giovedì 26 settembre 2013

INDIMENTICABILE-INOLVIDABLE! Ecco un'altra pagina magistrale del nostro Giovannino G.



96. Scrive Giovannino Guareschi (1908-1968) in un’immaginaria lettera indirizzata a don Camillo: 

Don Camillo, perché si rifiuta di capire? Perché, quando il giovane prete inviatoLe dall'Autorità Superiore Le ha spiegato che bisognava  ripulire la chiesa e vendere angeli, candelabri, Santi, Cristi, Madonne e tutte le altre paccottiglie fra le quali anche il  Suo famoso Cristo Crocifisso, perché, dico, Lei lo ha agguantato per gli stracci sbatacchiandolo contro il muro? 

Non ha capito che sono in ballo i più sacri princìpi dell'economia? Che sono in ballo miliardi e miliardi e la stessa sacra Integrità della Moneta? Quale famiglia "bene", oggi, vorrebbe privarsi del piacere di adornare la propria casa con qualche oggetto sacro? Chi può rinunciare ad avere in anticamera un San Michele adibito ad attaccapanni, o in  camera da letto una coppia d'angeli dorati come lampadario, o in soggiorno un Tabernacolo come piccolo bar? (…)

La Chiesa non può più estraniarsi dalla vita dei laici e ignorarne i problemi. Don Camillo, non mi faccia perdere il  segno. Lei, dunque, è nei guai, ma la colpa è tutta Sua. Sappiamo ogni cosa: il pretino inviatoLe dai Superiori Le ha 
proposto -demolito il vecchio altare- di sostituirlo non con una comune Tavola, ma col banco da falegname che il  compagno Peppone gli aveva vilmente fatto offrire in dono suggerendogliene l'utilizzazione. (…) 

Don Camillo, si tratta di un prete giovane, ingenuo, pieno di commovente entusiasmo. Perché non ne ha tenuto conto e ha cacciato il  pretino fuori dalla chiesa a pedate nel sedere? (…) Don Camillo, le cose si vengono a sapere. 

Lei - ricordando le parole del pretino - ha spiegato che, adesso, la Messa deve essere celebrata così e il vecchio Antonio Le ha risposto:  «Ho novantacinque anni e, per quel poco o tanto che ho ancora da vivere, mi basta la scorta di Messe in latino che mi son fatto in novant'anni». «Roba da matti» ha aggiunto la vecchia Romilda. «Questi cittadini vorrebbero farci credere che Dio non capisce più il latino!» «Dio capisce tutte le lingue» ha risposto Lei. «La Messa viene celebrata in italiano perché dovete capirla voi. E, invece di assistervi passivamente, voi partecipate al sacro rito assieme al sacerdote.» «Che mondo» ha ridacchiato Antonio. «I preti non ce la fanno più a dire la Messa da soli e vogliono farsi aiutare da noi! Ma noi dobbiamo pregare, durante la Messa!» «Appunto, così pregate tutti assieme, col prete» ha tentato di spiegare Lei. Ma il vecchio Antonio ha scosso il capo: «Reverendo, ognuno prega per conto suo. Non si può pregare in comuniorum. Ognuno ha i suoi fatti personali da confidare a Dio. E si viene in chiesa apposta perché Cristo è presente nell'Ostia consacrata e, quindi, lo si sente più vicino. Lei faccia il suo mestiere, Reverendo, e noi facciamo il nostro. Altrimenti se Lei è uguale a noi a che cosa serve più il prete? Per presiedere un'assemblea sono capaci tutti. Io non sono forse presidente della cooperativa boscaioli? E poi: perché ha portato via dalla chiesa tutte le cose che avevamo offerto a Dio noi, coi nostri sudati quattrini? Per scolpire quel Sant'Antonio di castagno che lei ha portato in solaio, mio padre ci ha messo otto anni. Si capisce che lui non era un artista, ma ci ha impiegato tutta la sua passione e tutta la sua fede. Tanto è vero che, siccome lui e la mia povera madre non potevano avere figli, appena finita e benedetta la statua, Sant'Antonio gli ha fatto la grazia e sono nato io. Se lei vuole fare la rivoluzione, la vada a fare a casa sua, reverendo». Don Camillo, io capisco quello che Lei ha dovuto provare. Ma la colpa è Sua se si è invischiato in questi guai. (…) Balaustra, angeli, candelabri, ex voto, statue di Santi, Madonnine, quadri e quadretti, Tabernacolo e tutti gli altri arredi sacri sono stati venduti e il ricavato è servito per sistemare la chiesa, per l'impianto stereofonico, dei microfoni, degli altoparlanti, del riscaldamento, eccetera. Anche il famoso Cristo è stato venduto perché troppo ingombrante, incombente, spettacolare e profano. Però metta il cuore in pace: tutta la roba non è andata lontano. L'ha comprata il vecchio notaio Piletti che l'ha portata e sistemata nella cappella privata della sua villa del Brusadone. 


Manca soltanto la balaustra dell'altar maggiore: l'ha comprata Peppone e dice che ci farà il balcone della Casa del Popolo. Però mi risulta che colonnine e ogni altro pezzo della balaustra sono stati imballati, incassati uno per uno con gran cura e riposti in luogo sicuro. Lei sa che, per quanto mi conosca come uno stramaledetto reazionario nemico del popolo, Peppone con me si lascia andare e m'ha fatto capire che sarebbe disposto a trattare. Vorrebbe, in cambio della balaustra, il mitra che Lei gli ha fregato nel 1947. Dice che non ha la minima intenzione di usarlo perché oramai anche lui è convinto che i clericali riusciranno a fregare i comunisti mandandoli al potere senza dar loro la soddisfazione di fare la rivoluzione. Lo rivuole perché è un ricordo.


Don Camillo, io sono certo che quando Lei fra poco tornerà (…) troverà tutte le Sue care cianfrusaglie perfettamente  sistemate nella chiesetta del notaio. E potrà celebrare una Messa Clandestina per i pochi Suoi amici fidati. Messa in latino, si capisce, e con tanti oremus e kirieleison. Una Messa all'antica, per consolare tutti i nostri morti che, pure non conoscendo il latino, si sentivano, durante la Messa, vicini a Dio, e non si vergognavano se, udendo levarsi gli 
antichissimi canti, i loro occhi si riempivano di lacrime. Forse perché, allora, il Sentimento e la Poesia non erano peccato e nessuno pensava che il dolce, eternamente giovane «volto della Sposa di Cristo» potesse mostrare macchie 
o rughe. (…) Don Camillo, tenga duro: quando i generali tradiscono, abbiamo più che mai bisogno della fedeltà dei soldati...




97. Il beato Contardo Ferrini (1859-1902) si recava a Messa ogni mattina, già da giovane, con un suo fratellino. 
Un giorno, dopo la Messa celebrata da un sacerdote ottantenne, il fratellino chiese a Contardo: “Come mai un sacerdote ottantenne –celebrando la Messa di san Pio V- dice: ‘ad Deum qui laetificat juventutem meam?”. Il beato Contardo, battendo la mano sul fratellino, rispose: “Devi sapere, caro Giovannino, che chi è in grazia di Dio è sempre giovane!”


Un uomo ricco e un mendicante. ...Meglio essere Lazzari che Epuloni, credetelo. Giungete a crederlo e sarete beati. Domenica 29 settembre 2013, XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 29 settembre 2013, XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 16,19-31.
C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. 
Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, 
bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. 
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 
Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. 
Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. 
Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. 
Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. 
E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, 
perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. 
Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. 
E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. 
Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi». 
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel 
"Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : 
Volume 3 Capitolo 191 pagina 231.

