giovedì 3 ottobre 2013

Lettera di San Francesco a tutti i fedeli: "Fratello/Sorella, c'è posta per te!"


Le Lettere di San Francesco

Lettera a tutti i fedeli, recensione prima
Esortazione ai fratelli e alle sorelle della penitenza
È una cosa stupenda, santa e gloriosa avere un Padre in cielo! È bello, ammirabile e consolante avere uno sposo così grande; è immensamente gioioso, gradito e desiderabile, motivo di umiltà, dolcezza e santità avere un fratello e un figlio, il Signor nostro Gesù Cristo, che ha dato la vita per le sue pecorelle, e che prega il Padre, dicendo: Padre Santo, custodisci nel tuo nome quelli che mi hai affidato nel mondo. Le parole che tu mi hai rivelate io le ho comunicate a loro. Essi le hanno accolte e hanno riconosciuto che tu mi hai inviato. Io prego per loro; non prego per il mondo. Benedicili e santificali! Io offro me stesso in sacrificio per loro. Non soltanto per loro io prego, ma anche per quelli che crederanno in me per mezzo della loro parola, affinché siano stabili nell'unità, come noi. E voglio, Padre, che dove sono io siano anch'essi con me, a contemplare la mia gloria, (Gv 17) nel tuo regno.
Amen.
Una scelta sbagliata
Tutti gli uomini e le donne che non accolgono l'invito alla penitenza, non ricevono il corpo e il sangue del Signore, non mantengono fede alle promesse fatte a Dio ma, seguendo le proprie passioni e cedendo alle suggestioni del mondo, compiono opere cattive, si consegnano al demonio, di cui si dimostrano figli, perché agiscono come lui.
Costoro sono ciechi, perché non scorgono la luce vera, cioè il nostro Signore Gesù Cristo; sono ignoranti, perché non posseggono la vera sapienza del Padre. Giustamente la Parola di Dio dice che la loro sapienza é vana e che attirano su di sé la maledizione di Dio perché si allontanano dai suoi comandamenti. Commettono il male ad occhi aperti e consapevolmente rovinano la propria vita.
Vi sembra cosa gradevole commettere il peccato e sgradevole comportarvi secondo gli insegnamenti del Vangelo. Ma non vi rendete conto che tutto questo deriva dal vostro egoismo, poiché siete ingannati dalle passioni, dalla mentalità godereccia e dal demonio, che sono i vostri veri nemici?
Dice bene Gesù nel Vangelo: tutti i vizi e i peccati germogliano ed escono dal cuore dell'uomo (Mc.7, 21). Cosa credete di ottenere in questo modo? Non guadagnate nulla di buono né in questa né nell'altra vita. Vi illudete di godervi per molto tempo cose che vi saranno presto tolte, perché prima di quanto pensiate, giunge il momento della malattia e della morte. E chiunque muoia in stato di peccato grave, se non si è pentito e non ha cercato di riparare al male commesso, cade in potere del demonio. Soltanto in quel momento l'uomo si rende conto della gravità delle sua situazione; tutte le doti, la potenza, la scienza, l'intelligenza che credeva di possedere gli vengono strappate. Deve lasciare ai parenti e agli amici i suoi beni. Costoro, mentre pensano a dividersi l'eredità, imprecano alla sua memoria dicendo: "Poteva bene - maledizione a lui! - mettere da parte qualche cosa di più da lasciarci!". Il corpo se lo divorano i vermi. Così in poco tempo il peccatore perde anima e corpo, e sarà tormentato eternamente nell'inferno.
Prego, per l'amore di Dio, tutti quelli ai quali giungerà questa lettera, che l'accolgano con benevolenza, come una preziosa parola uscita dalla bocca del Signore nostro Gesù Cristo.
Chi non sa leggere, se la faccia spiegare frequentemente e tutti la conservino con cura e si sforzino di metterla in pratica, come un messaggio dello Spirito Santo che dà la vita. Chi non lo facesse, dovrà renderne conto nel giorno del giudizio, davanti al tribunale del Signore nostro Gesù Cristo.

Nel nome del Signore, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen.
A tutti i cristiani, religiosi, sacerdoti e laici, uomini e donne, agli uomini di tutto il mondo, il loro fratello Francesco, umile servo, manda il suo saluto riverente, augurando dal cielo la pace vera e l'amore sincero nel Signore.Io ritengo che il Signore mi abbia messo al servizio di tutti perché io faccia giungere a tutti il fragrante profumo delle sue parole.
Ma poiché sono debole e ammalato, non posso presentarmi a tutti, come vorrei. Così ho pensato di scrivere questa lettera, per far giungere ovunque la parola del mio Signore, perché essa dà la vita in quanto proviene dallo Spirito di Dio e dal Signore nostro Gesù Cristo.
Cristo Redentore
L'altissimo Padre celeste volle che il suo Figlio, il Verbo santo e glorioso, assumesse il fragile corpo dell'uomo nel seno della Vergine Maria e a lei mandò l'angelo Gabriele, affinché le recasse il lieto annuncio. Il Cristo, che era ricco più di ogni altro, volle scegliere la povertà in questo mondo, insieme con la sua santissima madre.

Alla vigilia della sua Passione egli consegnò ai discepoli anche il suo corpo e il suo sangue nell'Eucarestia, dicendo: Prendete e mangiate: questo è il mio corpo.....Questo é il sangue della nuova alleanza, che sarà sparso per voi e per tutti in remissione dei peccati (I Cor. 11, 24).


Infine rimise la sua stessa volontà nelle mani del Padre.
Egli, mentre il suo sudore cadeva a terra come gocce di sangue, pregava perché si allontanasse da lui la morte vista come un calice di dolore. Concluse però la sua preghiera dicendo: Padre, sia fatta la tua volontà. Non come voglio io, ma come vuoi tu.
Ora la volontà del Padre fu che il suo Figlio benedetto e glorioso offrisse il suo sangue come vittima sulla croce, non per se stesso, che è il creatore di tutte le cose, ma per i nostri peccati, perché per noi era nato e a noi è stato donato.
In questo modo Cristo ci ha lasciato un esempio, affinché seguiamo le sue orme, e vuole che tutti ci salviamo per i suoi meriti e siamo uniti a lui, ricevendo il suo corpo e il suo sangue in un cuore puro e in un corpo casto.
Ma pochi sono coloro che lo vogliono ricevere e salvarsi per mezzo di lui, sebbene ciò che ci domanda sia per il nostro bene e ci dia un peso leggero da portare.


La scelta giusta
Si condannano da soli coloro che non vogliono fare esperienza della bontà del Signore e preferiscono le tenebre alla luce, perché fanno il male e non obbediscono ai comandamenti del Signore. A costoro si riferisce la Scrittura quando dice: maledetto chi si allontana dai tuoi comandamenti. Ma fortunati e felici coloro che amano il Signore e realizzando la legge del Vangelo: Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima e il prossimo tuo come te stesso (MT. 22, 37).
Amiamo, dunque, Dio e adoriamolo con purezza di cuore, perché questo è ciò che sopratutto vuole da noi quando dice: Chi adora Dio deve lasciarsi guidare dallo Spirito e dalla verità (Gv. 4, 23).
Tutta la nostra vita sia una preghiera e un canto di lode a Dio. Non stanchiamoci di invocare il Padre che è in cielo, poiché bisogna pregare sempre senza stancarsi mai.
Dobbiamo poi confessare al sacerdote tutti i nostri peccati e ricevere da lui il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, perché chi non mangia il suo corpo e non beve il suo sangue non può entrare nel regno di Dio.


