domenica 1 dicembre 2013

SANT' ANTONIO: Nella sua prima venuta Gesù fu umile; nella seconda sarà terribile, amabile, soave e desiderabile e benedetto nei secoli.

Il Santo Rosario
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Dicembre

1. Considera che quattro sono gli "avventi" (le venute) del Signore. Il primo "avvento" fu nella carne. Il secondo "avvento" avviene nella mente; è detto infatti: "Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23). Il terzo "avvento" si verificherà al momento della nostra morte, come sta scritto: "Beato quel servo che il Signore al suo ritorno troverà al lavoro" (Lc 12,43). Infine il quarto "avvento" sarà nella gloria, come leggiamo nell'Apocalisse: "Ecco, verrà sulle nubi e ogni occhio lo vedrà" (Ap 1,7).

2. Nella sua prima venuta Gesù fu umile; nella seconda sarà terribile, amabile, soave e desiderabile e benedetto nei secoli. Ogni uomo infatti, nel giudizio finale, vedrà Gesù Cristo. Gli empi a loro confusione "vedranno colui che hanno trafitto" (Gv 19,37). Invece i giusti vedranno la salvezza di Dio.

3. Chi piange per i propri peccati o per quelli del prossimo o per la miseria di questo esilio terreno, o per il ritardo di giungere al regno dei cieli, viene consolato dal Signore, il quale consolò la madre sua che piangeva durante la sua passione, dicendole: "Donna, ecco il tuo figlio!".

4. Considera che l'olio condisce tutti i cibi, così anche noi dobbiamo condire con il timore di Dio tutto ciò che facciamo, perché il salmo dice: "Servite il Signore nel timore" (Sal 2,11) e chi è in piedi stia attento a non cadere (cf. 1Cor 10,12).

5. O Israele, cioè o anima fedele, che per mezzo della fede vedi Dio, preparati all'incontro con il suo Figlio, perché è vicino il suo avvento, che si celebra nelle prossime feste. Il Figlio di Dio, venendo in mezzo a noi con l'incarnazione, valicò i cori degli angeli e giunse "saltando per i monti e balzando per le colline" (Ct 2,8).

6. Quando ascoltiamo la parola di Dio, prima veniamo illuminati nel cuore, per poter poi camminare sul retto sentiero. Mentre camminiamo, dobbiamo tenere in mano la lampada accesa, il che avviene quando mostriamo al prossimo le opere buone, fatte con retta intenzione, la quale deve illuminare ogni nostra azione.

7. Osserva che nella confessione il peccatore deve compiere tre atti: pentirsi dei peccati commessi, avere il fermo proposito di non ricadervi, obbedire a tutto ciò che gli comanda il confessore. Se la nostra barca viene legata al legno della croce del Signore con questa fune, non potrà mai venir strappata.

8. La Beata Vergine Maria è paragonata alla luna piena, perché è perfetta sotto ogni aspetto. Mentre la luna nel suo ciclo è talvolta incompleta, quando è dimezzata e quando è falcata, la gloriosa Vergine Maria mai ebbe delle imperfezioni: né nella sua nascita, perché fu santificata ancora nel grembo materno e custodita dagli angeli; né durante i giorni della sua vita, perché mai peccò di superbia: sempre rifulse di pienezza di perfezione. Ed è detta luce perché dissolve le tenebre.

Ti preghiamo dunque, o nostra Signora, perché tu, che sei la stella del mattino, scacci con il tuo splendore la nuvola della suggestione diabolica, che copre la terra della nostra mente. Tu che sei la luna piena, riempi la nostra vuotezza, dissolvi le tenebre dei nostri peccati, affinché meritiamo di giungere alla pienezza della vita eterna e alla luce della gloria infinita.


9. Quando un vaso è pieno, tutto ciò che vi si versa in più va perduto. Chi è pieno delle cose temporali, non può venir riempito della conoscenza della volontà di Dio. Chi ne vuole essere pieno, è necessario che venga prima condotto nel deserto: là potrà sentire il soffio di una brezza leggera che penetra nel suo cuore, e così sarà riempito della conoscenza della divina volontà.

10. La cattiveria trova tutto stretto; invece la povertà e l'obbedienza, proprio per il fatto che sono strette, danno la libertà: perché la povertà rende ricchi e l'obbedienza rende liberi.

11. Dobbiamo confidare solo in colui che ha fatto noi, e non in quello che noi abbiamo fatto. Colui che ha fatto noi è tutto il Bene, il sommo Bene; invece il bene che abbiamo fatto noi è sempre inquinato dai nostri peccati. Tu stesso perciò devi distinguere in quale bene si deve confidare: unicamente nel "buon" Signore Gesù.

12. Cristo con le braccia aperte sulla croce, quasi come due ali, accoglie coloro che a lui accorrono, e nel rifugio delle sue piaghe li nasconde dalla minaccia dei demoni. Infatti le piaghe di Gesù Cristo parlano di noi al Padre non per ottenere vendetta, ma per impetrare misericordia. Con l'apertura del costato del Signore, venne aperta la porta del paradiso, dalla quale rifulse a noi lo splendore della luce eterna.

13. Il sacco fatto di crine, il cilicio, i miseri pannicelli nei quali Gesù fu avvolto, l'umile luogo del presepio nel quale fu adagiato, ci invitano a svegliarci dal sonno e a scacciare le vane fantasie sulle cose di questo mondo.
14. La luce splendente si ebbe nell'incarnazione del Verbo, dalla quale scaturì la fede; il giorno pieno si verificò nella passione, con la quale fu più vicina la salvezza. "Che cosa ci sarebbe servito l'essere nati, se non fossimo stati redenti?" (cf. Exultet della veglia pasquale).

15. "Godete sempre nel Signore! Ve lo ripeto: godete". Per ben due volte l'Apostolo ripete l'invito a godere, e questo a motivo del duplice dono della prima e della seconda venuta del Signore. Dobbiamo godere perché nella prima venuta ci ha portato le ricchezze della redenzione, e nella seconda ci darà la ricompensa e la gloria.

16. Il Signore tacque come un agnello quando fu condotto alla passione; e anche ora sta in silenzio, perché non interviene con minacce o castighi. È paziente, aspetta che ognuno faccia penitenza. Ma nel giorno del giudizio griderà come una partoriente, lasciando libero corso al rammarico sì a lungo represso. Allora disperderà tutte le ricchezze accumulate iniquamente e distruggerà il loro potere; renderà deserti i monti e i colli, cioè abbatterà la superbia sia dei prelati che dei sottoposti, e farà inaridire ogni germe di gola e di lussuria.

