giovedì 22 novembre 2012

"Il mio Regno non viene da questo mondo". San Giovanni 18, 33-37; Domenica di Cristo RE , 25 nov. 2012


...«Noi non possiamo dar morte ad alcuno. Dotti non siamo. Il Diritto ebraico è un pargolo deficiente rispetto al perfetto Diritto di Roma. Come ignoranti e come soggetti di Roma, maestra, abbiamo bisogno...».

«Da quando siete miele e burro?... Ma avete detto una verità, o maestri del mendacio! Di Roma avete bisogno! Sì. Per sbarazzarvi di costui che vi dà noia. Ho compreso». E Pilato ride, guardando il cielo sereno
che si inquadra come una rettangolare lastra di cupa turchese fra le marmoree e candide pareti dell'atrio.

«Dite: in che ha commesso delitto contro le vostre leggi?».
«Noi abbiamo trovato che costui metteva il disordine nella nostra nazione e che impediva di pagare il tributo a Cesare, dicendosi il Cristo, re dei giudei».
Pilato ritorna presso Gesù, che è al centro dell'atrio, lasciato là dai soldati, legato ma senza scorta tanto appare netta la sua mansuetudine. E gli chiede: «Sei Tu il re dei giudei?».
«Per te lo chiedi o per insinuazione d'altri?».
«E che vuoi che me ne importi del tuo regno? Son forse io giudeo? La tua nazione e i capi di essa miti hanno consegnato perché io giudichi. Che hai fatto? Ti so leale. Parla. È vero che aspiri al regno?».

«Il mio Regno non viene da questo mondo. Se fosse un regno del mondo, i miei ministri e i miei soldati avrebbero combattuto perché i giudei non mi pigliassero. Ma il mio Regno non è della Terra. E tu lo sai che
al potere Io non tendo».
«Ciò è vero. Lo so. Mi fu detto. Ma però Tu non neghi d'essere re?».
«Tu lo dici. Io sono Re. Per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla Verità. Chi è amico della Verità ascolta la mia voce».

«E che cosa è la Verità? Sei filosofo? Non serve di fronte alla morte. Socrate morì lo stesso».
«Ma gli servì di fronte alla vita, a ben vivere. E anche a ben morire. E ad andare nella vita seconda senza nome di traditore delle civiche virtù».
«Per Giove!». Pilato lo guarda ammirato qualche momento. Poi lo riprende il sarcasmo scettico. Fa un atto di noia, gli volge le spalle, torna verso i giudei.
«Io non trovo in Lui alcuna colpa».

La folla tumultua, presa dal panico di perdere la preda e lo spettacolo del supplizio. E urla: «È un ribelle!», «Un bestemmiatore», «Incoraggia il libertinaggio», «Eccita alla ribellione», «Nega rispetto a Cesare», «Si finge profeta senza esserlo», «Compie magie», «È un satana», «Solleva il popolo con le sue dottrine insegnando in tutta la Giudea, alla quale è venuto dalla Galilea insegnando», «A morte!», «A morte!».

«Galileo è? Galileo sei?». Pilato torna da Gesù: «Lo senti come ti accusano? Discolpati».
Ma Gesù tace. Pilato pensa... E decide. «Una centuria, e da Erode costui. Lo giudichi. È suo suddito. Riconosco il diritto del Tetrarca e al suo verdetto sottoscrivo in anticipo. Gli sia detto. Andate».

E Gesù, inquadrato come un manigoldo da cento soldati, riattraversa la città e torna ad incontrare Giuda Iscariota, che già aveva incontrato una volta presso un mercato. Prima mi ero dimenticata di dirlo, presa dal
disgusto della zuffa popolana. Lo stesso sguardo di pietà sul traditore...
Ora è più difficile colpirlo con calci e bastoni, ma le pietre e le immondezze non mancano e, se i sassi cadono sonando senza ferire sugli elmi e le corazze romane, ben lasciano un segno colpendo Gesù, che
procede col solo vestito, avendo lasciato il mantello nel Getsemani. (Maria Valt. : L'Evang. come mi è stato riv., n. 604)



LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

mercoledì 21 novembre 2012

"Cantantibus organis, Cecilia virgo in corde suo soli Domino decantabat dicens: fiat Domine cor meum et corpus meum inmaculatum ut non confundar" ("Mentre suonavano gli strumenti musicali (?), la vergine Cecilia cantava nel suo cuore soltanto per il Signore, dicendo: Signore, il mio cuore e il mio corpo siano immacolati affinché io non sia confusa").
















