"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
giovedì 5 dicembre 2013
"L'alto destino di una testa di legno"
Pinocchio riletto dal cardinale Biffi: "L'alto destino di una testa di legno"
Se ne facessi un film lo lancerei così, dice l'arcivescovo di Bologna in questa intervista. Altro che libro ateo! È un capolavoro teologico
di Sandro Magister
Pinocchio è stato il suo primo libro: «Me lo comprò mio padre alla fiera di sant'Ambrogio, a Milano, quando avevo 7 anni». E da allora non se n'è più distaccato. Perché oltre che arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi è anche studioso di prim'ordine del capolavoro di Carlo Collodi. Ne ha data una lettura teologica folgorante in "Contro Maestro Ciliegia", ristampato di recente dagli Oscar Mondadori e tradotto anche in Germania.
Cardinal Biffi, mettiamo che il prossimo film su Pinocchio sia suo. Come lo lancerebbe in locandina?
«Ognuno fa il suo mestiere e quello di fare film non è certo il mio. Ma io lo lancerei così: "L'alto destino di una testa di legno"».
Alto destino? Il legno è legno.
«Questo lo dice Maestro Ciliegia, il maestro dell'antifede. Lui non vuole andare al di là di ciò che vede e tocca. La logica non gli manca, ma è la fantasia che gli fa difetto. Posto Dio, ci si deve aspettare di tutto. La storia vera del mondo è infinitamente più grande di quella a cui si fermano i materialisti di ieri e di oggi».
Con Maestro Ciliegia lei ha un conto aperto. Lo si capisce dal titolo del suo libro.
«Sì, l'ho proprio voluto così: "Contro Maestro Ciliegia". I titoli buonisti non mi piacciono. Anche i Padri della Chiesa amavano intitolare contro qualcuno o qualcosa. Mi viene in mente l'"Adversus haereses" di Ireneo. Contro le eresie».
Qual è dunque l'alto destino della nostra testa di legno?
«Quella di Pinocchio è la sintesi dell'avventura umana. Comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero. Tra i due estremi c'è la storia del libro. Che è identica, nella struttura, alla storia sacra: c'è una fuga dal padre, c'è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c'è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre. Il tutto grazie a una salvezza data per superare la distanza incolmabile, con le sole forze del burattino, tra il punto di partenza e l'arrivo. Pinocchio è una fiaba. Ma racconta la vera storia dell'uomo, che è la storia cristiana della salvezza».
Come fa a esserne così sicuro? Su Pinocchio le hanno dette tutte: ribelle, conformista, borghese, moralista. Hanno scomodato marxismo e psicoanalisi.
«La struttura oggettiva del racconto è sotto gli occhi di tutti ed è perfettamente conforme alla vicenda salvifica proposta dal cristianesimo. Giudicare di questa conformità spetta ai maestri di fede (ed è l'arte mia); certo non ai critici letterari, o agli storici sociali e politici, o agli storici delle idee».
Ma Carlo Collodi, l'autore, la pensava anche lui così?
«Quando ho scritto il mio libro su Pinocchio, nel 1976, non me ne importava nulla di che cosa l'autore avesse in mente. Quello che mi aveva colpito era l'oggettiva concordanza di struttura tra la fiaba e l'ortodossia cattolica. Poi però m'è venuta voglia di capire chi era, Collodi. Aveva studiato in seminario, poi dai padri scolopi. Visse sempre con la madre, religiosissima. Fu attratto dalle idee mazziniane, combatté nel 1848 come volontario a Curtatone e Montanara e poi nel 1859 con i Savoia. Ma ne uscì deluso. "In questo mondo tutto è bugia: dall'Ippogrifo a Mazzini", scrisse già nel 1860 sulla "Nazione". Non rinnegò le idee della gioventù. Ma non si vantò mai delle guerre fatte: cosa rara in un'Italia dove i reduci sono sempre molti di più dei combattenti».
Ma Pinocchio non è stato considerato fino a oggi una Bibbia mazziniana?
«Questo era quanto sosteneva Giovanni Spadolini. Quando il mio libro uscì in prima edizione, nel 1977, stampato dalla Jaca Book, il mondo laico lo ignorò. Perché avevo attentato al dogma che definiva atei i due classici per l'infanzia usciti dal Risorgimento: Pinocchio e "Cuore" di Edmondo De Amicis. "Cuore" è vero, è un libro irredimibile. Ma Pinocchio è tutto l'opposto. E gli studiosi sono oggi sempre più concordi nell'avvalorare la svolta nella vita di Collodi, la sua perdita di fiducia in Mazzini e nelle ideologie risorgimentali. Fu dopo questa crisi che egli si dedicò a scrivere per i ragazzi. E fu così che riscoprì l'anima profonda dell'Italia».