17. L'"opera del Signore" è la creazione, la quale, ben considerata, porta colui che l'osserva all'ammirazione del suo Creatore. Se c'è tanta bellezza nella creatura, quanta ce ne sarà nel Creatore? La sapienza dell'artefice risplende nella materia. Ma coloro che sono schiavi dei sensi non comprendono tutto questo.

18. La sintesi di tutte le cose che sono state scritte per nostro ammaestramento consiste soprattutto in tre cose: nella creazione, nella redenzione e nel giudizio dell'ultimo giorno. La creazione e la redenzione ci insegnano ad amare Dio, l'ultimo giudizio a temerlo, "affinché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture, teniamo viva la nostra speranza" (Rm 15,4).

19. O profondità della divina clemenza, che va ben oltre il fondo dell'umana intelligenza, perché la sua misericordia è senza numero. Sta scritto nel libro della Sapienza: "Dio, avendo tutto disposto con misura, calcolo e peso" (Sap 11,20), non volle rinchiudere la sua misericordia entro queste leggi, entro questi termini, anzi è la sua misericordia che tutto racchiude e tutto abbraccia. La sua misericordia è dovunque, anche nell'inferno, perché neppure il dannato viene punito nella misura che la sua colpa esigerebbe.

20. Oggi sono i poveri, i semplici, gli indotti, i rozzi e le vecchierelle che hanno sete della parola della vita, dell'acqua della sapienza salvatrice. Invece i cittadini di Babilonia che si ubriacano al calice d'oro della grande meretrice, i sapienti consiglieri del faraone, credete a me, costoro sono pieni di parole vuote.

21. Cristo è la verità. In Cristo ci fu la povertà, l'umiltà e l'obbedienza. Chi si scandalizza di queste cose, si scandalizza di Cristo. I veri poveri non si scandalizzano, perché solo essi vengono evangelizzati, cioè nutriti con la parola del vangelo, perché essi sono il popolo del Signore e le pecore del suo pascolo (cf. Sal 94,7).

22. Come Cristo ha accolto i ciechi per illuminarli, gli zoppi per farli camminare, i lebbrosi per mondarli, i sordi per restituire loro l'udito, i morti per risuscitarli e i poveri per evangelizzarli, così noi dobbiamo accoglierci scambievolmente.

23. Disse l'angelo ai pastori: "Questo sarà per voi il segno: troverete un Bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia". Il Salvatore viene nell'umiltà e nella povertà. Beato colui che avrà questo segno sulla fronte e sulla mano, cioè nella fede e nelle opere.

24. Come il profeta Isaia, anche noi oggi desideriamo che i cieli si squarcino per poter contemplare, visibile nella carne, colui che è invisibile. Si squarci il cielo, discenda il Verbo e di fronte a lui si dissolva la superbia dei monti (i grandi di questo mondo) alla presenza della sua umanità. Chi sarebbe ancora così superbo, così arrogante e pieno di sé, se riflettesse a fondo sulla Maestà annientata, sulla Potenza resa debole e sulla Sapienza che balbetta?

25. Chi è tanto superbo, arrogante e orgoglioso, che, contemplando nel presepio la Maestà annichilita, la Potenza diventata debolezza, la Sapienza balbettante, non senta il cuore fondere come cera al fuoco?... E chi è tanto attaccato alle cose terrene e al denaro che, contemplando il Figlio di Dio avvolto in poveri panni, adagiato in una greppia, non senta il desiderio di liberarsi dalla schiavitù delle cose di questo mondo?

26. Ieri è nato il Signore, oggi viene lapidato il servo; ieri il Re è stato avvolto in fasce, oggi il soldato è stato spogliato della veste corruttibile; ieri il Salvatore è stato adagiato nel presepio, oggi Stefano viene portato in cielo.
Stefano s'interpreta "regola", o "coronato", oppure anche "che fissa lo sguardo". Regola dev'essere per noi il suo esempio: "Piegate le ginocchia" pregò per quelli che lo lapidavano: "Signore, non imputar loro questo peccato" (At 7,60). Fu coronato con il suo stesso sangue, e fissò lo sguardo nel Figlio di Dio: "Vedo i cieli aperti e Gesù che sta alla destra di Dio" (At 7,56.60).

27. "Il discepolo che Gesù amava". Pur senza essere nominato, con queste parole Giovanni viene come distinto dagli altri, non perché Gesù amasse solo lui, ma perché lo preferiva agli altri. Amava anche gli altri, ma questo "più intimamente". Lo gratificò di una maggiore tenerezza del suo amore perché l'aveva chiamato quando era ancora vergine, e perché vergine era rimasto: anche per questo gli affidò la Madre. E questo discepolo, durante l'ultima cena, posò il capo sul petto del Signore. Fu un grande segno di amore che lui solo posasse il capo sul petto di Gesù, "nel quale sono racchiusi tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3). E questo fatto era come il presagio di quanto avrebbe scritto sugli "arcani" della divinità, molto meglio degli altri.

28. Oggi Cristo è benedetto e lodato nei bambini Innocenti, che per lui e al suo posto sono stati oggi uccisi da Erode. Un Bambino è cercato, vengono uccisi dei bambini, nei quali nasce l'immagine, la figura del martirio e nei quali viene consacrata a Dio l'infanzia della chiesa. E la chiesa per bocca di Isaia dice: "Chi mi ha generato costoro? Io ero priva di figli e sterile, espatriata e condotta schiava: questi chi li ha allevati? Io ero abbandonata e sola, e questi dov'erano?" (Is 49,21).
O strazio, o pietà! I bimbi sorridevano alla spada dell'uccisore e si divertivano, i pargoletti! Gli agnellini, come afferrati per i piedi, vengono condotti al macello per essere uccisi per Cristo. Le olive nuove vengono portate al torchio per estrarne l'olio. Ecco la passione dei pargoli!
Quale il loro premio? "Sono attorno alla mensa del Signore, e cantano un canto nuovo". Per le preghiere dei santi Innocenti, conceda questo anche a noi, colui che è benedetto nei secoli.

29. La giustificazione dell'uomo si effettua in due modi: con la propria decisione e con l'ispirazione divina. Il Creatore coopera all'azione della sua creatura. Perciò, nell'opera della nostra giustificazione, egli esige il nostro volontario assenso. Sono necessari sia il nostro impegno sia la grazia divina. Invano uno si appoggia al libero arbitrio, se non è sostenuto dall'aiuto divino. Fa' dunque ciò che tocca a te, offrendo la tua volontà, e Dio farà quello che a lui compete, infondendoti la sua grazia.

