sabato 24 novembre 2012

"...L'unica preghiera che vi rivolgo è che dovunque vi troverete vi ricordiate di me nel Sacrifi­zio divino»

Santa Monica
Santa Monica


Nel secolo V S. Agostino rende omaggio alla pietà di sua madre, S. Monica, con uno splendido passo delle sue Confessioni, che qui vogliamo citare, e che dimo­stra la fede ch'egli aveva nel Purgatorio, e quanto sperasse dalle preghiere fatte per la madre (S. Agostino, Conf., libro IX, cap. 9 segg.).

«Un giorno la mia diletta madre, assalita da im­provvisa debolezza, perdette i sensi: quando correm­mo ìn suo aiuto, essendo già ritornata in sè, guardò tutti noi che la circondavamo, riconobbe me e mio fra­tello e con voce piangente ci disse: - Dove ero io? - E poichè ci vedeva ìnerti e oppressi dal dolore, soggiunse: - Qui, o figli miei, lascierete vostra ma­dre. - Io non risposi, chè il pianto mi impediva di parlare, ma il fratello con parole di conforto le disse di sperare di ritornare nella terra dei padri suoi. Ella fissatolo con sguardo triste per mostrargli che aveva tutto compreso, volse gli occhi sopra di me, e mi dis­se: - Senti che cosa ha detto? - e poco dopo rivol­gendosi ad ambedue: - Voi comporrete questo corpo in quel luogo ove meglio vi piacerà; non ve ne pren­dete pensiero. L'unica preghiera che vi rivolgo è che dovunque vi troverete vi ricordiate di me nel Sacrifi­zio divino». A questo proposito S. Agostino fa queste belle riflessioni: «Ora che il primo dolore prodotto dall'affetto naturale è passato, io vi loderò, o Signore, in nome della vostra serva, ed altre lacrime spargerò dinanzi a voi, che non siano della carne, ma bensl dello spirito, lacrime che fluiscono spontanee dal ci­glio quando si pensi al pericolo nel quale si trovano le anime che peccarono in Adamo, poichè quantun­que la madre mia sia stata vivificata in Gesù Cristo e sia vissuta nella carne glorificando sempre il vostro santo Nome col fervore della sua fede e con la illibatezza dei suoi costumi, nondimeno io non ardisco affermare che dal giorno in cui voi, o mio Dio, la rige­neraste col santo Battesimo, non sia uscita dalle sue labbra alcuna parola contro i vostri comandamenti. Ma poichè voi non desiderate la ricerca dell'iniquità, nutro fiducia filiale che la madre mia abbia trovato misericordia davanti al vostro cospetto, e perciò, o Dio del mio cuore, io lascio da parte a bella posta le opere sante fatte dalla mia diletta genitrice, e delle quali mi consolo rendendo a voi grazie infinite, per domandarvi solo perdono dei suoi peccati. Esaudite­mi, ve ne scongiuro per le ferite sanguinose di Colui che mori per noi sul legno infame, e che ora assiso alla vostra destra intercede per gli uomini.
Lo so ch'ella fece sempre misericordia e rimise di tutto cuore i debiti ai suoi debitori; rimettete quindi ancora voi a lei i suoi, se qualcuno ne avesse contratto nei numerosi anni che trascorsero dal giorno in cui fu rigenerata col santo Battesimo, fino a quello del suo passaggio da questa vita. Perdonatela, perdona­tela, ve ne scongiuro, o Signore, e non entrate con lei in giudizio, poichè la vostra misericordia supera la vostra giustizia, le vostre parole sono veraci e promet­teste misericordia a chi avrà fatto misericordia. Questa misericordia io credo che voi l'abbiate già fatta, o mio Dio; ma tuttavia accettate l'omaggio delle mie lab­bra. Ricordatevi che nel momento del suo passaggio all'altra vita, la vostra serva non pensò a far rendere al suo corpo funebri onoranze con splendidi esequie - e con profumi preziosi, non domandò un sepolcro su­perbo, nè di essere trasportata in quello che aveva fatto costruire a Tagoste, sua patria, ma solo volle che noi ci fossimo ricordati di lei dinanzi ai vostri santi altari, nel mistero sublime al quale ogni giorno ella prese parte, poichè sapeva che in questo si di­spensa la Vittima immacolata, il sangue della quale ha annullato la sentenza fatale della nostra condanna.

«Ch'ella dunque, o Signore, riposi in pace presso le ossa del suo consorte, accanto a colui al quale ri­mase fedele nelle gioie della verginità e nelle tristezze della vedovanza, accanto a colui di cui erasi fatta ser­va per guadagnarlo a voi con la sua pazienza salu­tare. E voi, o mio Dio, ispirate ai vostri servi, che sono miei fratelli, ispirate ai miei figli spirituali, che sono miei maestri, poichè il mio cuore, la mia voce, i miei scritti sono al loro servizio, ispirate a tutti quelli che leggeranno queste mie parole di ricordarsi dinanzi ai vostri altari di Monica, vostra serva, e di Patrizio, suo sposo. Furono essi che mi introdussero nel mon­do; fate dunque che tutti coloro che vivono fra la luce ingannevole di questo secolo si ricordino piamente dei miei genitori, affinchè l'ultima preghiera di mia ma­dre morente sia esaudita anche più di quello che essa desiderava; e non abbia essa a ricevere soltanto il soc­corso delle mie preghiere, ma anche quello di molti altri ».
Ho voluto riferire quasi per disteso questa meravi­gliosa preghiera del santo Dottore a vantaggio della sua madre defunta, perchè quando si pensi alla san­tità di quella illustre matrona, che la Chiesa sollevò agli onori degli altari, quando si consideri che nel momento in cui il figlio scriveva erano trascorsi circa vent'anni dalla morte di lei, si scorgerà facilmente che cosa pensasse il grande Dottore della Chiesa latina sul Purgatorio e sulla severità della giustizia di Dio. 