Tuttavia lo si deve mangiare e bere con le necessarie disposizioni, perché chi ne mangia indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non riconoscendo il corpo del Signore, cioè non distinguendolo dagli altri cibi (1 Cor. 11, 29).
Dobbiamo, inoltre, dimostrare con i fatti che abbiamo cambiato vita. E la prova della tua conversione è che ami il tuo prossimo come te stesso. Se non sei capace di amarlo fino a questo punto, incomincia almeno a non fargli del male e poi ti proverai a fargli del bene. Quelli che hanno ricevuto il potere di giudicare altri esercitino la giustizia con misericordia, perché Dio sarà senza misericordia quando giudicherà chi non ha avuto misericordia degli altri ( Gc 12, 13).
Tutti pratichiamo l'amore, l'umiltà e siamo generosi nell'aiutare i poveri, perché l'elemosina purifica l'anima dal peccato.
È nostro dovere osservare le disposizioni della Chiesa circa il digiuno ed evitare sempre gli eccessi nel mangiare e nel bere; ma il nostro vero digiuno consiste nell'astenerci dai peccati e dalle cattive abitudini. Aderiamo in tutto alla fede cattolica; frequentiamo assiduamente le chiese e dimostriamo rispetto per i sacerdoti, non tanto per loro stessi, che possono anche essere peccatori, ma per l'ufficio sacro che essi esercitano. Esso soli, infatti consacrano sull'altare il santissimo corpo e sangue del Signore, lo ricevono e lo amministrano agli altri.
Di una cosa dobbiamo essere assolutamente certi: che non ci possiamo salvare se non per mezzo di Cristo, accogliendole sue parole, che i sacerdoti, e non altri, proclamano e diffondono.
Coloro poi che hanno rinunciato ad occuparsi delle cose del mondo, senza trascurare i doveri comuni a tutti i cristiani, hanno assunto l'impegno di aspirare a cose più alte.
Noi dobbiamo combattere contro il nostro io, i nostri vizi e i nostri peccati, perché, come dice il Signore: è dal cuore dell'uomo che vengono tutti i pensieri malvagi che portano al male. Ci siamo impegnati ad osservare non solo i precetti, ma anche i consigli del Signore. La carità perfetta alla quale aspiriamo deve estendersi anche, a particolarmente, ai nostri nemici, a quelli che ci odiano. Dobbiamo mantenere fede all'impegno della santa obbedienza, in tutto ciò che non è peccato. Ma colui al quale è affidato il compito di comandare ed è ritenuto come superiore, si reputi il più piccolo e chi comanda diventi il servo di tutti i fratelli. Si comporti con bontà verso di loro, come vorrebbe si facesse con lui se si trovasse al loro posto. Non si lasci vincere dall'ira contro il fratello che ha commesso qualche errore, ma con pazienza e umiltà lo aiuti a correggersi.
Evitiamo di cercare continuamente nella semplicità, nell'umiltà e nella purezza della vita.
Non è proprio il caso di avere troppi riguardi per la nostra personalità, poiché il peccato ha corrotto l'uomo e lo ha reso misero e ripugnante, tantoché il salmista non esita a paragonare se stesso ad un verme, quando dice: Sono un verme, non un uomo, infamia degli uomini e rifiuto del mio popolo (Sal. 21, 7).
Mai dobbiamo desiderare di contare più degli altri, ma piuttosto di essere gli ultimi e al servizio di tutti gli uomini per amore di Dio.
L'intimità con Dio
Su tutti coloro che così faranno e saranno perseveranti sino alla fine scenderà lo Spirito del Signore, abiterà con loro e saranno figli del Padre Celeste, suoi collaboratori, sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo.
Siamo realmente sposi di Cristo quando l'anima fedele è congiunta a lui per mezzo dell'amore che ci dono lo Spirito Santo; suoi fratelli quando insieme a lui facciamo la volontà del Padre suo che è in cielo; madri quando lo portiamo in noi con amore e con coscienza schietta e lo generiamo per mezzo delle opere buone che devono illuminare agli altri con l'esempio.
Non c'è nulla di più glorioso, santo e grande che avere un Padre nel cielo; niente più santo, confortante, bello e ammirabile che avere un simile sposo, non c'è gioia più grande, pensiero più rassicurante, consolazione che rechi maggior pace, dolcezza aspirazione più alta, che avere un fratello il quale diede la vita per noi e per noi pregò il Padre dicendo : Padre santo, conserva uniti a te quelli che mi ahi affidato. Padre, tu li hai scelti da questo mondo; erano tuoi e tu li ahi dati a me. Anche le parole che ut mi hai affidato io le ho comunicate a loro. Esso le hanno accolte e hanno riconosciuto senza esitare che io provengo da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo. Io offro me stesso in sacrificio per loro, perché anch'essi siano veramente consacrati a te e siano una cosa sola come noi. Padre, benedicili e santificali. Voglio che dove sono io siano anche essi, affinché vedano la mia gloria nel tuo regno (Gv. 17). Poiché egli ha tanto sofferto per noi, ci ha fatto tanto bene e tanto cé ne riserva per l'avvenire, è giusto che ogni creatura renda al Signore la lode, la gloria, l'onore e la benedizione, perché sua è la forza e la potenza, egli solo è buono, il solo altissimo, il solo onnipotente e ammirevole, glorioso e santo, degno di lode e benedetto per l'infinità dei secoli; Amen.
La schiavitù del peccato
Ma tutti coloro che non cambiano vita, che non la orientano verso Dio, che non ricevono il corpo e il sangue del Signore, che vivono nei peccati e seguono le loro cattive inclinazioni, che non mantengono quanto hanno promesso a Dio, che si preoccupano unicamente degli interessi di questo mondo, che si fanno ingannare dalle idee seminte dal demonio e le incarnano nella loro vita, costoro sono come ciechi, perché non conoscono la luce vera che è Cristo Signore. Non possiedono la sapienza di Dio, poiché non hanno in sé lui che è la sapienza del Padre. Parla di loro la Scrittura quando dice: La loro sapienza è finita nel nulla. Non vedono e non conoscono, non vogliono capire; così fanno solo il male e consapevolmente perdono la loro anima. Cercate di conoscere, o ciechi, quali sono i vostri veri nemici: il demonio, le vanità del mondo e voi stessi, perché, come dice il Vangelo: è dal cuore dell'uomo che vengono tutti i vizi e i peccati (MT. 15, 18).Comportandovi in questo modo, non guadagnate nulla che abbia veramente valore in questa vita e non ne acquisterete nell'altra. Vi illuderete di godervi a lungo i beni di questo mondo, ma vi ingannate, perché improvvisa verrà l'ora della vostra morte.
Ironia di una vita sbagliata
Arriva la malattia, si avvicina la morte. La moglie e i figli fingono di piangere ma, più che altro, si preoccupano dei beni del moribondo. Egli si lascia commuovere, vedendoli addolorati e, ingannato, pensa tra sé: Ecco io affido me stesso e tutte le mie cose nelle vostre mani. In questo modo determina la propria rovina; perché, come dice il Signore: È sventurato l'uomo che confida negli altri uomini (Ger. 17, 5). Viene chiamato il sacerdote e gli dice:"Vuoi ricevere l'assoluzione di tutti i tuoi peccati?".
Risponde:"Certo che lo voglio".
"Vuoi riparare a tutto il male che hai fatto e restituire, per quanto ti è possibile, ciò che hai rubato?"
Risponde: "Questo non lo posso fare"."Perché no?"
"Perché ho già lasciato tutto nelle mani dei miei parenti e dei miei amici".
E in questo momento perde l'uso della parola e muore con il rimorso nel cuore. Non dobbiamo dimenticare questa realtà: quando qualcuno muore in peccato grave, senza aver riparato, se poteva, il male commesso, la sua anima cade in potere del demonio. E soltanto in quel momento sarà in grado di capire tutta la gravità della sua situazione: tutto ciò che credeva di possedere, i beni e le capacità, la scienza e la furbizia, tutto gli viene tolto. Parenti ed amici pensano soltanto a dividersi le sue sostanze e, magari, inveiscono contro di lui, perché non aveva accumulato abbastanza roba da lasciare a loro. Il corpo se lo rodono i vermi e l'anima é condannata per sempre.

Benedizione
Io, frate Francesco, il servo di tutti, nel nome di Dio che è sommo amore, pronto a baciarvi i piedi, prego e scongiuro coloro ai quali perverrà questa lettera di accogliere e mettere in pratica queste e le altre parole del Signore nostro Gesù Cristo, con amore e umiltà. E tutti quelli che così le accoglieranno, rifletteranno su di esse e le faranno conoscere ad altri, purché rimangano fedeli sino alla fine nell'osservarle, siano benedetti dal Signore, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen. 

AMDG et BVM

4 ottobre: SERAFICO PADRE SAN FRANCESCO D'ASSISI, Patrono d'Italia



4 OTTOBRE
SAN FRANCESCO D'ASSISI,  CONFESSORE


La conformazione a Cristo.
Nella lettera ai Romani l'Apostolo san Paolo ci dà la regola di ogni santità con le parole: "Quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imagines Filii sui..." (Rom 8,29). Conformarci al divino modello, che si chiama Gesù.. È la conformità al Figlio di Dio, acquistata con la virtù, che fa i santi.

Celebriamo oggi un Santo, che fu copia ammirabile di Cristo Gesù, che il Sommo Pontefice Leone XIII chiama il più bello dei santi, che Papa Pio XI ci presenta come il santo che pare aver meglio compreso il Vangelo e conformata la vita al divino modello.
San Francesco infatti è un altro Cristo. Ha cercato Cristo, lo ha seguito, lo ha amato, lo ha dato agli altri, Cristo Gesù è tutta la sua vita. Non ci fermiamo sulle tradizioni graziose che vogliono che Francesco sia nato in una stalla, come Gesù, e su un poco di paglia; noi lo vediamo, giovane, arrestarsi improvvisamente in mezzo ai suoi sogni di piaceri e di feste, mentre pensa ad imprese cavalleresche, perché il Cristo di S. Damiano gli parla: "Francesco, che cosa vale di più? Servire il padrone o il servitore?". Francesco è affascinato da queste parole, comincia una vita nuova, apre il Vangelo e vi cerca Cristo cui consacrarsi interamente.
 
Amore del Vangelo.
Egli fa del Vangelo il suo nutrimento e, trovandovi una celeste soavità, esclama: "Ecco quello che da molto tempo cercavo!". Il Vangelo è suo sostegno, sua consolazione, rimedio a tutte le sofferenze, nelle prove non vuole altro conforto e un giorno dirà ai suoi frati: "Sono saturo di Vangelo, sono pieno di Vangelo". Il Vangelo diventa sua vita e quando vuole dare ai suoi frati una regola, scrive nelle prime pagine: "La regola e la vita dei Frati Minori è questa: osservare il santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo".
Povertà.
Ma il Vangelo è la storia dell'abbassamento del Figlio di Dio fino a noi e del suo amore per le nostre anime, è il Cristo povero, umile, piccolo, compassionevole e misericordioso, il Cristo Apostolo, il Cristo che ci ama e muore per noi. San Francesco, che lo ha scelto come regola di vita, lo vive alla lettera. Sull’esempio di Gesù, egli abbraccia la povertà e, davanti al Vescovo di Assisi si spoglia delle sue vesti, le restituisce al padre dicendo: "Adesso potrò veramente dire: Padre nostro, che sei nei cieli". E comincia la sua vita di povertà, povertà gioiosa e tutta piena di sole, non la povertà gelosa e afflitta, che troppo spesso vediamo nel mondo, povertà volontaria e amata. Va a tendere la sua mano delicata per le vie di Assisi ed è respinto come se fosse un pazzo, ma resta l'amante della povertà e, al momento della morte, è sua consolazione suprema essere stato fedele a "Madonna Povertà".
 