30. Il Signore parla come una madre amorosa che, quando vuole abituare il figlioletto a camminare, gli mostra un pane o una mela: "Vieni", gli dice, "e te lo do!". E quando il bambino si avvicina che quasi lo prende, la madre a poco a poco si allontana e, sempre mostrando ciò che ha in mano, continua a dirgli: "Vieni, se vuoi prenderlo!". Anche alcuni uccelli tirano fuori dal nido i loro piccoli e con il loro volo insegnano loro a volare e a seguirli nell'aria.
La stessa cosa fa Cristo: per indurci a seguirlo, propone se stesso come esempio e ci promette il premio nel suo regno.

31. Niente è più prezioso del tempo, e, purtroppo, nulla si trova oggi che sia meno apprezzato. Passano i giorni della salvezza e nessuno riflette, nessuno si preoccupa di perdere un giorno, che non gli ritornerà mai più. Come non cadrà un capello dal capo, così neppure un istante di tempo andrà perduto... Dice l'Ecclesiastico: "O figlio, abbi cura del tempo!" (Eccli 4,23) perché è un dono sacrosanto...
O peccatore, il Signore ti ha concesso (imprestato) il tempo per guadagnarti la salvezza, e tu ti sei appropriato del tempo che ti è stato accordato, e l'hai sprecato. Ma, credi a me! Il Signore ti richiederà ciò che è suo, e farà giustizia. O Signore, se tu giudicherai severamente i giusti, che cosa ne sarà degli ingiusti?

BINOMIO INSCINDIBILE

R. DE MATTEILATINO E CHIESA CATTOLICA, BINOMIO INSCINDIBILE.

Il prof. de Mattei  -al Convegno Summorum Pontificum- ha affrontato un argomento che, potremmo dire, è coessenziale al nome stesso del nostro blog (Messainlatino): Il latino, lingua liturgica della Chiesa e della Cattolicità.

La tesi dello storico, sostenuta con dovizia di riferimenti documentali  che qui, ovviamente, non possiamo riportare, è che la lingua latina sia costitutiva della stessa liturgia cristiana: non, quindi, elemento accidentale che possa essere tranquillamente abrogato o modificato.

E' vero che la prima liturgia cristiana fu espressa nel greco della koiné, ma fin dai primi secoli a Roma l'utilizzo del latino si diffonde, secondo quanto possiamo ricostruire dai resti epigrafici.

Papa San Damaso, nel IV secolo, benché spagnolo di nascita, rafforzò la romanità, nelle sue due articolazioni: da un lato la petrinitas, cioè il primato del romano pontefice, dall'altro la latinitas, ossia la romanità della Chiesa . A lui si deve l'adozione della lingua latina come lingua universale della Chiesa, che esprime una rinnovata Weltanschauung della Chiesa.

Quando Teodosio il Grande vinse la battaglia del Frigido contro i pagani barbari, si saldò definitivamente l'unione tra il romano impero e la Fede cristiana. Fino alla riforma liturgica (1970), si continuò quindi a pregare per il romanus imperator, anche se il Sacro Romano Impero era stato dissolto nel 1806 e la stessa casa di Asburgo, che aveva per secoli cinto il serto imperiale, era decaduta nel 1918.

La liturgia della Chiesa non nasce nel IV-V secolo, ma in quel tempo essa fu codificata in stretta aderenza al traditum: in un rescritto del 416 Innocenzo I attesta come la Liturgia romana rappresentava l'antico costume fedelmente conservato. E' la tradizione di sempre, però romanamente sfrondata delle ampollosità che in Oriente ebbero tanto successo.

Il latino arrivò con la fede là dove le legioni romane non misero mai piede, come in Irlanda: ecco la risposta migliore contro chi crede che la Fede si sia inculturata nella latinità, e non viceversa. Le genti irlandesi non parlavano affatto il latino, e l'evangelizzazione avvenne in gaelico, ma accolsero la liturgia nella sua pura forma latina, la fecero propria e la difesero nei secoli contro le più dure persecuzioni.

Lungi dall'inculturarsi nella (inesistente) latinità irlandese, la Fede trapiantò la latinità nell'Irlanda e da là, grazie ai 40 benedettini irlandesi, si diffuse alla Scozia e pure in Inghilterra a sud del Vallo di Adriano, dove era quasi estinto perfino il ricordo dell'Impero romano. Da lì, ulteriormente, in Germania, altro territorio ove le legioni erano state fermate nella selva di Teutoburgo e la latinità romana non era prima pervenuta.

Il greco ambì a divenire come il latino lingua universale, a causa del nazionalismo del patriarcato di Costantinopoli. Il patriarca ambiva a soppiantare il Papa, sul rilievo del primato politico della Seconda Roma (Costantinopoli) rispetto alla decaduta Roma che non aveva più imperatori. Ma in Oriente il Patriarca era soggetto al cesaropapismo imperiale e non valeva molto più di un funzionario imperiale. Il greco scomparve gradualmente, poi, per effetto delle invasioni musulmane.

Quando l'Impero romano rinacque con Carlo Magno, la latinitas riassunse anche un ruolo politico di unificazione; e quando nel Basso Medioevo iniziarono a diffondersi le lingue nazionali, l'uso del latino non declinò, e restò la lingua internazionale fino al XVIII secolo, la lingua della Chiesa, della scienza, della diplomazia.

Vi è una necessità, sia pure storica e non metafisica, di relazione tra il cattolicesimo e la lingua latina. Quel binomio che il padre Chénu, alla vigilia del Concilio, si proponeva di spezzare eliminando il latino dalla vita della Chiesa. Il movimento liturgico pure auspicava un rinnovamento in tal senso in nome di una maggior partecipazione dei fedeli alla liturgia. 
Ma a questi aneliti rispondeva Giovanni XXIII con la Veterum Sapientia, promulgata con la massima solennità (il giorno della Cattedra di Pietro, in San Pietro, davanti a numerosi cardinali e vescovi), che alla vigilia del Concilio, e come ad orientarne gli esiti, chiedeva non solo di conservare l'uso del latino, ma di incrementarne e restaurarne l'utilizzo. Il documento riconosce che la Chiesa ha necessità di una sua lingua propria, non nazionale ma universale, sacra e non ordinaria e volgare, e dal significato univoco e non mutevole nel tempo, per trasmettere la medesima dottrina: unica, per il suo governo, e sacra, per il suo rito. La Chiesa, ontologicamente immutabile, non può affidare alla fluttuazione linguistica la trasmissione delle sue Verità.

