copriranno la terra, e la caligine i popoli, ma sopra te sorgerà il Signore, e sopra te si vedrà la sua gloria. Le nazioni cammineranno alla tua luce, e i re allo splendore che da te emana. Gira intorno lo sguardo e mira: tutti si radunano per venire a te. Da lungi verranno i tuoi figli, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora tu vedrai e sarai piena di gioia; si meraviglierà e si dilaterà il tuo cuore quando verso di te si rivolgeranno i popoli del mare, le potenze delle nazioni a te verranno. Tu sarai inondata da un numero sterminato di cammelli, dai dromedari di Madian e d'Efa; tutti quelli di Saba porteranno oro e incenso e celebreranno le lodi del Signore.


O gloria infinita di questo gran giorno, nel quale comincia il movimento delle genti verso la Chiesa, la vera Gerusalemme! O misericordia del Padre celeste che si è ricordato di tutti i popoli sepolti nelle ombre della morte e del peccato! Ecco che la gloria del Signore si è levata sulla Città santa; e i Re si mettono in cammino per andarlo a contemplare. L'angusta Gerusalemme non può più contenere la calca di gente; è inaugurata un'altra città santa, verso di essa si dirigerà la moltitudine dei gentili di Madian e d'Efa. Apri il seno nella tua materna gioia, o Roma! Le tue armi ti avevano assoggettato degli schiavi; oggi sono dei figli che giungono in folla alle tue porte; solleva gli occhi e guarda: è tutto tuo; l'umanità intera viene a prendere nel tuo seno una nuova nascita. Apri le tue braccia materne, accogli noi tutti che veniamo dal Mezzogiorno e dall'Aquilone portando l'incenso e l'oro a Colui che è il Re tuo e nostro.

VANGELO (Mt 2,1-12). - Nato Gesù in Betlem di Giuda al tempo del re Erode, ecco arrivare a Gerusalemme dei Magi dall'oriente e dire: Dov'è il nato re dei Giudei? Vedemmo la sua stella in oriente e siamo venuti per adorarlo. Udito questo, Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E radunati tutti i principi dei sacerdoti e gli Scribi del popolo, domandò loro dove avesse a nascere il Cristo. Ed essi gli risposero: A Betlem di Giuda; così infatti è stato scritto dal profeta: E tu Betlem, terra di Giuda, non sei la minima tra i capoluoghi di Giuda, che da te uscirà il duce che governerà Israele mio popolo. Allora, chiamati nascostamente i Magi, Erode volle sapere da loro minutamente il tempo della stella che era loro apparsa, e indirizzandoli a Betlem, disse : Andate e cercate con diligenza il fanciullo, e quando l'avrete trovato fatemelo sapere affinché io pure venga ad adorarlo. Essi, udito il re, partirono; ed ecco la stella, che avevano veduta in oriente, precederli, finché, giunta sopra il luogo ov'era il fanciullo, si fermò. Vedendo la stella, provarono grande gioia; ed entrati nella casa, trovarono il bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono; poi, aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. E avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, tornarono al loro paese per altra via.

I Magi, primizie della Gentilità, sono stati introdotti presso il gran Re che cercavano, e noi tutti li abbiamo seguiti. Il Bambino ha sorriso a noi come a loro. Tutte le fatiche di quel lungo viaggio che porta a Dio sono dimenticate; l'Emmanuele rimane con noi, e noi con lui. Betlemme, che ci ha ricevuti, ci custodisce per sempre, perché a Betlemme possediamo il Bambino, e Maria Madre sua. In quale posto del mondo troveremmo tesori così preziosi? Supplichiamo questa Madre incomparabile di presentarci essa stessa il Figlio che è la nostra luce, il nostro amore, il nostro Pane di vita nel momento in cui ci avvicineremo all'altare verso il quale ci conduce la Stella della fede. Fin da questo momento apriamo i nostri tesori; teniamo in mano il nostro oro, il nostro incenso e la nostra mirra, per il Neonato. Egli gradirà questi doni con bontà, e non sarà in ritardo con noi. Quando ci ritireremo come i Magi, lasceremo come loro i nostri cuori sotto il dominio del divino Re, e anche noi per un'altra strada, per una via del tutto nuova, rientreremo in quella patria mortale che deve ancora trattenerci, fino al giorno in cui la vita e la luce eterna verranno a far sparire in noi tutto ciò che vi è di ombra e di tempo.

L'ANNUNCIO DELLA PASQUA
Nelle cattedrali e nelle altre chiese insigni, dopo il canto del Vangelo si annuncia al popolo il giorno della prossima festa di Pasqua. L'usanza, che risale ai primi secoli della Chiesa, ricorda il misterioso legame che unisce le grandi solennità dell'Anno liturgico, come pure l'importanza che i fedeli devono attribuire alla celebrazione della Pasqua che è la più importante di tutte, e il centro di tutta la religione. Dopo aver onorato il Re delle genti nell'Epifania, ci rimarrà dunque da celebrare, a suo tempo, il Trionfatore della morte. Ecco la forma nella quale si dà il solenne annuncio:

Sappiate, o fratelli carissimi, che, come abbiamo gustato, per la divina misericordia, l'allegrezza della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, così noi vi annunziamo oggi le prossime gioie della Risurrezione del medesimo Dio e Salvatore. Il giorno ... sarà la Domenica di Settuagesima. Il ... sarà il giorno delle Ceneri e l'inizio del digiuno della santissima Quaresima. Il ... celebreremo con gaudio la santa Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo. La seconda domenica dopo Pasqua si terrà il Sinodo Diocesano. Il ... si celebrerà l'Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo. Il ... la festa di Pentecoste. Il ... la festa del Corpus Domini. Il ... sarà la prima Domenica dell'Avvento di Nostro Signore Gesù Cristo, al quale va l'onore e la gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.


