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martedì 22 marzo 2022

MARTEDÌ DELLA TERZA SETTIMANA DI QUARESIMA

 Missale Romanum

Dom Prosper GuérangerL’anno liturgico

 

MARTEDÌ DELLA TERZA SETTIMANA DI QUARESIMA

 

La Stazione è alla chiesa di S. Pudenziana, costruita sopra una casa del II secolo, fra il 384 e il 402 e restaurata da Adriano I e quindi da san Gregorio VII ed Innocenzo III.

 

lezione (4Re 4, i-7). - In quei giorni: Una donna si raccomandava al profeta Eliseo, dicendo: Il tuo servo, mio marito, è morto, e tu sai che il tuo servo temeva il Signore. Or ecco è venuto un creditore a prendere i miei due figli per farli suoi servi. Eliseo le disse: Che vuoi che ti faccia? Dimmi, che hai in casa tua? Essa rispose: Io, tua serva, in casa mia non ho niente, eccetto un po' d'olio per ungermi. Egli le disse: Va' a chiedere in prestito dai tuoi vicini dei vasi vuoti, e non pochi; poi, rientrata che sarai chiudi la tua porta, e stando dentro coi tuoi figli, versa quell'olio in tutti quei vasi, e quelli pieni mettili da parte. La donna se ne andò, e chiuse la porta dietro a sé e ai suoi figli: essi presentavano i vasi, ed essa versava. Quando i vasi furono pieni, disse ad uno dei suoi figli: Portami un altro vaso. Ma quello rispose: Non ce n'è più. E l'olio si fermò. Allora essa andò a riferire il fatto all'uomo di Dio, il quale disse: Va' a vendere l'olio e paga il tuo creditore, e tu e i tuoi figli vivete dell'olio che rimarrà ancora.

 

Le opere di misericordia.

È facile cogliere il mistero di questa lettura. Il creditore dell'uomo è Satana, al quale i nostri peccati hanno concesso immensi diritti sopra di noi. Il solo mezzo per liberarsene è la misericordia, simboleggiata dall'olio per la sua soavità: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia" (Mt 5,7). In questi giorni di salute, prepariamo dunque la nostra riconciliazione, con l'essere premurosi nel sollevare i nostri fratelli, aggiungendo l'elemosina al digiuno e praticando le opere di misericordia. 

Con tal mezzo inteneriremo il cuore di Dio, salderemo a lui il nostro debito e ritorceremo su Satana il titolo che voleva far valere contro di noi. Seguiamo perciò l'esempio di questa donna della Scrittura, la quale, schiva dagli sguardi umani, riempie i vasi dell'olio misterioso; anche noi, quando vogliamo fare del bene, chiudiamo la porta, e "non sappia la sinistra quel che fa la destra" (Mt 6, 3). Inoltre osserviamo: l'olio non si ferma, finché ci sono vasi da riempire; altrettanto la nostra misericordia verso il prossimo dev'essere proporzionata alla misura dei nostri mezzi d'azione; Dio li conosce, e non vuole che rimaniamo al di qua di quel che possiamo fare. Siamo larghi in questo santo tempo, e proponiamo d'esserlo sempre. Se poi non abbiamo risorse materiali, siamo almeno misericordiosi nei desideri, con le istanze presso gli uomini e le preghiere presso Dio.

 

VANGELO (Mt 18,15-32). - In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Se tuo fratello ha peccato contro di te, va' e correggilo fra te e lui solo; se t'ascolta, hai guadagnato il tuo fratello. E se non t'ascolta, prendi con te uno o due, affinché per bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa. E se non ne fa caso, fallo sapere alla Chiesa; se poi non ascolta nemmeno la Chiesa, consideralo come un gentile e un pubblicano. In verità vi dico: Qualunque cosa legherete sulla terra, sarà legata anche nel cielo; e qualunque cosa scioglierete sulla terra sarà sciolta anche nel cielo. Ancora vi dico: Se due di voi s'accorderanno sulla terra a domandare qualsiasi cosa, sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli. Perché dove sono due o tre radunati in nome mio ci sono io in mezzo a loro. Allora Pietro, accostatesi a lui, disse: Signore, fino a quante volte, se il mio fratello pecca contro di me, gli dovrò perdonare? Fino a sette? Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.

 

Il perdono delle ingiurie.

La misericordia che il Signore vuole risplenda in noi, non consiste solamente nel profondere l'elemosina corporale e spirituale agli infelici, ma abbraccia anche il perdono e la dimenticanza delle offese. È qui che Dio vuol provare la sincerità della nostra conversione. "Sarà a voi rimisurata con la stessa misura con la quale avrete misurato" (Lc 6,38). Se perdoneremo di cuore ai nostri nemici, anche il Padre celeste ci perdonerà senza restrizione. In questi giorni di riconciliazione, sforziamoci di guadagnare i nostri fratelli, come dice il Signore, e perdoniamo, anche se occorresse farlo settanta volte sette. I nostri litigi d'una volta, lungo il cammino dell'eternità, non devono impedirci di raggiungere la mèta del viaggio. Perdoniamo dunque i torti e le ingiurie, imitando la stessa condotta che Dio usa a nostro riguardo.

 

Il Sacramento della Penitenza.

Inoltre ci devono rimanere impresse le parole del Vangelo, che sono il fondamento della nostra speranza e devono risuonare nell'intimo dei nostri cuori riconoscenti: Qualunque cosa scioglierete sulla terra sarà sciolta anche nel cielo. Quale immenso numero di peccatori sta per fare l'esperienza di questa promessa! Confessando i loro peccati, essi offriranno a Dio l'ossequio d'un cuore contrito ed umiliato; e nell'istante che il Sacerdote li assolverà sulla terra, la mano di Dio, in cielo, li scioglierà dai lacci che li tenevano incatenati agli eterni supplizi.

Finalmente non dimentichiamo l'altra parola legata alla precedente: Se qualcuno non ascolta la Chiesa, consideralo come un gentile e un pubblicano. Qual è dunque la Chiesa di cui si parla, se non gli uomini ai quali Gesù Cristo disse: Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me? Sono uomini dalla cui bocca arriva alle orecchie del Cristiano la verità che sola può salvare. Uomini che soltanto loro hanno il potere sulla terra di riconciliare il peccatore con Dio, chiudergli le porte dell'inferno ed aprirgli quelle del cielo. Dunque ci meraviglieremo se il Salvatore, che li volle costituire mediatori fra lui e gli uomini, minaccia di considerare come un pagano, o uno senza battesimo, chi non riconosce la loro autorità? Non c'è verità rivelata, fuori del loro insegnamento; nessuna salvezza, all'infuori dei Sacramenti ch'essi amministrano ; nessuna speranza in Gesù Cristo, se non nella sottomissione alle leggi spirituali ch'essi prescrivono.

 

PREGHIAMO

Difendici, o Signore, con la tua protezione e preservaci sempre da ogni iniquità.

 http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm#QUAR


AMDG et DVM 

domenica 11 ottobre 2015

DOMINICA VIGESIMA POST PENTECOSTEN

DOMINICA   VIGESIMA
POST   PENTECOSTEN
Semiduplex
   Introitus 
Dan. 3, 31, 29 et 35
 
O
mnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non obœdívimus : sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ. Ps. 118, 1. Beáti immaculáti in via : qui ámbulant in lege Dómini. V/. Glória Patri. Omnia.
Oratio
L
argíre, quaésumus, Dómine, fidélibus tuis indulgéntiam placátus et pacem : ut páriter ab ómnibus mundéntur offénsis, et secúra tibi mente desérviant. Per Dóminum.
Orationes pro diversitate Temporum assignatæ, ut supra.
Léctio Epístolæ beátiPauli Apóstoli
ad Ephésios      Ephes. 5, 15-21

F
ratres : Vidéte, quómodo caute ambulétis : non quasi insipiéntes, sed ut sapiéntes, rediméntes tempus, quóniam dies mali sunt. Proptérea nolíte fíeri imprudéntes, sed intellegéntes, quae sit volúntas Dei. Et nolíte inebriári vino, in quo est luxúria : sed implémini Spíritu Sancto, loquéntes vobismetípsis in psalmis et hymnis et cánticis spirituálibus, cantántes et psalléntes in córdibus vestris Dómino : grátias agéntes semper pro ómnibus, in nómine Dómini nostri Jesu Christi, Deo et Patri. Subjecti ínvicem in timóre Christi.
Graduale. Ps. 144, 15-16. Oculi ómnium in te sperant, Dómine : et tu das illis escam in témpore opportúno. V/. Aperis tu manum tuam : et imples omne ánimal benedictióne.
Allelúja, allelúja. V/. Ps. 107, 2. Parátum cor meum, Deus, parátum cor meum : cantábo, et psallam tibi, glória mea. Allelúja.
Sequéntia sancti Evangélii secúndum
Joánnem            Joann. 4, 46-53