E' significativo che anche il codice canonico per le chiese orientali sia sempre stato in lingua latina.

Nessun'altra lingua al mondo possiede del latino le caratteristiche di universalità e, al tempo stesso, di essere aliena ai nazionalismi. La massoneria internazionale da sempre ricerca una società perfetta che parli un'unica lingua ed ha escogitato l'esperanto, però miseramente fallito; mai ha pensato di utilizzare allo stesso fine il latino, per odio alla Chiesa.

L'uso della lingua volgare è una caratteristica di tutte le eresie di questo millennio, a cominciare da quella catara.

*L'intervento del prof. de Mattei è stato interrotto a questo punto dall'arrivo dal card. Castrillòn Hoyos, che è stato accolto da un calorosissimo applauso.*

Ricorda la Genesi che la divisione delle lingue è conseguenza del peccato degli uomini. Gli Apostoli necessariamente evangelizzarono in tutte le lingue, ma il giorno di Pentecoste lo Spirito riportò tutti alla compresione unitaria delle lingue: logico quindi che la Chiesa di Dio si serva di un'unica lingua per tutti. 

La lingua latina, ricordava Giovanni XXIII, fu scelta dalla Provvidenza come lingua della Chiesa, portata ovunque dalle antiche vie consolari. L'unità linguistica resta un modello e un ideale; e se nella predicazione è giocoforza utilizzare la lingua vernacola, il rito e la liturgia richiedono l'unica lingua sacra. // Fu un grave errore del postconcilio che la Chiesa si facesse immanente al mondo rinunziando alla sua lingua, proprio quando l'incipiente mondializzazione avrebbe richiesto un gesto in senso esattamente contrario.

Oggi la Chiesa dovrebbe riaffermare la sua romanitas latinitas; e in esse trova pieno spazio il rito romano antico riportato alla Chiesa dal motu proprio Summorum Pontificum. Ricordando che Pio XII scriveva che il sacerdote che misconoscesse il latino era afflitto da una "deplorevole miseria intellettuale".
Lunga standing ovation finale.

SABATO 14 MAGGIO 2011                                           ENRICO

Nessun peccato umano prevale sulla forza del perdono divino e niente lo limita se non la mancanza di buona volontà da parte dell'uomo, contrastando la grazia e la verità.



DICEMBRE
Pensieri tratti dall'enciclica Dives in Misericordia di Giovanni Paolo II
1. «Dio, ricco di misericordia, per l'immenso amore con il quale egli ci amò, da morti che eravamo a cagione dei peccati, ci fece rivivere assieme a Cristo» (Ef 2,4).
2. Colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre è un Dio ricco di misericordia. Fu suo Figlio, dunque, a farcelo conoscere, manifestandolo nella propria persona.
3. In certo senso, è Cristo stesso la misericordia. Per chi la scorge in lui — e in lui la trova — Dio si fa vedere ai nostri occhi come Padre «ricco di misericordia».
4. La verità di Dio, «Padre misericordioso» ci consente di «vederlo» vicinissimo agli uomini, specialmente quando soffrono e sono minacciati.
5. Presentare il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza medesima di Cristo, la verifica fondamentale della sua missione di Messia.
6. Nel rivelare in Dio l'amore e la misericordia, Cristo esige, al tempo stesso, che gli uomini si facciano guidare a loro volta, nella vita, dall'amore e dalla misericordia.
7. La misericordia, per così dire, condiziona la giustizia la quale, in definitiva, serve la misericordia.

8. Ecco Maria che, entrata nella casa di Zaccaria, magnifica il Signore con tutta l'anima «per la sua misericordia» di cui gli uomini divengono partecipi «di generazione in generazione».
9. Nella parabola del figlio prodigo, l'analogia con l'uomo di tutti i tempi consente di comprendere il mistero della misericordia quale dramma profondo che si svolge tra la bontà del Padre e il peccato dei figli.
10. Come è presentata da Cristo nella parabola del figlio prodigo, la misericordia ha la forma interiore dell'amore che, nel Nuovo Testamento, è chiamato «Agàpe». Tale amore è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo e, quando ciò avviene, colui che è oggetto della misericordia non si trova umiliato, ma rivalutato: un figlio, anche se «prodigo», non cessa di esser figlio.
11. Occorre che il vero volto della misericordia sia sempre nuovamente rivelato. Nonostante i numerosi pregiudizi, essa appare particolarmente necessaria al nostro tempo.
12. La parabola del figlio prodigo esprime la realtà della conversione. La misericordia non consiste unicamente nello sguardo, sia pure il più penetrante e il più benevolo, rivolto al male fisico o morale: la misericordia manifesta il proprio vero aspetto quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme del male.
13. La dimensione divina della redenzione ci consente di svelare le profondità di quell'amore che non indietreggia davanti allo straordinario sacrificio del proprio figlio.
14. Credere in tale amore significa credere nella misericordia. La misericordia infatti è la dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome.
15. Nel compimento finale (escatologico), la misericordia si rivela come amore, mentre nella storia attuale, che è insieme storia di peccato e di morte, l'amore deve rivelarsi come misericordia.

16. Se dei teologi affermano che la misericordia è il più grande fra gli attributi di Dio, la Bibbia, la tradizione e tutta la vita di fede del popolo di Dio ne forniscono particolare testimonianza.
17. La misericordia è quell'attributo divino, grazie al quale l'uomo si incontra particolarmente da vicino e particolarmente spesso con il Dio vivente.
18. La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia — il più stupendo attributo del Creatore e Redentore — conducendo gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore (specialmente alla parola di Dio e ai Sacramenti dell'Eucarestia e della Riconciliazione).
19. Proprio perché esiste il peccato nel mondo, Dio «ha tanto amato il mondo da dare per esso l'Unigenito». Dio, che è «amore», non può rivelarsi altrimenti se non come misericordia.
20. La misericordia in se stessa, come perfezione di Dio infinito, è ugualmente infinita. Inesauribile è quindi la prontezza del Padre nell'accogliere i figli prodighi che fanno ritorno alla sua casa. Sono infinite la prontezza e la forza di perdono che scaturiscono continuamente dal mirabile valore del sacrificio del Figlio di Dio.
21. Nessun peccato umano prevale sulla forza del perdono divino e niente lo limita se non la mancanza di buona volontà da parte dell'uomo, contrastando la grazia e la verità.
22. La Chiesa professa e proclama la conversione. La conversione a Dio consiste sempre nello scoprire la sua misericordia.
23. La conversione a Dio è sempre frutto del «ritrovamento» del Padre, il quale è ricco di misericordia.

