domenica 4 agosto 2013

Bianchi fiocchi di neve. MSM


Sant'Omero (Teramo), 5 agosto 1995. Festa della Madonna della neve.


Bianchi fiocchi di neve.

«Seguitemi, figli prediletti, sulla strada che Io vi ho tracciato, con i miei messaggi, se volete vivere sempre e perfettamente la consacrazione al mio Cuore Immacolato, che mi avete fatto.


- Sulla strada dei miei messaggi imparate ad abbandonarvi a Me come piccoli bambini ed a lasciarvi guidare con la semplicità, la fiducia e il completo abbandono dei figli.
Questo vostro abbandono mi è necessario, perché Io possa agire in voi e nella vostra vita.
Mio compito materno è di trasformarvi ogni giorno, perché possiate compiere in maniera perfetta la Volontà del Signore.
Così vi aiuto a liberarvi dal peccato, per camminare sulla via della grazia divina, dell'amore, della purezza e della santità.

Nel grande deserto in cui vivete, nel mare immenso di impurità che sommerge questo mondo posseduto dal Maligno, bianchi fiocchi di neve scendono dal mio Cuore Immacolato su voi, figli a Me consacrati, perché possiate diffondere ovunque il mio profumo di cielo e diventare segni
e strumenti della divina misericordia nel mondo.


- Sulla strada dei miei messaggi venite formati a proclamare, con coraggio e zelo, il Vangelo di Gesù.
Quanto soffre il mio Cuore di Mamma perché, di fronte al dilagare di errori e di eresie, di scandali e di cattivi esempi, si mantiene un grave silenzio, carico di indifferenza e di compromesso, da parte di coloro che hanno il dovere di parlare.
Mai, come ai vostri giorni, molti Pastori sono diventati "cani muti", che non difendono il gregge a loro affidato dall'essere minacciato, sedotto e 
divorato da molti lupi rapaci.
È per questo che il Vangelo di mio figlio Gesù viene lacerato e dilaniato in ogni sua parte.
Allora mio compito materno è quello di portarvi a credere al Vangelo, a lasciarvi guidare solo dalla sapienza del Vangelo, a vivere alla lettera il Vangelo.
Per questo vi guido, con dolcezza e con fermezza materna, per mezzo dei miei messaggi.

Così, nella grande apostasia che dilaga, bianchi fiocchi di neve scendono dal mio Cuore Immacolato su voi, figli a Me consacrati, perché possiate portare in ogni parte la luce della divina Parola e diventare strumenti, che ovunque fanno rifulgere, nel suo più grande splendore, tutta la Verità contenuta nel Vangelo di mio figlio Gesù.



- Sulla strada dei miei messaggi vi porto alla comprensione di ciò che è scritto nel Libro ancora sigillato.
Molte pagine di quanto è contenuto nell'Apocalisse di San Giovanni, da Me vi sono state già spiegate.
Sopra tutto vi ho indicato la grande battaglia che si svolge fra la Donna vestita di sole ed il Dragone rosso, aiutato dalla bestia nera, cioè dalla massoneria.
Vi ho anche svelato le subdole e diaboliche insidie tese a voi dalla massoneria, che è entrata all'interno della Chiesa ed ha posto il centro del suo potere là dove Gesù ha posto il centro ed il fondamento della sua unità. Non turbatevi, perché questo fa parte del mistero di iniquità,
che la Chiesa conosce fino dalla sua nascita. Infatti anche nel Collegio Apostolico è entrato Satana, che ha spinto Giuda, uno dei dodici, a diventare il traditore.
In questi vostri tempi, il mistero di iniquità si sta manifestando in tutta la sua terribile potenza.

Allora, nel momento presente della grande tribolazione, che è giunta per la Chiesa e per l'umanità, bianchi fiocchi di neve scendono dal mio Cuore Immacolato su voi, figli a Me consacrati, perché possiate portare a tutti la mia voce materna che vi conduce alla speranza ed alla fiducia.