“Consegna a Michea tanto denaro che domani egli possa ricompensare quanto oggi si è fatto prestare dai contadini di questa zona”, dice Gesù a Giuda Iscariota, che generalmente amministra le… sostanze comuni.
E poi Gesù chiama Andrea e Giovanni e li manda in due punti in cui si può vedere la strada o le strade che vengono da Jezrael. Chiama poi Pietro e Simone e li manda incontro ai contadini di Doras con l’ordine di fermarli presso il confine fra le due proprietà. 
Infine dice a Giacomo e Giuda: “Prendete le cibarie e venite”. 
Li seguono i contadini di Giocana, donne, uomini e bambini, e gli uomini portano due piccole anfore, piccole per modo di dire, che devono essere colme di vino. Più che anfore sono giarre e conterranno su per giù quei dieci litri ognuna. (Prego sempre non prendere le mie misure per articolo di fede). Vanno là dove un folto vigneto, già tutto coperto di foglie novelle, indica la fine dei possessi di Giocana. Oltre vi è un largo fossato, mantenuto pieno d’acqua con chissà che fatica. 
“Vedi? Giocana si è litigato con Doras per questo. Giocana diceva: “Colpa di tuo padre se tutto è rovina. Se non lo voleva adorare, almeno lo doveva temere e non provocare”. E Doras urlava, pareva un demonio: “Tu ti sei salvato le terre per questo fosso. Le bestie non l’hanno varcato…”. E Giocana diceva: “E allora come a te tanta rovina mentre prima i tuoi campi erano i più belli di Esdrelon? È il castigo di Dio, credilo. Avete passato la misura. Quest’acqua?… C’è sempre stata e non è essa che mi ha salvato”. E Doras urlava: “Questo prova che Gesù è un demonio”. “È un giusto”, urlava Giocana. E sono andati avanti per un pezzo, finché ebbero fiato, e dopo Giocana fece con grande spesa derivare acque dal torrente e scavare per cercare altre acque nel suolo e fare tutto un ordine di fossi a confine fra lui e il parente e li fece fare più fondi, e a noi disse quello che ti abbiamo detto ieri… In fondo lui è felice di quanto è accaduto. Era tanto invidioso di Doras… Ora spera poter comperare tutto, perché Doras finirà col vendere tutto per due spiccioli”. 
Gesù ascolta con benignità tutte queste confidenze e intanto attende i poveri contadini di Doras, che non tardano a venire e che si prostrano al suolo non appena vedono Gesù al riparo di un albero. 
“Pace a voi, amici. Venite. Oggi la sinagoga è qui ed Io sono il vostro sinagogo. Ma prima voglio essere il vostro padre di famiglia. Sedete in cerchio, che vi dia un cibo. Oggi avete lo Sposo, e facciamo convito di nozze”. 
E Gesù scopre una cesta e ne trae pani che dà agli stupiti contadini di Doras, e dall’altra leva quelle cibarie che ha potuto trovare: formaggi, verdure che ha fatto cucinare e un piccolo caprettino o agnellino, cotto intero, che spartisce ai poveri disgraziati, poi versa il vino e fa circolare il rozzo calice perché tutti bevano. 
“Ma perché? Ma perché? E loro?”, dicono quelli di Doras accennando a quelli di Giocana. 
“Loro hanno già avuto”. 
“Ma che spesa! Come hai potuto?”. 
“Ci sono ancora dei buoni in Israele”, dice Gesù sorridendo. 
“Ma oggi è sabato…”. 
“Ringraziate quest’uomo”, dice Gesù accennando all’uomo di Endor. “È lui che ha procurato l’agnello. Il resto fu facile averlo”. 
Quei poveretti divorano — è la parola — il cibo da tanto sconosciuto. 
Vi è uno, piuttosto vecchio, che si stringe al fianco un fanciullo di un dieci anni circa; mangia e piange. 
“Perché, padre, fai così?…”, chiede Gesù. 
“Perché la tua bontà è troppa…”. 
L’uomo di Endor dice con la sua voce gutturale: “È vero… e fa piangere. Ma il pianto è senza amaro…”. 
“È senza amaro. È vero. E poi… io vorrei una cosa. È anche desiderio questo pianto”. 
“Che vuoi, padre?”. 
“Questo fanciullo lo vedi? È mio nipote. Mi è rimasto dopo la frana di questo inverno. Doras neppure sa che mi ha raggiunto, perché lo faccio vivere come una bestia selvatica nel bosco e solo al sabato lo vedo. Se me lo scopre, o lo caccia o lo mette al lavoro… e sarà peggio di un animale da soma questo tenero mio sangue… A Pasqua lo manderò con Michea a Gerusalemme per divenire figlio della Legge… e poi?… È il figlio di mia figlia…”. 
“Lo daresti a Me, invece? Non piangere. Ho tanti amici che sono onesti, santi e senza figli. Lo alleveranno santamente, nella mia via…”. 
“Oh! Signore! Da quando ho saputo di Te l’ho desiderato. E pregavo il santo Giona, lui che sa cosa è essere di questo padrone, di salvare il mio nipote da questa morte…”. 
“Fanciullo, verresti con Me?”. 
“Sì, mio Signore. E non ti darò dolore”. 
“È detto”. 
“Ma… a chi lo vuoi dare?”, chiede Pietro tirando Gesù per una manica. “A Lazzaro anche questo?”. 
“No, Simone. Ma ce ne sono tanti senza figli…”. 
“Ci sono anche io…”. Il viso di Pietro pare fino affilarsi nel desiderio. 
“Simone, te l’ho detto. Tu devi essere il “padre” di tutti i figli che Io ti lascerò in eredità. Ma non devi avere la catena di nessun figlio tuo proprio. Non ti mortificare. Tu sei troppo necessario al Maestro perché il Maestro possa staccarti da Sé per un affetto. Sono esigente, Simone. Sono esigente più di uno sposo gelosissimo. Ti amo con ogni predilezione e ti voglio tutto per Me e di Me”. 
“Va bene, Signore… Va bene… Sia fatto come Tu vuoi”. Il povero Pietro è eroico nel suo aderire a questa volontà di Gesù. 
“Sarà il figlio della mia nascente Chiesa. Va bene? Di tutti e di nessuno. Sarà il “nostro” bambino. Ci seguirà quando lo permetteranno le distanze, o ci raggiungerà, e suoi tutori saranno i pastori, loro che amano nei bambini tutti il “loro” bambino Gesù. Vieni qui, fanciullo. Come ti chiami?”. 
“Jabé di Giovanni, e son di Giuda”, dice sicuro il ragazzo. 
“Sì. Siamo giudei noi”, conferma il vecchio. “Io lavoravo nelle terre di Doras in Giudea, e mia figlia si è sposata con un di quelle parti. Lavorava ai boschi presso Arimatea e -quest’in-ver-no…”. 
“Ho visto la sventura”. 
“Il fanciullo si è salvato perché quella notte era da un parente lontano… Veramente si è portato il nome, Signore! L’ho detto subito a mia figlia: “Perché? Non ricordi l’antico?”. Ma il marito volle chiamarlo così, e Jabé fu”. 
“Il fanciullo invocherà il Signore e il Signore lo benedirà e dilaterà i suoi confini, e la mano del Signore è sulla sua mano, ed egli non sarà più oppresso dal male”. Questo gli concederà il Signore per consolare te, padre, gli spiriti dei morti, e confortare l’orfano. 
Ed ora che abbiamo separato il bisogno del corpo da quello dell’anima con un atto di amore al fanciullo, ascoltate la parabola che ho pensata per voi. 