 Veniamo anche noi, a nostra volta, ad adorarti, o Cristo, in questa regale Epifania che raduna oggi ai tuoi piedi tutte le genti. Ricalchiamo le orme dei Magi, perché anche noi abbiamo visto la stella, e siamo accorsi. Gloria a te, o nostro Re, a te che dici nel Cantico di David: "Io sono stato fatto Re su Sion, sulla montagna santa, per annunciare la legge de] Signore. Il Signore m'ha detto che mi avrebbe dato in eredità le genti, e l'impero fino ai confini della terra. Or dunque, ascoltate, o re; istruitevi, o arbitri del mondo!" (Sal 2).
Presto, o Emmanuele, dirai con la tua stessa bocca: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt 28), e qualche anno più tardi il mondo intero sarà sotto le tue leggi. Gerusalemme è già scossa; Erode trema sul suo trono; ma è vicina l'ora in cui gli araldi della tua venuta andranno ad annunciare alla terra intera che Colui che era l'atteso delle genti è arrivato. Partirà la parola che deve sottometterti il mondo, e si estenderà lontano come un immenso incendio. Invano i potenti della terra tenteranno di arrestarne il corso. Un Imperatore per farla finita, proporrà al Senato di iscriverti solennemente nel novero di quegli stessi dei che tu vieni a rovesciare; altri crederanno che sia possibile scalzare il tuo dominio con la carneficina dei tuoi soldati. Vani sforzi! Verrà il giorno in cui il segno della tua potenza adornerà le insegne pretoriane, il giorno in cui gli Imperatori vinti deporranno il loro diadema ai tuoi piedi e in cui la Roma così fiera cesserà di essere la capitale dell'impero della forza per diventare per sempre il centro del tuo impero pacifico e universale.
Noi vediamo spuntare l'alba di quel giorno meraviglioso. Le tue conquiste cominciano oggi stesso, o Re dei secoli! Dalle lontananze dell'Oriente infedele, tu chiami le primizie di quella gentilità che avevi abbandonata, e che costituirà d'ora in poi la tua stessa eredità. Non più distinzioni di Giudeo e di Greco, di Scita e di Barbaro. Se, per tanti secoli, la tua predilezione fu rivolta alla stirpe di Abramo, la tua preferenza andrà d'ora in poi a noi Gentili. Israele non fu che un popolo, e noi siamo numerosi come la sabbia del mare, come le stelle del firmamento. Israele fu posto sotto la legge del timore; a noi hai riservato la legge dell'amore. Fin da oggi tu cominci, o divino Re, ad allontanare da tè la Sinagoga che disprezza il tuo amore; oggi stesso accetti per Sposa la Gentilità, nella persona dei Magi. Presto la tua unione con essa sarà proclamata sulla croce, dall'alto della quale, volgendo le spalle all'ingrata Gerusalemme, stenderai le braccia verso la moltitudine dei popoli. O gioia ineffabile della tua Nascita! Ma ancora gioia ineffabile della tua Epifania, nella quale è concesso a noi, finora abbandonati, di accostarci a te, di offrirti i nostri doni e di vederli graditi dalla tua misericordia, o Emmanuele!
Ti siano rese grazie, o Bambino onnipotente, "per l'inenarrabile dono della fede" (2Cor 9,15), che ci porta dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce! Ma fa' che comprendiamo sempre tutto il significato di un dono così magnifico, e la santità di questo giorno in cui stringi alleanza con tutta la stirpe umana, per giungere con essa a quel sublime matrimonio di cui parla il tuo eloquente Vicario Innocente III: "Matrimonio - egli dice - che fu promesso al patriarca Abramo, giurato al re David, compiuto in Maria divenuta Madre, e oggi consumato, confermato e proclamato: consumato nell'adorazione dei Magi, confermato nel Battesimo del Giordano e proclamato nel miracolo dell'acqua mutata in vino". In questa festa nuziale in cui la Chiesa tua Sposa, appena nata, riceve già gli onori di Regina, canteremo, o Cristo, con tutto l'entusiasmo dei nostri cuori, la sublime Antifona delle Laudi in cui i tre misteri si fondono meravigliosamente in uno solo, quello della tua Alleanza con noi.

ANT. - Oggi la Chiesa si unisce al celeste Sposo: i suoi peccati sono lavati da Cristo nel Giordano; i Magi accorrono alle regali Nozze portando doni; l'acqua è mutata in vino e gli invitati del banchetto sono nella gioia. Alleluia.

PREGHIAMO
O Dio, che in questo giorno per mezzo di una stella rivelasti ai Gentili il tuo Unigenito, concedi a noi, che già ti conosciamo per mezzo della fede di giungere a contemplare lo splendore della tua gloria.


da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 202-212