S. Gregorio Magno coi suoi Dialoghi contribuì no­tevolmente a promuovere tra i cristiani la devozione verso le anime del Purgatorio. Il Padre Lefebvre era salito dire ché S. Gregorio Magno doveva essere amato ed onorato dai fedeli per molte ragioni, ma sopratutto perchè aveva esposto in maniera tanto chiara e com­movente la dottrina del Purgatorio, e credeva che se non avesse parlato con tanta eloquenza di quelle ani­me sante, la devozione nutrita verso di loro nei secoli posteriori sarebbe stata meno ardente, e quindi insie­me alla devozione verso le anime del Purgatorio in­culcava sempre nei fedeli sentimenti di riconoscenza verso il santo Dottore.


Nel sesto secolo si introduce l'uso dell'Ufficiatura dei Morti, e da allora in poi le testimonianze della tradizione si accumulano in modo che è impossibile citarle tutte.

Sul finire del decimo secolo nella Certosa di Cluny, per opera del santo abate Odilone ebbe origine la Commemorazione dei Morti, che da quel tempo si ce­lebra ogni anno dalla Chiesa cattolica il 2 novembre, giorno seguente a quello in cui si celebrano le gioie della Chiesa trionfante con la Festa di Tutti i Santi:
Due secoli più tardi il grande Alighieri, che va considerato come l'interprete e lo specchio del suo tempo, riassumendo nella sua magnifica epopea tutte le pie credenze dell'epoca, esponeva coi canti più sublimi e con le più commoventi ispirazioni le pene del Pur­gatorio.

Sappiamo d'altra parte quanta fosse nel medio evo la devozione verso i defunti. In alcune città quando scendevano le ombre della notte e ciascuno si ripo­sava dai lavori della giornata, si udiva per le strade la voce del banditore notturno, che in quel cupo si­lenzio andava ripetendo - O buoni fratelli che ve­gliate, pregate per i defunti. - Gli uomini dei nostri giorni, che aboliscono con tanta cura gli emblemi della morte, troverebbero certamente troppo lugubre un simile avvertimento, ma in quell'età di fede i popoli erano meno delicati. La Chiesa militante formava una sola famiglia con la Chiesa purgante: il ricordo dei poveri morti non turbava il sonno di nessuno; col pretesto della sensibilità non si cercava di farlo scom­parire dalla mente di coloro che i trapassati avevano amato. Ai nostri giorni tutto è cambiato. Il ricordo dei defunti spesso ci riesce importuno: rari i pellegri­naggi alle tombe, fievole la riconoscenza, pochi i suf­fragi. Si è tentato e si tenta ancora perfino di distruggere i corpi dei nostri trapassati, per impedire così le salutari lezioni che vengono dalle loro tombe: al rito cristiano della inumazione si vorrebbe sostituire quello pagano della cremazione.

Nel secolo decimoquinto il Concilio di Firenze si occupò lungamente della questione del Purgatorio. Non già che la Chiesa latina e la greca non si trovassero d'accordo circa l'esisteriza di codesto luogo di pena, ma la controversia era sorta sulla natura è sulla durata delle pene, e, come vedremo altrove, per non porre ostacolo alla desiderata unione della Chiesa greca alla latina, il Concilio si astenne dal pronunziarsi su questo punto.

Nel secolo seguente una voce blasfema si fece udire nella Chiesa, condannando per la prima volta la pre­ghiera per i defunti. Era la voce di Lutero, che voleva infrangere quei vincoli sacri, che ci uniscono ai fra­telli d'oltre tomba, soffocando la preghiera sulle lab­bra e la speranza nel cuore di coloro che rimpiangono dilette memorie. Non più Purgatorio, non più stato intermedio tra la beatitudine del Cielo e le pene eterne dell'Inferno; cose tutte contrarie, diceva l'eresiarca, ai sentimenti più santi, alle ispirazioni più commo­venti del cuore umano.

Per una felice incoerenza non pochi protestanti si riconobbero cattolici presso la tomba di persone a loro care, e malgrado i sofismi del loro spirito, uscì spon­tanea da quei petti la preghiera in suffragio dei morti. Tolte però queste eccezioni, è certo che il Protestan­tesimo non ammette la preghiera per le anime dei trapassati.

A codeste negazioni infondate, la Chiesa cattolica, vera madre delle anime, oppose, una splendida rea­zione, poichè dopo avere rivendicato solennemente nel Concilio di Trento l'antica fede sul Purgatorio, di­chiarando anatema chiunque negasse la sua esistenza e l'utilità dei suffragi pei morti (Sess. VI cap. 3o, Sess. XXII cap. 2, Sess. XXV decretum), essa promosse per ogni parte la formazione di pie Società con lo scopo di pregare per i defunti. 

Così vediamo a Roma Paolo V autorizzare e incoraggiare la pia pratica di comunicarsi in una domenica di ogni mese a suffragio dei defunti, e a Bruxelles stabilirsi una Congregazione il cui scopo è di pregare per la libe­razione delle anime del Purgatorio, poichè, dicono gli statuti di questa Congregazione, se vi sono nella Chiesa Ordini religiosi fondati col pio scopo di redimere gli schiavi, con più forte ragione devono esi­stere congregazioni e confratelli che si occupino non a liberare dai ceppi i corpi dei cristiani, ma a trarre le loro anime dalle pene del Purgatorio. 
Queste pie confraternite si moltiplicarono e diffusero per tutto il mondo cristiano, e dappertutto furono arricchite di privilegi e di numerose indulgenze dai Vescovi e dai Sommi Pontefici.