Vi era un tempo un uomo molto ricco. Le vesti più belle erano le sue, e nei suoi abiti di porpora e di bisso si pavoneggiava nelle piazze e nella sua casa, riverito dai cittadini come il più potente del paese, e dagli amici che lo secondavano nella sua superbia per averne utile. Le sue sale erano aperte ogni giorno in splendidi banchetti in cui la folla degli invitati, tutti ricchi, e perciò non bisognosi, si pigiavano adulando il ricco Epulone. I suoi banchetti erano celebri per abbondanza di cibi e di vini -prelibati. 
Ma nella stessa città vi era un mendico, un grande mendico. Grande nella sua miseria come l’altro era grande nella sua ricchezza. Ma sotto la crosta della miseria umana del mendico Lazzaro vi era celato un tesoro ancor più grande della miseria di Lazzaro e della ricchezza dell’Epulone. Ed era la santità vera di Lazzaro. Egli non aveva mai trasgredito alla Legge, neppure sotto la spinta del bisogno, e soprattutto aveva ubbidito al precetto dell’amore verso Dio e verso il prossimo. 
Egli, come sempre fanno i poveri, si accostava alle porte dei ricchi per chiedere l’obolo e non morire di fame. E andava ogni sera alla porta dell’Epulone sperando averne almeno le briciole dei pomposi banchetti che avvenivano nelle ricchissime sale. Si sdraiava sulla via, presso la porta, e paziente attendeva. Ma se l’Epulone si accorgeva di lui lo faceva scacciare, perché quel corpo coperto di piaghe, denutrito, in vesti lacere, era una vista troppo triste per i suoi convitati. L’Epulone diceva così. In realtà era perché quella vista di miseria e di bontà era un rimprovero continuo per lui. 
Più pietosi di lui erano i suoi cani, ben pasciuti, dai preziosi collari, che si accostavano al povero Lazzaro e gli leccavano le piaghe, mugolando di gioia per le sue carezze, e giungevano a portargli gli avanzi delle ricche mense, per cui Lazzaro sopravviveva alla denutrizione per merito degli animali, perché per mezzo dell’uomo sarebbe morto, non concedendogli l’uomo neppure di penetrare nella sala dopo il convito per raccogliere le briciole cadute dalle mense. 

Un giorno Lazzaro morì. Nessuno se ne accorse sulla Terra, nessuno lo pianse. Anzi ne giubilò l’Epulone di non vedere quel giorno né poi quella miseria che egli chiamava “obbrobrio” sulla sua soglia. Ma in Cielo se ne accorsero gli angeli. E al suo ultimo anelito, nella sua tana fredda e spoglia, erano presenti le coorti celesti, che in un folgoreggiare di luci ne raccolsero l’anima portandola con canti di osanna nel seno di Abramo. 

Passò qualche tempo e morì l’Epulone. Oh! che funerali fastosi! Tutta la città, che già sapeva della sua agonia e che si pigiava sulla piazza dove sorgeva la sua dimora per essere notata come amica del grande, per curiosità, per interesse presso gli eredi, si unì al cordoglio, e gli ululi salirono al cielo e con gli ululi del lutto le lodi bugiarde al “grande”, al “benefattore”, al “giusto” che era morto. 

Può parola d’uomo mutare il giudizio di Dio? Può apologia umana cancellare quanto è scritto sul libro della Vita? No, non può. Ciò che è giudicato è giudicato, e ciò che è scritto è scritto. E, nonostante i funerali solenni, l’Epulone ebbe lo spirito sepolto nell’Inferno. 

Allora, in quel carcere orrendo, bevendo e mangiando fuoco e tenebre, trovando odio e torture in ogni dove e in ogni attimo di quella eternità, alzò lo sguardo al Cielo. Al Cielo che aveva visto in un bagliore di folgore, in un atomo di minuto, e la cui non dicibile bellezza gli rimaneva presente ad essere tormento fra i tormenti atroci. E vide lassù Abramo. Lontano, ma fulgido, beato… e nel suo seno, fulgido e beato pure egli, era Lazzaro, il povero Lazzaro un tempo spregiato, repellente, misero, ed ora?… Ed ora bello della luce di Dio e della sua santità, ricco dell’amore di Dio, ammirato non dagli uomini ma dagli angeli di Dio. 

Epulone gridò piangendo: “Padre Abramo, abbi pietà di me! Manda Lazzaro, poiché non posso sperare che tu stesso lo faccia, manda Lazzaro ad intingere la punta del suo dito nell’acqua e a posarla sulla mia lingua per rinfrescarla, perché io spasimo per questa fiamma che mi penetra di continuo e mi arde!”. 

Abramo rispose: “Ricordati, figlio, che tu avesti tutti i beni in vita, mentre Lazzaro ebbe tutti i mali. E lui seppe del male fare un bene, mentre tu non sapesti dei tuoi beni fare nulla che male non fosse. Perciò è giusto che ora lui sia qui consolato e che tu soffra. Inoltre non è più possibile farlo. I santi sono sparsi sulla Terra perché gli uomini di loro se ne avvantaggino. Ma quando, nonostante ogni vicinanza, l’uomo resta quello che è — nel tuo caso, un demonio — è inutile poi ricorrere ai santi. Ora noi siamo separati. Le erbe sul campo sono mescolate. Ma una volta che sono falciate vengono separate dalle buone le malvagie. Così è di voi e di noi. Fummo insieme sulla Terra e ci cacciaste, ci tormentaste in tutti i modi, ci dimenticaste, contro l’amore. Ora siamo divisi. Tra voi e noi c’è un tale abisso che quelli che vogliono passare da qui a voi non possono, né voi, che lì siete, potete valicare l’abisso tremendo per venire a noi”. 

Epulone piangendo più forte gridò: “Almeno, o padre santo, manda, io te ne prego, manda Lazzaro a casa di mio padre. Ho cinque fratelli. Non ho mai capito l’amore neppure fra parenti. Ma ora, ora comprendo cosa è di terribile essere non amati. E, poi che qui dove io sono è l’odio, ora ho capito, per quell’atomo di tempo che vide la mia anima Iddio, cosa è l’Amore. Non voglio che i miei fratelli soffrano le mie pene. Ho terrore per loro che fanno la mia stessa vita. Oh! manda Lazzaro ad avvertirli di dove io sono, e perché ci sono, e a dire loro che l’Inferno è, ed è atroce, e che chi non ama Dio e il prossimo all’Inferno viene. Mandalo! Che in tempo provvedano, e non abbiano a venire qui, in questo luogo di eterno tormento”. 
Ma Abramo rispose: “I tuoi fratelli hanno Mosè ed i Profeti. Ascoltino quelli”. 

E con gemito di anima torturata rispose l’Epulone: “Oh! padre Abramo! Farà loro più impressione un morto… Ascoltami! Abbi pietà!”. 
Ma Abramo disse: “Se non hanno ascoltato Mosè ed i Profeti, non crederanno nemmeno ad uno che risusciti per un’ora dai morti per dire loro parole di Verità. E d’altronde non è giusto che un beato lasci il mio seno per andare a ricevere offese dai figli del Nemico. Il tempo delle ingiurie per esso è passato. Ora è nella pace e vi sta, per ordine di Dio che vede l’inutilità di un tentativo di conversione presso coloro che non credono neppure alla parola di Dio e non la mettono in pratica”. 