Umiltà.
Il Vangelo è Gesù Cristo umile e piccolo: parvus Dominus, il Grande piccolo Gesù, come lo chiama san Francesco. Egli medita questo insegnamento e si fa "l’umile Francesco", come lo chiamo l'autore dell'Imitazione. Si considera l'ultimo degli uomini, il più vile peccatore, e soffrire, essere disprezzato è per lui gioia perfetta e dà ai suoi figli il nome di Minori, cioè piccoli.
 
Misericordia.
Il Vangelo è Gesù Cristo compassionevole e misericordioso e, sul suo esempio, il cuore di Francesco è tutto pieno di misericordia. San Bonaventura, scrivendo la sua vita, ci dice: "La benignità, la bontà del nostro Salvatore Gesù Cristo è apparsa nel suo servo Francesco". Egli stesso, all'inizio del suo testamento, scrive: "Il Signore mi fece la grazia di cominciare a fare penitenza, perché quando ero nel peccato mi sembrava troppo amaro vedere dei lebbrosi, ma fui verso di loro misericordioso e quello che mi pareva amaro diventò per me dolcezza dell'anima e del corpo".
Francesco era misericordioso verso tutti i miseri e alla Tribuna del Parlamento italiano gli fu resa questa testimonianza: "Se san Francesco di Assisi non ha fondato istituzioni di carità, ha versato nel mondo tale una corrente di carità, che dopo sette secoli, nessuna opera di carità è stata fondata senza che egli ne sia stato ispiratore".
 
Apostolato.
Il Vangelo è Gesù Cristo apostolo. Egli è venuto perché gli uomini sentissero la parola di vita e con quale amore lascia cadere dal suo labbro le sue intenzioni divine! E Francesco, sulle orme di Cristo, si fa apostolo, traccia nell'aria il segno della Croce e manda i suoi discepoli ai quattro angoli del mondo. Egli ha capito bene le parole di Gesù: "Andate e insegnate a tutte le nazioni". Primo fra tutti i fondatori di Ordini moderni, manda i suoi figli nelle regioni infedeli e quando, dopo qualche mese, viene a sapere che cinque di essi hanno colto, nel Marocco, la palma del martirio, esclama con gioia: "Finalmente ho dei Vescovi!" I suoi vescovi erano i martiri. Dopo aver fondata l'opera sua, non sogna per sé che di offrire a Gesù la testimonianza del sangue e tre volte passa i mari, va a predicare Cristo fino alla presenza del Sultano infedele, ma Dio gli riserva un altro martirio per il giorno in cui gli manderà un Angelo a incidergli nelle sue carni le piaghe del divino Crocifisso.
 
Il dono di sé.
Il Vangelo è Gesù, che si dona e si immola e, come Gesù, Francesco si dona a sua volta. "Questo povero, piccolo uomo, dice san Bonaventura, non aveva che due cosa da offrire: il suo corpo e la sua anima". Dona a Dio il suo corpo con la penitenza e sappiamo come egli trattasse il suo corpo. Aveva diviso l'anno in nove quaresime successive, si contentava di pane secco e si rifiutava anche l'acqua necessaria alla sua sete, per non cedere alla sua sensualità. Era suo letto la terra nuda, suo cuscino un tronco di quercia e, tormentato spesso da malattie, ringraziava il Signore perché non lo risparmiava. Chiedeva a Dio di soffrire cento volte di più, se era sua volontà. Dava poi a Dio la sua anima con la preghiera e con lo zelo.
Ma san Francesco non è soltanto discepolo fedele di Cristo, perché copia la vita e le virtù del Maestro, ma è soprattutto il Santo dell'amore serafico. Egli è entrato nel Cuore di Gesù, ha compreso il Cuore di Gesù e gli rende amore per amore.
 
Amore dell’Eucaristia.
Con l'amore del Vangelo, un altro amore consuma il cuore di Francesco: l'amore dell'Eucaristia! Il mistero eucaristico era fatto apposta per  attirare la sua anima serafica! Un Dio disceso dal cielo per salvarci, fattosi carne in forma umana e morto sul Calvario come un delinquente, si abbassa ancora fino a prendere la forma di una piccola ostia, per unirsi a noi e farsi nostro cibo; un Dio, che, dopo la follia della Croce, giunge alla follia dell'Eucaristia e sta imprigionato nel tabernacolo, per attenderci e per riceverci, è un mistero ineffabile, che desta l'ammirazione delle anime amanti. Francesco, il grande amante del Vangelo, in cui trovava la parola vivente ed eterna di Gesù, il grande amante della Croce, in cui vede l'amore sacrificato, ama pure l'ostia dove è l'amore vivente, l'amore che si dona, l'amore che attira e trasforma le anime generose e pure! Per l'ostia egli corre a riparare i tabernacoli, per l'ostia va per le campagne a ripulire e ornare le chiese povere e abbandonate, per l'ostia dimentica la povertà e manda i frati a disporre sugli altari vasi d'oro e d'argento, per l'ostia si prostra lungo la via, quando vede spuntare la guglia di un campanile e passa ore davanti al tabernacolo, tremante per il freddo, in adorazione e in amore. Fa celebrare la Messa tutti i giorni e con fervore si comunica tutti i giorni.
In un'epoca in cui spesso il sacerdozio è avvilito, ricorda ai sacerdoti la loro grandezza. "Il vedo in essi il Figlio di Dio" e si mette in ginocchio davanti al sacerdote, e gli bacia le mani. Egli, il piccolo diacono, che si giudica indegno di salire l'altare, scrive a cardinali, a vescovi, a principi: "Vi prego, miei signori, baciando le vostre mani, fate in modo che il Corpo di Gesù sia trattato degnamente e da tutti debitamente rispettato". E Francesco prepara all'ostia anime adoratrici, circonda di anime vergini il tabernacolo con le Clarisse e ciborio, giglio, corona di spine diventano le armi di S. Damiano.
Vangelo, Croce, Eucaristia sono i grandi amori, che formano l'anima di Francesco, il segreto della sua azione nella Chiesa. Dopo aver cercato Gesù, dopo aver vissuto di Lui, dopo averlo amato, Francesco poteva attendere la morte, senza averne paura,. La grande Teresa d'Avila, mentre stava per morire esclamava: "È tempo di vederci, Gesù mio!". Francesco, nelle stese circostanze, si mette a cantare: "Voce mea ad Dominum clamavi, ad Dominum deprecatus sum. Chiamo il Signore con tutta la mia voce e prego il mio Signore". "Me exspectant iusti... I giusti mi attendono, essi vogliono essere testimoni della ricompensa che Dio mi darà" (Sal 140,1).
Quale incontro sarà quello dell'anima di Francesco con il Signore! Ricordiamo il quadro del Murillo, che ci presenta Cristo mentre stacca un braccio dalla croce e attirà a sé l'umile Francesco, per stringerlo al cuore. È questa la morte di Francesco. Con uno slancio sublime l'anima sua si getta tra le braccia di Dio e va a godere l'amore, che non ha fine.

VITA. - Francesco nacque ad Assisi nel 1182 e fin dalla giovinezza si mostrò caritatevole verso i poveri. Una malattia fu l'inizio di una vita di perfezione e risolvette di dare tutto quanto possedeva. Suo padre pretese la rinuncia all'eredità e Francesco rinunciò volentieri, spogliandosi tosto anche degli abiti che indossava. Fondò con alcuni compagni l'Ordine dei Frati Minori, che ebbe l'approvazione di Papa Innocenzo III. Francesco mandò i suoi religiosi a predicare dappertutto ed egli stesso, desideroso del martirio, partì per la Siria, ma avendo raccolto soltanto onori, tornò in Italia dove fondò presso la Chiesa di S. Damiano un Ordine di vergini, sotto la direzione di santa Chiara, e il Terz'Ordine, per dare anche alle persone viventi nel mondo un mezzo efficace di santificazione nella pratica delle virtù religiose. Nel 1224, mentre pregava sul monte Alvernia, gli apparve un serafino, che impresse nel suo corpo le piaghe di Crocifisso, in segno dell'amore che il santo nutriva per il Signore. Due anni dopo Francesco, molto ammalato, si fece portare alla chiesa di S. Maria degli Angeli e vi morì dopo aver esortato i suoi frati Minore ad amare la povertà, la pazienza e a difendere la fede della Chiesa Romana. Gregorio IX, che lo aveva conosciuto profondamente, lo iscrisse poco appresso nel catalogo del Santi.