Pure ai nostri dì molto si prega per le anime sante del Purgatorio. La pratica dell'atto eroico a vantag­gio dei defunti, che nei tempi passati era in uso solo qua e là, quasi come eccezione, ai giorni nostri si è talmente generalizzata, che intiere comunità religiose hanno più volte rinunziato a tutto il merito delle loro opere buone per convertirlo a pro dei defunti, e in quasi tutte le parrocchie è invaso il pio costume di consacrare l'intero mese di Novembre a suffragare le anime del Purgatorio. 
Finalmente in questi ultimi anni si è formato un Ordine religioso con lo scopo di procurare per mezzo della preghiera e del sacrificio il sollievo di quelle povere anime.

Così il ricordo dei morti rimane, e rimane a dispetto della lotta che si è fatto e si sta facendo a danno di quei cari, che, lasciandoci, sperarono nel nostro soc­corso, e non è un ricordo sterile, ma fatto di rimedi efficaci, di preghiere, di sacrifici, di opere buone, offerte alla giustizia divina, onde affretti il soggiorno beato della perpetua pace nella visione beatifica alle anime sante di coloro, che ci precedettero nel trava­glio della vita terrena.


LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

venerdì 23 novembre 2012

L'umiltà! "Chi si umilia sarà esaltato"


  1. La sacra Scrittura si rivolge a noi, fratelli, proclamando a gran voce: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".
  2. Così dicendo, ci fa intendere che ogni esaltazione è una forma di superbia,
  3. dalla quale il profeta mostra di volersi guardare quando dice: "Signore, non si è esaltato il mio cuore, né si è innalzato il mio sguardo, non sono andato dietro a cose troppo grandi o troppo alte per me".
  4. E allora? "Se non ho nutrito sentimenti di umiltà, se il mio cuore si è insuperbito, tu mi tratterai come un bimbo svezzato dalla propria madre".

  5. Quindi, fratelli miei, se vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell'umiltà e arrivare rapidamente a quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l'umiliazione della vita presente,
  6. bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala che apparve in sogno a Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire gli angeli.
  7. Non c'è dubbio che per noi quella discesa e quella salita possono essere interpretate solo nel senso che con la superbia si scende e con l'umiltà si sale.
  8. La scala così eretta, poi, è la nostra vita terrena che, se il cuore è umile, Dio solleva fino al cielo;
  9. noi riteniamo infatti che i due lati della scala siano il corpo e l'anima nostra, nei quali la divina chiamata ha inserito i diversi gradi di umiltà o di esercizio ascetico per cui bisogna salire.

  10. Dunque il primo grado dell'umiltà è quello in cui, rimanendo sempre nel santo timor di Dio, si fugge decisamente la leggerezza e la dissipazione,
  11. si tengono costantemente presenti i divini comandamenti e si pensa di continuo all'inferno, in cui gli empi sono puniti per i loro peccati, e alla vita eterna preparata invece per i giusti.
  12. In altre parole, mentre si astiene costantemente dai peccati e dai vizi dei pensieri, della lingua, delle mani, dei piedi e della volontà propria, come pure dai desideri della carne,
  13. l'uomo deve prendere coscienza che Dio lo osserva a ogni istante dal cielo e che, dovunque egli si trovi, le sue azioni non sfuggono mai allo sguardo divino e sono di continuo riferite dagli angeli.
  14. E' ciò che ci insegna il profeta, quando mostra Dio talmente presente ai nostri pensieri da affermare: "Dio scruta le reni e i cuori"
  15. come pure: "Dio conosce i pensieri degli uomini".
  16. Poi aggiunge: "Hai intuito di lontano i miei pensieri"
  17. e infine: "Il pensiero dell'uomo sarà svelato dinanzi a te".
  18. Quindi, per potersi coscienziosamente guardare dai cattivi pensieri, bisogna che il monaco vigile e fedele ripeta sempre tra sé: "Sarò senza macchia dinanzi a lui, solo se mi guarderò da ogni malizia".
  19. Ci è poi vietato di fare la volontà propria, dato che la Scrittura ci dice: "Allontanati dalle tue voglie"
  20. e per di più nel Pater chiediamo a Dio che in noi si compia la sua volontà.
  21. Perciò ci viene giustamente insegnato di non fare la nostra volontà, evitando tutto quello di cui la Scrittura dice: "Ci sono vie che agli uomini sembrano diritte, ma che si sprofondano negli abissi dell'inferno"
  22. e anche nel timore di quanto è stato affermato riguardo ai negligenti: "Si sono corrotti e sono divenuti spregevoli nella loro dissolutezza".
  23. Quanto poi alle passioni della nostra natura decaduta, bisogna credere ugualmente che Dio è sempre presente, secondo il detto del profeta: "Ogni mio desiderio sta davanti a te".
  24. Dobbiamo quindi guardarci dalle passioni malsane, perché la morte è annidata sulla soglia del piacere.
  25. Per questa ragione la Scrittura prescrive: "Non seguire le tue voglie".
  26. Se dunque "gli occhi di Dio scrutano i buoni e i cattivi"
  27. e se "il Signore esamina attentamente i figli degli uomini per vedere se vi sia chi abbia intelletto e cerchi Dio",
  28. se a ogni momento del giorno e della notte le nostre azioni vengono riferite al Signore dai nostri angeli custodi,
  29. bisogna, fratelli miei, che stiamo sempre in guardia per evitare che un giorno Dio ci veda perduti dietro il male e isteriliti, come dice il profeta nel salmo e,
  30. pur risparmiandoci per il momento, perché è misericordioso e aspetta la nostra conversione, debba dirci in avvenire: "Hai fatto questo e ho taciuto".