Questa la parabola, il cui significato è così chiaro da non meritare neppure una spiegazione. 

Qui veramente è vissuto conquistando la santità il Lazzaro novello, il mio Giona, la cui gloria presso Dio è palese nella protezione che dà a chi spera in Lui. A voi sì che Giona può venire, protettore e amico, e ci verrà se sarete sempre buoni. 

Io vorrei, e dico a voi ciò che dissi a lui la scorsa primavera, Io vorrei potervi tutti aiutare, anche materialmente, ma non posso, ed è il mio dolore. Non posso che additarvi il Cielo. Non posso che insegnarvi la grande sapienza della rassegnazione promettendovi il Regno futuro. Non odiate mai, per nessuna ragione. L’Odio è forte nel mondo. Ma ha sempre un limite l’Odio. L’Amore non ha limite di potenza né di tempo. Amate perciò, per possederlo a difesa e conforto sulla Terra e a premio in Cielo. Meglio essere Lazzari che Epuloni, credetelo. Giungete a crederlo e sarete beati. 


Non sentite nel castigo di questi campi una parola d’odio, anche se i fatti lo potevano giustificare. Non leggete male nel miracolo. Io sono l’Amore e non avrei colpito. Ma, visto che l’Amore non poteva piegare l’Epulone crudele, l’ho abbandonato alla Giustizia, ed essa ha fatto le vendette del martire Giona e dei suoi fratelli. Voi imparate questo dal miracolo. Che la Giustizia è sempre vigile anche se pare assente e che, essendo Dio Padrone di tutto il creato, si può servire, per l’applicazione di essa, dei minimi quali i bruchi e le formiche per mordere il cuore del crudele e dell’avido e farlo morire in un rigurgito di veleno che lo strozza. 
Io vi benedico, ora. Ma per voi pregherò ogni nuova aurora. E tu, padre, non avere più affanno per l’agnello che mi affidi. Te lo riporterò ogni tanto perché tu possa giubilare vedendolo crescere in sapienza e bontà sulla via di Dio. Sarà il tuo agnello di questa tua povera Pasqua, il più gradito degli agnelli presentati all’altare di Geové. Jabé, saluta il vecchio padre e poi vieni al tuo Salvatore, al tuo Pastore buono. La pace sia con voi!”. 
“Oh! Maestro! Maestro buono! Lasciarti!…”. 
“Sì. È penoso. Ma non è bene che il sorvegliante qui vi trovi. Sono venuto apposta qui per evitarvi punizioni. Ubbidite per amore all’Amore che vi consiglia”. 
I disgraziati si alzano con le lacrime agli occhi e vanno alla loro croce. Gesù li benedice ancora e poi, con la mano del fanciullo nella sua, e con l’uomo di Endor dall’altro lato, torna per la via già fatta alla casa di Michea, raggiunto da Andrea e da Giovanni che, finito il loro turno di guardia, si ricongiungono ai confratelli. 

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

AVE MARIA!

mercoledì 25 settembre 2013

ECCO COME SCRIVE IL PAPA BENEDETTO XVI


Ratzinger: "Caro Odifreddi
le racconto chi era Gesù"

La fede, la scienza, il male. Un dialogo a distanza fra Benedetto XVI e il matematico. Su Repubblica in edicola


Ill. mo Signor Professore Odifreddi, (...) vorrei ringraziarLa per aver cercato fin nel dettaglio di confrontarsi con il mio libro e così con la mia fede; proprio questo è in gran parte ciò che avevo inteso nel mio discorso alla Curia Romana in occasione del Natale 2009. Devo ringraziare anche per il modo leale in cui ha trattato il mio testo, cercando sinceramente di rendergli giustizia.


Il mio giudizio circa il Suo libro il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell'avventatezza dell'argomentazione. (...)

Più volte, Ella mi fa notare che la teologia sarebbe fantascienza. A tale riguardo, mi meraviglio che Lei, tuttavia, ritenga il mio libro degno di una discussione così dettagliata. Mi permetta di proporre in merito a tale questione quattro punti:

1. È corretto affermare che "scienza" nel senso più stretto della parola lo è solo la matematica, mentre ho imparato da Lei che anche qui occorrerebbe distinguere ancora tra l'aritmetica e la geometria. In tutte le materie specifiche la scientificità ha ogni volta la propria forma, secondo la particolarità del suo oggetto. L'essenziale è che applichi un metodo verificabile, escluda l'arbitrio e garantisca la razionalità nelle rispettive diverse modalità.

2. Ella dovrebbe per lo meno riconoscere che, nell'ambito storico e in quello del pensiero filosofico, la teologia ha prodotto risultati durevoli.

3. Una funzione importante della teologia è quella di mantenere la religione legata alla ragione e la ragione alla religione. Ambedue le funzioni sono di essenziale importanza per l'umanità. Nel mio dialogo con Habermas ho mostrato che esistono patologie della religione e - non meno pericolose - patologie della ragione. Entrambe hanno bisogno l'una dell'altra, e tenerle continuamente connesse è un importante compito della teologia.

4. La fantascienza esiste, d'altronde, nell'ambito di molte scienze. Ciò che Lei espone sulle teorie circa l'inizio e la fine del mondo in Heisenberg, Schrödinger ecc., lo designerei come fantascienza nel senso buono: sono visioni ed anticipazioni, per giungere ad una vera conoscenza, ma sono, appunto, soltanto immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà. Esiste, del resto, la fantascienza in grande stile proprio anche all'interno della teoria dell'evoluzione. Il gene egoista di Richard Dawkins è un esempio classico di fantascienza. Il grande Jacques Monod ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza. Cito: "La comparsa dei Vertebrati tetrapodi... trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo "scelse" di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell'evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari..." (citato secondo l'edizione italiana Il caso e la necessità, Milano 2001, pagg. 117 e sgg.). 

In tutte le tematiche discusse finora si tratta di un dialogo serio, per il quale io - come ho già detto ripetutamente  -  sono grato. Le cose stanno diversamente nel capitolo sul sacerdote e sulla morale cattolica, e ancora diversamente nei capitoli su Gesù. Quanto a ciò che Lei dice dell'abuso morale di minorenni da parte di sacerdoti, posso  -  come Lei sa  -  prenderne atto solo con profonda costernazione. Mai ho cercato di mascherare queste cose. Che il potere del male penetri fino a tal punto nel mondo interiore della fede è per noi una sofferenza che, da una parte, dobbiamo sopportare, mentre, dall'altra, dobbiamo al tempo stesso, fare tutto il possibile affinché casi del genere non si ripetano. Non è neppure motivo di conforto sapere che, secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili. In ogni caso, non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo.

Se non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli. Bisogna ricordare le figure grandi e pure che la fede ha prodotto  -  da Benedetto di Norcia e sua sorella Scolastica, a Francesco e Chiara d'Assisi, a Teresa d'Avila e Giovanni della Croce, ai grandi Santi della carità come Vincenzo dè Paoli e Camillo de Lellis fino a Madre Teresa di Calcutta e alle grandi e nobili figure della Torino dell'Ottocento. È vero anche oggi che la fede spinge molte persone all'amore disinteressato, al servizio per gli altri, alla sincerità e alla giustizia. (...)