Così voi potete prendere per mano tanti miei poveri figli, percossi ed oppressi dal vento impetuoso della grande tribolazione, e varcare insieme le luminose soglie della speranza, nella gioiosa attesa che scendano sul mondo, col trionfo del mio Cuore Immacolato, i bianchi fiocchi di neve della Divina Misericordia» .
AVE GRATIA PLENA

I pellegrini in cerca di lavoro // Una parabola indimenticabile

Le parabole di Gesù
(031)
I pellegrini in cerca di lavoro (385.4 - 385.5 - 385.6)

Un gruppo di pellegrini, venuti da lontane regioni in cerca di lavoro, si trovò ai confini di uno stato. A questi confini erano dei procacciatori di lavoro mandati da diversi padroni. 

Vi era 
chi cercava uomini per le miniere e 
chi per campi e boschi, 
chi servi per un ricco infame e 
chi soldati per un re che stava in cima ad un monte, nel suo castello al quale si accedeva per una strada molto erta. Il re voleva milizie, ma esigeva che le stesse fossero non tanto milizie di violenza quanto di sapienza, per mandarle poi per le città a santificare i suoi sudditi. Per questo viveva lassù, come in un romitaggio, per formare i suoi servi senza che le distrazioni mondane li corrompessero rallentando o annullando la formazione dello spirito. Non prometteva alte mercedi. Non prometteva vita comoda. Ma dava assicurazione che dal suo servizio sarebbe scaturita santità e premio.


Così dicevano i suoi messi a quelli che giungevano alle frontiere. 
Invece i messi dei padroni delle miniere o dei campi dicevano: "Non sarà vita comoda, ma però sarete liberi e guadagnerete di che darvi un poco di sollazzo." E quelli che cercavano servi per un padrone infame promettevano addirittura cibo abbondante, ozio, godimenti e ricchezze: "Basta che acconsentiate ai duri capricci - oh! per nulla penosi! - e godrete come tanti satrapi".


I pellegrini si consultarono fra loro. Dividersi non volevano.... Chiesero: "Ma i campi e le miniere, il palazzo dell'uomo gaudente e quello del re, sono vicini?"
"Oh! no!" risposero i procacciatori. " venite a quel quadrivio e vi mostreremo le diverse strade."

Andarono.

"Ecco! Questa splendida via, ombrosa, fiorita, liscia, con fonti fresche, discende al palazzo del signore" dissero i procacciatori dei servi.

"Ecco! Questa è polverosa, fra campi sereni, conduce ai campi. C'è sole, ma vedete che è bella ancora" dissero quelli dei campi.

"Ecco! Questa così solcata da ruote pesanti e sparsa di chiazze scure segna la direzione delle miniere. Non è nè bella nè brutta..." dissero quelli delle miniere.

"Ecco, questo sentiero ripido, tagliato fra rocce che il sole accende, sparso di pruni e burroni che rallentano l'andare, ma in compenso fanno difesa facile contro gli assalti dei nemici, conduce a oriente, al castello severo, diremmo quasi sacro, dove gli spiriti si formano al bene" dissero quelli del re.

I pellegrini guardavano, guardavano. Calcolavano.... Tentati da molte cose delle quali solo una era totalmente buona. E lentamente si divisero. Erano dieci. Tre piegarono verso i campi... e due verso le miniere. 

I superstiti si guardarono e due dissero: "Venite con noi. Dal re. Non guadagneremo e non godremo sulla Terra, ma saremo santi in eterno."

"Quel sentiero lì? Fossimo matti! Non guadagnare? Non godere? Non valeva la pena lasciare tutto e venire in esilio per avere ancor meno di ciò che avevamo nella patria nostra. Noi vogliamo guadagnare e godere..."
"Ma perderete il bene eterno! Non avete sentito che è padrone infame?"
"Fole! Dopo un poco lo lasceremo, ma avremo goduto e saremo ricchi."
"Non ve ne libererete più. Male hanno fatto i primi seguendo l'avidità del denaro. Ma voi! Voi seguite l'avidità del piacere. Oh! non mutate per un'ora fuggente la sorte eterna!"
"Siete degli stolti e credete alle promesse ideali. Noi andiamo alla realtà. Addio!..." e di corsa presero la bella via ombrosa, fiorita, ricca d'acque, liscia, in fondo alla quale brillava al sole il magico palazzo del gaudente.