I
n illo témpore : Erat quidam régulus, cujus fílius infirmabátur Caphárnaum. Hic cum audísset, quia Jesus adveníret a Judaéa in Galilaéam, ábiit ad eum, et rogábat eum, ut descénderet et sanáret fílium ejus : incipiébat enim mori. Dixit ergo Jesus ad eum : Nisi signa et prodígia vidéritis, non créditis. Dicit ad eum régulus : Dómine, descénde, priúsquam moriátur fílius meus. Dicit ei Jesus : Vade, fílius tuus vivit. Crédidit homo sermóni, quem dixit ei Jesus, et ibat. Jam autem eo descendénte, servi occurrérunt ei et nuntiavérunt, dicéntes, quia fílius ejus víveret. Interrogábat ergo horam ab eis, in qua mélius habúerit. Et dixérunt ei : Quia heri hora séptima relíquit eum febris. Cognóvit ergo pater, quia illa hora erat, in qua dixit ei Jesus : Fílius tuus vivit : et crédidit ipse et domus ejus tota.
Credo.
Offertorium. Ps. 136, 1. Super flúmina Babylónis illic sédimus et flévimus : dum recordarémur tui, Sion.
Secreta
C
æléstem nobis praébeant hæc mystéria, quaésumus, Dómine, medicínam : et vítia nostri cordis expúrgent. Per Dóminum.
Aliæ Secretæ, ut supra.
Præfatio de Ssma Trinitate.
Communio. Ps. 118, 49-50. Meménto verbi tui servo tuo, Dómine, in quo mihi spem dedísti : hæc me consoláta est in humilitáte mea.
Postcommunio
U
t sacris, Dómine, reddámur digni munéribus : fac nos, quaésumus, tuis semper obedíre mandátis. Per Dóminum.
Aliæ Postcommuniones, ut supra.



DOMENICA VENTESIMA
DOPO LA PENTECOSTE
Giudei e Gentili.
Il Vangelo di otto giorni or sono annunciava le nozze del Figlio di Dio e della stirpe umana. Dio, nella creazione del mondo visibile, aveva per fine la realizzazione di tali nozze e tale fine persegue ancora nel governo della società. Nessuna meraviglia dunque che, rivelandoci su questo argomento il pensiero di Dio, la parabola abbia messo in luce il fatto importante della riparazione dei Giudei e della chiamata dei Gentili, che è ad un tempo il più importante nella storia del mondo e il più intimamente legato al compimento del mistero dell'unione divina.
L'esclusione dei Giudei dovrà un giorno cessare, sebbene la loro ostinazione abbia permesso ai Gentili di vedere rivolto a loro il messaggio dell'amore. Oggi tutte le nazioni (Rm 11, 25-26) hanno udito l'invito del cielo ed è vicino il tempo in cui il ritorno di Israele completerà la Chiesa nei suoi mmbri e darà alla Sposa il segno dell'ultima chiamata, che porrà fine al lungo travaglio dei secoli (ivi 8, 22), facendo apparire lo Sposo (Ap 22,17).
Si farà finalmente sentire nel cuore dei discendenti di Giacobbe la felice gelosia che l'Apostolo voleva destare negli uomini della sua razza rivolgendosi ai Gentili (Rm 11, 13-14). Quale gioia in cielo quando la loro voce, che ripete e supplica, si unirà davanti a Dio con i canti di allegrezza del Gentilesimo che celebra l'entrata dei suoi popoli innumerevoli nella sala del banchetto divino! Tale concerto sarà davvero il preludio del gran giorno salutato in anticipo da san Paolo quando, nel suo patriottico entusiasmo, disse dei Giudei: Se la loro caduta fu ricchezza per il mondo e la loro diminuzione la ricchezza per i Gentili, che cosa sarà la loro pienezza (ivi 12)?
La Messa della ventesima domenica ci fa pregustare il momento fortunato in cui la riconoscenza del nuovo popolo non sarà più sola a cantare i benefici di Dio. Tutti i liturgisti antichi ce la presentano composta per metà con parole dei profeti, che offrono a Giacobbe le espressioni di pentimento che gli procurano nuovamente l'amicizia di Dio e per metà con formule ispirate nelle quali i popoli, già sistemati nella sala del festino nuziale, manifestano il loro amore. Sentiamo il cuore dei Gentili nel Graduale e nel Communio e nell'Introito e nell'Offertorio sentiamo quello dei Giudei.
EPISTOLA (Ef 5,15-21). - Fratelli: Guardate adunque di condurvi cautamente: non da stolti, ma da prudenti, riscattando il tempo, perché i giorni sono cattivi: quindi non siate imprudenti, ma studiate bene quale sia la volontà di Dio. E non vi ubriacate col vino, sorgente di lussuria, ma siate ripieni di Spirito Santo. Conversate tra voi con salmi, inni e canti spirituali, cantando e salmeggiando di tutto cuore al Signore, ringraziando sempre Dio e Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo per ogni cosa. Sottomettetevi gli uni agli altri nel timore di Cristo.
L'avvicinarsi del compimento delle nozze del Figlio di Dio coinciderà quaggiù con un violento furore dell'inferno ai danni della Sposa. Il dragone dell'Apocalisse (Ap 12,9) scatenerà tutte le passioni per trascinare la vera madre dei viventi col suo impeto, ma sarà impotente a scuotere il patto di alleanza eterna e, impotente contro la Chiesa, dirigerà gli sforzi della sua rabbia contro gli ultimi figli della novella Eva, destinati ad avere l'onore delle ultime lotte pericolose che il profeta di Patmos ha descritte (ivi 17).
Integrità della dottrina.
I cristiani fedeli si ricorderanno allora degli ammonimenti dell'Apostolo e si impegneranno pienamente a custodire la loro intelligenza e la loro volontà in quei giorni cattivi, con quella circospezione che egli raccomanda. La luce infatti allora subirà gli assalti dei figli delle tenebre che diffonderanno le loro dottrine perverse. Forse sarà ancor più sminuita e falsata per le debolezze degli stessi figli della luce anche sul terreno dei principi, per i sotterfugi, le transazioni e l'umana prudenza dei pretesi saggi. Molti lasceranno capire di ignorare che la Sposa dell'Uomo-Dio non può soccombere all'urto di forze create. Le ricorderanno che Cristo si è impegnato a difendere la Chiesa fino alla fine dei secoli (Mt 28,20), tuttavia crederanno di fare cosa buona portando alla buona causa il soccorso di una po­litica di concessioni non sempre abbastanza pesate con i pesi della Chiesa, dimenticando che il Signore, per aiutarla a mantenere le sue promesse, non ha bisogno di stolta sagacia e che la cooperazione che egli si degna accettare dai suoi, per la difesa dei diritti della Chiesa, non può stare nello sminuire o nel dissimulare la verità, che è forza e bellezza della Sposa. Dimenticheranno che san Paolo ha scritto ai Romani che conformarsi a questo mondo, cercare un impossibile adattamento del Vangelo a un mondo scristianizzato non è discernere con sicurezza ilbene, il meglio, il perfetto agli occhi del Signore (Rm 12,2)! In quei tempi infelici sarà merito particolarmente grande attendere soltanto, come dice la nostra Epistola, aconoscere quale sia la volontà di Dio.
Dice san Giovanni: Badate a non perdere il frutto delle vostre opere, assicuratevi la ricompensa piena, che è solo concessa alla perseverante pienezza della dottrina e della fede (2Gv 8-9). Del resto, come sempre anche allora, secondo le parole dello Spirito Santo, la semplicità dei giusti li guiderà con sicurezza (Pr 11,3) e l'umiltà darà loro sapienza (ivi 2).
Redimere i tempi.
Sia unica cura dei giusti avvicinarsi al Diletto ogni giorno con una rassomiglianza perfetta a Lui, informando al vero parole ed atti. Così essi serviranno la società come deve essere servita, praticando il consiglio che il Signore ci dà di cercare sempre il regno di Dio e la sua giustizia, confidando per le altre cose in Lui (Mt 6,33).
Lasciamo agli altri la ricerca di umani e scaltri accostamenti, di incerti compromessi destinati, nel pensiero dei loro autori, a ritardare di qualche settimana o forse di qualche mese il flutto della rivoluzione che sale; essi comprenderanno in modo diverso il consiglio che ci dà l'Apostolo di redimere i tempi.
Lo Sposo aveva comprati i tempi ad alto prezzo, perché fosse impegnato dai suoi membri mistici nella glorificazione dell'Altissimo. Perduto dalla moltitudine sviata nella rivolta e nell'orgia, le anime fedeli lo riscatteranno ponendo negli atti della loro fede e del loro amore tale intensità che il tributo dato ogni giorno dalla terra alla Santa Trinità non risulti diminuito fino all'ultimo momento. Le anime dei fedeli, contro la bestia dalla bocca insolente e piena di bestemmie (Ap 13,5-6), rinnoveranno il grido di Michele contro Satana suscitatore della bestia (ibid. 2): Chi è come Dio?
VANGELO (Gv 4,46-54). - In quel tempo: C'era un regio ufficiale il cui figlio era ammalato in Cafarnao. Ed avendo egli sentito dire che Gesù dalla Giudea era venuto in Galilea, andò a trovarlo e lo pregò di recarsi a guarire il suo figlio, che era moribondo. E Gesù gli disse: Se non vedete segni e prodigi, non credete. E l'ufficiale regio: Signore, vieni, prima che muoia il mio figliolo. Gesù gli disse: Va', il tuo figlio vive. Quell'uomo prestò fede alle parole dettegli da Gesù e parti. E avanti che arrivasse a casa gli corsero incontro i servi con la notizia che il suo figliolo viveva. Domandò loro pertanto in che ora avesse cominciato a star meglio. E quelli gli risposero: Ieri alla settima ora lo lasciò la febbre.
Allora il padre riconobbe essere quella appunto l'ora in cui Gesù gli aveva detto: il tuo figlio vive, e credette lui con tutta la famiglia.
Nel corso delle Domeniche dopo la Pentecoste il Vangelo è tratto oggi per la prima ed unica volta da san Giovanni e dà il suo nome alla Domenica ventesima, che viene detta Domenica dell'Ufficiale di Cafarnao. La Chiesa scelse questo passo del Vangelo per la relazione misteriosa che lo lega alle condizioni del mondo nei tempi cui gli ultimi giorni del Ciclo liturgico profeticamente si riferiscono.
Il mondo malato.
Il mondo volge al termine, comincia a morire. Minato dalla febbre delle passioni in Cafarnao, città del lucro e del godimento, è già senza forze e non può andare da sé al medico, che potrebbe guarirlo. Si rivolge a suo Padre cioè i pastori, che lo hanno generato alla vita della grazia col Battesimo e governano il Popolo cristiano comeUfficiali della santa Chiesa ed essi devono andare dal Signore e chiedere la salute del malato. Il discepolo prediletto ci dice per prima cosa (Gv 4,46) che essi troveranno Gesù a Cana, la città delle nozze e delle manifestazioni della sua gloria col banchetto nuziale (ivi 2,11) e Cana è il cielo dove l'Uomo-Dio risiede da quando abbandonò la terra e lasciò i discepoli senza lo sposo ad esercitarsi per un tempo nel campo della penitenza.
Il rimedio.
Rimedio sono soltanto lo zelo dei pastori e la preghiera di quella parte del gregge di Cristo, che non si è lasciata trascinare dalle seduzioni della universale licenza. Come è però necessario che fedeli e pastori facciano propri i sentimenti della Chiesa dimenticando se stessi! Nella più rivoltante ingratitudine, nelle ingiustizie, nelle calunnie, nelle perfidie di ogni genere, la madre dei popoli tutto dimentica, per pensare soltanto alla vera prosperità e alla salvezza delle nazioni, che l'oltraggiano, prega come ha fatto sempre, ma con un fervore che non ha mai avuto, perché la fine ritardi, pro mora finis (Tertulliano, Apol. XXXIX).
Potenza della preghiera.
Come dice Tertulliano: "riuniamoci in un solo gregge, in un solo esercito per andare a Dio e investirlo con le nostre preghiere come investe un'armata, perché questa violenza gli piace". Però questo esige una fede totale incrollabile. È la nostra fede che ci dà la vittoria sul mondo (1Gv 5,4) ed è ancora la fede che vince Dio nei casi estremi e disperati. Pensiamo con la Chiesa al pericolo che tanti sventurati corrono. Sono, è vero, senza scusa, perché ancora domenica scorsa furono avvertiti del pianto e dello stridore di denti, che nelle tenebre esteriori attende coloro che disprezzano le sacre nozze (Mt 22,13), ma ci sono fratelli e non possiamo rassegnarci alla loro perdita, e speriamo contro ogni speranza. L'Uomo-Dio, che conosceva in modo sicuro l'inevitabile dannazione dei peccatori ostinati, ha tuttavia versato anche per essi il suo sangue e noi vogliamo unirci a lui in una rassomiglianza totale. Risolviamo di imitarlo anche in questo nella misura che è a noi possibile e preghiamo, senza riposo e senza tregua, per i nemici della Chiesa, per i nostri nemici ora che la loro dannazione non è compiuta. In questo ordine di cose niente è inutile, niente va perduto, qualunque cosa avvenga, il Signore sarà molto glorificato dalla nostra fiducia e dall'ardore della nostra carità.
Vediamo di non meritare il rimprovero che egli moveva alla fede falsa della generazione di cui faceva parte l'Ufficiale di Cafarnao. Egli non ha bisogno di scendere dal cielo per dare efficacia agli ordini della sua volontà misericordiosa, noi lo sappiamo, e, se si degna moltiplicare attorno a noi miracoli e prodigi, gli saremo riconoscenti per i nostri fratelli più di noi deboli nella fede e prenderemo l'occasione per esaltare la sua gloria, protestando però che l'anima nostra non ha più bisogno di manifestazioni della sua potenza per credere in lui.
PREGHIAMO
Largisci placato, Signore, il perdono e la pace ai tuoi servi, affinché, purificati da tutte le colpe, possano servirti con animo tranquillo.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 514-519