Preghiera di san Francesco.
"Grande e magnifico Dio, mio Signore Gesù Cristo! Io ti supplico di darmi luce, di rischiarare le tenebre dell'anima mia. Dammi fede retta, speranza sicura, carità perfetta. Concedimi, o Signore, di conoscerti bene, per poter in tutte le cose agire nella tua luce secondo la tua volontà".

La Chiesa in rovina.
Così tu pregavi spesso e a lungo davanti al Crocifisso della vecchia chiesa di S. Damiano. E un giorno dal Crocifisso scese una voce che solo il tuo cuore poteva percepire e diceva: "Va', Francesco, ricostruisci la mia casa, che sta per crollare". E tu, tremante e felice insieme, rispondesti: "Andrò con gioia, o Signore, a fare quanto mi chiedi!".
La casa che stava per crollare era senza dubbio la vecchia e solitaria cappella di S. Damiano, ma il Signore pensava soprattutto alle rovine, accumulatesi nel corso degli ultimi secoli nella sua Chiesa.

L'Ordine dei Minori.
Il Papa, che lo aveva compreso, approvò l'Ordine dei Minori, che con il suo fervore, il suo amore per la povertà, lo zelo apostolico, non solo avrebbe riparato le rovine della Chiesa di Cristo, ma sarebbe andato a  costruire nuove cristianità nelle terre infedeli, col sangue dei migliori suoi figli.
Dalla gloria del cielo, dove il Signore ti concede ora così grande e gloriosa ricompensa, degnati, o san Francesco, di non dimenticare la Chiesa per cui non hai risparmiato fatiche.
Aiuta i tuoi figli, che proseguono l'opera tua nel mondo intero, e possano essi crescere in numero e in santità, prodigandosi sempre nell'insegnamento con la parola e con l'esempio.
Prega per tutto lo stato religioso, che acclama in te uno dei suoi Patriarchi illustri e tu, amico di san Domenico, mantieni tra le due famiglie quella fraternità, che non venne mai a mancare, conserva per l'Ordine Benedettino i sentimenti, che sono in questo giorno la tua gioia, stringendo ancora e legami, che il dono della Porziuncola ha annodato per l'eternità con i tuoi benefici (Porziuncola era una piccola proprietà dei Benedettini del Monte Subasio, ceduta a san Francesco, per essere la culla del suo Ordine).

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, Alba, 1959, p. 1138-1144

S. Giovanni Crisostomo, S. Girolamo e....l'Anticristo


LEGGENDO I SANTI PADRI

S. Giovanni Crisostomo (4-5° secolo - Padre e Dottore della Chiesa)

"Nello stesso modo in cui furono distrutti quei regni (quello dei babilonesi dai persiani, quello dei persiani dai greci, quello dei greci dai romani) che erano esistiti prima dell’Impero Romano, così l’Impero Romano sarà distrutto dall’Anticristo. Questo accadrà quando l’Impero Romano sarà stato diviso in dieci regni". [c]

"«Solo allora» dice [S. Paolo in 2 Tes 2,8] «sarà rivelato l'empio». E dopo di ciò? La consolazione è vicina. «Il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della Sua bocca e lo annienterà all'apparire della Sua venuta, l'iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di Satana»". [h]
IV omelia sulla seconda lettera ai Tessalonicesi

"«Quando tutti i Gentili, dice egli [San Paolo], saranno entrati, allora tutto Israele sarà salvato», al tempo della Sua seconda venuta, alla fine del mondo". [c]

"Il mondo sarà senza fede e degenerato dopo la nascita dell’Anticristo. L’Anticristo sarà posseduto da Satana e sarà il figlio illegittimo di una donna ebrea proveniente dall’Est.". [a, b, d]

"Giovanni...è precursore della prima venuta di Cristo, Elia...precursore della seconda venuta di Cristo". [i]
Panegirici su S. Paolo, Città Nuova Editrice

"Ma chi è egli [l’Anticristo]? E’ Satana? Niente affatto, ma è qualcuno che permette che [Satana] operi in lui pienamente. Perché si tratta di un uomo, «e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto» [cfr. 2 Tes 2,4]. Egli non introdurrà l’idolatria, ma sarà una sorta di oppositore di Dio; abolirà tutti gli dei, ordinerà agli uomini di adorare lui anziché Dio e siederà nel tempio di Dio, non solo in quello di Gerusalemme ma anche in ogni chiesa [...] Compirà grandi opere e mostrerà segni prodigiosi". [h, l]
III omelia su II Tessalonicesi
Nicene And Post-Nicene Fathers, Vol. 13, edited by Philip Schaff, D.D., LL.D., Wm. B. Eerdmans Publishing Company

"«Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’Uomo» [cfr. Mt 24,30], cioè la croce che sarà più splendente del sole [...] Ma perché appare questo segno? Perché l’impudenza degli ebrei possa essere abbondantemente tacitata [gli ebrei, che non accolsero Cristo alla sua prima venuta, per metterlo alla prova gli domandarono un segno dal cielo (cfr. Lc 11,16; Mc 8,11); N.d.R.]". [h, l]
LXXVI omelia sul Vangelo di Matteo
Nicene And Post-Nicene Fathers, Vol. 10, edited by Philip Schaff, D.D., LL.D., Wm. B. Eerdmans Publishing Company




S. Girolamo (4-5° secolo - Padre della Chiesa)

"[...] dichiariamo ciò che gli autori ecclesiastici ci hanno tramandato: alla consumazione del mondo, quando il Regno dei Romani sarà stato distrutto, quando dieci re avranno diviso fra di loro il territorio dei Romani, ne sorgerà un undicesimo [re] da un piccolo regno… quando [quest’ultimo] avrà vinto tre dei dieci re, cioè il re degli egiziani, quello degli africani, e quello degli etiopi, che successivamente … egli ucciderà, gli altri sette re si assoggetteranno al vincitore". [c]

"E neanche pensiamo che egli sia il Diavolo o un demone (come alcuni altri pensano), ma uno dell’umanità [un uomo] in cui Satana abiterà totalmente ... proferendo la sua bocca grande vanto, perché egli è l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, tanto che siederà nel tempio come se fosse Dio". [c]
Corpus Christianorum, Series Latina, Vol. LXXV A, S. Heironymi Presbyteri Opera, Pars I, Commentariorum in Danielem

"Satana eserciterà la sua influenza su tutte le facoltà dell’Anticristo, sia su quelle del corpo che dell’anima - cioè sulla sua volontà, il suo intelletto e la sua memoria". [c]
Commentariorum in Danielem

"«Io sono venuto a voi nel nome del Padre mio e non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, voi lo riceverete» (Gv 5,43). Non c’è dubbio che in «quest’altro» che Gesù dice che verrà di propria autorità e che sarà ricevuto dai Giudei, Egli intendesse parlare dell’Anticristo". [i]
Epistola CLI ad Algasiam., quest. II; Commentariorum in Danielem, 11,24




Beati Martiri Cattolici del Brasile

Beati Martiri Cattolici del Brasile (3 ottobre – 16 luglio)
† Cunhaú (Brasile), 16 luglio 1645 e Uruaçu (Brasile), 3 ottobre 1645

Padre Andre Soveral, gesuita brasiliano nato nel 1572 e martirizzato il 16 luglio 1645, nella cappella della Madonna delle Candele a Cunhau, assieme ai suoi fedeli, da una truppa di soldati olandesi.
Padre Ambrosio Francisco Ferro, martirizzato il 3 ottobre 1645, assieme ai suoi parrocchiani, dopo diverse torture, da soldati olandesi e da 200 indios, comandati dal loro capo Antonio Paraopaba.
Martirologio Romano: 16 luglio: Nella città di Cunhaú vicino a Natal in Brasile, Beati Andrea de Soveral, sacerdote della Compagnia di Gesù, e Domenico Carvalho, martiri, che, mentre si celebrava la Messa, furono rinchiusi in chiesa con l’inganno insieme alla folla dei fedeli e atrocemente uccisi.
3 ottobre: Sulla riva del fiume Uruaçu vicino a Natal in Brasile, Beati Ambrogio Francesco Ferro, sacerdote, e compagni, martiri, vittime della repressione perpetrata contro la fede cattolica.

