Le parabole di Gesù
(031)
I pellegrini in cerca di lavoro (385.4 - 385.5 - 385.6)
Un gruppo di pellegrini, venuti da lontane regioni in cerca di lavoro, si trovò ai confini di uno stato. A questi confini erano dei procacciatori di lavoro mandati da diversi padroni.
Vi era
chi cercava uomini per le miniere e
chi per campi e boschi,
chi servi per un ricco infame e
chi soldati per un re che stava in cima ad un monte, nel suo castello al quale si accedeva per una strada molto erta. Il re voleva milizie, ma esigeva che le stesse fossero non tanto milizie di violenza quanto di sapienza, per mandarle poi per le città a santificare i suoi sudditi. Per questo viveva lassù, come in un romitaggio, per formare i suoi servi senza che le distrazioni mondane li corrompessero rallentando o annullando la formazione dello spirito. Non prometteva alte mercedi. Non prometteva vita comoda. Ma dava assicurazione che dal suo servizio sarebbe scaturita santità e premio.
Così dicevano i suoi messi a quelli che giungevano alle frontiere.
Invece i messi dei padroni delle miniere o dei campi dicevano: "Non sarà vita comoda, ma però sarete liberi e guadagnerete di che darvi un poco di sollazzo." E quelli che cercavano servi per un padrone infame promettevano addirittura cibo abbondante, ozio, godimenti e ricchezze: "Basta che acconsentiate ai duri capricci - oh! per nulla penosi! - e godrete come tanti satrapi".
I pellegrini si consultarono fra loro. Dividersi non volevano.... Chiesero: "Ma i campi e le miniere, il palazzo dell'uomo gaudente e quello del re, sono vicini?"
"Oh! no!" risposero i procacciatori. " venite a quel quadrivio e vi mostreremo le diverse strade."
Andarono.
"Ecco! Questa splendida via, ombrosa, fiorita, liscia, con fonti fresche, discende al palazzo del signore" dissero i procacciatori dei servi.
"Ecco! Questa è polverosa, fra campi sereni, conduce ai campi. C'è sole, ma vedete che è bella ancora" dissero quelli dei campi.
"Ecco! Questa così solcata da ruote pesanti e sparsa di chiazze scure segna la direzione delle miniere. Non è nè bella nè brutta..." dissero quelli delle miniere.
"Ecco, questo sentiero ripido, tagliato fra rocce che il sole accende, sparso di pruni e burroni che rallentano l'andare, ma in compenso fanno difesa facile contro gli assalti dei nemici, conduce a oriente, al castello severo, diremmo quasi sacro, dove gli spiriti si formano al bene" dissero quelli del re.
I pellegrini guardavano, guardavano. Calcolavano.... Tentati da molte cose delle quali solo una era totalmente buona. E lentamente si divisero. Erano dieci. Tre piegarono verso i campi... e due verso le miniere.
I superstiti si guardarono e due dissero: "Venite con noi. Dal re. Non guadagneremo e non godremo sulla Terra, ma saremo santi in eterno."
"Quel sentiero lì? Fossimo matti! Non guadagnare? Non godere? Non valeva la pena lasciare tutto e venire in esilio per avere ancor meno di ciò che avevamo nella patria nostra. Noi vogliamo guadagnare e godere..."
"Ma perderete il bene eterno! Non avete sentito che è padrone infame?"
"Fole! Dopo un poco lo lasceremo, ma avremo goduto e saremo ricchi."
"Non ve ne libererete più. Male hanno fatto i primi seguendo l'avidità del denaro. Ma voi! Voi seguite l'avidità del piacere. Oh! non mutate per un'ora fuggente la sorte eterna!"
"Siete degli stolti e credete alle promesse ideali. Noi andiamo alla realtà. Addio!..." e di corsa presero la bella via ombrosa, fiorita, ricca d'acque, liscia, in fondo alla quale brillava al sole il magico palazzo del gaudente.
I due superstiti presero, piangendo e pregando, l'erto sentiero. E dopo pochi metri quasi si sconfortarono tanto era difficile. Ma perseverarono. E la carne parve sempre più lieve più essi procedevano, la fatica si faceva consolata da un giubilo strano. Giunsero anelanti, graffiati, in cima al monte e furono ammessi al cospetto del re, il quale disse loro tutto quanto esigeva per farne i suoi prodi, e terminò dicendo: "Pensateci per otto giorni e poi rispondete."
Ed essi molto pensarono e dure lotte sostennero col Tentatore che voleva sgomentarli, con la carne che diceva: "Voi mi sacrificate", col mondo i cui ricordi seducevano ancora. Ma vinsero. Rimasero. Divennero eroi del Bene. Venne la morte, ossia la glorificazione.
Dall'alto dei Cieli videro nel profondo quelli che erano andati al padrone infame. Incatenati anche oltre la vita gemevano nel buio dell'Inferno. "E volevano essere liberi e godere!" dissero i due santi.
E i tre dannati li videro e, orridi, li maledissero e maledissero tutti, Dio per primo, dicendo: "Ci avete tutti ingannati!"
"No. Non lo potete dire. Vi era stato detto del pericolo. Avete voluto il vostro male" risposero i beati, sereni anche vedendo e udendo gli scherni osceni e le oscene bestemmie lanciate ad essi.
E videro quelli dei campi e delle miniere in diverse regioni purgative, e quelli li videro e dissero: "Non fummo nè buoni nè cattivi, ed ora espiamo la tiepidezza nostra. Pregate per noi!"
"Oh! lo faremo! Ma perchè mai non siete venuti con noi?"