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IN FESTO SSMÆ TRINITATIS | Dominica Prima post Pentecosten | IN FESTO SSMI CORPORIS CHRISTI | Dominica infra Oct. Ssmi Corporis Christi | IN FESTO SACRATISSIMI CORDIS JESU | Dominica infra Oct. Sacratissimi Cordis Jesu | Dominica Quarta post Pentecosten | Dominica Quinta post Pentecosten | Dominica Sexta post Pentecosten |Dominica Septima post Pentecosten | Dominica Octava post Pentecosten | Dominica Nona post Pentecosten | Dominica Decima post Pentecosten | Dominica Undecima post Pentecosten | Dominica Duodecima post Pentecosten | Dominica Decima Tertia post Pentecosten | Dominica Decima Quarta post Pentecosten | Dominica Decima Quinta post Pentecosten |Dominica Decima Sexta post Pentecosten | Dominica Decima Septima post Pentecosten | Feria Quarta Quatuor Temporum Septembris | Feria Sexta Quatuor Temporum Septembris | Sabbato Quatuor Temporum Septembris | Dominica Decima Octava post Pentecosten | Dominica Decima Nona post Pentecosten | Dominica Vigesima post Pentecosten | Dominica Vigesima Prima post Pentecosten | Dominica Vigesima Secunda post Pentecosten | Dominica Vigesima Tertia post Pentecosten | Dominica Tertia quæ superfuit post Epiphaniam | Dominica Quarta quæ superfuit post Epiphaniam |Dominica Quinta quæ superfuit post Epiphaniam | Dominica Sexta quæ superfuit post Epiphaniam | Dominica Vigesima Quarta et Ultima post Pentecosten | Tabula Orationum

venerdì 30 maggio 2014

ASCENSIONE DI NOSTRO SIGNORE

L'anno liturgico
di dom Prosper Guéranger



ASCENSIONE DI NOSTRO SIGNORE

L'ineffabile successione dei misteri dell'Uomo-Dio è sul punto di ricevere l'ultimo complemento. Ma l'allegrezza della terra è salita fino al cielo; le angeliche gerarchie si preparano a ricevere il capo già promesso, mentre i loro principi sono vigili alle porte, pronti ad aprirle, quando risuonerà il segnale del divino Trionfatore. Le sante anime, liberate dal limbo già da quaranta giorni, attendono il felice momento in cui la via del cielo, chiusa per il peccato, si aprirà improvvisamente, ed essi potranno percorrerla al seguito del loro Redentore. L'ora incalza, ed è tempo ormai che il divin Risorto venga a mostrarsi, ed a ricevere l'addio di coloro che l'attendono di minuto in minuto, e che deve lasciare ora in questa valle di lacrime.

Al Cenacolo.
Tutto ad un tratto egli appare in mezzo al Cenacolo. Trasalisce il cuore di Maria; i discepoli e le pie donne adorano con emozione colui che si mostra quaggiù per l'ultima volta. Gesù si degna prendere posto a tavola con loro; accondiscende a dividere ancora una volta il pasto, non più con lo scopo di renderli sicuri della sua Risurrezione - sa che non ne dubitano, ormai - ma tiene a dar loro questo segno affettuoso della sua divina familiarità, nel momento di andare ad assidersi alla destra del Padre. Quale pasto ineffabile è questo in cui Maria gusta per l'ultima volta sulla terra l'incanto di essere seduta vicino al Figliolo; in cui la santa Chiesa, rappresentata dai discepoli e dalle pie donne, è ancora visibilmente presieduta dal suo Capo e suo Sposo!
Chi potrebbe esprimere il rispetto, il raccoglimento, l'attenzione dei convitati; riprodurre gli sguardi posati con affetto così intenso sul Maestro tanto amato? Essi aspirano ad ascoltare ancora una volta la sua parola; parola tanto cara in questo momento della separazione! Finalmente Gesù schiude le sue labbra; ma il suo accento è più grave che tenero. Comincia col ricordare loro l'incredulità con la quale accolsero la notizia della sua Risurrezione (Mc 16,14). Al momento di affidare la missione più imponente che sia mai stata trasmessa agli uomini, egli vuole richiamarli all'umiltà. Tra pochi giorni dovranno essere gli oracoli del mondo, e il mondo dovrà credere la loro parola, credere ciò che non ha visto, ma quello che essi soli hanno veduto. È la fede che mette gli uomini in comunicazione con Dio; e questa fede essi stessi, in principio, non l'ebbero: Gesù vuole ricevere un'ultima riparazione di quella incredulità passata, per fondare il loro apostolato sull'umiltà.