 

Il cristianesimo in generale e il cattolicesimo in particolare, possono annoverare nella loro esistenza millenaria, una sfilata di martiri di ogni età, sesso e condizione sociale, che per l’affermarsi nel mondo pagano della nuova religione di fratellanza, uguaglianza, pace e serenità nei cuori e nel sociale, in nome di Cristo versarono in ogni tempo il loro sangue, soffrendo indicibili dolori fisici e morali.
Se tutto questo soffrire, proveniente dai pagani o da religioni diverse dai seguaci di Cristo, alla fine si poteva mettere nel conto, prevedendo la reazione di quanti avevano interesse a non sconvolgere il loro potere sulle masse ciecamente osservanti.
Tanto più odioso è lo scatenarsi sanguinario e persecutorio, di cristiani contro altri cristiani, divisi da interpretazioni dottrinarie, predicate da riformatori sia del clero che laici, succedutasi nei secoli e che hanno portato l’unico grande albero della Chiesa di Cristo, a dividersi in tanti rami scismatici e riformati, che tanto hanno nociuto all’unità del Cristianesimo.
Il movimento riformatore dei Calvinisti, nato dalle idee teologiche e politico-religiose di Giovanni Calvino (1509-1564), fu uno di questi, che nell’intenzione di portare i laici ad una larga e diretta partecipazione alla vita ecclesiastica, costituendo comunità politico-religiose, fortemente omogenee al loro interno, grazie alla stretta dipendenza del potere politico dall’autorità religiosa, si associò in primo piano alle conquiste coloniali nel mondo, fomentando ribellioni e persecuzioni contro i cattolici già presenti in quelle terre.
E in questo panorama qui tracciato in generale, va inquadrata la vicenda del martirio dei 30 cattolici del Brasile, beatificati il 5 marzo 2000 da Papa Giovanni Paolo II.
L’evangelizzazione nel Rio Grande do Norte, Stato del Nord-Est del Brasile, fu iniziata nel 1597 da missionari Gesuiti e sacerdoti diocesani, provenienti dal cattolico Portogallo; cominciando con la catechesi degli indios e con la formazione delle prime comunità cristiane.
Negli anni seguenti ci furono sbarchi di Francesi e Olandesi, intenzionati a scalzare dai luoghi colonizzati i Portoghesi; nel 1630 gli Olandesi ci riuscirono nella regione del Nord-Est, essi di religione calvinista e accompagnati dai loro pastori, determinarono nella zona fino allora pacifica, una conflittualità per cui ci fu una restrizione della libertà di culto e i cattolici furono perseguitati.
In questo contesto avvennero i due episodi del martirio dei Beati di cui parliamo; allora nel Rio Grande do Norte, c’erano soltanto due parrocchie, a Cunhaú la parrocchia della Madonna della Purificazione o delle Candele, guidata dal parroco don Andrea de Soveral e a Natal, la parrocchia della Madonna della Presentazione con parroco don Ambrogio Francesco Ferro.
Ambedue le parrocchie furono vittime della dura persecuzione religiosa calvinista; vi sono pochissime notizie riguardanti i martiri singolarmente, ma i vari scrittori del secolo XVII narrarono gli episodi dettagliatamente.
Cunhaú, 16 luglio 1645
Padre Andrea de Soveral il parroco, nacque verso il 1572 a Säo Vicente, nell’Isola di Santos; studiò nel Collegio dei Bambini di Gesù, fondato dai Gesuiti nel 1553.
A 21 anni entrò nella Compagnia di Gesù facendo il Noviziato nel Collegio di Bahia; da lì dopo aver completato gli studi di latino e teologia, fu mandato a Olinda in Pernambuco, centro missionario per la catechesi degli indios di tutta la vasta regione.
Nel 1606 era fra gli indios del Rio Grande do Norte, insieme a padre Diego Nunes. Poi dal 1607 uscito dai Gesuiti, divenne membro del clero diocesano e parroco di Cunhaú, all’epoca del martirio aveva 73 anni.
Era domenica 16 luglio 1645, e come era solito, padre Andrea de Soveral aveva riunito nella chiesa della Parrocchia della Madonna delle Candele o della Purificazione, i fedeli per la celebrazione della Messa.
I circa 69 fedeli erano in maggior parte contadini e operai nella lavorazione della canna da zucchero, tutti di Cunhaú; all’inizio della celebrazione si presentò in chiesa il tedesco Jacó Rabe, persona crudele e senza scrupoli, dicendo che aveva disposizioni da dare per conto del Supremo Consiglio Olandese di Recife, che avrebbe comunicato alla fine della Messa.
Ma dopo la consacrazione una schiera di soldati olandesi con parecchi indios delle tribù dei ‘Tapuias’ e dei ‘Patiguari’ tutti armati, precipitatosi nel tempio chiusero le porte attaccando ferocemente gli indifesi fedeli.
Padre Andrea de Soveral comprese le loro intenzioni, interruppe la celebrazione e intonò pregando con loro le preghiere degli agonizzanti; furono tutti massacrati a colpi di spada, meno cinque fedeli portoghesi che furono presi in ostaggio e portati al Forte olandese dei Re Magi.
I nomi di questi cinque ostaggi sono noti e riportati dai cronisti dell’epoca, di tutti i numerosi martiri invece oltre che il parroco, si conosce il nome di uno solo, il laico Domingos Carvalho, al quale furono prese numerose monete d’oro e una catena, che furono contate e divise poggiate sul suo corpo; i cadaveri furono depredati di abiti e oggetti e i barbari assassini fecero gran festa a modo loro.
Uruaçu, 3
 ottobre 1645
Presi dal terrore di quanto accaduto a Cunhaú, i cattolici di Natal, cercarono di mettersi in salvo rifugiandosi in alcuni improvvisati rifugi, ma fu tutto inutile.
Insieme al loro parroco don Ambrogio Francesco Ferro, furono inviati dalle autorità olandesi in un posto stabilito ad Uruaçu, dove erano attesi da soldati e da circa 200 indios comandati dal capo indigeno Antonio Paraopaba, il quale convertito al protestantesimo calvinista, aveva una vera e propria avversione verso i cattolici.
I parrocchiani e il loro sacerdote, furono seviziati in modo orribile e lasciati morire fra inumane mutilazioni, che anche il cronista dell’epoca ebbe vergogna a descrivere dettagliatamente.
Di tutti questi numerosi gruppi di fedeli martirizzati, le Autorità ecclesiastiche cercarono di conoscere i nomi, riuscendoci solo per 30 di loro e nel 1989 fu avviata la Causa di Beatificazione, giunta poi alla proclamazione del 5 marzo 2000.
Essi sono:
Uccisi a Cunhaú (celebrazione liturgica 16 luglio)
Padre Andrea de Soveral parroco, Domingo Carvalho laico.
Uccisi a Uruaçu (celebrazione liturgica 3 ottobre)
Don Ambrogio Francesco Ferro parroco;
Antonio Vilela il giovane; Giuseppe do Porto; Francisco de Bastos; Diego Pereira; João Lostau Navarro; Antonio Vilela Cid; Estévão Machado de Miranda; Vicente de Souza Pereira; Francisco Mendes Pereira; João da Silveria; Simão Correia; Antonio Baracho; Mateus Moreira; João Martins; Manuel Rodrigues Moura; la moglie di Manuel Rodrigues; la figlia di Antonio Vilela il giovane; la figlia di Francisco Dias il giovane; 7 giovani compagni di João Martins; 2 figlie di Estévão Machado de Miranda. I loro resti mortali, sono venerati nei luoghi del loro martirio in Brasile. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. - Beati Martiri Cattolici del Brasile, pregate per noi.  

L'IMPORTANZA DEL DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI: ...una piccola chiacchierata sul Concilio Vaticano II, come io l’ho visto.




INCONTRO CON I PARROCI E IL CLERO DI ROMA
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Aula Paolo VI

Giovedì, 14 febbraio 2013



Eminenza, 

cari fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio!



E’ per me un dono particolare della Provvidenza che, prima di lasciare il ministero petrino, possa ancora vedere il mio clero, il clero di Roma. E’ sempre una grande gioia vedere come la Chiesa vive, come a Roma la Chiesa è vivente; ci sono Pastori che, nello spirito del Pastore supremo, guidano il gregge del Signore. E’ un clero realmente cattolico, universale, e questo risponde all’essenza della Chiesa di Roma: portare in sé l’universalità, la cattolicità di tutte le genti, di tutte le razze, di tutte le culture. Nello stesso tempo, sono molto grato al Cardinale Vicario che aiuta a risvegliare, a ritrovare le vocazioni nella stessa Roma, perché se Roma, da una parte, dev’essere la città dell’universalità, dev’essere anche una città con una propria forte e robusta fede, dalla quale nascono anche vocazioni. E sono convinto che, con l’aiuto del Signore, possiamo trovare le vocazioni che Egli stesso ci dà, guidarle, aiutarle a maturare, e così servire per il lavoro nella vigna del Signore.

Oggi avete confessato davanti alla tomba di san Pietro il Credo: nell’Anno della fede, mi sembra un atto molto opportuno, necessario forse, che il clero di Roma si riunisca sulla tomba dell’Apostolo al quale il Signore ha detto: “A te affido la mia Chiesa. Sopra di te costruisco la mia Chiesa” (cfr Mt16,18-19). Davanti al Signore, insieme con Pietro, avete confessato: “Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo” (cfr Mt 16,15-16). Così cresce la Chiesa: insieme con Pietro, confessare Cristo, seguire Cristo. E facciamo questo sempre. Io sono molto grato per la vostra preghiera, che ho sentito – l’ho detto mercoledì – quasi fisicamente. Anche se adesso mi ritiro, nella preghiera sono sempre vicino a tutti voi e sono sicuro che anche voi sarete vicini a me, anche se per il mondo rimango nascosto.

Per oggi, secondo le condizioni della mia età, non ho potuto preparare un grande, vero discorso, come ci si potrebbe aspettare; ma piuttosto penso ad una piccola chiacchierata sul Concilio Vaticano II, come io l’ho visto. Comincio con un aneddoto: io ero stato nominato nel ’59 professore all’Università di Bonn, dove studiano gli studenti, i seminaristi della diocesi di Colonia e di altre diocesi circostanti. Così, sono venuto in contatto con il Cardinale di Colonia, il Cardinale Frings. Il Cardinale Siri, di Genova – mi sembra nel ’61 - aveva organizzato una serie di conferenze di diversi Cardinali europei sul Concilio, e aveva invitato anche l’Arcivescovo di Colonia a tenere una delle conferenze, con il titolo: Il Concilio e il mondo del pensiero moderno.