  31. Il secondo grado dell'umiltà è quello in cui, non amando la propria volontà, non si trova alcun piacere nella soddisfazione dei propri desideri,
  32. ma si imita il Signore, mettendo in pratica quella sua parola, che dice: "Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato".
  33. Cosa" pure un antico testo afferma: "La volontà propria procura la pena, mentre la sottomissione conquista il premio".

  34. Terzo grado dell'umiltà è quello in cui il monaco per amore di Dio si sottomette al superiore in assoluta obbedienza, a imitazione del Signore, del quale l'Apostolo dice: "Fatto obbediente fino alla morte".

  35. Il quarto grado dell'umiltà è quello del monaco che, pur incontrando difficoltà, contrarietà e persino offese non provocate nell'esercizio dell'obbedienza, accetta in silenzio e volontariamente la sofferenza
  36. e sopporta tutto con pazienza, senza stancarsi né cedere secondo il monito della Scrittura: " Chi avrà sopportato sino alla fine questi sarà salvato".
  37. E ancora: "Sia forte il tuo cuore e spera nel Signore".
  38. E per dimostrare come il servo fedele deve sostenere per il Signore tutte le possibili contrarietà, esclama per bocca di quelli che patiscono: "Ogni giorno per te siamo messi a morte, siamo trattati come pecore da macello".
  39. Ma con la sicurezza che nasce dalla speranza della divina retribuzione, costoro soggiungono lietamente: "E di tutte queste cose trionfiamo in pieno, grazie a colui che ci ha amato",
  40. mentre altrove la Scrittura dice: "Ci hai provato, Signore, ci hai saggiato come si saggia l'argento col fuoco; ci hai fatto cadere nella rete, ci hai caricato di tribolazioni".
  41. E per indicare che dobbiamo assoggettarci a un superiore, prosegue esclamando: "Hai posto degli uomini sopra il nostro capo".
  42. Quei monaci, però, adempiono il precetto del Signore, esercitando la pazienza anche nelle avversità e nelle umiliazioni, e, percossi su una guancia, presentano l'altra, cedono anche il mantello a chi strappa loro di dosso la tunica, quando sono costretti a fare un miglio di cammino ne percorrono due,
  43. come l'Apostolo Paolo sopportano i falsi fratelli e ricambiano con parole le offese e le ingiurie.

  44. Il quinto grado dell'umiltà consiste nel manifestare con un'umile confessione al proprio abate tutti i cattivi pensieri che sorgono nell'animo o le colpe commesse in segreto,
  45. secondo l'esortazione della Scrittura, che dice: "Manifesta al Signore la tua via e spera in lui".
  46. E anche: "Aprite l'animo vostro al Signore, perché è buono ed eterna è la sua misericordia",
  47. mentre il profeta esclama: "Ti ho reso noto il mio peccato e non ho nascosto la mia colpa.
  48. Ho detto: "confesserò le mie iniquità dinanzi al Signore" e tu hai perdonato la malizia del mio cuore".

  49. Il sesto grado dell'umiltà è quello in cui il monaco si contenta delle cose più misere e grossolane e si considera un operaio incapace e indegno nei riguardi di tutto quello che gli impone l'obbedienza,
  50. ripetendo a se stesso con il profeta: "Sono ridotto a nulla e nulla so; eccomi dinanzi a te come una bestia da soma, ma sono sempre con te".

  51. Il settimo grado dell'umiltà consiste non solo nel qualificarsi come il più miserabile di tutti, ma nell'esserne convinto dal profondo del cuore,
  52. umiliandosi e dicendo con il profeta: "Ora io sono un verme e non un uomo, l'obbrobrio degli uomini e il rifiuto della plebe";
  53. "Mi sono esaltato e quindi umiliato e confuso"
  54. e ancora: "Buon per me che fui umiliato, perché imparassi la tua legge".

  55. L'ottavo grado dell'umiltà è quello in cui il monaco non fa nulla al di fuori di ciò a cui lo sprona la regola comune del monastero e l'esempio dei superiori e degli anziani.

  56. Il nono grado dell'umiltà è proprio del monaco che sa dominare la lingua e, osservando fedelmente il silenzio, tace finché non è interrogato,
  57. perché la Scrittura insegna che "nelle molte parole non manca il peccato"
  58. e che "l'uomo dalle molte chiacchiere va senza direzione sulla terra".

  59. Il decimo grado dell'umiltà è quello in cui il monaco non è sempre pronto a ridere, perché sta scritto: "Lo stolto nel ridere alza la voce".

  60. L'undicesimo grado dell'umiltà è quello nel quale il monaco, quando parla, si esprime pacatamente e seriamente, con umiltà e gravità, e pronuncia poche parole assennate, senza alzare la voce,
  61. come sta scritto: "Il saggio si riconosce per la sobrietà nel parlare".
  62. Il dodicesimo grado, infine, è quello del monaco, la cui umiltà non è puramente interiore, ma traspare di fronte a chiunque lo osservi da tutto il suo atteggiamento esteriore,
  63. in quanto durante l'Ufficio divino, in coro, nel monastero, nell'orto, per via, nei campi, dovunque, sia che sieda, cammini o stia in piedi, tiene costantemente il capo chino e gli occhi bassi;
  64. e, considerandosi sempre reo per i propri peccati, si vede già dinanzi al tremendo giudizio di Dio,
  65. ripetendo continuamente in cuor suo ciò che disse, con gli occhi fissi a terra il pubblicano del Vangelo: "Signore, io, povero peccatore, non sono degno di alzare gli occhi al cielo".
  66. E ancora con il profeta: "Mi sono sempre curvato e umiliato".