Catecismo para niños
LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (TERZO VOLUME): SPECIALE


mercoledì 21 novembre 2012


"L'infanzia di Gesù": breve sintesi dell'ultimo libro di Benedetto XVI (R.V.)

"L'infanzia di Gesù": breve sintesi dell'ultimo libro di Benedetto XVI

Interpretare, in dialogo con esegeti del passato e del presente, ciò che Matteo e Luca raccontano all’inizio dei loro Vangeli sull’infanzia di Gesù, alla luce di due interrogativi: “Che cosa intendevano dire?”. E poi: “E’ vero? E in che modo mi riguarda?”. Sono le domande che Benedetto XVI premette al suo nuovo libro intitolato "L’infanzia di Gesù", spiegando le linee-guida con la speranza che, scrive, molte persone ne traggano aiuto nel loro cammino verso Gesù. Ieri la presentazione del volume in vaticano, e al termine, l'udienza di Benedetto XVI concessa agli editori del volume, la Rizzoli e la Libreria Editrice Vaticana. Sfogliamo alcune pagine del libro, nel servizio di Gabriella Ceraso:


E’ la sala d’ingresso all’intera trilogia su Gesù, il libro sulla sua infanzia, secondo l’autore, che inizia con una riflessione sull’origine del Salvatore dalla domanda inaspettata che Pilato fa a Gesù: ”Di dove sei tu?”- domanda circa l’essere e la missione, scrive il Papa. Messe in luce le differenza tra le genealogie nelle versioni di Matteo e di Luca, Benedetto XVI ne rivela il medesimo senso teologico-simbolico: “Il suo essere intrecciato nelle vie storiche della promessa, e il nuovo inizio che, paradossalmente, insieme con la continuità dell’agire storico di Dio, caratterizza l’origine di Gesù”. Gesù dunque è creazione dello Spirito Santo, anche se la genealogia rimane importante. Così scrive il Papa:


“Giuseppe è giuridicamente il padre di Gesù. Mediante lui egli appartiene, secondo la legge, legalmente alla tribù di Davide. E tuttavia, viene da altrove, ‘dall’alto’, da Dio stesso. Il mistero del ‘di dove’, della duplice origine ci viene incontro in modo molto concreto: la sua origine è determinabile e tuttavia è un mistero. Solo Dio è nel senso proprio il padre suo. La genealogia degli uomini ha la sua importanza riguardo alla storia del mondo, e ciò nonostante, alla fine, è Maria – l’umile Vergine di Nazareth – colei in cui avviene un nuovo inizio, ricomincia in modo nuovo l’essere persona umana”.


Tema del secondo e più ampio capitolo è l’annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni Battista e l’Annunciazione a Maria, messe a confronto dal Papa e presentate come adempimento di antiche profezie, fino a quel momento storico in attesa del loro vero protagonista. Joseph Ratzinger si sofferma sui vari aspetti delle reazioni di Giuseppe e soprattutto di Maria al messaggio inaspettato: turbamento, pensosità, coraggio, grande interiorità tratteggiano la figura delle Vergine nella parole del Papa. Rileggendo il dialogo tra Maria e l’Angelo, secondo il Vangelo di Luca, Benedetto XVI spiega che attraverso una donna “Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo”, dopo il fallimento dei progenitori. “Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana” scrive il Papa, citando Bernardo di Chiaravalle:


“Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero ‘sì’ alla sua volontà. Creando la libertà Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo: il suo potere è legato al ‘sì’ non forzato di una persona umana”.


Maria diventa Madre attraverso il suo “sì”. E’ questo il momento decisivo: “Attraverso la sua obbedienza – prosegue – la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda”.


Al centro del terzo capitolo l’evento di Betlemme: la nascita di Gesù in un preciso contesto storico-universale, che Benedetto XVI mette in luce sottolineando il clima dell’età di Augusto Imperatore romano:


“Solo in questo momento, in cui esiste una comunione di diritti e di beni su larga scala, ed una lingua universale permette ad una comunità culturale l’intesa nel pensiero e nell’agire, un messaggio universale di salvezza, un universale portatore di salvezza può entrare nel mondo: è, di fatti, la pienezza dei tempi”.


Gesù – precisa il Papa – non è nato nell’imprecisato “una volta” del mito:


“Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda. In lui, il logos, la ragione creatrice di tutte le cose, è entrato nel mondo, il logos eterno si è fatto uomo. E di questo fa parte il contesto di luogo e tempo”.