Il Cardinale mi ha invitato – il più giovane dei professori – a scrivergli un progetto; il progetto gli è piaciuto e ha proposto alla gente, a Genova, il testo come io l’avevo scritto. Poco dopo, Papa Giovanni lo invita ad andare da lui e il Cardinale era pieno di timore di avere forse detto qualcosa di non corretto, di falso, e di venire citato per un rimprovero, forse anche per togliergli la porpora. Sì, quando il suo segretario lo ha vestito per l’udienza, il Cardinale ha detto: “Forse adesso porto per l’ultima volta questo abito”. Poi è entrato, Papa Giovanni gli va incontro, lo abbraccia, e dice: “Grazie, Eminenza, lei ha detto le cose che io volevo dire, ma non avevo trovato le parole”. Così, il Cardinale sapeva di essere sulla strada giusta e mi ha invitato ad andare con lui al Concilio, prima come suo esperto personale; poi, nel corso del primo periodo - mi pare nel novembre ’62 – sono stato nominato anche perito ufficiale del Concilio.

Allora, noi siamo andati al Concilio non solo con gioia, ma con entusiasmo. C’era un’aspettativa incredibile. Speravamo che tutto si rinnovasse, che venisse veramente una nuova Pentecoste, una nuova era della Chiesa, perché la Chiesa era ancora abbastanza robusta in quel tempo, la prassi domenicale ancora buona, le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa erano già un po’ ridotte, ma ancora sufficienti. Tuttavia, si sentiva che la Chiesa non andava avanti, si riduceva, che sembrava piuttosto una realtà del passato e non la portatrice del futuro. E in quel momento, speravamo che questa relazione si rinnovasse, cambiasse; che la Chiesa fosse di nuovo forza del domani e forza dell’oggi. E sapevamo che la relazione tra la Chiesa e il periodo moderno, fin dall’inizio, era un po’ contrastante, cominciando con l’errore della Chiesa nel caso di Galileo Galilei; si pensava di correggere questo inizio sbagliato e di trovare di nuovo l’unione tra la Chiesa e le forze migliori del mondo, per aprire il futuro dell’umanità, per aprire il vero progresso. Così, eravamo pieni di speranza, di entusiasmo, e anche di volontà di fare la nostra parte per questa cosa. Mi ricordo che un modello negativo era considerato il Sinodo Romano. Si disse - non so se sia vero – che avessero letto i testi preparati, nella Basilica di San Giovanni, e che i membri del Sinodo avessero acclamato, approvato applaudendo, e così si sarebbe svolto il Sinodo. I Vescovi dissero: No, non facciamo così. Noi siamo Vescovi, siamo noi stessi soggetto del Sinodo; non vogliamo soltanto approvare quanto è stato fatto, ma vogliamo essere noi il soggetto, i portatori del Concilio. Così anche il Cardinale Frings, che era famoso per la fedeltà assoluta, quasi scrupolosa, al Santo Padre, in questo caso disse: Qui siamo in altra funzione. Il Papa ci ha convocati per essere come Padri, per essere Concilio ecumenico, un soggetto che rinnovi la Chiesa. Così vogliamo assumere questo nostro ruolo.

Il primo momento, nel quale questo atteggiamento si è mostrato, è stato subito il primo giorno. Erano state previste, per questo primo giorno, le elezioni delle Commissioni ed erano state preparate, in modo – si cercava – imparziale, le liste, i nominativi; e queste liste erano da votare. Ma subito i Padri dissero: No, non vogliamo semplicemente votare liste già fatte. Siamo noi il soggetto. Allora, si sono dovute spostare le elezioni, perché i Padri stessi volevano conoscersi un po’, volevano loro stessi preparare delle liste. E così è stato fatto. I Cardinali Liénart di Lille, il Cardinale Frings di Colonia avevano pubblicamente detto: Così no. Noi vogliamo fare le nostre liste ed eleggere i nostri candidati. Non era un atto rivoluzionario, ma un atto di coscienza, di responsabilità da parte dei Padri conciliari.

Così cominciava una forte attività per conoscersi, orizzontalmente, gli uni gli altri, cosa che non era a caso. Al “Collegio dell’Anima”, dove abitavo, abbiamo avuto molte visite: il Cardinale era molto conosciuto, abbiamo visto Cardinali di tutto il mondo. Mi ricordo bene la figura alta e snella di mons. Etchegaray, che era Segretario della Conferenza Episcopale Francese, degli incontri con Cardinali, eccetera. E questo era tipico, poi, per tutto il Concilio: piccoli incontri trasversali. Così ho conosciuto grandi figure come Padre de Lubac, Daniélou, Congar, eccetera. Abbiamo conosciuto vari Vescovi; mi ricordo particolarmente del Vescovo Elchinger di Strasburgo, eccetera. E questa era già un’esperienza dell’universalità della Chiesa e della realtà concreta della Chiesa, che non riceve semplicemente imperativi dall’alto, ma insieme cresce e va avanti, sempre sotto la guida – naturalmente – del Successore di Pietro.

Tutti, come ho detto, venivano con grandi aspettative; non era mai stato realizzato un Concilio di queste dimensioni, ma non tutti sapevano come fare. I più preparati, diciamo quelli con intenzioni più definite, erano l’episcopato francese, tedesco, belga, olandese, la cosiddetta “alleanza renana”. E, nella prima parte del Concilio, erano loro che indicavano la strada; poi si è velocemente allargata l’attività e tutti sempre più hanno partecipato nella creatività del Concilio. I francesi ed i tedeschi avevano diversi interessi in comune, anche con sfumature abbastanza diverse. La prima, iniziale, semplice - apparentemente semplice – intenzione era la riforma della liturgia, che era già cominciata con Pio XII, il quale aveva già riformato la Settimana Santa; la seconda, l’ecclesiologia; la terza, la Parola di Dio, la Rivelazione; e, infine, anche l’ecumenismo. I francesi, molto più che i tedeschi, avevano ancora il problema di trattare la situazione delle relazioni tra la Chiesa e il mondo.

Cominciamo con il primo. Dopo la Prima Guerra Mondiale, era cresciuto, proprio nell’Europa centrale e occidentale, il movimento liturgico, una riscoperta della ricchezza e profondità della liturgia, che era finora quasi chiusa nel Messale Romano del sacerdote, mentre la gente pregava con propri libri di preghiera, i quali erano fatti secondo il cuore della gente, così che si cercava di tradurre i contenuti alti, il linguaggio alto, della liturgia classica in parole più emozionali, più vicine al cuore del popolo. Ma erano quasi due liturgie parallele: il sacerdote con i chierichetti, che celebrava la Messa secondo il Messale, ed i laici, che pregavano, nella Messa, con i loro libri di preghiera, insieme, sapendo sostanzialmente che cosa si realizzava sull’altare. Ma ora era stata riscoperta proprio la bellezza, la profondità, la ricchezza storica, umana, spirituale del Messale e la necessità che non solo un rappresentante del popolo, un piccolo chierichetto, dicesse “Et cum spiritu tuo” eccetera, ma che fosse realmente un dialogo tra sacerdote e popolo, che realmente la liturgia dell’altare e la liturgia del popolo fosse un’unica liturgia, una partecipazione attiva, che le ricchezze arrivassero al popolo; e così si è riscoperta, rinnovata la liturgia.

Io trovo adesso, retrospettivamente, che è stato molto buono cominciare con la liturgia, così appare il primato di Dio, il primato dell’adorazione. “Operi Dei nihil praeponatur”: questa parola dellaRegola di san Benedetto (cfr 43,3) appare così come la suprema regola del Concilio. Qualcuno aveva criticato che il Concilio ha parlato su tante cose, ma non su Dio. Ha parlato su Dio! Ed è stato il primo atto e quello sostanziale parlare su Dio e aprire tutta la gente, tutto il popolo santo, all’adorazione di Dio, nella comune celebrazione della liturgia del Corpo e Sangue di Cristo. In questo senso, al di là dei fattori pratici che sconsigliavano di cominciare subito con temi controversi, è stato, diciamo, realmente un atto di Provvidenza che agli inizi del Concilio stia la liturgia, stia Dio, stia l’adorazione. Adesso non vorrei entrare nei dettagli della discussione, ma vale la pena sempre tornare, oltre le attuazioni pratiche, al Concilio stesso, alla sua profondità e alle sue idee essenziali.

Ve n’erano, direi, diverse: soprattutto il Mistero pasquale come centro dell’essere cristiano, e quindi della vita cristiana, dell’anno, del tempo cristiano, espresso nel tempo pasquale e nella domenica che è sempre il giorno della Risurrezione. Sempre di nuovo cominciamo il nostro tempo con la Risurrezione, con l’incontro con il Risorto, e dall’incontro con il Risorto andiamo al mondo. In questo senso, è un peccato che oggi si sia trasformata la domenica in fine settimana, mentre è la prima giornata, è l’inizio; interiormente dobbiamo tenere presente questo: che è l’inizio, l’inizio della Creazione, è l’inizio della ricreazione nella Chiesa, incontro con il Creatore e con Cristo Risorto. Anche questo duplice contenuto della domenica è importante: è il primo giorno, cioè festa della Creazione, noi stiamo sul fondamento della Creazione, crediamo nel Dio Creatore; e incontro con il Risorto, che rinnova la Creazione; il suo vero scopo è creare un mondo che è risposta all’amore di Dio.