Ciò che Lei dice sulla figura di Gesù non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po' più competente da un punto di vista storico. Le raccomando per questo soprattutto i quattro volumi che Martin Hengel (esegeta dalla Facoltà teologica protestante di Tübingen) ha pubblicato insieme con Maria Schwemer: è un esempio eccellente di precisione storica e di amplissima informazione storica. Di fronte a questo, ciò che Lei dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere. Che nell'esegesi siano state scritte anche molte cose di scarsa serietà è, purtroppo, un fatto incontestabile. Il seminario americano su Gesù che Lei cita alle pagine 105 e sgg. conferma soltanto un'altra volta ciò che Albert Schweitzer aveva notato riguardo alla Leben-Jesu-Forschung (Ricerca sulla vita di Gesù) e cioè che il cosiddetto "Gesù storico" è per lo più lo specchio delle idee degli autori. Tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l'importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l'annuncio e la figura di Gesù. 

(...) Inoltre devo respingere con forza la Sua affermazione (pag. 126) secondo cui avrei presentato l'esegesi storico-critica come uno strumento dell'anticristo. Trattando il racconto delle tentazioni di Gesù, ho soltanto ripreso la tesi di Soloviev, secondo cui l'esegesi storico-critica può essere usata anche dall'anticristo - il che è un fatto incontestabile. Al tempo stesso, però, sempre - e in particolare nella premessa al primo volume del mio libro su Gesù di Nazaret - ho chiarito in modo evidente che l'esegesi storico-critica è necessaria per una fede che non propone miti con immagini storiche, ma reclama una storicità vera e perciò deve presentare la realtà storica delle sue affermazioni anche in modo scientifico. Per questo non è neppure corretto che Lei dica che io mi sarei interessato solo della metastoria: tutt'al contrario, tutti i miei sforzi hanno l'obiettivo di mostrare che il Gesù descritto nei Vangeli è anche il reale Gesù storico; che si tratta di storia realmente avvenuta. (...)

Con il 19° capitolo del Suo libro torniamo agli aspetti positivi del Suo dialogo col mio pensiero. (...) Anche se la Sua interpretazione di Gv 1,1 è molto lontana da ciò che l'evangelista intendeva dire, esiste tuttavia una convergenza che è importante. Se Lei, però, vuole sostituire Dio con "La Natura", resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla. Vorrei, però, soprattutto far ancora notare che nella Sua religione della matematica tre temi fondamentali dell'esistenza umana restano non considerati: la libertà, l'amore e il male. Mi meraviglio che Lei con un solo cenno liquidi la libertà che pur è stata ed è il valore portante dell'epoca moderna. L'amore, nel Suo libro, non compare e anche sul male non c'è alcuna informazione. Qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione. Ma la Sua religione matematica non conosce alcuna informazione sul male. Una religione che tralascia queste domande fondamentali resta vuota.

Ill. mo Signor Professore, la mia critica al Suo libro in parte è dura. Ma del dialogo fa parte la franchezza; solo così può crescere la conoscenza. Lei è stato molto franco e così accetterà che anch'io lo sia. In ogni caso, però, valuto molto positivamente il fatto che Lei, attraverso il Suo confrontarsi con la mia Introduzione al cristianesimo, abbia cercato un dialogo così aperto con la fede della Chiesa cattolica e che, nonostante tutti i contrasti, nell'ambito centrale, non manchino del tutto le convergenze.

Con cordiali saluti e ogni buon auspicio per il Suo lavoro.


martedì 24 settembre 2013

5. CUORE AMMIRABILE : Maria profetizzata e prefigurata


Libro II
Primo fondamento 
della Devozione al Cuore di Maria
a) Il Cuore dell'Eterno Padre

5 - Maria profetizzata e prefigurata

*
Maria profetizzata. - Fondamento primo della devozione al Cuore di Maria è lo stesso adorabile cuore dell'Eterno Padre e l'amore incomprensibile di cui questo cuore è ricolmo per Lei, Madre del suo Figlio. Questo amore ha spinto il Padre a darci parecchie eccellenti immagini del cuore della Madre di Gesù.

Come ha voluto mostrare a noi in figure Gesù, per il quale Egli ha fatto e ha voluto rifare e riparare tutte le cose, così ha preso singolare contento nel dipingerci quella che aveva scelto da tutta l'eternità per Madre del Riparatore adorabile.

«A prophetis praenuntiata, a Patriarchis figuris et aenigmatibus praesignata, ab Evangelistis exhibita et monstrata» (S. Girol., Serm. de Assump.).
Maria è colei che i Profeti predissero lungo tempo prima della sua nascita, che i Patriarchi hanno designato con numerose figure e che gli Evangelisti ci hanno annunziato.
È colei alla Quale fanno capo tutte le predizioni dei Profeti e tutti gli enigmi della S. Scrittura «Ecce ad quam concurrunt omnia eloquia Prophetarum, omnia aenigmata Scripturarum» (S. Ildef., Serm., 1).


Lo Spirito Santo, l'ha predetta per mezzo dei Profeti, l'ha annunciata coi divini oracoli, l'ha manifestata con le figure, l'ha promessa coi fatti che l'hanno preceduta, l'ha completata con le cose che la seguirono.
Spiritus Sanctus de illa per Prophetas praedixit, per oracula intimavit, per figuras innotuit, per praecedentia promisit, per subsequentia complevit» (S. Ildef., Lib. de Virg. Mariae).

*

Maria prefigurata. - S. Damasceno dice: «Tu spiritalis es Eden. Te olim arca figuravit, Te rubus delineavit, tabulae a Deo exaratae exspresserunt, legis arca praenuntiavit, urna aurea, candelabrum, mensa, virga Aaronis quae floruit, aperte praesignarunt» (Orat. I De Dormit. Mariae).
Il Paradiso terrestre, l'arca di Noè, il roveto ardente, le tavole della legge, l'arca dell'alleanza, il vaso d'oro contenente manna, il candeliere d'oro che stava nel tabernacolo, la tavola dei pani della proposizione, la verga d'Aronne, la fornace di Babilonia erano
altrettante figure di questa incomparabile Vergine.



Volle inoltre darci dei ritratti e delle immagini singolari dei suoi misteri, delle sue qualità, delle sue virtù e delle stesse più nobili facoltà del suo corpo verginale in più punti delle Scritture.


Al cap. XXIV dell'«Ecclesiastico» e nella «Cantica»
la concezione immacolata è, rappresentata dal giglio che nasce in mezzo alle spine senza esserne ferito; 
la sua nascita, dall'aurora; 
la sua Assunzione, dall'arca dell'alleanza che San Giovanni vide in Cielo; 
l'eminenza sublime della sua dignità, della sua potenza, della sua santità dalle altezze del cedro del Libano; 
la sua carità, dalla rosa; 
la sua umiltà, dal nardo; 
la sua pazienza, dalla palma; 
la sua misericordia, dall'olivo; 
la sua verginità, dalla porta chiusa del tempio, che Dio fece vedere ad Ezechiele.



Principali figure di Maria. - Soprattutto ha desiderato metterci dinanzi agli occhi parecchie belle, meravigliose figure del suo cuore, per farci, comprendere quanto gli sia caro e prezioso questo cuore che per le rarità, le perfezioni, le innumerevoli meraviglie di cui è dotato, non può essere rappresentato che da una quantità di figure.