I due superstiti presero, piangendo e pregando, l'erto sentiero. E dopo pochi metri quasi si sconfortarono tanto era difficile. Ma perseverarono. E la carne parve sempre più lieve più essi procedevano, la fatica si faceva consolata da un giubilo strano. Giunsero anelanti, graffiati, in cima al monte e furono ammessi al cospetto del re, il quale disse loro tutto quanto esigeva per farne i suoi prodi, e terminò dicendo: "Pensateci per otto giorni e poi rispondete."

Ed essi molto pensarono e dure lotte sostennero col Tentatore che voleva sgomentarli, con la carne che diceva: "Voi mi sacrificate", col mondo i cui ricordi seducevano ancora. Ma vinsero. Rimasero. Divennero eroi del Bene. Venne la morte, ossia la glorificazione. 

Dall'alto dei Cieli videro nel profondo quelli che erano andati al padrone infame. Incatenati anche oltre la vita gemevano nel buio dell'Inferno. "E volevano essere liberi e godere!" dissero i due santi.
E i tre dannati li videro e, orridi, li maledissero e maledissero tutti, Dio per primo, dicendo: "Ci avete tutti ingannati!"
"No. Non lo potete dire. Vi era stato detto del pericolo. Avete voluto il vostro male" risposero i beati, sereni anche vedendo e udendo gli scherni osceni e le oscene bestemmie lanciate ad essi.

E videro quelli dei campi e delle miniere in diverse regioni purgative, e quelli li videro e dissero: "Non fummo nè buoni nè cattivi, ed ora espiamo la tiepidezza nostra. Pregate per noi!"
"Oh! lo faremo! Ma perchè mai non siete venuti con noi?"
"Perchè fummo non demoni, ma uomini... Ingenerosi fummo. Amammo il transitorio, anche se onesto, più dell'Eterno e Santo. Ora impariamo a conoscere e ad amare con giustizia".



Parabola sui figli



Le parabole di Gesù
(029)
Parabola sui figli (364.9)


Un tempo vi fu un uomo il quale per alcuni suoi impegni dovette assentarsi per lungo tempo da casa lasciando dei figli ancora poco più che fanciulli. Dal luogo in cui si trovava scriveva lettere ai suoi figli maggiori per tenerli sempre nel rispetto del padre lontano e per ricordare loro i suoi insegnamenti. L'ultimo, nato quando egli era partito, era ancora a balia presso una donna lontana di lì, dei paesi della moglie, che non era della sua razza.


La moglie venne a morire mentre questo figlio era ancora piccolo e lontano da casa. I fratelli dissero:
"Lasciamolo là dove è, presso i parenti di nostra madre. Forse il padre se ne scorderà e noi ne avremo utile, avendo a dividere con uno di meno, quando nostro padre verrà a morte". E così fecero.
In questa maniera il fanciullo lontano visse allevato dai parenti materni, ignorando gli insegnamenti del padre, ignorando di avere un padre e dei fratelli, o peggio conoscendo l'amarezza della riflessione: "Essi tutti mi hanno ripudiato come fossi un bastardo" , e giunse persino a crederlo di esserlo, tanto si sentiva reietto dal padre.


Il caso volle che fatto uomo, e messosi ad un impiego - perchè, inasprito come era dai pensieri sopraddetti, aveva preso in odio anche la famiglia di sua madre che riputava colpevole di adulterio - questo giovane andasse nella città dove era il padre suo. E senza sapere chi fosse lo avvicinò ed ebbe modo di sentirlo parlare. L'uomo era saggio. Non avendo soddisfazioni dai figli lontani - che ormai facevano da sè mantenendo solo rapporti convenzionali con il padre lontano, tanto da ricordargli che essi erano i "suoi" figli, e che perciò se ne ricordasse nel testamento - si occupava molto di dare retti consigli ai giovani che aveva modo di avvicinare nella terra dove era.