L'evangelizzazione del mondo.
Prendendo poi quel tono di autorità che conviene a lui solo, disse loro: "Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crede e sarà battezzato si salverà; chi non crede sarà condannato" (Mc 16,15-16). Come compiranno essi questa missione di predicare il Vangelo nel mondo intero? Con quali mezzi riusciranno ad accreditare la loro parola? Gesù lo indica: "Or questi sono i miracoli che accompagneranno i credenti: nel nome mio scacceranno demoni; parleranno lingue nuove; prenderanno in mano serpenti, e se berranno qualche veleno mortifero non ne avranno danno; imporranno le mani agli ammalati e guariranno" (ivi 16,17-18)". Egli vuole che il miracolo sia il fondamento della sua Chiesa, come l'aveva scelto quale argomento della sua missione divina. La sospensione della legge della natura annunzia agli uomini che l'autore di questa stessa natura sta per pronunciarsi: ad essi, allora, il dovere di ascoltare e credere umilmente.
Ecco dunque questi uomini sconosciuti dal mondo, sprovvisti di ogni mezzo umano, eccoli investiti della missione di conquistar la terra e di farvi regnare Gesù Cristo. Il mondo ignora anche la loro esistenza; assiso sul trono, Tiberio, che vive nel terrore delle congiure, non suppone affatto tale spedizione di nuovo genere che si sta iniziando, dalla quale l'impero romano sarà conquistato. A questi guerrieri, occorre un'armatura ma di tempra divina, e Gesù annuncia che stanno per riceverla. "Voi però rimanete in città, finché siate dall'alto investiti di vigoria" (Lc 24,49). Ma quale sarà quest'armatura? Gesù lo spiegherà, ricordando la promessa del Padre, "la promessa che avete udito dalla mia bocca. Perché Giovanni battezzò nell'acqua, ma voi sarete battezzati nello Spirito Santo di qui a non molti giorni" (At 1).

Verso il Monte degli Ulivi.
Ma l'ora della separazione è giunta. Gesù si alza, e tutti i presenti, al completo, si dispongono a seguire i suoi passi. Centoventi persone si trovano là riunite, insieme con la Madre del Trionfatore che il cielo reclamava. Il Cenacolo era situato sulla montagna di Sion, una delle due colline situate entro le mura di Gerusalemme; il corteo traversa una parte della città, dirigendosi verso la porta orientale che si apre sulla vallata di Giosafat. È l'ultima volta che Gesù percorre le strade della città reproba. Invisibile ormai agli occhi del popolo che l'ha rinnegato, avanza alla testa dei suoi, come un tempo la colonna luminosa che dirigeva i passi degli Israeliti. Quanto è bello ed imponente questo incedere di Maria, dei discepoli, e delle pie donne, al seguito di Gesù, che non dovrà più fermarsi che in cielo alla destra del Padre! La devozione nel medio evo lo ricordava con una processione solenne che precedeva la messa di questo grande giorno. Secoli felici, i cui cristiani amavano seguire tutte le orme del Redentore, e non si contentavano, come noi, di qualche vaga nozione che non può suscitare che una pietà altrettanto vaga!



La gioia di Maria.
Allora si meditava sui sentimenti che dovevano avere invaso il cuore di Maria durante questi ultimi istanti in cui godeva la presenza del suo figliolo. Ci si domandava se in questo cuore materno era superiore la tristezza di non vedere più Gesù, oppure la felicità di sapere che Egli entrava finalmente nella gloria che gli era dovuta. Nel pensiero di questi veri cristiani la risposta era immediata ed ora la rivolgeremo a noi stessi. Gesù aveva detto ai suoi discepoli: "Se mi amaste, vi rallegrereste che io vada al Padre" (Gv 14,28). Ora, chi amò Gesù quanto Maria? Il cuore della Madre era dunque nell'allegrezza al momento di questo ineffabile addio. Ella non poteva pensare a se stessa, trattandosi del trionfo del suo Figliolo e del suo Dio! Dopo gli orrori del calvario, poteva essa aspirare ad altro che a veder glorificato finalmente colui che sapeva essere il sommo Signore di tutte le cose, colui che aveva visto, pochi giorni prima, rinnegato, bestemmiato, spirare in mezzo alle torture?
Il corteo ha attraversato la valle di Giosafat, ha passato il torrente Cedron, e si dirige verso il pendio del monte degli Ulivi. Quanti ricordi si affollano nella mente! Questo torrente, di cui il Messia nella sua umiliazione aveva bevuta l'acqua fangosa, oggi è divenuto per lui il cammino della gloria, secondo quanto aveva annunciato David (Sal 109,7). Si lascia a sinistra l'orto che fu testimone dell'Agonia, la grotta in cui il calice per l'espiazione del mondo fu presentato a Gesù e da lui accettato. Dopo aver superato una distanza che san Luca stima essere press'a poco quella che permettevano gli Ebrei di percorrere in giorno di sabato, si arriva nel territorio di Betania, il villaggio in cui Gesù chiedeva ospitalità a Lazzaro e alle sue sorelle. Da tale punto della montagna degli Ulivi si godeva la vista di Gerusalemme, che appariva magnifica col suo Tempio e i suoi palazzi. Questo spettacolo commuove i discepoli. La patria terrestre fa battere ancora il cuore di questi uomini; per un momento essi dimenticano la maledizione pronunciata sull'ingrata città di Davide, e sembrano non ricordarsi più che Gesù li ha fatti poco prima cittadini e conquistatori di tutto il mondo. Il sogno della grandezza umana di Gerusalemme li ha sedotti improvvisamente ed essi osano indirizzare questa domanda al Maestro: "Signore, lo ricostituirai il regno d'Israele?" Gesù risponde a questa richiesta indiscreta: "Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti che il Padre si è riservato in suo potere". Queste parole non toglievano la speranza che Gerusalemme fosse un giorno riedificata dallo stesso Israele divenuto cristiano; ma la restaurazione della città di Davide non dovrà aver luogo che verso la fine dei tempi. Non era dunque conveniente che il Salvatore facesse conoscere allora questo segreto divino. La conversione del mondo pagano e la fondazione della Chiesa: ecco ciò che doveva adesso preoccupare i discepoli. Gesù li riporta subito alla missione che aveva loro affidato poco prima, esclamando: "Riceverete la virtù dello Spirito Santo che verrà sopra di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea, e nella Samaria, e sino all'estremità del mondo" (At 1,6-8).

L'Ascensione al cielo.
Secondo una tradizione che rimonta ai primi secoli del cristianesimo [1], si era sull'ora del mezzogiorno, l'ora stessa in cui Gesù era stato alzato in croce. Ed ecco che, volgendo sugli astanti uno sguardo di tenerezza, che dovette arrestarsi su Maria con speciale compiacenza filiale, elevò le mani e li benedisse tutti. In quel momento i suoi piedi si staccarono dalla terra, e cominciò ad innalzarsi verso il cielo (Lc 24,51). I presenti lo seguivano con lo sguardo; ma presto egli entrò in una nube che lo nascose ai loro occhi (At 1,9).
 
I discepoli guardavano ancora il cielo, quando improvvisamente due Angeli bianco vestiti si presentarono dicendo: "Uomini di Galilea, che state a guardare il Cielo? Quel Gesù che, tolto a voi, è asceso al Cielo, verrà come l'avete visto andare in cielo" (At 1, 10-11). Ora il Signore è risalito al cielo, da dove un giorno ne ridiscenderà a giudicare: tutto il destino della Chiesa è compreso tra questi due termini. Noi viviamo dunque presentemente sotto il regime del Salvatore, poiché egli ci ha detto che "Dio non ha mandato il Figlio suo nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per opera di lui" (Gv 3,17). Ed è per questo fine misterioso che i discepoli hanno ricevuto poc'anzi la missione di andare per tutta la terra ed invitare gli uomini alla salvezza, mentre v'è ancora tempo.
Quale compito immenso Gesù ha loro affidato! e, nel momento in cui si tratta d'iniziarlo, egli li lascia! Soli, dovranno scendere dal monte degli Ulivi, dal quale egli è partito per il cielo! Eppure il loro cuore non è triste; hanno con sé Maria, e la generosità di questa Madre incomparabile, si comunica alle loro anime. Amano il Maestro: d'ora in avanti la felicità sarà quella di pensare che è entrato nel riposo. I discepoli tornarono a Gerusalemme, "pieni di gioia", ci dice san Luca (Lc 24,52), esprimendo con questa sola parola una delle caratteristiche della festa dell'Ascensione, improntata ad una dolce malinconia, ma nella quale si respira, allo stesso tempo e più che in qualunque altra, la gioia ed il trionfo. Durante la sua Ottava, cercheremo di penetrarne i misteri e di mostrarla in tutta la sua magnificenza; per oggi ci limiteremo a dire che questa solennità è il complemento di tutti i misteri del nostro Redentore, e che essa ha reso per sempre sacro il giovedì di ogni settimana, giorno già così degno di rispetto per l'istituzione della santa Eucarestia.