Anima cattolica?
«Sì, perché i ragazzi del 1881, l'anno in cui Collodi scrive Pinocchio, non sono né sabaudi né repubblicani, né clericali né anticlericali. Sono i ragazzi del catechismo, delle prediche del parroco, delle preghiere delle mamme, dei dipinti delle chiese. Non conoscono le ideologie, conoscono la verità cattolica. Collodi vuole entrare in comunione di spirito con questi ragazzi».
E ci riesce?
«Altroché. Pinocchio è la verità cattolica che erompe travestita da fiaba. E così riesce a superare le censure della dittatura culturale dell'epoca».
Dal Risorgimento ai giorni nostri. Cos'è cambiato?
«In questo niente. La censura sulla cultura cattolica, iniziata con l'Illuminismo e la Rivoluzione francese, rimane. Meno vistosa, ma più sottile e radicale. Faccio un esempio. Se io dico: la pratica dei comandamenti di Dio è un mezzo sicurissimo, scientificamente provato, per non prendere l'Aids... Se io dico questo, apriti cielo! Eppure è vero, verissimo: se si praticasse la castità giovanile e la castità matrimoniale l'Aids non si prenderebbe. Ma non lo si può dire! E questa è censura ideologica. Quanto ci vorrebbe un Collodi anche oggi!».
Eccolo infatti che torna sugli schermi.
«E ne sono contento. Il successo di Pinocchio è un enigma straordinario. Nacque per caso, scritto di malavoglia per un giornale di bambini, a puntate irregolari e interrotto due volte, la prima con la convinzione di concluderlo per sempre. E invece è l'unico libro uscito in Italia dopo l'unità che abbia avuto un successo mondiale. La spiegazione è una sola. Contiene un messaggio eterno, che tocca le fibre del cuore di tutti gli uomini di ogni cultura».
A parte Pinocchio, che cosa le dicono gli altri personaggi, ad esempio la Fata Turchina?
«È la salvezza donata dall'alto: e quindi Cristo, la Chiesa, la Madonna».
E Lucignolo?
«È la perdizione. Il destino umano non è immancabilmente a lieto fine come nei film americani di una volta. È a doppio esito. L'inferno c'è, anche se oggi lo si predica poco».
E il diavolo dov'è?
«Il Gatto e la Volpe fanno la loro parte. Ma più di tutti l'Omino. Mellifluo, burroso, insonne. Inventarlo così è stato un lampo di genio».
Insomma, Pinocchio è un magnifico catechismo per bambini e per adulti?
«Ai bambini facciamo benissimo a darlo in mano. Ma a dire il vero, quando io lo lessi da piccolo per la prima volta, mi urtò. Non sopportavo il Grillo Parlante, i continui richiami al dovere, l'ironia».
L'ironia?
«Più che l'ironia o il sarcasmo, io amo l'umorismo vero, tipo quello di Alessandro Manzoni che sto rileggendo in questi giorni. L'umorismo non si fa travolgere dalla vicenda e nello stesso tempo vi partecipa. I due elementi legano difficilmente e per questo è una merce rara. Tant'è vero che riesce bene solo a Dio: il lontanissimo e insieme il presentissimo, come diceva sant'Agostino».
Ma allora come è arrivato a scoprire il suo vero Pinocchio?
«Una prima illuminazione l'ebbi in terza liceo dalla lettura di un saggio di Piero Bargellini: Pinocchio ovvero la parabola del figliol prodigo. Poi vennero gli studi di teologia. La mia tesi di dottorato su "Colpa e libertà nella condizione umana" fu tutta debitrice al libro di Collodi. Solo che dovetti scriverla in linguaggio accademico, col risultato che fu apprezzata da tutti e letta da nessuno. Infine vennero i cupi anni Settanta».
Che cosa le ispirarono?
«Quegli anni di violenza mi fecero riflettere sui fili invisibili che tengono l'uomo legato e manovrato, come nel teatrino di Mangiafoco. Le rivolte contro un dittatore aprono la strada a un altro. Se Pinocchio non resta prigioniero del teatrino è perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. È questo il segreto della vera libertà, che nessun tiranno può portar via».