  67. Una volta ascesi tutti questi gradi dell'umiltà, il monaco giungerà subito a quella carità, che quando è perfetta, scaccia il timore;
  68. per mezzo di essa comincerà allora a custodire senza alcuno sforzo e quasi naturalmente, grazie all'abitudine, tutto quello che prima osservava con una certa paura;
  69. in altre parole non più per timore dell'inferno, ma per amore di Cristo, per la stessa buona abitudine e per il gusto della virtù.
  70. Sono questi i frutti che, per opera dello Spirito Santo, il Signore si degnerà di rendere manifesti nel suo servo, purificato ormai dai vizi e dai peccati.

    Da Regola di san Benedetto


    Giuseppe Ghedine 1870.jpg



    Citazioni sull' umiltà.

    • Cercate la giustizia, cercate l'umiltà, | per trovarvi al riparo | nel giorno dell'ira del Signore. (Bibbia, Sofonia)
    • Chi vuole trovare il vero riposo per la sua anima impari l'umiltà! (Doroteo di Gaza)
    • Ciò che Lucifero perdette con la superbia, Maria lo guadagnò con l'umiltà; ciò che Eva dannò e perdette con la disobbedienza, Maria lo salvò con l'obbedienza. (Louis Marie Grignion de Montfort)
    • Dubitare di sé non è umiltà, credo persino che spesso sia la forma più esaltata, quasi delirante, dell'orgoglio, una sorta di ferocia gelosa che fa rivoltare un disgraziato contro se stesso, per divorarsi. Il segreto dell'inferno dev'essere in ciò. (Georges Bernanos)
    • Il senso del nostro essere soggetti all'errore e il senso della nostra debolezza […] dovrebbero renderci modesti e umili. (Benjamin Whichcote)
    • Il Signore tanto ama l'umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi. Perché? perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo, pentiti, restino umili. (Papa Giovanni Paolo I)
    • L'amore di Dio, quando brucia, produce della cenere: è l'umiltà. (Madeleine Delbrêl)
    • L'umiltà è come una bilancia: più ci si abbassa da una parte, più ci si innalza dall'altra. (Giovanni Maria Vianney)
    • L'umiltà è il fondamento su cui poggia tutta la santità. (Natale Ginelli)
    • L'umiltà è l'anticamera di tutte le perfezioni. (Marcel Aymé)
    • L'umiltà è l'inizio della santità. (Madre Teresa di Calcutta)
    • L'umiltà è la sola che beatifica ed eterna le virtù, che fa forza al regno dei cieli, che ha umiliato il Signore della Maestà fino alla morte, la morte della croce. L'umiltà fu la prima a invitare a discendere fra noi il Verbo di Dio, stabilito nell'alto dei cieli. (Bernardo di Chiaravalle)
    • L'umiltà raccoglie sempre compassione; mentre la durezza di cuore e la mancanza di fede raccolgono sempre eventi duri ed imprevisti, finché all'improvviso insorge contro di loro il Male ed esse sono consegnate al giudizio finale. (Isacco di Ninive)
    • L'umiltà vera è una specie di auto-annullamento; e questo è il centro di tutte le virtù. (John Wesley)
    • La gente è superba soltanto quando ha qualcosa da perdere, e umile quando ha qualcosa da guadagnare. (Henry James)
    • La virtù dell'umiltà è necessaria massimamente a coloro che sono costituiti in dignità, perché più facilmente sono esposti alla superbia. Questa virtù è il fondamento di tutta la vita cristiana. (Giovanni Crisostomo)
    • Le due ali per volare in Paradiso sono la purità e l'umiltà. (Giuseppe Marello)
    • Le prostitute sono più vicine a Dio delle donne oneste: han perduto la superbia e non hanno più l'orgoglio. Non si gloriano di quel nulla di cui la matrona si onora. Posseggono l'umiltà,pietra angolare delle virtù gradite al Cielo. (Anatole France)
    • Oh, che veleno di lodi ho visto servire alla Madre Priora! Come bisogna che un'anima sia distaccata e innalzata sopra se stessa per non subirne del male! (Teresa di Lisieux)
    • Questa umiltà creaturale non è l'umiltà dello schiavo, non è l'umiltà di fronte all'incomprensibile fato, è l'umiltà filiale così come è rappresentata da Maria, che discute, che vuol comprendere, che ha le sue obiezioni da fare. (Ernesto Balducci)
    • Si è umili, umili nel senso popolare della parola: il popolo dice umile il lievito quando è unto d'olio ed è tutto elastico e tutto obbediente alla sua opera: anche il corpo nostro diviene unto: questo corpo che oltre ad essere il veicolo ha pure la presenza del male, questo corpo ove agisce la seduzione e la morte, questo stesso corpo diviene come un principio di bene e di eternità: si ha bisogno di portarlo con tutte le più piccole operazioni, con tutte le più impercettibili cose ad esprimere l'Adorazione e l'Amore. (Giorgio La Pira)
    • Umiltà è la virtù che frena il desiderio innato dell'uomo di innalzarsi sopra il proprio merito. (Tommaso d'Aquino)
    • Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra e dissi gemendo: – Chi mai potrà scamparne? E udii una voce che mi disse: – l'umiltà. (Antonio abate)
    • Umiltà vuol dire verità. (Giuseppe Marello)