"Perchè fummo non demoni, ma uomini... Ingenerosi fummo. Amammo il transitorio, anche se onesto, più dell'Eterno e Santo. Ora impariamo a conoscere e ad amare con giustizia".
Vi era
chi cercava uomini per le miniere e
chi per campi e boschi,
chi servi per un ricco infame e
chi soldati per un re che stava in cima ad un monte, nel suo castello al quale si accedeva per una strada molto erta. Il re voleva milizie, ma esigeva che le stesse fossero non tanto milizie di violenza quanto di sapienza, per mandarle poi per le città a santificare i suoi sudditi. Per questo viveva lassù, come in un romitaggio, per formare i suoi servi senza che le distrazioni mondane li corrompessero rallentando o annullando la formazione dello spirito. Non prometteva alte mercedi. Non prometteva vita comoda. Ma dava assicurazione che dal suo servizio sarebbe scaturita santità e premio.
Così dicevano i suoi messi a quelli che giungevano alle frontiere.
Invece i messi dei padroni delle miniere o dei campi dicevano: "Non sarà vita comoda, ma però sarete liberi e guadagnerete di che darvi un poco di sollazzo." E quelli che cercavano servi per un padrone infame promettevano addirittura cibo abbondante, ozio, godimenti e ricchezze: "Basta che acconsentiate ai duri capricci - oh! per nulla penosi! - e godrete come tanti satrapi".
I pellegrini si consultarono fra loro. Dividersi non volevano.... Chiesero: "Ma i campi e le miniere, il palazzo dell'uomo gaudente e quello del re, sono vicini?"
"Oh! no!" risposero i procacciatori. " venite a quel quadrivio e vi mostreremo le diverse strade."
Andarono.
"Ecco! Questa splendida via, ombrosa, fiorita, liscia, con fonti fresche, discende al palazzo del signore" dissero i procacciatori dei servi.
"Ecco! Questa è polverosa, fra campi sereni, conduce ai campi. C'è sole, ma vedete che è bella ancora" dissero quelli dei campi.
"Ecco! Questa così solcata da ruote pesanti e sparsa di chiazze scure segna la direzione delle miniere. Non è nè bella nè brutta..." dissero quelli delle miniere.
"Ecco, questo sentiero ripido, tagliato fra rocce che il sole accende, sparso di pruni e burroni che rallentano l'andare, ma in compenso fanno difesa facile contro gli assalti dei nemici, conduce a oriente, al castello severo, diremmo quasi sacro, dove gli spiriti si formano al bene" dissero quelli del re.
I pellegrini guardavano, guardavano. Calcolavano.... Tentati da molte cose delle quali solo una era totalmente buona. E lentamente si divisero. Erano dieci. Tre piegarono verso i campi... e due verso le miniere.
I superstiti si guardarono e due dissero: "Venite con noi. Dal re. Non guadagneremo e non godremo sulla Terra, ma saremo santi in eterno."
"Quel sentiero lì? Fossimo matti! Non guadagnare? Non godere? Non valeva la pena lasciare tutto e venire in esilio per avere ancor meno di ciò che avevamo nella patria nostra. Noi vogliamo guadagnare e godere..."
"Ma perderete il bene eterno! Non avete sentito che è padrone infame?"
"Fole! Dopo un poco lo lasceremo, ma avremo goduto e saremo ricchi."
"Non ve ne libererete più. Male hanno fatto i primi seguendo l'avidità del denaro. Ma voi! Voi seguite l'avidità del piacere. Oh! non mutate per un'ora fuggente la sorte eterna!"
"Siete degli stolti e credete alle promesse ideali. Noi andiamo alla realtà. Addio!..." e di corsa presero la bella via ombrosa, fiorita, ricca d'acque, liscia, in fondo alla quale brillava al sole il magico palazzo del gaudente.
I due superstiti presero, piangendo e pregando, l'erto sentiero. E dopo pochi metri quasi si sconfortarono tanto era difficile. Ma perseverarono. E la carne parve sempre più lieve più essi procedevano, la fatica si faceva consolata da un giubilo strano. Giunsero anelanti, graffiati, in cima al monte e furono ammessi al cospetto del re, il quale disse loro tutto quanto esigeva per farne i suoi prodi, e terminò dicendo: "Pensateci per otto giorni e poi rispondete."
Ed essi molto pensarono e dure lotte sostennero col Tentatore che voleva sgomentarli, con la carne che diceva: "Voi mi sacrificate", col mondo i cui ricordi seducevano ancora. Ma vinsero. Rimasero. Divennero eroi del Bene. Venne la morte, ossia la glorificazione.
Dall'alto dei Cieli videro nel profondo quelli che erano andati al padrone infame. Incatenati anche oltre la vita gemevano nel buio dell'Inferno. "E volevano essere liberi e godere!" dissero i due santi.
E i tre dannati li videro e, orridi, li maledissero e maledissero tutti, Dio per primo, dicendo: "Ci avete tutti ingannati!"
"No. Non lo potete dire. Vi era stato detto del pericolo. Avete voluto il vostro male" risposero i beati, sereni anche vedendo e udendo gli scherni osceni e le oscene bestemmie lanciate ad essi.
E videro quelli dei campi e delle miniere in diverse regioni purgative, e quelli li videro e dissero: "Non fummo nè buoni nè cattivi, ed ora espiamo la tiepidezza nostra. Pregate per noi!"
"Oh! lo faremo! Ma perchè mai non siete venuti con noi?"
"Perchè fummo non demoni, ma uomini... Ingenerosi fummo. Amammo il transitorio, anche se onesto, più dell'Eterno e Santo. Ora impariamo a conoscere e ad amare con giustizia".