Il giovane fu attratto da quella rettezza che era paterna verso tanti giovani, e non solo si accostò a lui ma fece tesoro di ogni suo parola, facendo buono il suo animo inasprito.
L'uomo si ammalò, dovette decidersi a tornare in patria. E il giovane gli disse: "Signore, tu solo mi hai parlato con giustizia, elevando l'animo mio. Lascia che io ti segua come servo. Non voglio ricadere nel male di prima".
"Vieni con me. Starai al posto di un figlio di cui non ho più potuto avere notizia". E tornarono insieme alla casa paterna.

Nè il padre, nè i fratelli, nè lo stesso giovane, intuirono che il Signore aveva riuniti di nuovo quelli di un sangue sotto un unico tetto. Ma il padre ebbe molto a piangere per i figli a lui noti, perchè li trovò dimentichi dei suoi insegnamenti, avidi, duri di cuore, non più con la fede in Dio ma sibbene con molte idolatrie in cuore: superbia, avarizia e lussuria erano i loro dèi, e non volevano sentire di altro che utile umano fosse.
Lo straniero, invece, sempre più si accostava al Signore, si faceva giusto, buono, amoroso, ubbidiente. I fratelli lo odiavano perchè il padre amava quello straniero. Egli perdonava e amava perchè aveva capito che nell'amore è la pace.

Il padre, un giorno, disgustato dalla condotta dei figli disse: "Voi vi siete disinteressati dei parenti di vostra madre, e persino del fratello vostro. Mi ricordate la condotta dei figli di Giacobbe verso il loro fratello Giuseppe. Voglio andare a quelle terre per sapere di lui. Può darsi che lo ritrovi e che ne abbia conforto.
E si accomiatò tanto dai figli noti come dal giovane sconosciuto, dando a questo viatico di denaro perchè potesse tornare al luogo da dove era venuto e mettervi un piccolo commercio.

Giunto alle terre della moglie morta, i parenti di essa gli raccontarono che il figlio abbandonato, dal nome primitivo di Mosè era passato a quello di Manasse, perchè realmente egli col suo nascere aveva fatto dimenticare al padre di essere giusto avendolo abbandonato.
"Non fatemi torto! Mi era stato detto che del fanciullo si erano perdute le tracce, e neppure speravo di trovare più alcun di voi. Ma ditemi di lui. Come è? E' cresciuto forte? Assomiglia alla mia amata sposa che si esaurì nel darmelo? E' buono? Mi ama?"

"Forte, è forte, e bello è come la madre sua, solo che ha gli occhi di un nero schietto. Ma persino della madre ha preso la voglia di carruba sul fianco. Di te invece ha la pronuncia lievemente blesa. Andò da adulto via di qui, inasprito della sua sorte, avendo dubbi sull'onestà della madre, e per te avendo rancore.
Buono sarebbe stato se non avesse avuto questo rancore nell'anima. Andò oltre i monti e fiumi fino a Trapezius per...."
"A Trapezius dite? Nel Sinopio? Oh! dite! Io là ero e vidi un giovane che era lievemente bleso, solo e triste, e buono tanto sotto la sua crosta di durezza. E' lui? Dite?"
"Forse lui sarà. Ricercalo. Sul fianco destro ha la carruba rilevata e scura come l'aveva la moglie tua."

L'uomo partì a precipizio, sperando ritrovare ancora lo straniero alla sua casa. Era partito per tornare verso la colonia di Sinopio. E l'uomo dietro... Lo trovò. Lo fece venire per scoprirgli il fianco. Lo riconobbe. Cadde in ginocchio lodando Iddio per avergli reso il figlio, e buono più degli altri che sempre più imbestiavano mentre questo, nei mesi che erano intercorsi, si era sempre più fatto santo. E al figlio buono disse: "Tu avrai la parte dei fratelli perchè tu, senza amore da parte di alcuno, ti sei fatto giusto più di ogni altro."