    Proverbi      

    Italiani 

    • All'umiltà felicità, all'orgoglio calamità.
    • Chi rimane in umile stato, non ha da temer caduta.
    • Chi si umilia sarà esaltato, chi si esalta sarà umiliato. (Vangelo di Matteo 23:12)
    • Dove entra la fortuna, esce l'umiltà.
    • È meglio essere umile a cavallo, che orgoglioso a piedi.
    • La troppa umiltà vien dalla superbia.
    • L'allodola vola in alto, ma fa il suo nido in terra.
    • L'orgoglio è stoltezza, l'umiltà è saviezza.
    • L'umiliarsi è da saggio, l'avvilirsi è da bestia.
    • L'umiliazione va dietro al superbo.
    • L'umiltà è il miglior modo di evitare l'umiliazione.
    • L'umiltà è la corona di tutte le virtù.
    • L'umiltà è la madre dell'onore.
    • L'umiltà è una virtù che adorna tanto la vecchiaia, quanto la gioventù.
    • L'umiltà ottiene spesso più dell'alterigia.
    • L'umiltà sta bene a tutti.
    • L'umiltà sta bene con la castità.
    • Maggiore il santo, maggiore la sua umiltà.
    • Nessuna corona è più bella di quella dell'umiltà.
    • Più alta la condizione, più si deve essere umili.
    • Preghiera umile entra in cielo.
    • Senza umiltà tutte le virtù sono vizi.
    • Spesso vince più l'umiltà che il ferro.
    • Superbia povera spiace anche al diavolo; umiltà ricca piace anche a Dio.
    • Umiltà e cortesia adornano più di una veste tessuta d'oro.


    Cor Mariæ Immaculatum, 
    intercede pro nobis

Ex hoc beatam me dicent omnes generationes: ἀπὸ τοῦ νῦν μακαριοῦσίν με πᾶσαι αἱ γενεαί

Bartolome Esteban Murillo 1670-75.jpg


Il cantico (Lc1,46-55) è scritto nell'originale in greco, così come tutto il Vangelo di Luca.
Μεγαλύνει ἡ ψυχή μου τὸν Κύριον
καὶ ἠγαλλίασεν τὸ πνεῦμά μου ἐπὶ τῷ Θεῷ τῷ σωτῆρί μου,
ὅτι ἐπέβλεψεν ἐπὶ τὴν ταπείνωσιν της δούλης αυτοῦ.
ἰδού γὰρ ἀπὸ τοῦ νῦν μακαριοῦσίν με πᾶσαι αἱ γενεαί,
ὅτι ἐποίησέν μοι μεγάλα ὁ δυνατός,
καὶ ἅγιον τὸ ὄνομα αὐτοῦ,
καὶ τὸ ἔλεος αὐτοῦ εἰς γενεὰς καὶ γενεὰς
τοῖς φοβουμένοῖς αυτόν.
Ἐποίησεν κράτος ἐν βραχίονι αὐτοῦ,
διεσκόρπισεν ὑπερηφάνους διανοίᾳ καρδίας αὐτῶν·
καθεῖλεν δυνάστας ἀπὸ θρόνων
καὶ ὕψωσεν ταπεινούς,
πεινῶντας ἐνέπλησεν ἀγαθῶν
καὶ πλουτοῦντας ἐξαπέστειλεν κενούς.
ἀντελάβετο Ἰσραὴλ παιδὸς αὐτοῦ,
μνησθῆναι ἐλέους,
καθὼς ἐλάλησεν πρὸς τοὺς πατέρας ἡμῶν
τῷ Αβραὰμ καὶ τῷ σπέρματι αὐτοῦ εἰς τὸν αἰῶνα.

Traduzioni 


L'incontro tra le cugine, Ain Karem, chiesa della Visitazione

Latino 

Fin dai primi anni dell'era cristiana, con la diffusione del Cristianesimo, i testi sacri sono stati tradotti in latino.
Viene proposto di seguito il testo del cantico nella traduzione della Vulgata nella sua versione liturgica.
Il Magnificat prende il nome dalla prima parola di questa versione. Ha avuto nei secoli una larghissima diffusione, entrando fin dalle origini nell'ordinario dell'ufficio vespertino.


Magnificat * anima mea Dominum,

et exultavit spiritus meus * in Deo salutari meo
quia respexit humilitatem ancillae suae, * ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes
quia fecit mihi magna, qui potens est: * et Sanctum nomen eius
et misericordia eius a progenie in progenies * timentibus eum.
Fecit potentiam in brachio suo, * dispersit superbos mente cordis sui,
deposuit potentes de sede, * et exaltavit humiles;
esurientes implevit bonis, * et divites dimisit inanes.
Suscepit Israel, puerum suum, * recordatus misericordiae suae,
sicut locutus est ad patres nostros, * Abraham et semini eius in saecula.
Gloria Patri et Filio * et Spiritui Sancto
sicut erat in principio et nunc et semper * et in saecula saeculorum. Amen.

Italiano


Facciata della chiesa della Visitazione, Ain Karem

Open book nae 02.svgPer approfondire, leggi il testo di Magnificat.
Anche in italiano, la Bibbia è stata oggetto di numerose traduzioni.
Viene proposta di seguito la traduzione ufficiale della CEI nella sua versione liturgica: è quella utilizzata normalmente dai fedeli nella celebrazione dei vespri.


L'anima mia magnifica il Signore * e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà della sua serva. * D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente * e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia * si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio, * ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni, * ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati, * ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, * ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri, * ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.
Gloria al Padre e al Figlio * e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen. 



LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

S. Giovanni della Croce / San Juan de la Cruz: BUSCANDO ...



.......
...
PER ME SI VA NE LA CITTÀ DOLENTE
PER ME SI VA NE L' ETTERNO DOLORE
PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE.

GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE:
FECEMI LA DIVINA POTESTATE,
LA SOMMA SAPIENZA E 'L PRIMO AMORE.