24. Gesù Cristo ha insegnato che non soltanto riceviamo e sperimentiamo da Dio la sua misericordia, ma che siamo chiamati a praticare a nostra volta la misericordia verso gli altri.
25. Già dal momento dell'incarnazione s'apre una nuova prospettiva nella storia della salvezza. Maria è colei che in modo eccezionale, come nessun altro, sperimentò la misericordia; quindi, è colei che conosce più a fondo il mistero della divina misericordia, ne conosce il prezzo e sa quanto sia grande. In questo senso, la chiamano «Madre della misericordia».
26. L'uomo giunge alla divina misericordia in quanto egli stesso interiormente si trasforma nello spirito di un simile amore verso il prossimo, che costituisce per lui uno stile di vita, una caratteristica essenziale della vocazione cristiana.
27. Compito della Chiesa è di rendere testimonianza alla misericordia di Dio, rivelata in Cristo mediante l'intera sua missione di Messia, professandola in primo luogo come verità salvifica di fede, cercando di introdurla e di incarnarla tanto nei suoi fedeli, quanto — se le è possibile — in tutti gli uomini di buona volontà.
28. Professando la misericordia e sempre rimanendole fedele, la Chiesa ha il diritto e il dovere di rivolgersi alla misericordia di Dio, implorandola di fronte ai fenomeni del male fisico e morale, contro tutte le minacce che gravano sull'orizzonte dell'umanità contemporanea.
29. La misericordia diventa elemento indispensabile per plasmare i vicendevoli rapporti fra gli uomini. Essa è sommamente indispensabile per quelli che si trovano maggiormente vicini tra di loro: uomo e donna, genitori e figli, amici. Di essa sono obbligati a tener conto l'educazione e la pastorale.
30. Il mondo degli uomini diventerà più umano solo quando, unitamente alla giustizia, nei rapporti reciproci o che ne plasmano il volto morale, introdurranno il momento del perdono che, per il Vangelo, è essenziale. Il perdono attesta che nel mondo è presente un amore più potente del peccato ed è la condizione fondamentale affinché gli uomini si riconciglino con Dio e fra di loro.

31. L'uomo contemporaneo si interroga spesso, con profonda ansia, circa la soluzione delle terribili tensioni che si sono accumulate sul mondo e s'intrecciano in mezzo agli uomini. E, se talvolta non ha il coraggio di pronunciare la parola «misericordia», oppure nella sua coscienza priva di contenuto religioso non ne trova l'equivalente, tanto più bisogna che la Chiesa pronunci questa parola non soltanto in nome proprio, ma anche in nome di tutti gli uomini contemporanei.


sabato 30 novembre 2013

Sant'ANDREA, Apostolo


MIHI  AVTEM  
NIMIS  HONORATI  SVNT  

AMICI  TVI  DEVS  
NIMIS  CONFORTATVS  EST  
PRINCIPATVS  EORVM

L'IMMACOLATA! Tuffiamoci nell'azzurro, nella luce, nell'amore - 2 -



«Sorgi e ti affretta, piccola amica. 

Ho ardente desiderio di portarti con Me nell'azzurro paradisiaco della 
contemplazione della Verginità di Maria. Ne uscirai con l'anima fresca come fossi tu pure testé creata dal 
Padre, una piccola Eva che ancora non conosce carne. Ne uscirai con lo spirito pieno di luce, perché ti 
tufferai nella contemplazione del capolavoro di Dio. Ne uscirai con tutto il tuo essere saturo d'amore, perché 
avrai compreso come sappia amare Dio. Parlare del concepimento di Maria, la Senza Macchia, vuol dire 
tuffarsi nell'azzurro, nella luce, nell'amore. 

Vieni e leggi le glorie di Lei nel Libro dell'Avo (Proverbi 8, 22-31. Ispirate all’autore dei Proverbi per 
celebrare la Sapienza, possono applicarsi anche a Maria, Madre della Sapienza, perché Maria fu sempre, da 
sempre, pensata e contemplata da Dio): "Dio mi possedette all'inizio delle sue opere, fin dal principio, avanti 
la creazione. Ab aeterno fui stabilita, al principio, avanti che fosse fatta la terra, non erano ancora gli abissi 
ed io ero già concepita. Non ancora le sorgenti dell'acque rigurgitavano ed i monti s'erano eretti nella loro 
grave mole, né le colline eran monili al sole, che io ero partorita. Dio non aveva ancora fatto la terra, i fiumi 
e i cardini del mondo, ed io ero. Quando preparava i cieli io ero presente, quando con legge immutabile 
chiuse sotto la volta l'abisso, quando rese stabile in alto la volta celeste e vi sospese le fonti delle acque, 
quando fissava al mare i suoi confini e dava leggi alle acque, quando dava legge alle acque di non passare il 
loro termine, quando gettava i fondamenti della terra, io ero con Lui a ordinare tutte le cose. Sempre nella 
gioia scherzavo dinanzi a Lui continuamente, scherzavo nell'universo...". Le avete applicate alla Sapienza, 
ma parlan di Lei: la bella Madre, la santa Madre, la vergine Madre della Sapienza che Io sono che ti parlo. 
Ho voluto che tu scrivessi il primo verso di questo inno in capo al libro che parla di Lei, perché fosse 
confessata e nota la consolazione e la gioia di Dio; la ragione della sua costante, perfetta, intima letizia di 
questo Dio uno e trino, che vi regge e ama e che dall'uomo ebbe tante ragioni di tristezza; la ragione per cui 
perpetuò la razza anche quando, alla prima prova (Genesi 6-9), s'era meritata d'esser distrutta; la ragione del perdono che avete avuto. 
Aver Maria che lo amasse. Oh! ben meritava creare l'uomo, e lasciarlo vivere, e decretare di perdonarlo, per avere la Vergine bella, la Vergine santa, la Vergine immacolata, la Vergine innamorata, la Figlia diletta, la Madre purissima, la Sposa amorosa! Tanto e più ancora vi ha dato e vi avrebbe dato Iddio pur di possedere la Creatura delle sue delizie, il Sole del suo sole, il Fiore del suo giardino. E tanto vi continua a dare per Lei, a richiesta di Lei, per la gioia di Lei, perché la sua gioia si riversa nella gioia di Dio e l'aumenta a bagliori che empiono di sfavillii la luce, la gran luce del Paradiso, ed ogni sfavillìo è una grazia all'universo, alla razza dell'uomo, ai beati stessi, che rispondono con un loro sfavillante grido di alleluia ad ogni generazione di miracolo divino, creato dal desiderio del Dio trino di vedere lo sfavillante riso di gioia della Vergine. 