Antichi Riti.
Abbiamo parlato della processione solenne con la quale si celebrava nel medio evo il cammino di Gesù e dei suoi discepoli verso il monte degli Ulivi; dobbiamo ricordare pure che, in quel giorno, si benediceva solennemente il pane ed alcuni frutti novelli, in memoria dell'ultimo pasto che il Salvatore aveva fatto nel Cenacolo. Imitiamo la pietà di quei tempi, in cui i cristiani avevano a cuore di raccogliere anche i minimi episodi dell'Uomo-Dio, e di farli propri, per così dire, riproducendo nella loro vita attuale tutte le circostanze rivelate dal santo Vangelo. Gesù Cristo, in quei tempi, era veramente amato e adorato; e gli uomini si ricordavano senza tregua che è l'onnipotente Signore. Ai nostri giorni, è l'uomo che regna, a suo rischio e pericolo; Gesù Cristo è confinato nel più intimo della vita privata. Ma egli è in diritto di essere la nostra preoccupazione di tutti i giorni e di tutte le ore! Gli Angeli dissero agli Apostoli: "verrà come l'avete visto andare in Cielo". Ci sia dato il potere di amarlo, servirlo con tanto zelo, durante la sua assenza, in modo da poter osare di sostenere il suo sguardo quando egli apparirà!

MESSA
La Chiesa Romana ci indica oggi, come chiesa stazionale, la Basilica di S. Pietro. È stata una bella idea, quella di riunire in questo giorno la comunità dei fedeli intorno alla tomba di uno dei principali testimoni dell'Ascensione del Maestro. In questa Basilica, come nella chiesa più umile della cristianità, il simbolo liturgico di questa festa è il Cero pasquale, che vedemmo accendere durante la notte della Risurrezione, e che era destinato, per mezzo della sua luce, lungo i quaranta giorni, a raffigurare la durata del soggiorno del Signore risorto tra coloro che egli si era degnato chiamare fratelli. Gli sguardi dei fedeli radunati insieme, si fermano con compiacenza sulla sua fiamma, che sembra brillare di più vivo splendore, man mano che si avvicina l'istante in cui dovrà soccombere. Benediciamo la santa Madre Chiesa, alla quale lo Spirito Santo ha ispirato l'arte d'istruirci e di commuoverci con l'aiuto di tanti simboli; e rendiamo gloria al Figlio di Dio che ci dice: "Io sono la luce del mondo" (Gv 8,12).

EPISTOLA (At 1,1-11). - Nel primo libro parlai, o Teofilo, di tutto quello che Gesù fece ed insegnò dal principio fino al giorno in cui, dati, per mezzo dello Spirito Santo, i suoi ordini agli Apostoli, che aveva eletti, ascese al cielo; ai quali si fece anche vedere vivo, dopo la sua passione, con molte riprove, apparendo ad essi per quaranta giorni e ragionando del regno di Dio. Ed essendo insieme a mensa, comandò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di aspettare la promessa del Padre, la quale avete udita (disse) dalla mia bocca, perché Giovanni battezzò con l'acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo, di qui a non molti giorni. Ma i convenuti gli domandavano: Signore, lo ricostituirai ora il regno d'Israele? Rispose loro : non sta a voi di sapere i tempi e i momenti che il Padre si è riservato in suo potere; ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo che verrà sopra di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, e nella Samaria e fino all'estremità della terra. E detto questo, mentre essi lo guardavano, si levò in alto; ed una nuvola lo tolse agli occhi loro. E mentre stavano a mirarlo ascendere al cielo, ecco due personaggi in bianche vesti presentarsi loro e dire: uomini di Galilea, perché guardate il cielo? Questo Gesù, che, tolto a voi, è asceso al cielo, verrà come l'avete visto andare in cielo.

Gesù risale in cielo.
Abbiamo assistito, leggendo questa narrazione, alla dipartita dell'Emmanuele per il cielo. Può esservi qualcosa di più commovente di quello sguardo dei discepoli, fisso sul Maestro che improvvisamente s'innalza benedicendoli? Ma una nube viene ad interporsi fra Gesù ed essi, e i loro occhi bagnati di lacrime hanno perduto la traccia del suo passaggio. Ormai sono soli sulla montagna; Gesù li ha privati della sua presenza visibile. Nel deserto di questo mondo quale sarebbe la loro pena, se la grazia non li sostenesse, se lo Spirito divino non fosse prossimo a discendere su di essi, creandovi un nuovo essere? Non è più che in cielo, dunque, che rivedranno colui il quale, pure essendo Dio, si degnò di essere loro Maestro durante tre anni e di chiamarli amici suoi, nell'ultima Cena! Ma tale lutto non esiste solamente per loro. Questa terra che riceveva, fremendo di felicità, l'impronta delle orme del Figlio di Dio, non sarà calpestata più dai suoi sacri piedi. Ha perduto quella gloria attesa da sì lungo tempo, la gloria, ossia, di servire d'abitazione al suo Creatore. Le nazioni vivono nell'attesa di un Liberatore; però, all'infuori, della Giudea e della Galilea, gli uomini ignorano che egli è venuto e che è risalito al cielo. Ma l'opera di Gesù non si fermerà qui. Il genere umano conoscerà la sua venuta; e, in quanto all'Ascensione al cielo avvenuta in questo giorno, ascoltate la voce della Chiesa, che risuona nelle cinque parti del mondo, proclamando il trionfo dell'Emmanuele. Diciannove secoli sono trascorsi dalla sua dipartita, e il nostro addio, pieno di rispetto e d'amore, si unisce ancora a quello che gl'indirizzarono i discepoli, mentre s'innalzava al cielo. Noi pure piangiamo la sua assenza ma siamo felici di vederlo glorificato, incoronato, assise alla destra del Padre. Tu sei entrato nel riposo, Signore; ti adoriamo ai piedi del trono, noi che siamo oggetto del tuo riscatto e della tua conquista. Degnati benedirci, attirarci a te e fa' che la tua ultima venuta, sia per noi speranza e non timore.

VANGELO (Mc 16,14-20). - In quel tempo: Gesù apparve agli undici mentre erano a tavola, e li rimproverò della loro incredulità e durezza di cuore, per non aver creduto a quelli che l'avevano visto risuscitato. E disse loro: Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; chi poi non avrà creduto sarà condannato. Or questi sono i segni che accompagneranno coloro che avranno creduto: In nome mio scacceranno i demoni, parleranno nuove lingue, maneggeranno i serpenti e, se avranno bevuto qualche veleno, non farà loro male; imporranno le mani agli infermi ed essi guariranno. E il Signore Gesù dopo aver loro parlato, ascese al cielo e siede alla destra di Dio. Quelli poi andarono a predicare da per tutto, con la cooperazione del Signore, il quale confermava la parola coi prodigi che l'accompagnavano.

Desiderare Gesù Cristo.
Appena il diacono ha pronunciato queste parole, un accolito sale l'ambone e spegno il Cero che ci ricordava la presenza di Gesù risorto. Questo rito espressivo annuncia il principio della vedovanza della Santa Chiesa, e avverte le anime nostre che d'ora in avanti, per contemplare il nostro Salvatore devono aspirare al cielo dove egli risiede. Come è passato rapidamente il suo soggiorno quaggiù! Quante generazioni si sono succedute, quante ne seguiranno ancora, prima che egli si mostri di nuovo!
Lontano da lui, la Santa Chiesa prova i languori dell'esilio; nondimeno persevera ad abitare in questa valle di lacrime, poiché è qui che ella deve allevare quei figli dei quali lo Sposo divino l'ha resa Madre, per mezzo del suo Spirito; ma la vista di Gesù le manca, e, se siamo cristiani, essa deve mancare anche a noi. Oh! quando verrà quel giorno in cui, nuovamente rivestiti della nostra carne, "saremo rapiti sulle nubi in aria incontro al Signore, e così saremo sempre col Signore?" (1Ts 4,16). Allora, e solamente allora, avremo raggiunto il fine per il quale fummo creati.
Tutti i misteri del Verbo incarnato che noi abbiamo visto svolgersi fin qui, dovevano concludersi con la sua Ascensione; tutte le grazie che noi riceviamo, giorno per giorno, avranno termine con la nostra. "Passa l'apparenza di questo mondo" (1Cor 7,31) e noi siamo in cammino per andare a raggiungere il nostro Capo. In lui è la nostra vita, la nostra felicità; sarebbe vano volerlo cercare altrove. Per noi è buono tutto ciò che ci riavvicina a Gesù; mentre quello che ne allontana è cattivo e funesto. Il mistero dell'Ascensione è l'ultimo bagliore che Dio fa splendere ai nostri sguardi per mostrarci la via. Se il nostro cuore aspira a ritrovare Gesù, è segno che vive della vera vita; ma se resta concentrato nelle cose create, in modo che non senta più l'attrazione di quel celeste amante che è Gesù, vuoi dire che esso è morto. Alziamo dunque gli occhi come i discepoli e seguiamo, col desiderio, colui che oggi risale al cielo per prepararci un posto. In alto i cuori!Sursum corda! È il grido di addio che ci mandano i nostri fratelli che vi salgono al seguito del divin Trionfatore; è il grido dei santi Angeli che accorsero incontro all'Emmanuele e che c'invitano ad andare ad accrescere le loro file.