Collodi promosso a pieni voti in teologia?
«Pinocchio certamente. Quanto al suo inventore, non mi passa neanche per la testa di incolonnarlo dietro i santi stendardi: stia dove desidera. Collodi aveva una sua fede, ma fosse stato ateo il gioco mi sarebbe piaciuto anche di più, perché sarebbe apparso più scintillante l'umorismo di Dio».
__________
LA « TEOLOGIA » DI MARIA - 6 -
LA « TEOLOGIA » DI MARIA È VERA CONOSCENZA DI SÉ
PERCHÉ VERA CONOSCENZA DI DIO
Secondo Agostino tutta la teologia si riduce a due conoscenze, la conoscenza di Dio e la conoscenza di se stessi: Noverim te, noverìm me (Solil., II, 1) Una conoscenza unica che verte su due oggetti tra loro complementari e relativi: causa ed effetto, Creatore e creatura, principio d'azione e atto, seme della pianta e pianta, radice e albero, albero e frutto, eccetera.
Ogni vera teologia deve portare alla conoscenza di questi due poli dell'essere. Solo quando una teologia non è vera — e nel corso dei tempi (non esclusi i nostri) esempi di teologia non vera si ebbero a iosa — questi due poli dell'essere, o in alto riguardo a Dio, causa dell'essere, o in basso riguardo all'uomo, si presentano in una ambiguità e confusione talmente vaste da addirittura scoraggiare chiunque volesse affrontarne lo studio e la conoscenza.
Maria ha avuto il privilegio di conoscere Dio e di conoscere se stessa più di chiunque altro sulla terra.
Essa conosce Dio per fede, e conosce se stessa per l'umiltà. Anzi, conosce Dio con una fede umile, quindi autentica, quindi ferma come una roccia, quindi totale, senza crepe, senza scosse, assoluta.
E nella conoscenza di Dio vede se stessa. Maria procede per fede, non per visioni vere o presunte. Essa conosce il timore, soffre per la comprensione limitata, sente la deficienza umana in sé e intorno a sé. Quello che separa Maria da tanti teologi di ieri e di oggi è la fede umile, la prontezza del sì alla volontà di Dio e la costanza nel rendere questo sì efficiente e vero: cioè la conoscenza e la vita, la teoria sempre sposata alla pratica.
Il sì di Maria, sgorgato dalla fede, era stato il perno della svolta nella storia della salvezza. Tutti i cieli e tutta la terra germogliarono di bellezza per la nascita di un Bambino. Per quel Bambino fu possibile il rinnovamento del mondo. Per quel Bambino la Chiesa divenne una realtà e il Regno di Dio sulla terra una speranza per l'umanità peccatrice.
Tutto questo perché Maria, scientemente e volontariamente, era entrata a collaborare ai piani di Dio come serva e agente dello Spirito Santo.
Eppure nessuno più di Maria ebbe la scienza concreta e pratica del proprio nulla.
Ella sa bene che tutto il suo essere, sia naturale che soprannaturale, ricadrebbe nel nulla se Dio non lo sostenesse istante per istante. Sa che tutto ciò che è, tutto ciò che ha, tutto ciò che sa, non è suo ma di Dio, puro frutto della sua liberalità. La grande missione, i grandi privilegi ricevuti dall'Altissimo non Le impediscono di vedere e di sentire la sua « bassezza ».
Ma ciò, lungi dallo sgomentarla o scoraggiarla, come spesso accade a chi considera e conosce la propria nullità e miseria, le serve di punto d'appoggio per slanciarsi in Dio con un rapido movimento di speranza. Anzi, quanto più è consapevole del suo nulla e della sua impotenza, tanto più la sua anima s'innalza nella speranza. Proprio perché Essa è vera povera di spirito, non ha alcuna fiducia nelle sue risorse, nelle sue capacità, nei suoi meriti. Maria ripone in Dio solo la sua fiducia. E Dio che « ricolma di beni gli affamati e rimanda vuoti i ricchi », ha saziato e sazia anche la sua « fame »; ha esaudito la sua speranza non solo riempiendola dei suoi doni, ma donandosi a Lei nel modo più pieno
(GABRIELE DI S. MARIA MADDALENA, Intimità divina, Roma 1964, 608).