Dio volle mettere un re nell'universo che Egli aveva creato dal nulla. Un re che, per natura della materia, 
fosse il primo tra tutte le creature create con materia e dotate di materia. Un re che, per natura dello spirito, 
fosse poco men che divino, fuso alla Grazia come era nella sua innocente prima giornata. Ma la Mente 
suprema, a cui sono noti tutti gli avvenimenti più lontani nei secoli, la cui vista vede incessantemente tutto  13 
quanto era, è, e sarà; e che, mentre contempla il passato e osserva il presente, ecco che sprofonda lo sguardo 
nell'ultimo futuro e non ignora come sarà il morire dell'ultimo uomo, senza confusione né discontinuità, non 
ha mai ignorato che il re da Lui creato per esser semidivino al suo fianco in Cielo, erede del Padre, giunto 
adulto al suo Regno dopo aver vissuto nella casa della madre - la terra con cui fu fatto - durante la sua 
puerizia di pargolo dell'Eterno per la sua giornata sulla terra, avrebbe commesso verso se stesso il delitto di 
uccidersi nella Grazia e il ladrocinio di derubarsi del Cielo. 

Perché allora lo ha creato? Certo molti se lo chiedono. Avreste preferito non essere? Non merita, anche per 
se stessa, pur così povera e ignuda, e fatta aspra dalla vostra cattiveria, di esser vissuta, questa giornata, per 
conoscere e ammirare l'infinito Bello che la mano di Dio ha seminato nell'universo? 
Per chi avrebbe fatto questi astri e pianeti che scorrono come saette e frecce, rigando l'arco del firmamento, o 
vanno, e paiono lenti, vanno maestosi nella loro corsa di bolidi, regalandovi luci e stagioni e dandovi, eterni, 
immutabili e pur mutabili sempre, una nuova pagina da leggere sull'azzurro, ogni sera, ogni mese, ogni anno, 
quasi volessero dirvi: "Dimenticate la carcere, lasciate le vostre stampe piene di cose oscure, putride, 
sporche, velenose, bugiarde, bestemmiatrici, corruttrici, e elevatevi, almeno con lo sguardo, nella illimitata 
libertà dei firmamenti, fatevi un'anima azzurra guardando tanto sereno, fatevi una riserva di luce da portare 
nella vostra carcere buia, leggete la parola che noi scriviamo cantando il nostro coro siderale, più armonioso 
di quello tratto da organo di cattedrale, la parola che noi scriviamo splendendo, la parola che noi scriviamo 
amando, poiché sempre abbiamo presente Colui che ci dette la gioia d'essere, e lo amiamo per averci dato 
questo essere, questo splendere, questo scorrere, questo esser liberi e belli in mezzo a questo azzurro soave 
oltre il quale vediamo un azzurro ancor più sublime, il Paradiso, e del quale compiamo la seconda parte del 
precetto d'amore amando voi, prossimo nostro universale, amandovi col darvi guida e luce, calore e bellezza. 

Leggete la parola che noi diciamo, ed è quella su cui regoliamo il nostro canto, il nostro splendere, il nostro 
ridere: Dio"? 

Per chi avrebbe fatto quel liquido azzurro, specchio al cielo, via alla terra, sorriso d'acque, voce di onde, 
parola anch'essa che con fruscii di seta smossa, con risatelle di fanciulle serene, con sospiri di vecchi che 
ricordano e piangono, con schiaffi di violento, e cozzi, e muggiti e boati, sempre parla e dice: "Dio "? Il mare 
è per voi, come lo sono il cielo e gli astri. E col mare i laghi e i fiumi, gli stagni e i ruscelli, e le sorgenti 
pure, che servono tutti a portarvi, a nutrirvi, a dissetarvi e mondarvi, e che vi servono, servendo il Creatore, 
senza uscire a sommergervi come meritate. 

Per chi avrebbe fatto tutte le innumerabili famiglie degli animali, che sono fiori che volano cantando, che 
sono servi che corrono, che lavorano, che nutrono, che ricreano voi: i re? 

Per chi avrebbe fatto tutte le innumerabili famiglie delle piante, e dei fiori che paiono farfalle, che paiono 
gemme e immoti uccellini, dei frutti che paiono monili o scrigni di gemme, che son tappeto ai vostri piedi, 
riparo alle vostre teste, svago, utile, gioia alla mente, alle membra, alla vista e all'olfatto? 

Per chi avrebbe fatto i minerali fra le viscere del suolo e i sali disciolti in algide o bollenti sorgive, gli zolfi, 
gli iodi, i bromi, se non perché li godesse uno che non fosse Dio ma figlio di Dio? Uno: l'uomo. 

Alla gioia di Dio, al bisogno di Dio nulla occorreva. Egli si basta a Se stesso. Non ha che contemplarsi per 
bearsi, nutrirsi, vivere e riposarsi. Tutto il creato non ha aumentato di un atomo la sua infinità in gioia, 
bellezza, vita, potenza. Ma tutto l'ha fatto per la creatura che ha voluto mettere re nell'opera da Lui fatta: 
l'uomo. 

Per vedere tant'opera di Dio e per riconoscenza alla sua potenza che ve la dona, merita di vivere. E di esser 
viventi dovete esser grati. L'avreste dovuto anche se non foste stati redenti altro che alla fine dei secoli, 
perché, nonostante siate stati nei Primi, e lo siate tuttora singolarmente, prevaricatori, superbi, lussuriosi, 
omicidi, Dio vi concede ancora di godere del bello dell'universo, del buono dell'universo, e vi tratta come 
foste dei buoni, dei figli buoni a cui tutto è insegnato e concesso per rendere loro più dolce e sana la vita. 
Quanto sapete, lo sapete per lume di Dio. Quanto scoprite, lo scoprite per indicazione di Dio. Nel Bene. Le 
altre cognizioni e scoperte, che portano segno di male, vengono dal Male supremo: Satana. 