Fra le tante, ne sottolineo dodici
- sei nelle varie parti del mondo, cioè: in cielo, nel
sole, sulla terra, nelle fontane che dissetano, nel mare, nel paradiso terrestre. 
- Altre sei, in sei cose delle più considerevoli che si siano viste al mondo: il roveto ardente, visto da Mosè,
l'arpa misteriosa di Davide, il trono magnifico di Salomone, il tempio meraviglioso di Gerusalemme, la fornace prodigiosa di Daniele, e il Monte Calvario. Le esamineremo una dopo l'altra.

Risolvi: Dio ha cosparso il mondo di richiami di Maria. Dio l'ha vista e collocata ovunque. 
Impara anche tu a scoprire Maria ovunque Dio l'ha posta e a moltiplicare i richiami della sua presenza.


Miserere nostri, Domina, 
miserere nostri

BEATA Maria di Gesù Crocifisso Il cadavere ob­bedì a quell'ordine e la suora fu seppellita.



Mentre si terminava l'ultimo piano del monastero delle Carmelitane e che si costruiva nel giardino una lavanderia, ecc., la Madre Priora mi faceva entrare nel cantiere per sorve­gliare gli operai. C'era la piccola suora che serviva da interprete, perché essa sola sapeva parlare l'arabo. Di tanto in tanto, mi parlava di Gesù, del suo desiderio di andare presto da­ lui e, più volte, mi ripeté queste parole: «Padre, sento che Gesù mi chiama, andrò ben pre­sto a vederlo». 
Un giorno, come annoiato, gli dissi: Bah! Siete sempre la stessa; continua­mente mi dite che state per lasciarci, e il momento non arriva mai; affrettatevi, non vi restano che tre mesi. Sapevo che aveva annunciato in un'estasi che non sarebbe rimasta a Betlemme più di tre anni. Poco tempo dopo questa conversazione, portando due contenito­ri di acqua, uno in ogni mano, per fare bere gli operai, la suorina cade, salendo una scala provvisoria. La si trasporta nell'infermeria, si chiama il medico il quale constata che il braccio sinistro è rotto. Malgrado tutte le numerose cure delle buone suore e del medico, la cancrena si sviluppa rapidamente, e suor Maria di Gesù Crocifisso muore con la più per­fetta rassegnazione alla volontà di Dio. Alcune ore prima che morisse, andai a vederla nel­l'infermeria e le domandai ciò che pensasse della nostra possibile residenza a Betlemme. In quel momento si sollecitava dalla Santa Sede l'autorizzazione a fondare questa residen­za per il servizio spirituale al Carmelo. La piccola suora mi rispose in questi precisi termi­ni: «Ciò è fatto in Cielo, e per conseguenza, si farà sulla terra». Effettivamente, alcuni me­si dopo, la vigilia di Capodanno, secondo la mia abitudine, andai a porgere gli auguri di buon anno a Mons. Patriarca Bracco. Quando ebbi finito, mi disse: Ed io, ora vi annuncio che Bétharram è autorizzato da Roma a stabilire una residenza a Betlemme.
Ecco ciò che dichiaro e garantisco essere pura verità, e semplicemente redatta. Prospero Chirou prete del S.C. Dopo la morte di suor Maria di Gesù Crocifisso, parecchie carmelitane, sia a Be­tlemme, sia a Pau, hanno sentito dei profumi di una soavità tutta celeste, in parec­chi posti del loro monastero. Questo ci fa ricordare che, durante la sua vita, questi stessi deliziosi profumi emanavano a diverse riprese dal corpo della suora.

Le Dame di Nazareth a Chef-Amar, che possedevano un pezzo di tela intinta nel suo sangue, ci hanno scritto per attestare che emana un soave profumo.
Suo fratello Paolo, che lei non aveva potuto più rivedere dalla sua infanzia, ven­ne a suonare al Carmelo di Betlemme poco tempo dopo la sua morte. Ci parlò del­la sua prima infanzia; ci raccontò come lei era stata raccolta da uno zio paterno e la sua sparizione all'età di circa tredici anni.
Ci disse che aveva ricevuto la lettera di lei fatta scrivere in quel periodo, per in­vitarlo a venire a vederla, ma che non avendola trovata nella sua famiglia, ad Ales­sandria, egli aveva creduto, come tutti i suoi parenti, che li avesse ingannati.

Paolo Baouardy morì nel marzo 1890. Il sacerdote cattolico che lo ha assistito durante la sua morte, attestò a Don Sisha, allora curato latino di San Giovanni d'Acri, il quale l'ha affidato ad una lettera, che possiede il Carmelo di Betlemme, che tre giorni dopo il suo trapasso, sua sorella Maria di Gesù Crocifisso gli era ap­parsa e lo aveva avvertito che, fra tre giorni, egli non sarebbe più stato in questo mondo; il che si era verificato. 1 Greci cattolici che lo hanno assistito durante la sua agonia hanno raccontato tante volte ai suoi figli, Giorgio e Maria," che era me­ravigliato che non vedessero sua sorella, come lui. La camera era tutta profumata da odore di incenso; quella brava gente cercò in tutti gli angoli da dove potesse ve­nire questo profumo; essi non trovarono niente.
Ed è proprio questo profumo o quello di violetta che emana ancora qualche vol­ta, la biancheria delle sue stimmate.

*

Per completare questo capitolo, riferiremo ancora alcune guarigioni attribuite al­la Serva di Dio e che lasciamo all'Autorità competente di apprezzare.
Il medico che la curò durante la sua ultima malattia, ha assicurato che egli era stato guarito da un male orribile al piede, con la sola applicazione di un panno che aveva inzuppato lui stesso nel suo sangue.

La religiosa del Buon Pastore che l'aveva vista sotto forma di una colomba, ci scrisse che suo cognato era stato immediatamente guarito da un male alla mano che i medici dovevano amputare per evitare la cancrena, mediante l'applicazione di un panno intinto nel sangue di suor Maria di Gesù Crocifisso. Questo panno emanava un soave profumo.

Una giovane madre, dopo essere stata tutto un giorno in un incombente perico­lo, fu liberata non appena le si ebbe posato sopra un oggetto che era servito a suor Maria di Gesù Crocifisso (Pau, 1880).


Una religiosa, affetta da malattia di cuore e da vomiti continui, che l'avevano ri­dotta in uno stato di estrema debolezza, non riceveva alcun sollievo da tutte le cu­re del medico. Cominciò una novena per ottenere la sua guarigione per interces­sione di suor Maria di Gesù Crocifisso; fin dall' indomani, si produsse un sensibile miglioramento. Appese alla sua maglietta un sacchettino contenente dei capelli del­la suora, e, da quel momento, il vomito finì completamente. Da allora, malgrado le sue deboli forze, non ha mai cessato di assolvere il suo compito, e può perfino fa­re lezione senza alcun disturbo, cosa che non era stata capace di fare da parecchi anni. (San Maurizio, Yonne, 1881).