MEZZOGIORNO
Una tradizione venutaci dai primi secoli e confermata dalla rivelazione dei santi, c'informa che l'ora dell'Ascensione del Salvatore fu quella del mezzogiorno. Le Carmelitane della riforma di santa Teresa onorano con un culto particolare questo pio ricordo. All'ora in cui siamo esse sono riunite in coro, assorte nella contemplazione dell'ultimo dei misteri di Gesù, seguendo col pensiero e col cuore l'Emmanuele, lassù in alto dove il suo volo divino lo condusse!
Seguiamolo anche noi; ma prima di fissare lo sguardo su questo radioso meriggio che illumina il suo trionfo, torniamo un momento col pensiero al punto di partenza. Egli apparve nella stalla di Betlemme, a mezzanotte, nel più fitto delle tenebre. Quell'ora notturna e silenziosa conveniva all'inizio della sua missione. Tutta la sua opera era davanti a lui; per compierla dovevano esservi impiegati trentatré anni. Questa missione doveva svolgersi anno per anno, giorno per giorno, e stava andando alla fine, quando gli uomini, nella loro malizia, s'impadronirono di lui e l'inchiodarono su di una croce. Si era nel mezzo della giornata, allorché egli vi fu innalzato; ma il Padre suo non volle che il sole illuminasse ciò che era una umiliazione e non un trionfo. Dense tenebre coprirono tutta la terra; il mezzodì non rifulse in questa giornata. Quando il sole riapparve, era già l'ora Nona. Tre giorni dopo, Gesù usciva dal sepolcro alle prime luci dell'aurora. Oggi la sua opera è compiuta. Egli ha pagato col suo sangue il riscatto dei nostri peccati, ha vinto la morte risuscitando gloriosamente; non ha, allora, il diritto di scegliere per la sua dipartita l'ora in cui il sole, immagine sua, riversa tutti i suoi raggi infuocati e inonda di luce tutta questa terra che il suo Redentore lascerà per andare in cielo? Salve, dunque, ora del mezzodì due volte sacra, poiché tu torni a parlarci ogni giorno della misericordia e della vittoria dell'Emmanuele! Gloria a te per la doppia aureola che porti: la salvezza degli uomini per mezzo della croce, e l'entrata dell'uomo nei regni dei cieli!
Ma non sei forse tu stesso la piena luce delle anime nostre, o Gesù, Sole di giustizia? E questa medesima pienezza di luce alla quale noi aspiriamo, questo ardore dell'amore eterno che solo può renderci felici, dove trovarlo se non in te che sei venuto sulla terra per rischiarare le nostre tenebre e fonderne il ghiaccio? Con questa speranza, ascoltiamo la parole melodiose di Geltrude, tua Sposa fedele, e sollecitiamo la grazia di poterle un giorno ripetere insieme con lei: "Oh! amore, oh! meriggio dall'ardore così dolce, tu sei l'ora del riposo sacro; e la pace completa che si gode in te forma la nostra delizia. Oh! amato mio Bene, eletto e scelto al disopra di tutte le creature, fammi conoscere, mostrami il luogo dove pasci il tuo gregge, dove prendi il tuo riposo nell'ora del mezzogiorno. Il mio cuore s'infiamma al pensiero di questi dolci momenti. Oh! se mi fosse dato di avvicinarmi a te, non soltanto per esserti vicina, ma per restare in te! Sotto la tua influenza, o sole di giustizia, tutti i fiori delle virtù spunterebbero in me che sono soltanto cenere e polvere.
Fecondata dai tuoi raggi, o mio Maestro e mio Sposo, l'anima mia produrrebbe nobili frutti di ogni perfezione. Rapita da questa misera valle, ammessa a contemplare la tua immagine tanto desiderata, la mia felicità eterna consisterebbe nel pensare che tu, specchio senza macchia, non avevi disdegnato di unirti ad una peccatrice quale sono io" [2].

SERA
Preghiera.
<<O nostro Emmanuele! sei giunto finalmente al termine della tua opera ed oggi stesso ti vediamo entrare nel celeste riposo. Al principio del mondo, impiegasti sei giorni per lo sviluppo di tutte le parti dell'universo create dalla tua potenza; dopo di che ti riposasti. Più tardi, quando volesti risollevare la tua opera decaduta per la malizia dell'Angelo ribelle, il tuo amore, durante il corso di trentatré anni, ti fece passare attraverso una successione sublime di opere, per mezzo delle quali si compì la nostra redenzione, ristabilendoci così in quel grado di santità e di gloria che avevamo perduto. Nulla hai dimenticato, o Gesù, di quanto eternamente era stato deciso dai voleri della Trinità, di quanto i Profeti avevano annunciato. La tua Ascensione mette il suggello a quella missione che compisti nella tua misericordia. Per la seconda volta, torni nel riposo; ma vi entri con la natura umana innalzata, d'ora in avanti, agli onori divini. I giusti della nostra stirpe che liberasti dal limbo prendono posto nelle fila dei cori angelici, e tu ci dicesti nel lasciarci: "Io vado a preparare un posto per voi" (Gv 14,2). 
Fiduciosi nella tua parola, risoluti a seguirti in tutti i misteri che non furono compiuti che per noi, ad accompagnarti nell'umiltà di Betlemme, nella partecipazione dei dolori del Calvario, nella Risurrezione della Pasqua, aspiriamo ad imitarti anche, quando l'ora sarà venuta, nella tua trionfale Ascensione. In questa attesa noi ci uniamo al coro degli Apostoli ed al loro saluto, ai nostri Padri, la cui moltitudine ti accompagna e ti segue. 
Volgi i tuoi sguardi sopra di noi, o divino Pastore! il momento della riunione non è ancora giunto. Proteggi le tue pecorelle, e veglia affinché neppure una si perda e manchi all'incontro. Istruiti, d'ora in avanti, sulla nostra fine, saldi nell'amore e nella meditazione dei misteri che ci hanno condotti a quello di oggi, noi l'adottiamo in questo stesso giorno, quale oggetto di nostra attesa e meta dei nostri desideri. È stato lo scopo della tua venuta in questo mondo, discendendo così fino alla bassezza nostra, per elevarci, poi, alla gloria, facendoti uomo per far di noi degli dèi. 
Ma finché venga quel momento che ci riunirà a te, cosa faremmo quaggiù se la Virtù dell'Altissimo, che ci hai promesso, non scenderà presto sopra di noi, se non verrà a portarci la pazienza nell'esilio, la fedeltà nell'assenza, l'amore che solo può sostenere un cuore che sospira per il possesso? Vieni dunque, o divino Spirito! Non ci lasciare languire, affinché il nostro sguardo resti fisso nel cielo, ove regna e ci attende il nostro Salvatore, e non permettere che questo nostro occhio umano sia tentato, nella sua stanchezza, di abbassarsi su di un mondo terrestre, dove Gesù non si lascerà più vedere.>>

PREGHIAMO
O Dio onnipotente, te ne preghiamo, concedi a noi che crediamo nell'Ascensione al cielo del tuo Unigenito, nostro Redentore, di vivere sempre con la mente in cielo.


[1] Costit. Apost., l. v, c. xix.
[2] Esercizi di santa Geltrude, V giorno.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 213-223

domenica 18 maggio 2014

QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA (S. Messa in latino)