Poi c’erano dei principi: l’intelligibilità, invece di essere rinchiusi in una lingua non conosciuta, non parlata, ed anche la partecipazione attiva. Purtroppo, questi principi sono stati anche male intesi. Intelligibilità non vuol dire banalità, perché i grandi testi della liturgia – anche se parlati, grazie a Dio, in lingua materna – non sono facilmente intelligibili, hanno bisogno di una formazione permanente del cristiano perché cresca ed entri sempre più in profondità nel mistero e così possa comprendere. Ed anche la Parola di Dio – se penso giorno per giorno alla lettura dell’Antico Testamento, anche alla lettura delle Epistole paoline, dei Vangeli: chi potrebbe dire che capisce subito solo perché è nella propria lingua? Solo una formazione permanente del cuore e della mente può realmente creare intelligibilità ed una partecipazione che è più di una attività esteriore, che è un entrare della persona, del mio essere, nella comunione della Chiesa e così nella comunione con Cristo.


Secondo tema: la Chiesa. Sappiamo che il Concilio Vaticano I era stato interrotto a causa della guerra tedesco-francese e così è rimasto con una unilateralità, con un frammento, perché la dottrina sul primato - che è stata definita, grazie a Dio, in quel momento storico per la Chiesa, ed è stata molto necessaria per il tempo seguente - era soltanto un elemento in un’ecclesiologia più vasta, prevista, preparata. Così era rimasto il frammento. E si poteva dire: se il frammento rimane così come è, tendiamo ad una unilateralità: la Chiesa sarebbe solo il primato. Quindi già dall’inizio c’era questa intenzione di completare l’ecclesiologia del Vaticano I, in una data da trovare, per una ecclesiologia completa. Anche qui le condizioni sembravano molto buone perché, dopo la Prima Guerra Mondiale, era rinato il senso della Chiesa in modo nuovo. Romano Guardini disse: “Nelle anime comincia a risvegliarsi la Chiesa”, e un vescovo protestante parlava del “secolo della Chiesa”. Veniva ritrovato, soprattutto, il concetto, che era previsto anche dal Vaticano I, del Corpo Mistico di Cristo. Si voleva dire e capire che la Chiesa non è un’organizzazione, qualcosa di strutturale, giuridico, istituzionale - anche questo -, ma è un organismo, una realtà vitale, che entra nella mia anima, così che io stesso, proprio con la mia anima credente, sono elemento costruttivo della Chiesa come tale. In questo senso, Pio XII aveva scritto l’Enciclica Mystici Corporis Christi, come un passo verso un completamento dell’ecclesiologia del Vaticano I.


Direi che la discussione teologica degli anni ’30-’40, anche ’20, era completamente sotto questo segno della parola “Mystici Corporis”. Fu una scoperta che ha creato tanta gioia in quel tempo ed anche in questo contesto è cresciuta la formula: Noi siamo la Chiesa, la Chiesa non è una struttura; noi stessi cristiani, insieme, siamo tutti il Corpo vivo della Chiesa. E, naturalmente, questo vale nel senso che noi, il vero “noi” dei credenti, insieme con l’”Io” di Cristo, è la Chiesa; ognuno di noi, non “un noi”, un gruppo che si dichiara Chiesa. No: questo “noi siamo Chiesa” esige proprio il mio inserimento nel grande “noi” dei credenti di tutti i tempi e luoghi. Quindi, la prima idea: completare l’ecclesiologia in modo teologico, ma proseguendo anche in modo strutturale, cioè: accanto alla successione di Pietro, alla sua funzione unica, definire meglio anche la funzione dei Vescovi, del Corpo episcopale. E, per fare questo, è stata trovata la parola “collegialità”, molto discussa, con discussioni accanite, direi, anche un po’ esagerate. Ma era la parola - forse ce ne sarebbe anche un’altra, ma serviva questa - per esprimere che i Vescovi, insieme, sono la continuazione dei Dodici, del Corpo degli Apostoli. Abbiamo detto: solo un Vescovo, quello di Roma, è successore di un determinato Apostolo, di Pietro. Tutti gli altri diventano successori degli Apostoli entrando nel Corpo che continua il Corpo degli Apostoli. Così proprio il Corpo dei Vescovi, il collegio, è la continuazione del Corpo dei Dodici, ed ha così la sua necessità, la sua funzione, i suoi diritti e doveri. Appariva a molti come una lotta per il potere, e forse qualcuno anche ha pensato al suo potere, ma sostanzialmente non si trattava di potere, ma della complementarietà dei fattori e della completezza del Corpo della Chiesa con i Vescovi, successori degli Apostoli, come elementi portanti; ed ognuno di loro è elemento portante della Chiesa, insieme con questo grande Corpo.


Questi erano, diciamo, i due elementi fondamentali e, nella ricerca di una visione teologica completa dell’ecclesiologia, nel frattempo, dopo gli anni ’40, negli anni ’50, era già nata un po’ di critica nel concetto di Corpo di Cristo: “mistico” sarebbe troppo spirituale, troppo esclusivo; era stato messo in gioco allora il concetto di “Popolo di Dio”. E il Concilio, giustamente, ha accettato questo elemento, che nei Padri è considerato come espressione della continuità tra Antico e Nuovo Testamento. Nel testo del Nuovo Testamento, la parola “Laos tou Theou”, corrispondente ai testi dell’Antico Testamento, significa – mi sembra con solo due eccezioni – l’antico Popolo di Dio, gli ebrei che, tra i popoli, “goim”, del mondo, sono “il” Popolo di Dio. E gli altri, noi pagani, non siamo di per sé il Popolo di Dio, diventiamo figli di Abramo, e quindi Popolo di Dio entrando in comunione con il Cristo, che è l’unico seme di Abramo. Ed entrando in comunione con Lui, essendo uno con Lui, siamo anche noi Popolo di Dio. Cioè: il concetto “Popolo di Dio” implica continuità dei Testamenti, continuità della storia di Dio con il mondo, con gli uomini, ma implica anche l’elemento cristologico. Solo tramite la cristologia diveniamo Popolo di Dio e così si combinano i due concetti. Ed il Concilio ha deciso di creare una costruzione trinitaria dell’ecclesiologia: Popolo di Dio Padre, Corpo di Cristo, Tempio dello Spirito Santo.


Ma solo dopo il Concilio è stato messo in luce un elemento che si trova un po’ nascosto, anche nel Concilio stesso, e cioè: il nesso tra Popolo di Dio e Corpo di Cristo, è proprio la comunione con Cristo nell’unione eucaristica. Qui diventiamo Corpo di Cristo; cioè la relazione tra Popolo di Dio e Corpo di Cristo crea una nuova realtà: la comunione. E dopo il Concilio è stato scoperto, direi, come il Concilio, in realtà, abbia trovato, abbia guidato a questo concetto: la comunione come concetto centrale. Direi che, filologicamente, nel Concilio esso non è ancora totalmente maturo, ma è frutto del Concilio che il concetto di comunione sia diventato sempre più l’espressione dell’essenza della Chiesa, comunione nelle diverse dimensioni: comunione con il Dio Trinitario - che è Egli stesso comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo -, comunione sacramentale, comunione concreta nell’episcopato e nella vita della Chiesa.


Ancora più conflittuale era il problema della Rivelazione. Qui si trattava della relazione tra Scrittura e Tradizione, e qui erano interessati soprattutto gli esegeti per una maggiore libertà; essi si sentivano un po’ – diciamo – in una situazione di inferiorità nei confronti dei protestanti, che facevano le grandi scoperte, mentre i cattolici si sentivano un po’ “handicappati” dalla necessità di sottomettersi al Magistero. Qui, quindi, era in gioco una lotta anche molto concreta: quale libertà hanno gli esegeti? Come si legge bene la Scrittura? Che cosa vuol dire Tradizione? Era una battaglia pluridimensionale che adesso non posso mostrare, ma importante è che certamente la Scrittura è la Parola di Dio e la Chiesa sta sotto la Scrittura, obbedisce alla Parola di Dio, e non sta al di sopra della Scrittura. E tuttavia, la Scrittura è Scrittura soltanto perché c’è la Chiesa viva, il suo soggetto vivo; senza il soggetto vivo della Chiesa, la Scrittura è solo un libro e apre, si apre a diverse interpretazioni e non dà un’ultima chiarezza.


Qui, la battaglia - come ho detto - era difficile, e fu decisivo un intervento di Papa Paolo VI. Questo intervento mostra tutta la delicatezza del padre, la sua responsabilità per l’andamento del Concilio, ma anche il suo grande rispetto per il Concilio. Era nata l’idea che la Scrittura è completa, vi si trova tutto; quindi non si ha bisogno della Tradizione, e perciò il Magistero non ha niente da dire. Allora, il Papa ha trasmesso al Concilio mi sembra 14 formule di una frase da inserire nel testo sulla Rivelazione e ci dava, dava ai Padri, la libertà di scegliere una delle 14 formule, ma disse: una deve essere scelta, per rendere completo il testo. Io mi ricordo, più o meno, della formula “non omnis certitudo de veritatibus fidei potest sumi ex Sacra Scriptura”, cioè la certezza della Chiesa sulla fede non nasce soltanto da un libro isolato, ma ha bisogno del soggetto Chiesa illuminato, portato dallo Spirito Santo. Solo così poi la Scrittura parla ed ha tutta la sua autorevolezza. Questa frase che abbiamo scelto nella Commissione dottrinale, una delle 14 formule, è decisiva, direi, per mostrare l’indispensabilità, la necessità della Chiesa, e così capire che cosa vuol dire Tradizione, il Corpo vivo nel quale vive dagli inizi questa Parola e dal quale riceve la sua luce, nel quale è nata. Già il fatto del Canone è un fatto ecclesiale: che questi scritti siano la Scrittura risulta dall’illuminazione della Chiesa, che ha trovato in sé questo Canone della Scrittura; ha trovato, non creato, e sempre e solo in questa comunione della Chiesa viva si può anche realmente capire, leggere la Scrittura come Parola di Dio, come Parola che ci guida nella vita e nella morte.