La Mente suprema, che nulla ignora, prima che l'uomo fosse sapeva che l'uomo sarebbe stato di se stesso 
ladro e omicida. E poiché la Bontà eterna non ha limiti nel suo esser buona, prima che la Colpa fosse pensò il 
mezzo per annullare la Colpa. Il mezzo: Io. Lo strumento per fare del mezzo uno strumento operante: Maria. 
E la Vergine fu creata nel Pensiero sublime di Dio. 
Tutte le cose sono state create per Me, Figlio diletto del Padre. Io-Re avrei dovuto avere sotto il mio piede di 
Re divino tappeti e gioielli quale nessuna reggia ne ebbe, e canti e voci, e servi e ministri intorno al mio 
essere quanti nessun sovrano ne ebbe, e fiori e gemme, tutto il sublime, il grandioso, il gentile, il minuto è 
possibile trarre dal Pensiero di un Dio. 
Ma Io dovevo esser Carne oltre che Spirito. Carne per salvare la carne. Carne per sublimare la carne, 
portandola in Cielo molti secoli avanti l'ora. Perché la carne abitata dallo spirito è il capolavoro di Dio, e per 
essa era stato fatto il Cielo. Per esser Carne avevo bisogno di una Madre. Per esser Dio avevo bisogno che il Padre fosse Dio.


Ecco allora Dio crearsi la Sposa e dirle: "Vieni meco. Al mio fianco vedi quanto Io faccio per il Figlio 
nostro. Guarda e giubila, eterna Vergine, Fanciulla eterna, ed il tuo riso empia questo empireo e dia agli 
angeli la nota iniziale, al Paradiso insegni l'armonia celeste. Io ti guardo. E ti vedo quale sarai, o Donna 
immacolata che ora sei solo spirito: lo spirito in cui Io mi beo. Io ti guardo e dò l'azzurro del tuo sguardo al 
mare e al firmamento, il colore dei tuoi capelli al grano santo, il candore al giglio e il roseo alla rosa come è 
la tua epidermide di seta, copio le perle dai tuoi denti minuti, faccio le dolci fragole guardando la tua bocca, 
agli usignoli metto in gola le tue note e alle tortore il tuo pianto. E leggendo i tuoi futuri pensieri, udendo i 
palpiti del tuo cuore, Io ho il motivo di guida nel creare. Vieni, mia Gioia, abbiti i mondi per trastullo sinché 
mi sarai luce danzante nel Pensiero, i mondi per tuo riso, abbiti i serti di stelle e le collane d'astri, mettiti la 
luna sotto i piedi gentili, fasciati nella sciarpa stellare di Galatea. Sono per te le stelle ed i pianeti. Vieni e 
godi vedendo i fiori, che saranno giuoco al tuo Bambino e guanciale al Figlio del tuo seno. Vieni e vedi 
creare le pecore e gli agnelli, le aquile e le colombe. Siimi presso mentre faccio le coppe dei mari e dei fiumi 
e alzo le montagne e le dipingo di neve e di selve, mentre semino le biade e gli alberi e le viti, e faccio l'ulivo 
per te, mia Pacifica, e la vite per te, mio Tralcio che porterai il Grappolo eucaristico. Scorri, vola, giubila, o 
mia Bella, e il mondo universo, che si crea d'ora in ora, impari ad amarmi da te, Amorosa, e si faccia più 
bello per il tuo riso, Madre del mio Figlio, Regina del mio Paradiso, Amore del tuo Dio". E ancora, vedendo 
l'Errore e mirando la Senza Errore: "Vieni a Me, tu che cancelli l'amarezza della disubbidienza umana, della 
fornicazione umana con Satana, e dell'umana ingratitudine. Io prenderò con te la rivincita su Satana". 
Dio, Padre Creatore, aveva creato l'uomo e la donna con una legge d'amore tanto perfetta che voi non ne 
potete più nemmeno comprendere le perfezioni. E vi smarrite nel pensare a come sarebbe venuta la specie se l'uomo non l'avesse ottenuta con l'insegnamento di Satana. 

Guardate le piante da frutto e da seme. Ottengono seme e frutto mediante fornicazione, mediante una 
fecondazione su cento coniugi? No. Dal fiore maschio esce il polline e, guidato da un complesso di leggi 
meteoriche e magnetiche, va all'ovario del fiore femmina. Questo si apre e lo riceve e produce. Non si sporca 
e lo rifiuta poi, come voi fate, per gustare il giorno dopo la stessa sensazione. Produce, e sino alla nuova 
stagione non si infiora, e quando s'infiora è per riprodurre. 

Guardate gli animali. Tutti. Avete mai visto un animale maschio ed uno femmina andare l'un verso l'altro per 
sterile abbraccio e lascivo commercio? No. Da vicino o da lontano, volando, strisciando, balzando o 
correndo, essi vanno, quando è l'ora, al rito fecondativo, né vi si sottraggono fermandosi al godimento, ma 
vanno oltre, alle conseguenze serie e sante della prole, unico scopo che nell'uomo, semidio per l'origine di 
Grazia che Io ho resa intera, dovrebbe fare accettare l'animalità dell'atto, necessario da quando siete discesi 
di un grado verso l'animale. 

Voi non fate come le piante e gli animali. Voi avete avuto a maestro Satana, lo avete voluto a maestro e lo 
volete. E le opere che fate sono degne del maestro che avete voluto. Ma, se foste stati fedeli a Dio, avreste 
avuto la gioia dei figli, santamente, senza dolore, senza spossarvi in copule oscene, indegne, che ignorano 
anche le bestie, le bestie senz'anima ragionevole e spirituale. 

All'uomo e alla donna, depravati da Satana, Dio volle opporre l'Uomo nato da Donna soprasublimata da Dio, al punto di generare senza aver conosciuto uomo: Fiore che genera Fiore senza bisogno di seme, ma per unico bacio del Sole sul calice inviolato del Giglio-Maria. 