 
L'anno liturgico
di dom Prosper Guéranger


QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA

L'istituzione dei Sacramenti.
Abbiamo veduto Gesù costituire la sua Chiesa, affidare nelle mani degli Apostoli il deposito delle verità che formeranno l'oggetto della nostra fede. Ma vi è un'altra opera, non meno importante per il mondo, alla quale egli dedicherà le sue cure durante quest'ultimo periodo di soggiorno sulla terra. È l'istituzione dei Sacramenti. Non è sufficiente il credere: bisogna anche che noi diveniamo giusti, ossia conformi alla santità di Dio: bisogna che la grazia, frutto della redenzione, discenda in noi, si incorpori a noi, onde, divenuti membra viventi del nostro divin Capo, possiamo anche essere coeredi del suo Regno. Ora, è per mezzo dei Sacramenti che Gesù deve operare in noi questa meraviglia della giustificazione, applicandoci i meriti della sua Incarnazione e del suo Sacrificio, mediante i mezzi decretati dalla sua potenza e dalla sua sapienza.
Sorgenti e canali della grazia.
Sovrano padrone della grazia, egli è libero di determinare le sorgenti dalle quali la farà discendere in noi; a noi spetta di conformarci alla sua volontà.
Ognuno dei Sacramenti sarà, dunque, una legge della sua religione, di sorta che l'uomo non potrà pretendere gli effetti che il Sacramento stesso è destinato a produrre, se sdegna o trascura di compiere le condizioni secondo le quali esso opererà. Ammirabile economia che concilia, in un medesimo atto, l'umile sottomissione dell'uomo con la più prodiga larghezza della munificenza divina. Abbiamo dimostrato qualche giorno fa come la Chiesa, società spirituale, è nello stesso tempo una società visibile ed esteriore perché l'uomo, al quale era destinata, è composto di un corpo e di un'anima. Gesù, istituendo i Sacramenti, ha assegnato a ciascuno di essi un rito essenziale; e questo rito è esteriore e sensibile. Il Verbo, prendendo carne, ne ha fatto l'istrumento della nostra salvezza nella sua passione sulla croce: è per mezzo del sangue delle sue vene che egli ci ha riscattati; e, proseguendo nel suo piano divino, egli prende gli elementi della natura fisica come ausiliari, nell'opera della nostra giustificazione. Li eleva allo stato soprannaturale e ne fa, fino nel più profondo delle anime nostre, i conduttori fedeli e potentissimi della sua grazia. Così verrà applicato sino alle sue ultime conseguenze il mistero dell'incarnazione, che ha avuto per scopo di elevarci alla conoscenza e al possesso delle cose invisibili per mezzo di quelle visibili. Così pure si spezza l'orgoglio di Satana, che disprezzava la creatura umana, perché l'elemento materiale si unisce in essa alla dignità spirituale, e che rifiutò, per sua disgrazia eterna, di piegare il ginocchio davanti al Verbo fatto carne.
Allo stesso tempo, essendo i Sacramenti segni sensibili, formeranno un nuovo vincolo nei membri della Chiesa, già uniti per la sottomissione a Pietro e ai pastori che egli manda, e per la professione della medesima fede. Lo spirito Santo ci dice nella sacra scrittura che "lo spago a tre fili non si strappa così presto" (Eccl 4,12). Ora, questo è ciò che ci lega nella gloriosa unità della Chiesa; Gerarchia, Dogma e Sacramenti, che contribuiscono a fare di noi un sol corpo. Dal settentrione al mezzogiorno, dall'oriente all'occidente, i Sacramenti proclamano la fraternità tra i cristiani; in qualunque luogo sono il loro segno di riconoscimento, e quello che li distingue agli occhi degli infedeli. È a questo scopo che i Sacramenti sono identici per tutte le razze dei battezzati, qualunque sia la varietà delle formule liturgiche che ne accompagnano l'amministrazione: ovunque, la base è la stessa, e la medesima grazia si produce mediante i medesimi segni essenziali.
Il sacro settenario.
Gesù risorto sceglie il settenario come numero dei suoi sacramenti. Sapienza eterna del Padre, egli ci rivela fin dall'Antico Testamento, che si costruirà una casa, che è la santa Chiesa, e aggiunge che la farà riposare su sette colonne (Prov 9,1; questa Chiesa la raffigura in anticipo nel tabernacolo di Mosè, e ordina che un candelabro a sette bracci, ornato di fiori e di frutti, illumini giorno e notte il santuario (Es 25,37). Quando, in un'estasi, egli trasporta in cielo il suo discepolo prediletto, è per mostrarsi circondato da sette candelieri e tenendo sette stelle nella mano (Ap 1,12.16). Quando si manifesta sotto le sembianze dell'agnello vittorioso, questo ha sette corna, simbolo della forza, e sette occhi che significano l'estensione infinita della sua scienza (ivi 5,6). Presso di lui vi è il libro che contiene i destini del genere umano, e questo libro è suggellato con sette sigilli che solo l'Agnello può togliere (ivi 5). Davanti al trono della Maestà divina, il discepolo scorge sette Spiriti beati che ardono come sette lampade (ivi 4,5), attenti ai minimi ordini di Dio, e pronti a portare la sua parola fino agli ultimi limiti della creazione.

I sette peccati capitali.
Se adesso volgiamo lo sguardo verso l'impero delle tenebre, vedremo lo spirito del male occupato a contraffare l'opera divina, usurpando il settenario, per lordarlo consacrandolo al male. Sette peccati capitali sono lo strumento della sua vittoria sull'uomo; e il Signore ci avverte che, quando nel suo furore, Satana si slancia su un'anima, prende con sé i sette spiriti più cattivi che ha nell'abisso. Noi sappiamo che Maddalena, fortunata peccatrice, non ricuperò la vita dell'anima che dopo che il Salvatore ebbe espulso da lei sette demoni. Questa provocazione dello spirito dell'orgoglio forzerà la collera divina, quando cadrà sul mondo del peccato, a imprimere il settenario fino nella sua giustizia. San Giovanni c'insegna che sette trombe, suonate da sette Angeli, annunceranno le successive convulsioni della razza umana, (ivi 7,2) e che sette altri Angeli verseranno, di volta in volta, sulla terra colpevole, sette coppe riempite dalla collera di Dio (ivi 15,1).
Noi dunque che vogliamo essere salvati e gioire della grazia, in questo mondo, e del nostro Maestro risorto, nell'altro, accogliamo con rispetto e riconoscenza il Settenario misericordioso dei suoi Sacramenti.
Sotto questo numero sacro egli ha saputo racchiudere tutte le forme della grazia. Sia che, nella sua bontà, voglia farci passare dalla morte alla vita, per mezzo del Battesimo e della Penitenza; sia che cerchi di sostenere in noi la vita soprannaturale, e di consolarci nelle nostre prove, per mezzo della Confermazione, dell'Eucaristia e dell'Estrema Unzione; sia infine che provveda al ministero della sua Chiesa e alla sua propagazione, per mezzo dell'Ordine e del Matrimonio: non sarebbe possibile di trovare un bisogno dell'anima, una necessità della società cristiana, senza che egli ne abbia provveduto per mezzo delle sette fonti di rigenerazione e di vita che ha aperto per noi, e che non cessa di far scendere sulle nostre anime.
I sette Sacramenti sono sufficienti per tutto; uno solo di meno, e l'armonia sarebbe spezzata. Le Chiese dell'Oriente, separate dall'unità cattolica da tanti secoli, confessano con noi il settenario sacramentale; e il protestantesimo, portando, su tale numero, la sua mano profana, ha dimostrato, in questa come in tutte le sue altre pretese riforme, che il senso cristiano gli faceva difetto. Non ce ne meravigliamo; la teoria dei Sacramenti s'impone tutta intera alla fede; l'umile sottomissione dei fedeli deve accoglierla, prima di tutto, come venuta dal sommo Maestro: è quando si applica all'anima, che la sua magnificenza e la sua efficacia divina si rivelano; allora noi comprendiamo, perché abbiamo creduto. Credite et intelligetis.

Il Battesimo.
Oggi consacriamo la nostra ammirazione e la nostra riconoscenza al primo dei Sacramenti: al Battesimo. Il Tempo pasquale ce lo mostra in tutta la sua gloria. Noi l'abbiamo visto, il Sabato santo, compiere i voti dei fortunati catecumeni, e dare a popoli interi la vita della patria celeste. Ma questo mistero aveva avuto la sua preparazione. Nella festa dell'Epifania avevamo adorato l'Emmanuele, disceso nei flutti del Giordano, comunicare all'elemento dell'acqua, per mezzo del contatto della sua carne, la virtù di purificare tutte le macchia dell'anima. Lo Spirito Santo venne a posarsi sulla testa dell'Uomo-Dio, ed a fecondare, con il suo divino influsso, l'elemento rigeneratore, mentre la voce del Padre celeste risuonava nella nube annunciando l'adozione che, nel suo Figliolo Gesù, si sarebbe degnato di fare dei battezzati, oggetto della sua eterna compiacenza.
Già durante la vita mortale, il Redentore spiegò, di fronte ad un dottore della legge, le sue misteriose intenzioni. Egli disse: "Nessuno, se non nasce per acqua e Spirito, può entrare nel regno di Dio" (Gv 3,5). Secondo la sua abitudine, quasi costante, egli annuncia ciò che dovrà fare un giorno, senza compierlo ancora;noi sappiamo solamente che, non essendo stati puri nella nostra prima nascita, ce ne prepara una seconda che sarà santa, e che l'acqua ne sarà lo strumento.
Ma in questi giorni è venuto il momento per dichiarare la potenza che ha dato alle acque di produrre l'adozione progettata dal Padre. Indirizzandosi ai suoi Apostoli, dice loro, con la maestà di un re che promulga la legge fondamentale del suo impero: "Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Ecco il beneficio principale che annunzia al mondo: la salvezza per mezzo dell'acqua, con l'invocazione della Santissima Trinità, poiché, dice egli ancora: "Chi crede e sarà battezzato, sarà salvo" (Mc 16,16). Rivelazione piena di misericordia per il genere umano; inaugurazione dei sacramenti, per mezzo della dichiarazione del primo, di quello che, secondo il linguaggio dei Padri, è la porta di tutti gli altri! Noi che gli dobbiamo la vita delle anime nostre col suggello eterno e misterioso che ci fa membri di Gesù, salutiamo con amore questo augusto mistero. San Luigi, battezzato nell'umile fonte di Poissy, si compiaceva di firmarsi: "Louis de Poissy"; considerando il fonte battesimale come una madre che l'aveva dato alla vita celeste, dimenticava la sua origine regale per non ricordare che quella di figlio di Dio. I nostri sentimenti devono essere gli stessi del santo re.
Ma ammiriamo la condiscendenza di Gesù risorto, quando istituì il più indispensabile dei suoi sacramenti. La materia che scelse era la più comune, la più facile ad incontrarsi. Il pane, il vino, l'olio d'ulivo, non stanno dappertutto sulla terra; l'acqua scorre in ogni luogo; la provvidenza di Dio l'ha moltiplicata sotto tutte le forme, affinché, nel giorno segnato, la fontana di rigenerazione fosse ovunque accessibile all'uomo peccatore. Il Salvatore ha affidato gli altri Sacramenti al sacerdozio che, solo, ha il potere di amministrarli; per il battesimo non sarà così. Qualunque fedele potrà esserne il ministro, senza distinzione di sesso, né di condizione. E vi è di più: qualunque uomo, anche se non è membro della Chiesa cristiana, potrà conferire al suo simile, per mezzo dell'acqua e dell'invocazione della santissima Trinità, la grazia battesimale che non è in lui, alla sola condizione di voler compiere seriamente, con questo atto, ciò che fa la Chiesa quando amministra il sacramento del Battesimo. E c'è ancora dell'altro: questo ministro del sacramento può mancare all'uomo che sta per morire; l'eternità si aprirà per lui senza che una mano altrui si alzi per versare sulla sua testa l'acqua purificatrice; il divin fondatore della rigenerazione delle anime, non l'abbandona in questo momento supremo. Che esso renda omaggio al santo Battesimo, che lo desideri con tutto l'ardore dell'anima sua, che abbia sentimenti di compunzione sincera e di vero amore; dopo questo, se egli muore, la porta del cielo sarà aperta a lui per mezzo del Battesimo di desiderio.
Ma il bambino che non ha ancora l'uso di ragione, e che la morte falcerà tra qualche ora, sarà dunque stato dimenticato in questa munificenza generale? Gesù ha detto che colui che crederà e sarà battezzato sarà salvo: come dunque otterrà la salvezza, questo essere debole che si spegnerà con la macchia del peccato originale e che è incapace di avere la fede? Rassicuratevi. La potenza del Battesimo si estenderà fino a lui. La fede della Chiesa che lo vuole per figlio, gli sarà imputata; che si versi l'acqua sulla sua testa in nome delle tre divine Persone, ed ecco, egli sarà cristiano per sempre. Battezzato nella fede della Chiesa, questa fede è adesso in lui personalmente, insieme con la Speranza e con la Carità; l'acqua sacramentale ha prodotto questa meraviglia. Ora può spirare; il regno del cielo è suo.
Tali sono, o Redentore, i prodigi che tu operi nel primo dei sacramenti, per effetto di quella tua volontà sincera della salvezza di tutti (1Tm 2,4); di maniera che coloro nei quali non si compie questa volontà, sfuggono alla grazia della rigenerazione soltanto in conseguenza del peccato commesso precedentemente, peccato che la tua eterna giustizia non sempre ti permette di prevenire in se stesso, o di riparare nelle sue conseguenze. Ma la tua misericordia è venuta in soccorso: ella ha teso le sue reti, ed innumerevoli eletti vi sono caduti. L'acqua santa è scesa fino sulla fronte del bambino che si spegneva tra le braccia di una madre pagana, e gli Angeli hanno aperto i loro ranghi per riceverlo. Alla vista di tante meraviglie, cosa ci resta da fare, se non esclamare con il Salmista: "Noi che possediamo la vita, benediciamo il Signore"?
La quarta domenica dopo Pasqua, nella Chiesa greca, viene chiamata Domenica della Samaritana, perché vi si legge il brano del Vangelo in cui è riportata la conversione di questa donna.
La Chiesa Romana oggi, nell'ufficio notturno, comincia la lettura delle Epistole dette Canoniche, lettura che essa continua fino alla festa della Pentecoste.