DIGNARE ME LAUDARE TE VIRGO SACRATA
DA MIHI VIRTUTEM CONTRA HOSTES TUOS
Cantare Te, Vergine Santa, è per me un onore. Fa che le mie
labbra impure non siano troppo indegne di questo canto.
Dammi forza contro i Tuoi e i miei nemici.
mercoledì 4 dicembre 2013
Consolante esempio RUSSO
Russia. Firmata legge contro la pubblicità sull’aborto
Il documento è stato pubblicato sul sito del Cremlino e riguarda una più ampia legge federale “Sulla pubblicità”. Non solo per l’aborto, ma anche per altri servizi sarà vietata la pubblicità, come per la distribuzione di campioni di medicinali contenenti sostanze stupefacenti e psicotrope.
Già nel 2011 era stata approvata una legge che restringeva l’interruzione di gravidanza alla 12esima settimana, con diverse eccezioni nel caso di complicazioni mediche e di violenza sessuale. Secondo il ministero della salute, infatti, “ogni anno circa un milione di donne russe scelgono di ricorrere all’interruzione di gravidanza. Per combattere quella che Mosca vede come una vera guerra per la sopravvivenza, il governo si appoggia anche alla Chiesa ortodossa che da anni chiede interventi più severi per ridurre il numero di aborti”.
***
25 novembre 2013
Russia: Putin firma legge contro pubblicità aborto
(AGI) – Mosca, 25 nov. – Il presidente russo, Vladimir Putin, ha firmato oggi una legge che vieta la promozione di servizi medici o pratiche tradizionali per abortire. Lo ha reso noto il Cremlino sul suo sito internet. Il documento, che prevede interventi anche in altre aree del sistema sanitario nazionale, rappresenta l’ultimo sforzo per restringere l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza e tentare di aumentare un tasso di natalita’ stagnate, ha fatto notare l’agenzia Ria Novosti.
L’Unione sovietica e’ stato il primo Paese nel 1920 a legalizzare l’aborto, bandito di nuovo da Stalin (dal 1936 al 1954), interessato a incentivare le nascite. Allo stesso scopo, il Partito comunista ha poi elargito riconoscimenti e denaro alle coppie piu’ prolifiche, ma subito dopo il crollo dell’Urss il calo demografico e’ diventato inarrestabile. Nel 2011 e’ stata approvata una legge che rende l’aborto legale solo fino alla 12esima settimana di gravidanza, con alcune eccezioni in caso di complicazioni mediche o violenza sessuale.
Secondo il ministero della salute, ogni anno circa un milione di donne russe scelgono di ricorrere all’interruzione di gravidanza. Per combattere quella che Mosca vede come una vera guerra per la sopravvivenza, il governo si appoggia anche alla Chiesa ortodossa che da anni chiede interventi piu’ severi per ridurre il numero di aborti. L’anno scorso, il controverso deputato pietroburghese Vitaly Milonov – noto per essere stato tra i promotori della legge contro la propaganda gay – ha proposto di conferire lo status di cittadini agli embrioni.
Fonte: AGI
***
25 novembre 2013
In Russia vietata la pubblicità sull’aborto
Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato la legge che apporta delle modifiche sulle norme che tutelano la salute dei cittadini: in particolare viene introdotto il divieto sulla pubblicità dell’aborto. Il documento in questione è pubblicato sul sito del Cremlino. “Nella legge federale “Sulla pubblicità” è presentato un elenco di servizi, la cui pubblicità è vietata. Tra quelle vietate figurano le prestazioni per l’interruzione volontaria di gravidanza,” – è scritto nella nota che accompagna il disegno di legge. Inoltre la legge vieta le campagne pubblicitarie che contemplano la distribuzione di campioni di medicinali contenenti sostanze stupefacenti e psicotrope.
Fonte: La voce della Russia
Teologia della Liberazione è sempre un tradimento dei poveri
Mi pare opportuno impostare questo prezioso articolo di F. Cannone per ricordare come la così detta Teologia della Liberazione è sempre un tradimento dei poveri, del Vangelo, di Cristo Gesù.
*
La filosofia della liberazione secondo “La Civiltà Cattolica”
(di
Fabrizio Cannone)
Dopo aver citato le condanne che il Magistero
pontificio emise nell’ultimo secolo di storia con la Pascendi, la
Divini Redemptoris e l’Humani generis, rispettivamente contro il
modernismo, il comunismo e l’evoluzionismo filosofico, Giovanni Paolo II ricorda
che «da ultimo, anche la Congregazione per la Dottrina della Fede (…) ha
dovuto intervenire per ribadire il pericolo che comporta l’assunzione acritica
(…) di tesi e metodologie derivanti dal marxismo» (Fides et ratio,
54). L’enciclica faceva riferimento all’Istruzione Libertatis nuntius su
alcuni aspetti della “teologia della liberazione” (1984).