La rivincita di Dio! 
Fischia, o Satana, il tuo livore mentre Ella nasce. Questa Pargola ti ha vinto! Prima che tu fossi il Ribelle, il 
Tortuoso, il Corruttore, eri già il Vinto, e Lei è la tua Vincitrice. Mille eserciti schierati nulla possono contro 
la tua potenza, cadono le armi degli uomini contro le tue scaglie, o Perenne, e non vi è vento che valga a 
disperdere il lezzo del tuo fiato. Eppure questo calcagno d'infante, che è tanto roseo da parere l'interno di una 
camelia rosata, che è tanto liscio e morbido che la seta è aspra al paragone, che è tanto piccino che potrebbe 
entrare nel calice di un tulipano e farsi di quel raso vegetale una scarpina, ecco che ti preme senza paura, 
ecco che ti confina nel tuo antro. Eppure ecco che il suo vagito ti fa volgere in fuga, tu che non hai paura 
degli eserciti, e il suo alito purifica il mondo dal tuo fetore. Sei vinto. Il suo nome, il suo sguardo, la sua 
purezza sono lancia, folgore e pietrone che ti trafiggono, che ti abbattono, che ti imprigionano nella tua tana 
d'Inferno, o Maledetto, che hai tolto a Dio la gioia d'esser Padre di tutti gli uomini creati! 
Inutilmente ormai li hai corrotti, questi che erano stati creati innocenti, portandoli a conoscere e a concepire 
attraverso a sinuosità di lussuria, privando Dio, nella creatura sua diletta, di essere l'elargitore dei figli 
secondo regole che, se fossero state rispettate, avrebbero mantenuto sulla terra un equilibrio fra i sessi e le 
razze, atto ad evitare guerre fra popoli e sventure fra famiglie.  15 
Ubbidendo, avrebbero pur conosciuto l'amore. Anzi, solo ubbidendo avrebbero conosciuto l'amore e 
l'avrebbero avuto. Un possesso pieno e tranquillo di questa emanazione di Dio, che dal soprannaturale 
scende all'inferiore, perché anche la carne ne giubili santamente, essa che è congiunta allo spirito e creata 
dallo Stesso che le creò lo spirito. 
Ora il vostro amore, o uomini, i vostri amori, che sono? O libidine vestita da amore. O paura insanabile di 
perdere l'amore del coniuge per libidine sua e di altri. Non siete mai più sicuri del possesso del cuore dello 
sposo o della sposa, da quando libidine è nel mondo. E tremate e piangete e divenite folli di gelosia, assassini 
talora per vendicare un tradimento, disperati talaltra, abulici in certi casi, dementi in altri. 
Ecco che hai fatto, Satana, ai figli di Dio. Questi, che hai corrotti, avrebbero conosciuto la gioia di aver figli 
senza avere il dolore, la gioia d'esser nati senza paura del morire. Ma ora sei vinto in una Donna e per la 
Donna. D'ora innanzi chi l'amerà tornerà ad esser di Dio, superando le tue tentazioni per poter guardare la 
sua immacolata purezza. D'ora innanzi, non potendo concepire senza dolore, le madri avranno Lei per 
conforto. D'ora innanzi l'avranno le spose a guida e i morenti a madre, per cui dolce sarà il morire su quel 
seno che è scudo contro te, Maledetto, e contro il giudizio di Dio. 
Maria, piccola voce, hai visto la nascita del Figlio della Vergine e la nascita al Cielo della Vergine. Hai visto 
perciò che ai senza colpa è sconosciuta la pena del dare alla vita e la pena del darsi alla morte. Ma se alla 
superinnocente Madre di Dio fu riserbata la perfezione dei celesti doni, a tutti, che nei Primi fossero rimasti 
innocenti e figli di Dio, sarebbe venuto il generare senza doglie, come era giusto per aver saputo 
congiungersi e concepire senza lussuria, e il morire senza affanno. 
La sublime rivincita di Dio sulla vendetta di Satana è stata il portare la perfezione della creatura diletta ad 
una superperfezione, che annullasse almeno in una ogni ricordo di umanità, suscettibile al veleno di Satana, 
per cui non da casto abbraccio d'uomo ma da divino amplesso, che fa trascolorare lo spirito nell'estasi del 
Fuoco, sarebbe venuto il Figlio. 
La Verginità della Vergine!... 
Vieni. Medita questa verginità profonda, che dà nel contemplarla vertigini d'abisso! Cosa è la povera 
verginità forzata della donna che nessun uomo ha sposato? Meno che nulla. Cosa la verginità di quella che 
volle esser vergine per esser di Dio, ma sa esserlo solo nel corpo e non nello spirito, nel quale lascia entrare 
tanti estranei pensieri, e carezza e accetta carezze di umani pensieri? Comincia ad essere una larva di 
verginità. Ma ben poco ancora. Cosa è la verginità di una claustrata che vive solo di Dio? Molto. Ma sempre 
non è perfetta verginità rispetto a quella della Madre mia. 
Un coniugio vi è sempre stato, anche nel più santo. Quello di origine fra lo spirito e la Colpa. Quello che solo 
il Battesimo scioglie. Scioglie, ma, come di donna separata da morte dello sposo, non rende verginità totale 
quale era quella dei Primi avanti il Peccato. Una cicatrice resta e duole, facendo ricordare di sé, ed è sempre 
pronta a rifiorire in piaga, come certi morbi che periodicamente i loro virus acutizzano. Nella Vergine non vi 
è questo segno di disciolto coniugio con la Colpa. La sua anima appare bella e intatta come quando il Padre 
la pensò adunando in Lei tutte le grazie. 


È la Vergine. È l'Unica. È la Perfetta. È la Completa. Pensata tale. Generata tale. Rimasta tale. Incoronata 
tale. Eternamente tale. È la Vergine. È l'abisso della intangibilità, della purezza, della grazia, che si perde 
nell'Abisso da cui è scaturito: in Dio, Intangibilità, Purezza, Grazia perfettissime. 

Ecco la rivincita del Dio trino ed uno. Contro alle creature profanate Egli alza questa Stella di perfezione. 
Contro la curiosità malsana, questa Schiva, paga solo di amare Dio. Contro la scienza del male, questa 
sublime Ignorante. In Lei non è solo ignoranza dell'amore avvilito; non è solo ignoranza dell'amore che Dio 
aveva dato agli uomini sposi. Ma più ancora. In Lei è l'ignoranza dei fomiti, eredità del Peccato. In Lei vi è 
solo la sapienza gelida e incandescente dell'Amore divino. Fuoco che corazza di ghiaccio la carne, perché sia 
specchio trasparente all'altare dove un Dio si sposa con una Vergine, e non si avvilisce, perché la sua 
Perfezione abbraccia Quella che, come si conviene a sposa, è di solo un punto inferiore allo Sposo, a Lui 
soggetta perché Donna, ma senza macchia come Egli è».