Come ho detto, questa era una lite abbastanza difficile, ma grazie al Papa e grazie – diciamo – alla luce dello Spirito Santo, che era presente nel Concilio, è stato creato un documento che è uno dei più belli e anche innovativi di tutto il Concilio, e che deve essere ancora molto più studiato. Perché anche oggi l’esegesi tende a leggere la Scrittura fuori dalla Chiesa, fuori dalla fede, solo nel cosiddetto spirito del metodo storico-critico, metodo importante, ma mai così da poter dare soluzioni come ultima certezza; solo se crediamo che queste non sono parole umane, ma sono parole di Dio, e solo se vive il soggetto vivo al quale ha parlato e parla Dio, possiamo interpretare bene la Sacra Scrittura. E qui - come ho detto nella prefazione del mio libro su Gesù (cfr vol. I) - c’è ancora molto da fare per arrivare ad una lettura veramente nello spirito del Concilio. Qui l’applicazione del Concilio ancora non è completa, ancora è da fare.

E, infine, l’ecumenismo. Non vorrei entrare adesso in questi problemi, ma era ovvio – soprattutto dopo le “passioni” dei cristiani nel tempo del nazismo – che i cristiani potessero trovare l’unità, almeno cercare l’unità, ma era chiaro anche che solo Dio può dare l’unità. E siamo ancora in questo cammino. Ora, con questi temi, l’”alleanza renana” – per così dire – aveva fatto il suo lavoro.


La seconda parte del Concilio è molto più ampia. Appariva, con grande urgenza, il tema: mondo di oggi, epoca moderna, e Chiesa; e con esso i temi della responsabilità per la costruzione di questo mondo, della società, responsabilità per il futuro di questo mondo e speranza escatologica, responsabilità etica del cristiano, dove trova le sue guide; e poi libertà religiosa, progresso, e relazione con le altre religioni. In questo momento, sono entrate in discussione realmente tutte le parti del Concilio, non solo l’America, gli Stati Uniti, con un forte interesse per la libertà religiosa. Nel terzo periodo questi hanno detto al Papa: Noi non possiamo tornare a casa senza avere, nel nostro bagaglio, una dichiarazione sulla libertà religiosa votata dal Concilio. Il Papa, tuttavia, ha avuto la fermezza e la decisione, la pazienza di portare il testo al quarto periodo, per trovare una maturazione ed un consenso abbastanza completi tra i Padri del Concilio. Dico: non solo gli americani sono entrati con grande forza nel gioco del Concilio, ma anche l’America Latina, sapendo bene della miseria del popolo, di un continente cattolico, e della responsabilità della fede per la situazione di questi uomini. E così anche l’Africa, l’Asia, hanno visto la necessità del dialogo interreligioso; sono cresciuti problemi che noi tedeschi – devo dire – all’inizio, non avevamo visto. Non posso adesso descrivere tutto questo. Il grande documento “Gaudium et spes” ha analizzato molto bene il problema tra escatologia cristiana e progresso mondano, tra responsabilità per la società di domani e responsabilità del cristiano davanti all’eternità, e così ha anche rinnovato l’etica cristiana, le fondamenta. Ma, diciamo inaspettatamente, è cresciuto, al di fuori di questo grande documento, un documento che rispondeva in modo più sintetico e più concreto alle sfide del tempo, e cioè la “Nostra aetate”. Dall’inizio erano presenti i nostri amici ebrei, che hanno detto, soprattutto a noi tedeschi, ma non solo a noi, che dopo gli avvenimenti tristi di questo secolo nazista, del decennio nazista, la Chiesa cattolica deve dire una parola sull’Antico Testamento, sul popolo ebraico. Hanno detto: anche se è chiaro che la Chiesa non è responsabile della Shoah, erano cristiani, in gran parte, coloro che hanno commesso quei crimini; dobbiamo approfondire e rinnovare la coscienza cristiana, anche se sappiamo bene che i veri credenti sempre hanno resistito contro queste cose. E così era chiaro che la relazione con il mondo dell’antico Popolo di Dio dovesse essere oggetto di riflessione. Si capisce anche che i Paesi arabi – i Vescovi dei Paesi arabi – non fossero felici di questa cosa: temevano un po’ una glorificazione dello Stato di Israele, che non volevano, naturalmente. Dissero: Bene, un’indicazione veramente teologica sul popolo ebraico è buona, è necessaria, ma se parlate di questo, parlate anche dell’Islam; solo così siamo in equilibrio; anche l’Islam è una grande sfida e la Chiesa deve chiarire anche la sua relazione con l’Islam. Una cosa che noi, in quel momento, non abbiamo tanto capito, un po’, ma non molto. Oggi sappiamo quanto fosse necessario.



Quando abbiamo incominciato a lavorare anche sull’Islam, ci hanno detto: Ma ci sono anche altre religioni del mondo: tutta l’Asia! Pensate al Buddismo, all’Induismo…. E così, invece di una Dichiarazione inizialmente pensata solo sull’antico Popolo di Dio, si è creato un testo sul dialogo interreligioso, anticipando quanto solo trent’anni dopo si è mostrato in tutta la sua intensità e importanza. Non posso entrare adesso in questo tema, ma se si legge il testo, si vede che è molto denso e preparato veramente da persone che conoscevano le realtà, e indica brevemente, con poche parole, l’essenziale. Così anche il fondamento di un dialogo, nella differenza, nella diversità, nella fede sull’unicità di Cristo, che è uno, e non è possibile, per un credente, pensare che le religioni siano tutte variazioni di un tema. No, c’è una realtà del Dio vivente che ha parlato, ed è un Dio, èun Dio incarnato, quindi una Parola di Dio, che è realmente Parola di Dio. Ma c’è l’esperienza religiosa, con una certa luce umana della creazione, e quindi è necessario e possibile entrare in dialogo, e così aprirsi l’uno all’altro e aprire tutti alla pace di Dio, di tutti i suoi figli, di tutta la sua famiglia.
Quindi, questi due documenti, libertà religiosa e “Nostra aetate”, connessi con “Gaudium et spes” sono una trilogia molto importante, la cui importanza si è mostrata solo nel corso dei decenni, e ancora stiamo lavorando per capire meglio questo insieme tra unicità della Rivelazione di Dio, unicità dell’unico Dio incarnato in Cristo, e la molteplicità delle religioni, con le quali cerchiamo la pace e anche il cuore aperto per la luce dello Spirito Santo, che illumina e guida a Cristo.


Vorrei adesso aggiungere ancora un terzo punto: c’era il Concilio dei Padri – il vero Concilio –, ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo, è stato quello dei media, non quello dei Padri. E mentre il Concilio dei Padri si realizzava all’interno della fede, era un Concilio della fede che cerca l’intellectus, che cerca di comprendersi e cerca di comprendere i segni di Dio in quel momento, che cerca di rispondere alla sfida di Dio in quel momento e di trovare nella Parola di Dio la parola per oggi e domani, mentre tutto il Concilio – come ho detto – si muoveva all’interno della fede, come fides quaerens intellectum, il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all’interno della fede, ma all’interno delle categorie deimedia di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa. Era un’ermeneutica politica: per imedia, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa. Era ovvio che i media prendessero posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i Vescovi e poi, tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la parte da approvare, da promulgare, da favorire. E così anche per la liturgia: non interessava la liturgia come atto della fede, ma come una cosa dove si fanno cose comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana. E sappiamo che c’era una tendenza, che si fondava anche storicamente, a dire: La sacralità è una cosa pagana, eventualmente anche dell’Antico Testamento. Nel Nuovo vale solo che Cristo è morto fuori: cioè fuori dalle porte, cioè nel mondo profano. Sacralità quindi da terminare, profanità anche del culto: il culto non è culto, ma un atto dell’insieme, della partecipazione comune, e così anche partecipazione come attività. Queste traduzioni, banalizzazioni dell’idea del Concilio, sono state virulente nella prassi dell’applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede. E così, anche nella questione della Scrittura: la Scrittura è un libro, storico, da trattare storicamente e nient’altro, e così via.


Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata … e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale. Ma la forza reale del Concilio era presente e, man mano, si realizza sempre più e diventa la vera forza che poi è anche vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa. Mi sembra che, 50 anni dopo il Concilio, vediamo come questo Concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della fede, cominciando da questo Anno della fede, lavorare perché il vero Concilio, con la sua forza dello Spirito Santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa. Speriamo che il Signore ci aiuti. Io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: Vince il Signore! Grazie!

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