Come se tutto questo non fosse né noto né assodato, la
rivista gesuita “La Civiltà Cattolica”, un tempo espressione della più pura
teologia romana, propone ai lettori un saggio di apertura in cui il teologo e
filosofo della liberazione gesuita Juan Carlos Scannone, ripete i clichés
tipici di quell’erroneo indirizzo filosofico-teologico-politico (cfr. La
filosofia della liberazione, in “La Civiltà Cattolica”, quaderno 3920, pp.
105-120). Nel suo articolo padre Scannone si propone di esporre la veridicità,
le caratteristiche, la storia e infine «la validità attuale» della
filosofia della liberazione. Per il gesuita la filosofia della liberazione
argentina è una «filosofia della prassi» che si situa nell’orizzonte
dell’«attuale superamento della metafisica della sostanza e del soggetto»
(p.113) e si caratterizza per la sua «opzione etico-storica e teorica per le
vittime dell’ingiustizia e della violenza.»
Non c’è molto da dire per dimostrare l’assurdità del proposito di
padre Scannone che è evidentemente, magari servendosi impropriamente delle
aperture di F., quello di rimettere in circolazione una
visione, di stampo materialistico, che pretendeva di fare teologia “dal basso”,
a partire non dalla volontà di Dio, ma dalle necessità (presunte…) del popolo e
dei miseri.
La filosofia, che dovrebbe essere per un cattolico la ancilla
theologiae, e coincidere con un profondo desiderio di saggezza, viene
piegata a valenze di tipo sociale-populistico. Secondo Scannone, «la
filosofia della liberazione (FL) è nata in Argentina nel 1971, a partire dalla
presa di coscienza di un gruppo di filosofi sull’ingiustizia strutturale che
opprime la maggior parte della popolazione nell’America Latina» (p. 105).
Inoltre, «la prassi del liberazione è l’atto primo (Gustavo Gutierrez),
punto di partenza e luogo ermeneutico di una riflessione umana radicale, come
è quella filosofica, che usa come mediazione analitica intrinseca i contributi
delle scienze dell’uomo, della società e della cultura» (pp. 107-108).
In pratica si tratta di fare filosofia rigettando la patristica, la
scolastica e le varie indicazioni del Magistero, importantissime in
realtà nell’ambito filosofico e metafisico, e di sostituirvi le fallibilissime e
sempre approssimative “scienze dell’uomo”, come la psicologia (o magari la
psicanalisi!), la sociologia (a tinta marxista) e l’economia politica
(antiliberista a parole, in realtà mondialista, anti-nazionale e
filo-globalizzazione).
C’è molto da aggiungere? Perfino uno dei fondatori della
teologia della liberazione, Clodovis Boff è arrivato a capire che essa era
erronea in radice, perché come scrisse anni fa in un articolo di resipiscenza
sulla “Rivista Ecclesiastica Brasileira”, se da Cristo si arriva sempre al (bene
del) povero, partendo del povero non è detto che si arrivi a Cristo, e dunque
trattasi di una teologia (e di una filosofia) in cui Dio resta facoltativo.
L’articolo di padre Scannone è un lungo delirio in stile
latino-americano anni ‘70: dall’ assunzione «del metodo
anadialettico» (p. 119), fino alla «incessante apertura alle continue
novità e alterità delle situazioni e delle risposte storiche dei popoli» (p.
119).
Il Magistero della Chiesa però ha risposto preventivamente a queste
affermazioni filosofiche, insegnando con chiarezza: «Verità e
libertà, infatti, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono»
(Fides et ratio, 90) e: «La Verità, che è Cristo, si impone
come autorità universale che regge, stimola e fa crescere (cfr Ef 4,15) sia la
teologia che la filosofia» (Fides et ratio, 92). Nella filosofia (e
nella teologia) della liberazione c’è proprio questo rifiuto della Verità, che è
Cristo. (Fabrizio Cannone)
(di
Fabrizio Cannone)
Dopo aver citato le condanne che il Magistero
pontificio emise nell’ultimo secolo di storia con la Pascendi, la
Divini Redemptoris e l’Humani generis, rispettivamente contro il
modernismo, il comunismo e l’evoluzionismo filosofico, Giovanni Paolo II ricorda
che «da ultimo, anche la Congregazione per la Dottrina della Fede (…) ha
dovuto intervenire per ribadire il pericolo che comporta l’assunzione acritica
(…) di tesi e metodologie derivanti dal marxismo» (Fides et ratio,
54). L’enciclica faceva riferimento all’Istruzione Libertatis nuntius su
alcuni aspetti della “teologia della liberazione” (1984).