MESSA
EPISTOLA (Gc 1,16-21). - Carissimi: Ogni ottima cosa ricevuta, ogni dono perfetto viene dall'alto, e scende dal Padre dei lumi, nel quale non c'è variazione né ombra di mutamento. Egli ci ha di sua volontà generati con la parola di verità, affinché noi siamo quali primizie delle sue creature. Voi lo sapete, o fratelli miei dilettissimi: ogni uomo deve essere pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira, perché l'ira dell'uomo non fa adempiere la giustizia di Dio. Sbarazzandovi quindi di ogni immondezza e di ogni resto di malizia, abbracciate con mansuetudine la parola innestata in voi, la quale può salvare le anime vostre.

Imitare il Padre.
Le grazie elargite al popolo cristiano vengono dalla grande e serena bontà del Padre celeste, principio di tutto, nell'ordine della natura; e se, nell'ordine della grazia, noi siamo divenuti suoi figli, è perché lui stesso ci ha mandato il suo Verbo consustanziale, che è la Parola di verità, per mezzo della quale noi siamo diventati, nel Battesimo, figli di Dio. Ne segue che dobbiamo imitare, per quanto è possibile alla nostra debolezza, la calma del nostro Padre, che è nei cieli, e garantirci da quelle agitazioni passionali che sono il carattere di una vita esclusivamente terrestre, mentre, la nostra, deve svolgersi per il cielo dove Dio ci attira. Il santo Apostolo ci avverte di ricevere con dolcezza questa Parola, che ci fa ciò che noi siamo. Essa è, secondo la sua dottrina, un innesto di salvezza, trapiantato nelle anime nostre. Che esso possa svilupparvisi, che il suo buon esito non venga impedito da noi, e saremo salvi.

VANGELO (Gv 16,6-14). - In quel tempo: disse Gesù ai suoi discepoli: Vo da colui che mi ha mandato: e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? invece, perché vi ho detto queste cose, la tristezza vi ha riempito il cuore. Ma io vi dico il vero: è meglio per voi che me ne vada; perché, se io non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; e se me ne vado, lo manderò a voi. E, venendo, egli convincerà il mondo riguardo al peccato, alla giustizia, ed al giudizio. Al peccato, per non aver creduto in me; alla giustizia, perché io vo al Padre e non mi vedrete più; al giudizio, perché il principe di questo mondo è già giudicato. Molte cose avrei ancora da dirvi; ma per ora non ne siete capaci. Quando invece sarà venuto quello Spirito di verità, egli vi ammaestrerà in tutte le verità, perché non vi parlerà da se stesso; ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annunzierà l'avvenire. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio e lo annunzierà a voi.

L'annuncio dello Spirito Santo.
Quando Gesù disse agli Apostoli: "me ne vado", questi ne furono rattristati. Non lo siamo anche noi che, dalla sua nascita a Betlemme l'abbiamo costantemente seguito, grazie alla Liturgia che ci univa a lui ad ogni passo? Ancora qualche giorno, ed egli ascenderà al cielo, e l'anno perderà quell'incanto che gli veniva, di giorno in giorno, dalle sue azioni e dai suoi discorsi. Non vuole però che noi ci lasciamo andare ad una tristezza troppo grande. Ci annunzia che, in sua vece, il Consolatore, il Paraclito, scenderà sulla terra e resterà con noi, per illuminarci e fortificarci, sino alla fine dei secoli. Profittiamo delle ultime ore di Gesù: presto verrà l'ora di prepararci a ricevere l'ospite celeste, che dovrà venire a sostituirlo.
Gesù, che pronunciava queste parole la vigilia della sua Passione, non si limita a mostrarci la venuta dello Spirito Santo, quale consolazione dei suoi fedeli; ma, nel medesimo tempo, ci fa vedere come sia temibile, per coloro che non avranno voluto riconoscere il Salvatore. Le parole di Gesù sono tanto misteriose quanto terribili; prendiamo la spiegazione che ce ne da sant'Agostino, il Dottore dei dottori. "Quando lo Spirito Santo sarà venuto, dice il Salvatore, convincerà il mondo di ciò che riguarda il peccato". Perché? "Perché gli uomini non hanno creduto in Gesù". Quanto grande sarà, effettivamente, la responsabilità di coloro che, essendo stati testimoni delle meraviglie operate dal Redentore, non si saranno piegati alla sua parola! Gerusalemme sentirà dire che lo Spirito è disceso sui discepoli di Gesù, e ne resterà così indifferente, quanto lo fu per i prodigi che le additavano il Messia.
La venuta dello Spirito Santo sarà come il preludio della rovina della città deicida. Gesù aggiunge che il Paraclito convincerà il mondo in quanto alla giustizia; perché, egli dice, "io vado al Padre, e voi non mi vedrete più". Gli Apostoli, e quelli che crederanno alla loro parola, saranno santi e giusti per mezzo della fede. Crederanno in colui che se n'è andato al Padre, in colui che i loro occhi non vedranno più in questo mondo. Gerusalemme, al contrario, non ne conserverà i ricordi che per bestemmiarlo; la giustizia, la santità, la fede di quelli che avranno creduto saranno la sua condanna, e lo Spirito Santo l'abbandonerà alla sua sorte. Gesù disse ancora: "Il Paraclito convincerà il mondo in quanto al giudizio". Perché? "Perché il principe di questo mondo è già giudicato". Quelli che non seguono Gesù Cristo, seguono, tuttavia, un altro padrone: questo padrone è Satana. Ora, il giudizio di Satana è già stato pronunciato. Lo Spirito Santo avverte dunque i discepoli del mondo che il loro principe è sprofondato per sempre nella reprobazione.
Vi riflettano dunque, poiché, aggiunge sant'Agostino, "l'orgoglio dell'uomo avrebbe torto di contare sull'indulgenza; vale la pena per lui contemplare il supplizio al quale sono abbandonati gli angeli superbi" [1].
PREGHIAMO
O Dio, che unisci le anime dei fedeli in una sola volontà, da' ai tuoi popoli di amare ciò che comandi e di desiderare ciò che prometti; affinché i nostri cuori, anche in mezzo alla vicende terrene, sian fissi ove sono le vere gioie.


[1] Tratt. XCV su san Giovanni.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p.  167-175