Santa Maria, 
in Te ogni grazia di vita e di verità

sabato 3 agosto 2013

Santa Gertrude, la Grande





Mi pareva così fuori di proposito pubblicare questo scrit­to, che non sapevo rassegnarmi ad ubbidire alla voce della coscienza. Differii dunque fino all'Esaltazione della S. Croce e, proprio in quel giorno, durante la S. Messa, proposi a me stessa d'applicarmi ad un altro lavoro, quando Nostro Signo­re trionfò delle mie resistenze: « Sta sicura, mi disse, che non uscirai dalla prigione del corpo, prima d'avermi pagato que­sto debito fino all'ultima sillaba».


Siccome poi andavo ruminando che già avevo fatto fruttificare i doni di Dio a vantaggio del prossimo, se non con lo scritto, almeno con le parole, il Signore m'oppose quan­to avevo sentito leggere in quella stessa notte, dopo Mattu­tino: « Se il Salvatore avesse voluto rivelare la sua dottrina soltanto a' suoi contemporanei, avrebbe pronunciato discor­si senza ispirare scrittori sacri: ma i suoi insegnamenti furo­no scritti, affinchè possano servire a beneficio di un più grande numero di persone ». Aggiunse Gesù: « Non accetto nessuna obbiezione: voglio che i tuoi scritti siano per gli ultimi tempi, nei quali diffonderò le mie grazie su numero­sissime anime, una conferma evidente della mia divina te­nerezza ».

Dopo aver ascoltato queste parole, rimasi oppressa, pen­sando che mi sarebbe difficile, per non dire impossibile, tradurre esattamente in linguaggio umano le cose suesposte, e presentarle al pubblico senza pericolo di scandalo,
Il Signore, per vincere la mia pusillanimità, parve far ca­dere su di me una pioggia torrenziale, ne fui scossa e, pove­ra creatura qual sono, m'inchinai verso terra, come una pian­ticella tenera e fragile, incapace di assorbire quell'acqua. Af­ferrai nel frattempo, il suono di alcune parole importanti, che però il mio intelletto non riusciva a comprendere. Più preoccupata che mai, andavo chiedendo a me stessa quello che ciò volesse dire, quando Tu, o mio Gesù, con l'abituale tenerezza, volesti alleggerire il mio cruccio e riconfortarmi l'animo, dicendomi: « Poichè quest'abbondante pioggia ti rie­sce inutile, ti applicherò al mio divin Cuore per versare in te, a poco a poco, quello di cui abbisogni. Agirò con dolcezza e soavità, secondo la misura delle tue forze ».

In realtà, o mio Dio, dopo d'aver constatato gli effetti della tua promessa, posso dichiarare che l'hai adempita per­fettamente. Infatti ogni mattina all'ora più adatta, Tu m'ispi­ravi qualcuna di queste pagine. Agivi con tale dolcezza e pre­cisione che, senza nessun sforzo da parte mia, scrivevo cose che fino allora non avevo mai ricordato, e che si presenta­vano con tale nitidezza al mio pensiero come se da lungo tempo le avessi fisse nella memoria.
Però meco agivi con grande discrezione; infatti, dopo aver scritto un certo numero di pagine, mi era impossibile, anche applicando tutte le forze della mente, tracciare una so­la di quelle parole che, al mattino seguente, a me si presen­tavano con tanta abbondanza e senza la minima difficoltà. Con questo metodo Tu moderavi e dirigevi la mia foga natu­rale, insegnandomi che « non bisogna abbandonarsi all'azio­ne al punto di trascurare la contemplazione ». In ogni occasione ti mostravi geloso della salvezza della mia anima e, pur permettendomi di gustare talvolta i giocondi amplessi di Rachele, non mi privasti mai della gloriosa fecondità di Lia.
Possa lo giungere, o mio Dio, a piacerti perfettamente, unendo, per farti contento, le due forme di vita attiva e contemplativa.