La signora P.., di Bayonne, scriveva, il 22 luglio 1881, alla Priora del Carmelo di Pau: "Che Dio sia esaltato nei suoi santi e sante! La santa figlia del Carmelo che ho avuto la gioia di conoscere e che invoco con fede e fiducia, ha avuto pietà di me e mi ha restituito la salute. Oh! quanto è potente, questa così buona suor Maria di Gesù Crocifisso! Sono penetrata della più viva riconoscenza, non ho parole per di­re tutto quello che provo per lei... Ben lo dico ad alta voce e vorrei renderlo pubblico ovunque; è lei che mi ha guarito, che mi ha restituito la salute che avevo per­duto da quattordici anni; oggi vivo come tutti... Ho la ferma fiducia che terminerà ciò che ho così ben cominciato, e che questa salute, che mi ha fatto recuperare, non servirà che per lavorare efficacemente".

Una giovane signora, pericolosamente ammalata, ebbe l'ispirazione di poggiare al suo collo un rosario che aveva avuto da suor Maria di Gesù Crocifisso; il perico­lo scomparve e le fu restituita la salute per la felicità dei suoi figli. (Marsiglia, 1882).


Prima della sua partenza per Betlemme, suor Maria di Gesù Crocifisso aveva detto a suor Agnese del Carmelo di Pau che il buon Dio avrebbe reso a sua sorella la sig.ra S... ciò che aveva fatto per la fondazione. Questa signora, aveva offerto pa­recchi doni per la sagrestia e la comunità. Alcuni anni più tardi, suo marito si am­malò; non era praticante, e allorché fu in pericolo, non gli si poteva parlare degli ultimi sacramenti. Un giorno, si sveglia come da un sonno e domanda un sacerdo­te. Da quel momento, pregava, era ammirevole per rassegnazione e pazienza in mezzo ad atroci sofferenze. Il Padre Berdoulet, prete del Sacro Cuore di Bétharram, che l'assisteva, gli mostrò un giorno la fotografia di suor Maria di Gesù Crocifisso che aveva già lasciato questa terra e che il malato non aveva mai visto. Appena la vide la prese e la baciò più volte dicendo: È lei che mi ha convertito, è proprio lei quella che mi ha convertito. Ed era fuori di sé per la gioia e la felicità. Fin dai pri­mi giorni di questa malattia, che suor Agnese ignorava, suor Maria di Gesù Croci­fisso la mise a conoscenza durante il suo sonno, dicendole che suo cognato stava per morire. Questa notizia le fu ben presto confermata dalla lettera di sua sorella.


I fatti seguenti avvennero perfino mentre suor Maria di Gesù Crocifisso era viva. Prima della sua partenza per l'India, nel mese di agosto 1870, una guarigione ebbe luogo in Inghilterra per sua intercessione. Il giovane sacerdote inglese che ne fu l'oggetto, aveva conosciuto la novizia a Pau. La sua straordinaria devozione ver­so il sacramento dell'Eucarestia e il suo grande amore di Dio stabilì tra la suora e lui una specie di parentela spirituale, utile a tutti e due. Nel luglio 1870, questo sa­cerdote cadde così gravemente ammalato a Londra, che i medici disperarono di po­terlo salvare. Egli fece gli ultimi saluti alla sua famiglia e ricevette gli ultimi sa­cramenti. A questo punto, arrivava dalla Francia una lettera, dettata da suor Maria di Gesù Crocifisso e contenente uno dei panni applicati sulla piaga sanguinante del suo costato. La novizia avendo appreso per vie soprannaturali lo stato del malato, gli scriveva che la volontà di Dio si opponeva a che egli morisse in quel momento, perché doveva ancora compiere una grande opera per la gloria dell'Altissimo. Il malato applicò il panno sul suo petto e si ritrovò subito guarito.


Una suora di San Giuseppe dell'Apparizione, molto conosciuta per la sua carità, ha attestato per iscritto il fatto seguente, che citiamo in seguito alla sua testimo­nianza.

Questa religiosa era stata mandata dai suoi Superiori nell'isola di Cipro nel gen­naio 1874. La sua salute era deplorevole e il suo stato non fece che aggravarsi, al­cuni mesi dopo, in seguito ad una forte febbre che ricompariva ogni quindici giorni seguita da vomiti di sangue. 1 medici consultati dichiararono che la suora era ti­sica e che aveva poco tempo da vivere. Questo triste stato si prolungò fino al 1876. In autunno il male peggiorò in modo tale che i medici prescrissero alla suora il ri­poso più assoluto e perfino di evitare qualsiasi movimento. La sua Superiora, ve­dendola come in agonia, mise più volte uno specchio davanti alla sua bocca per as­sicurarsi se respirava ancora. Le era stato detto di fare il sacrificio della sua vita ed aveva ricevuto il santo viatico: pronta al terribile passaggio, attendeva il suo ultimo momento con tranquillità. Ora, accadde che una notte, verso le undici di sera, vide suor Maria di Gesù Crocifisso, innalzata dal suolo ad una grande altezza, rapita da Dio, con le braccia in croce, di fronte a lei, in mezzo ad una luce che illuminava la camera come in pieno giorno. Aveva il suo abito di religiosa.
Quanto a me, dice suor N..., io non l'avevo mai vista e sapevo che era lei e sapevo che par­lava con il buon Dio, e non dormivo affatto. La chiamo col suo nome e mi risponde. Le dissi: Maria, domandate al buon Dio (sapevo che Egli era presente, ma non so come) se sto per mo­rire. Lei parlò a Nostro Signore; in quanto a me non vidi che lei e non sentii che lei. Dopo al­cuni secondi, mi disse: «No, non morrete giovane, avete da fare un gran bene!». Poi, gli dissi: Domandategli se persevererò nella mia santa vocazione fino alla morte. Mi rispose come la prima volta, dopo alcuni secondi: «con la grazia». Infine, mi rispose su tutto quanto ho do­mandato per la mia anima, poi disparve, e ciò che mi ha annunciato mi è realmente accaduto.
A partire da quel momento mi sono ristabilita. L'anno dopo, fui in grado di sopportare il viaggio e sono partita da Cipro per Giaffa. Ed ecco che le Carmelitane di Betlemme passava­no per Giaffa per andare a Nazareth. Quale non fu la mia felicità nel riconoscere Maria, ma ta­le e quale l'avevo vista a Cipro. Il buon Dio me ne è testimonio, perché è proprio per lui che scrivo tutto questo. Siamo state così contente di vederci, soprattutto io! Lei andò a Nazareth; al suo ritomo, mi disse: «Andate a Nazareth, voialtri, prima di noi». Poi aggiunse: «San Giu­seppe ama molto il vostro ordine». Mi disse ancora: «Tu non mi vedrai più». Mi disse del po­co tempo che le restava di vivere, mi annunciò la sua morte e il mese in cui doveva morire. Mi disse anche: «Dopo la mia morte, ti si manderà un ricordo». Effettivamente, un mese dopo la sua morte, la madre N... del Bambino Gesù mi scrisse una parolina e mi mandò una immagi­ne del Bambino Gesù. Suor Maria aveva talmente baciato i suoi piedi che vi si vedeva l'im­pronta delle sue labbra.