DINNANZI A ME NON FUOR COSE CREATE
SE NON ETTERNE, E IO ETTERNO DURO.
LASCIATE OGNE SPERANZA, O VOI CH' INTRATE!

Suddette parole, nere come pece, vidi incise sullo stipite di una porta, entrata della voragine infernale. 
///  Leyendo el Doctor Mistico es bueno no olvidar el Dante Alighieri. Leggendo san Giovanni della Croce è cosa ottima non dimenticare Dante A. ///

*

STROFA 3

Buscando mis amores,
iré por esos montes y riberas;
ni cogeré las flores,
ni temeré las fieras,
y pasaré los fuertes y fronteras.

In cerca dei miei amori
mi spingerò tra i monti e le riviere,
non coglierò fiori
né temerò le fiere,


1. All’anima non bastano i gemiti e le preghiere né l’aiuto d’intermediari per conversare con l’Amato, come ha fatto nelle precedenti strofe, ma insieme a questo ella stessa deve mettersi a cercarlo. Questo è il pensiero che esprime nella presente strofa: cercare l’Amato, esercitandosi nelle virtù e nelle mortificazioni della vita contemplativa e attiva. A tale scopo, non ammetterà alcun piacere o comodità, né basteranno a fermarla o ad ostacolarle il cammino tutte le forze e le insidie dei tre nemici dell’anima: il mondo, il demonio e la carne. Perciò dice: In cerca dei miei amori,

2. cioè del mio Amato, mi spingerò tra i monti e le riviere.

3. Essa chiama le virtù monti, anzitutto per la loro altezza e poi per le difficoltà e la fatica che si affrontano nel salirvi, quando si esercita nella vita contemplativa. Chiama, inoltre, riviere le mortificazioni, gli atti di umiltà e il disprezzo di sé, quando esercita queste cose nella vita attiva; infatti, per acquisire le virtù, sono necessarie l’una e l’altra vita. Il che, dunque, equivale a dire: per cercare il mio Amato metterò in opera le alte virtù e mi umilierò nelle mortificazioni e negli esercizi più modesti. Dice questo perché la ricerca di Dio consiste nel fare il bene in lui e mortificare il male in sé, come si dice dopo: non coglierò fiori.

4. Poiché per cercare Dio si richiede un cuore spoglio e forte, libero da tutti i mali e da tutti i beni che non siano esclusivamente Dio, nel verso presente e nei seguenti l’anima parla della libertà e della forza necessarie per cercarlo. Sostiene, quindi, che non si fermerà a cogliere i fiori che troverà lungo il cammino e che rappresentano tutte le voglie, le soddisfazioni e i piaceri che le si possono offrire in questa vita: tutto questo potrebbe ostacolare il cammino, se volesse coglierli e goderli. Gli ostacoli sono di tre tipi: terreni, sensibili e spirituali. Sia gli uni che gli altri occupano il cuore e impediscono lo spogliamento spirituale richiesto per camminare direttamente nella via di Cristo, se l’anima dovesse soffermarvisi od occuparsene. Per cercare Cristo, afferma che non si attarderà a cogliere cose del genere. È come se dicesse: non riporrò il mio cuore nelle ricchezze e nei beni offerti dal mondo, né accoglierò le consolazioni e i piaceri della mia carne, né indugerò nei gusti e nei conforti del mio spirito, per non essere trattenuta nella ricerca dei miei amori per i monti delle virtù e delle fatiche. Dicendo così, segue il consiglio che dà il profeta Davide a coloro che percorrono questo cammino: Divitiae si affluant, nolite cor apponete: Anche se abbondano le ricchezze, non attaccatevi il cuore (Sal 61,11). Questo vale sia per le soddisfazioni sensibili che per gli altri beni terreni e le consolazioni spirituali. Ne segue che non solo i beni terreni e i piaceri corporali impediscono e ostacolano il cammino verso Dio, ma anche le consolazioni e i conforti spirituali, se posseduti o cercati con attaccamento, impediscono di seguire la via della croce dello Sposo Cristo. Chi vuole progredire, quindi, non deve attardarsi a cogliere questi fiori. Non solo, ma deve avere anche il coraggio e la forza per dire: né temerò le fiere, ma passerò i forti e le frontiere.


5. In questi versi l’anima cita i suoi tre nemici – il mondo, il demonio e la carne – che le fanno guerra e rendono difficile il cammino spirituale. Per fiere intende il mondo, per forti il demonio e per frontiere la carne.


6. Chiama fiere il mondo perché, all’anima che inizia il cammino di Dio, il mondo si presenta nell’immaginazione come una fiera che minaccia e spaventa, soprattutto secondo tre maniere. La prima le fa pensare che perderà il favore del mondo, gli amici, la stima, il prestigio e persino il patrimonio. La seconda – una fiera non meno terribile – le fa vedere quanto dovrà soffrire non avendo più le gioie e i piaceri del mondo e non provando più le sue lusinghe. La terza, ancora più grande, le fa pensare che le si solleveranno contro le male lingue, deridendola e beffeggiandola con motteggi e burle, e sarà stimata pochissimo. Simili minacce di solito si presentano ad alcune anime tanto da rendere loro difficilissima non solo la perseveranza contro queste fiere, ma anche la possibilità d’intraprendere il cammino.


7. Ad alcune anime più generose, però, spesso si presentano altre fiere più interiori e spirituali: difficoltà e tentazioni, tribolazioni e prove di vario genere che esse dovranno affrontare. Dio invia tali fiere a coloro che vuole elevare a una perfezione maggiore, provandoli ed purificandoli come l’oro sul fuoco, secondo quanto afferma Davide: Multae tribulationes iustorum, cioè: Molte sono le sventure dei giusti, ma li libera da tutte il Signore (Sal 33,20). Tuttavia l’anima profondamente innamorata, che stima il suo Amato più di ogni altra cosa, fidandosi del suo amore e del suo favore non teme di dire: né temerò le fiere, ma passerò i forti e le frontiere.