Come se tutto questo non fosse né noto né assodato, la
rivista gesuita “La Civiltà Cattolica”, un tempo espressione della più pura
teologia romana, propone ai lettori un saggio di apertura in cui il teologo e
filosofo della liberazione gesuita Juan Carlos Scannone, ripete i clichés
tipici di quell’erroneo indirizzo filosofico-teologico-politico (cfr. La
filosofia della liberazione, in “La Civiltà Cattolica”, quaderno 3920, pp.
105-120). Nel suo articolo padre Scannone si propone di esporre la veridicità,
le caratteristiche, la storia e infine «la validità attuale» della
filosofia della liberazione. Per il gesuita la filosofia della liberazione
argentina è una «filosofia della prassi» che si situa nell’orizzonte
dell’«attuale superamento della metafisica della sostanza e del soggetto»
(p.113) e si caratterizza per la sua «opzione etico-storica e teorica per le
vittime dell’ingiustizia e della violenza.»
Non c’è molto da dire per dimostrare l’assurdità del proposito di
padre Scannone che è evidentemente, magari servendosi impropriamente delle
aperture di F., quello di rimettere in circolazione una
visione, di stampo materialistico, che pretendeva di fare teologia “dal basso”,
a partire non dalla volontà di Dio, ma dalle necessità (presunte…) del popolo e
dei miseri.
La filosofia, che dovrebbe essere per un cattolico la ancilla
theologiae, e coincidere con un profondo desiderio di saggezza, viene
piegata a valenze di tipo sociale-populistico. Secondo Scannone, «la
filosofia della liberazione (FL) è nata in Argentina nel 1971, a partire dalla
presa di coscienza di un gruppo di filosofi sull’ingiustizia strutturale che
opprime la maggior parte della popolazione nell’America Latina» (p. 105).
Inoltre, «la prassi del liberazione è l’atto primo (Gustavo Gutierrez),
punto di partenza e luogo ermeneutico di una riflessione umana radicale, come
è quella filosofica, che usa come mediazione analitica intrinseca i contributi
delle scienze dell’uomo, della società e della cultura» (pp. 107-108).
In pratica si tratta di fare filosofia rigettando la patristica, la
scolastica e le varie indicazioni del Magistero, importantissime in
realtà nell’ambito filosofico e metafisico, e di sostituirvi le fallibilissime e
sempre approssimative “scienze dell’uomo”, come la psicologia (o magari la
psicanalisi!), la sociologia (a tinta marxista) e l’economia politica
(antiliberista a parole, in realtà mondialista, anti-nazionale e
filo-globalizzazione).
C’è molto da aggiungere? Perfino uno dei fondatori della
teologia della liberazione, Clodovis Boff è arrivato a capire che essa era
erronea in radice, perché come scrisse anni fa in un articolo di resipiscenza
sulla “Rivista Ecclesiastica Brasileira”, se da Cristo si arriva sempre al (bene
del) povero, partendo del povero non è detto che si arrivi a Cristo, e dunque
trattasi di una teologia (e di una filosofia) in cui Dio resta facoltativo.
L’articolo di padre Scannone è un lungo delirio in stile
latino-americano anni ‘70: dall’ assunzione «del metodo
anadialettico» (p. 119), fino alla «incessante apertura alle continue
novità e alterità delle situazioni e delle risposte storiche dei popoli» (p.
119).
Il Magistero della Chiesa però ha risposto preventivamente a queste
affermazioni filosofiche, insegnando con chiarezza: «Verità e
libertà, infatti, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono»
(Fides et ratio, 90) e: «La Verità, che è Cristo, si impone
come autorità universale che regge, stimola e fa crescere (cfr Ef 4,15) sia la
teologia che la filosofia» (Fides et ratio, 92). Nella filosofia (e
nella teologia) della liberazione c’è proprio questo rifiuto della Verità, che è
Cristo. (Fabrizio Cannone)
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