S. Gertrude, o.p.n.

SAN MARCELLO, martire



Atti di Marcello

Tangeri 30 ottobre 298

Passione del santo e beatissimo Marcello, martire di Cristo,
che subì il martirio sotto Agricolano, tre giorni prima delle calende di Novembre


I. Durante il consolato di Fausto e Gallo, cinque giorni prima delle calende di agosto (il 28 luglio), fu introdotto Marcello, centurione astato della prima coorte. 

Il governatore Fortunato disse: “Come mai, contro il regolamento militare, ti sei spogliato del balteo e della spada e hai gettato via l’insegna del tuo grado?”.
Marcello rispose: “Già il 21 luglio, davanti alle insegne di codesta legione, quando avete celebrato il giorno festivo del vostro imperatore, ti ho risposto pubblicamente e distintamente che io sono cristiano, e che non posso prestare questo servizio, ma servire solo Gesù Cristo figlio del Dio onnipotente”.
Il governatore Fortunato disse: “Non posso ignorare la tua avventatezza, e quindi riferirò il fatto ai nostri signori Augusti e Cesari. E tu poi, sta certo, sarai introdotto davanti al tribunale del mio signore Aurelio Agricolano facente funzione di prefetto al pretorio, e ti scorterà Cecilio, ufficiale appartenente alle forze armate del governatore della provincia”.

“Manilio Fortunato saluta il suo Agricolano. Nel giorno felicissimo e in tutto il mondo beatissimo dell’autentico compleanno dei nostri signori Augusti e Cesari a un tempo, mentre celebravamo la solenne festività, o signore Aurelio Agricolano, Marcello, centurione ordinario, preso da un inspiegabile accesso di follia, si è spogliato spontaneamente del balteo e della spada, e ha creduto bene di gettare l’insegna del grado che portava proprio davanti alle insegne dei nostri signori. Ho creduto necessario riferire questo fatto alla tua potestà, e contemporaneamente far tradurre davanti a te lo stesso Marcello”.

Reliquie di San Marcello il Centurione,
South Bend, Indiana (Stati Uniti)
II. Durante il consolato di Fausto e Gallo, tre giorni prima delle calende di novembre (il 30 ottobre), a Tangeri, fu
 introdotto Marcello, centurione astato della prima coorte. Un funzionario disse: “Il governatore Fortunato ha fatto tradurre dinanzi alla tua potestà Marcello. C’è qui per la tua magnificenza anche una lettera sul suo caso; se lo ordini, ne darò lettura”.

Agricolano disse: “Se ne dia lettura”.
Data lettura della lettera, Agricolano disse: “Hai detto le cose di cui viene data lettura nel verbale del governatore?”. Marcello disse: “Sì”.
Agricolano disse: “Prestavi servizio col grado di centurione ordinario?”.
Marcello disse: “Sì”.

Agricolano disse: “Che pazzia ti ha preso, sì da farti gettare la sacra insegna e da farti parlare in questo modo?”.
Marcello disse: “Non c’è pazzia in colui che è timorato di Dio”.
Agricolano disse: “Hai detto tutte le singole cose che sono contenute nei verbali del governatore?”.
Marcello disse: “Si”.
Agricolano disse: “Hai fatto getto delle armi?”.
Marcello disse: “Sì. Infatti un cristiano, timorato di Cristo Signore, non deve prestar servizio nelle milizie di questo mondo”.
Agricolano disse: “Le azioni di Marcello sono tali, che devono essere punite in base al regolamento”. E disse così:

“Marcello, che ha contaminato il centurionato in cui militava facendo getto pubblicamente della sacra insegna del grado, e in più dinanzi al governatore ha fatto mettere a verbale parole piene di follia, è condannato alla decapitazione”.
Mentre era condotto al supplizio, il santo Marcello disse: “Dio ti ricolmi di benefici”.
Decapitato dopo aver pronunciato queste parole, Marcello ottenne la palma del martirio cui aspirava, sotto il regno di nostro Signore Gesù Cristo, che ricevette il suo martire nella pace. A lui sono onore e gloria, virtù e potestà nei secoli dei secoli. Amen.



Cfr. G. Lanata, “Processi contro cristiani negli atti dei martiri”, Torino 1989, pp. 59-63.