Ecco davanti a Dio ed unicamente per la sua più grande gloria, e come se lo dicessi al momento della mia morte, tutto quello che è avvenuto.
Gerusalemme, 30 ottobre 1895
Suor N..., religiosa di San Giuseppe dell'Apparizione 

Farà inoltre piacere leggere la seguente lettera di Mons. Valerga, nipote del pri­mo Patriarca di Gerusalemme.
Dopo molte esitazioni e resistenze causate dal fatto che mio zio, il Patriarca Valerga, era contrario alla entrata delle Carmelitane in Palestina, mi decisi infine a visitare queste reli­giose. Avevo appena oltrepassato la soglia' che fui accolto proprio da suor Maria di Gesù Crocifisso, che esclamò quasi scherzosamente: «Oh! ecco colui che non voleva venire a ve­dere le Carmelitane, ecco colui che non mi voleva vedere!». Aggiunse qualche altra parola che non ricordo e disse che andava ad avvertire la Superiora.
Costei venne e dopo una breve conversazione con lei, osservò: «Ma voi volete vedere senza dubbio suor Maria di Gesù Crocifisso?». Precisamente, lo desidero e persino ve lo domando. Ebbi allora con suor Maria di Gesù Crocifisso uno scambio di spiegazioni ri­guardo alle difficoltà che mio zio il Patriarca aveva fatto circa l'ingresso in Palestina delle Carmelitane di Pau.


Portai in seguito la conversazione nel campo dei pensieri intimi. Su tutto mi rispose be­ne, salvo su un punto, riguardo al quale mi disse che non poteva soddisfarmi subito, ma sol­tanto poco dopo. Si trattava di un sogno che, in quei giorni, mi aveva turbato, e in seguito al quale mi era parso che mia madre fosse passata all'altra vita. Poco dopo, mi venne pre­sentata la Comunità. Tutte le suore erano davanti a me e in mezzo ad esse, suor Maria di Gesù Crocifisso. Tutto a un tratto, lei guarda il cielo con occhi radiosi e qualche cosa di ce­leste nella fisionomia che era assolutamente nuovo per me e che mi causava una impres­sione della quale non sapevo rendermi conto: «Ti darò subito, mi disse, la risposta su ciò che mi hai chiesto»; era riguardo a mia madre e ad alcune altre cose segrete. Mi rassicurò ben presto: «Non credere ai sogni, mi disse, tua madre è ben viva». Ed effettivamente mia madre visse ancora parecchi anni, essendo morta nel 1890. Mi raccomandai poi alle sue preghiere ed lei mi sollecitò di ricordarmi di lei nelle mie, dicendo che dovevo ben farlo, poiché sarei stato io a doverla seppellire fra poco tempo. Non diedi, in quel momento, gran­de importanza a questa affermazione, ma ecco come essa si realizzò.


Bisogna dire che la vigilia della morte della suora, Monsignore era ritornato a Bethjal­lah, dopo aver amministrato gli ultimi sacramenti alla moribonda, e mi trovavo io stesso in questa località con molti altri sacerdoti del Patriarcato. La notizia della sua morte ci ar­rivò l'indomani. La sera di quel giorno, non era stato ancora deciso chi avrebbe fatto il ser­vizio funebre, la mattina seguente. Don Belloni passò questo onore al curato di Betlem­me: costui addusse a pretesto delle occupazioni. Don Emilio, Don Teofilo, Don G. Marta, non so per quali motivi, rifiutarono di fare la cerimonia. Alla fine, mi venne a cercare nel­la mia camera, ove ero già coricato e mi si impose piuttosto che pregarmi, di cantare la messa.
Feci dunque il servizio funebre e fu solamente allorquando, secondo il rituale Carmeli­tano, gettai un pugno di terra sulla bara della suora, che mi ricordai della profezia: «Sarai tu a seppellirmi»: ne fui talmente emozionato che non potei finire l'orazione. 1 partecipan­ti se ne accorsero.
La vigilia della morte della suora, un messo, recante una lettera di Don Belloni, si pre­sentò a Mons. Bracco, allora a Gerusalemme. Fu durante il pranzo, una domenica. La let­tera annunciava che suor Maria di Gesù Crocifisso era molto grave e desiderava vedere il Patriarca.
Finito il pasto, Monsignore partì; io lo accompagnai con un giannizzero. Alla porta del convento ci attendevano Don Belloni, il Padre curato di Betlemme e il Padre Guido. Il Pa­triarca si recò presso la malata e, avendola vista, concluse che era necessario amministarle senza ritardo il Santo Viatico.

Don Belloni passò questo onore al Padre Curato, e questi al Padre Guido. Non volendo nessuno dei tre assolvere a questo compito, si concluse che, essendo presente il primo Par­roco della diocesi, bisognava lasciare a lui quest'onore e questo dovere. Lo si pregò. Mon­signore accettò.

Fatto ciò, siccome il male peggiorava, si decise di dare l'Estrema Unzione all'ammala-
ta. Stessa discussione e stessa conclusione come per il Viatico; anche questa volta, Monsi­gnore accettò. Non si decideva a lasciare il capezzale della malata, e fu solamente a notte inoltrata che riprendemmo il cammino di Bethjallah.
Arrivati vicino alla tomba di Rachele, siccome camminavo ad una breve distanza da Mons. Bracco, lo vidi tutt'a un tratto fermarsi e battersi la fronte come preso da qualche co­sa di grave; poi esclamò: Ecco una profezia realizzata! Che avviene? gli dissi avvicinan­domi. Si è che la malata mi aveva profetizzato che le avrei dato il Viatico e l'Estrema Un­zione, e in effetti, le ho appena amministrato questi sacramenti.
L'indomani, ci si venne ad annunziare la morte di suor Maria di Gesù Crocifisso. Noto espressamente che Mons. Patriarca era molto riservato su tutte queste cose e che ha potuto essere il confidente di altre cose ancora delle quali non sono a conoscenza.

Ho sentito raccontare che in un giardino (a Pau o a Mangalore, non saprei dirlo), suor Maria di Gesù Crocifisso ebbe il cuore trafitto come lo si racconta di santa Teresa. Effetti­vamente, alcune ore dopo la sua morte, un certo Carpani, che faceva la professione di me­dico, venne a fare 1'espianto del cuore. Il cuore prelevato, lo si mise su un piatto, perché tutti potessero esaminarlo. Ero-presente con Don Belloni, Don Emilio, Don Teofilo, Don Giovanni Maria Marta, Don Riccardo Branca. Potemmo tutti constatare che il cuore porta­va la cicatrice di una ferita che si sarebbe detta prodotta da una lunga punta di ferro... Il cuore posto così su un piatto passava di mano in mano, di modo che tutti i sacerdoti pre­senti e le stesse religiose, poterono constatare questo fatto meraviglioso.
Potemmo constatare anche che, ai piedi e alle mani, la suora portava le cicatrici delle piaghe, simili a buchi. Su questo argomento, Don Belloni, confessore di suor Maria di Ge­sù Crocifisso, mi assicurò che, lei viva, quando si metteva in controluce una sua mano, si sarebbe detto che la carne ne era trapassata al posto delle stimmate.
Potemmo tutti inoltre constatare la traccia visibile di una larga ferita ricevuta al collo. Suor Cipriana (suora di San Giuseppe dell'Apparizione) mi ha raccontato che suor Maria di Gesù Crocifisso, trovandosi ad Alessandria, era stata colpita al collo dall'arma tagliente di un miserabile che la gettò in un fosso, ove sarebbe morta se la Santa Vergine non l'a­vesse salvata da questo pericolo.
Pochi giorni dopo la sepoltura, ho sentito raccontare che, essendo terminata l'operazio­ne di Carpani per 1'espianto del cuore, il cadavere aveva steso le braccia a forma di croce ed era rimasta in questa posizione fino a quando venne il momento di metterlo nella bara. La Madre Priora ordinò a questo punto al cadavere di piegare le braccia... Il cadavere ob­bedì a quell'ordine e la suora fu seppellita.