8. Chiama forti il secondo nemico, i demoni, perché essi cercano con grande forza di sbarrare il passo di questo cammino e anche perché le loro tentazioni e astuzie sono più forti e dure da superare e più difficili da riconoscere rispetto a quelle del mondo e della carne. Inoltre i demoni si rafforzano con gli altri due nemici, il mondo e la carne, per muovere un’aspra guerra all’anima. Per questo Davide, parlando di essi, li chiama forti: Fortes quaesierunt animam meam: I forti insidiano la mia vita (Sal 53,5). A questa forza si riferisce anche il profeta Giobbe quando dice che non c’è sulla terra potere paragonabile a quello del demonio e tale che di nessuno debba aver paura (Gb 41,24 Volg.), cioè nessun potere umano può essere paragonato al suo. Solo il potere divino, quindi, può vincerlo e solo la luce divina può scoprire i suoi inganni. Ecco perché l’anima che deve vincere la sua forza non potrà riuscirvi senza la preghiera, né potrà scoprire i suoi inganni senza l’umiltà e la mortificazione. Per questo san Paolo, volendo mettere in guardia i fedeli, usa queste espressioni: Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli, quoniam non est vobis colluctatio adversus carnem et sanguinem: Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo; la nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne (Ef 6,11-12). Per sangue intende il mondo e per armatura di Dio la preghiera e la croce di Cristo, ove risiedono l’umiltà e la mortificazione di cui ho parlato.


9. L’anima aggiunge che passerà oltre le frontiere, con le quali – ripeto – indica le ripugnanze e le ribellioni che la carne solleva naturalmente contro lo spirito. Come dice san Paolo: Caro enim concupiscit adversus spiritum: La carne ha desideri contrari allo Spirito(Gal 5,17), e si pone quasi sul confine ostacolando il cammino spirituale. L’anima deve andare oltre queste frontiere, superando le difficoltà e abbattendo con la forza e la determinazione dello spirito tutti gli appetiti sensuali e le affezioni naturali. Difatti, finché questi persisteranno nell’anima, lo spirito sarà talmente soggiogato da non poter andare avanti verso la vera vita e il diletto spirituale. Tutto questo ci fa ben comprendere san Paolo quando afferma: Si spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis: Se con l’aiuto dello Spirito voi fate morire le opere della carne, vivrete (Rm 8,13). Questo dunque è l’atteggiamento che, secondo la presente strofa, l’anima ritiene opportuno adottare lungo il cammino di ricerca del suo Amato. Vale a dire: costanza e arditezza per non abbassarsi a cogliere i fiori, coraggio per non temere le fiere e forza per superare i forti e le frontiere, con l’unico scopo di andare sui monti e lungo le riviere delle virtù, come ho spiegato sopra.


Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis

“Un punto para reformar en varios ....


"A MIS SACERDOTES" 

De Concepción Cabrera de Armida. 

CAPITULO XXIX: Celos.

MENSAJES DE NUESTRO SEÑOR
JESUCRISTO PARA SUS PREDILECTOS.



CELOS

“Un punto para reformar en varios sacerdotes es el gran cuidado que deben tener en los confesonarios de no provocar celos y envidias; es muy común esto y se convierte ese lugar sagrado en ocasión de ofensas para Mí. Iras, murmuraciones, despechos, etc., se originan por el poco contacto de algunos confesores que no tienen la prudencia necesaria de poner medio entre los extremos.

Cierto que muchas veces ellos no tienen la culpa; pero son ocasión, sin embargo, de culpas ajenas que hieren mi Corazón.

Deben los sacerdotes hacer respetar los confesonarios y exteriormente, al menos, tratar con igualdad a las almas, que en lugar de llegar al sacramento con las disposiciones debidas, la contrición no aparece; y con amargura, y con decepción, y hasta con ira se acercan por salir del paso del sacramento, que cuando menos es nulo en muchas ocasiones.

El sacerdote santo debe mover a contrición y a compunción y hacer de aquel lugar de perdón y de justicia un santuario en el que se respete a Dios en el sacerdote, en el que se vea a Dios y no al hombre en el sacerdote, en el que la confianza vaya unida al santo temor de Dios.

Abusan mucho las almas buenas en estos lugares de reconciliación; y a los sacerdotes toca educarlas. Que las atraigan sólo con sus virtudes, que nada humano permitan en este trato frecuente, pero que debe ser siempre santo y desinteresado.

Nunca un sacerdote manchado debe sentarse a confesar, y antes de ocupar el lugar que Yo ocupo en persona, debe borrar hasta sus pecados veniales, elevando su alma a Dios y pidiendo a María su presencia allí, para no contaminarse con lo que llegue a sus oídos y a su corazón.

Cuando tenga que detenerse con alguna alma necesitada, que sea de ordinario cuando no lo esperan las multitudes, y aun entonces vea muy bien, dilucide muy bien y aparte lo superfluo de lo necesario, lo natural de lo sobrenatural, con mucho tino, cautela y caridad, sin dar ocasión a juicios y murmuraciones, de los cuales el sacerdote se debe librar.

Un cristal diáfano debe ser la honra del sacerdote y su conducta, en toda ocasión, no tan solo para Dios, sino también para el mundo.

No basta que sea intachable ante Dios, sino también no debe tener mucha mancha ante la sociedad, para honrar a la Iglesia a quien pertenece.

LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!