Nella prospettiva di una lettura del Vangelo, secondo l’esegesi canonica, Benedetto XVI spiega poi, il significato di tanti particolari della narrazione della nascita, che da semplici fatti esteriori diventano parte della grande realtà in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini. In particolare, nel passo dedicato alla presentazione di Gesù al Tempio, si sottolinea come questa redenzione “non sia bagno di autocompiacimento ma una liberazione dall’essere compressi nel proprio io", che ha come costo la sofferenza della Croce. “Alla teologia della Gloria”, scrive il Papa “è inscindibilmente legata la teologia della Croce”.


Ai magi sapienti e alla fuga in Egitto, infine, è dedicato il quarto capitolo, dove con una ricca gamma di informazioni storico-linguistiche scientifiche, il Papa delinea i Magi e conclude che essi rappresentano non solo le persone che hanno trovato la via fino a Cristo, ma “l’attesa interiore dello Spirito umano, il movimento delle religioni e della ragione umana incontro a Cristo”. Una processione che, scrive Benedetto XVI, percorre l’intera storia. E anche nelle riflessioni su altri spunti del racconto – la natura della stella, la sosta dei magi a Gerusalemme fino alla fuga in Egitto e alla strage degli innocenti – Benedetto XVI oltre i semplici fatti, allarga l’orizzonte del lettore al grande progetto d’amore di Dio: la salvezza eterna offerta alla libertà dell’uomo. Scrive infatti il Papa:


“Con la fuga in Egitto e con il suo ritorno nella terra promessa, Gesù dona l’esodo definitivo: egli è veramente il Figlio; egli non se ne andrà via per allontanarsi dal Padre: egli ritorna a casa e conduce verso casa. Sempre egli è in cammino verso Dio e con ciò conduce dall’alienazione alla Patria, a ciò che è essenziale e proprio”.


In questo senso il breve epilogo con il racconto – secondo il Vangelo di Luca – di Gesù dodicenne che discute con i dottori al Tempio e poi si confronta con i genitori, in cui si manifesta il mistero della sua natura di vero Dio e insieme vero Uomo, è in certo modo il coronamento dell’opera e “apre la porta verso il tutto della sua figura, che poi”, scrive il Papa, “ci viene raccontato dai Vangeli”.


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Maria si inginocchia sulla soglia a braccia aperte: un piccolo cherubino implorante. «Padre! Madre! La vostra benedizione!».





8. Maria accolta nel Tempio. Ella, nella sua umiltà, non sapeva di essere la Piena di Sapienza


Vedo Maria fra mezzo al padre e alla madre camminare per le vie di Gerusalemme.
I passanti si fermano a guardare la bella Bambina, tutta vestita di un bianco di neve 
e avvolta in un  leggerissimo tessuto che per i suoi disegni, a rami e fiori, più 
opachi fra il tenue dello sfondo, mi pare sia lo  stesso che aveva Anna il giorno
 della sua Purificazione. Soltanto che, mentre ad Anna esso non sorpassava la 
cintura, a Maria, piccolina, scende fin quasi a terra e l'avvolge in una nuvoletta 
leggera e lucida di una vaghezza rara.
Il biondo dei capelli sciolti sulle spalle, meglio, sulla nuca gentile, traspare là dove 
non vi è damascatura nel velo, ma unicamente il fondo leggerissimo. Il velo è 
trattenuto sulla fronte da un nastro di un azzurro pallidissimo, su cui, certamente 
per opera della mamma, sono ricamati in argento dei piccoli gigli.
L'abito, come ho detto, candidissimo, scende fino a terra, e i piedini appena 
si mostrano nel passo, coi loro sandaletti bianchi. Le manine sembrano due 
petali di magnolia che escano dalla lunga manica. Tolto il cerchio azzurro del nastro, 
non vi è altro punto di colore. Tutto è bianco. Maria pare vestita di neve.

Gioacchino ed Anna sono vestiti, lui con lo stesso abito della Purificazione, e Anna 
invece di viola scurissimo. Anche il mantello, che le copre anche il capo, è 
viola scuro. Ella se lo tiene molto calato sugli occhi. Due poveri occhi di 
mamma, rossi di pianto, che non vorrebbero piangere e non vorrebbero, 
soprattutto, esser visti piangere, ma che non possono non piangere sotto la 
protezione del manto. Protezione che serve per i passanti, e anche per Gioacchino, 
che del resto ha il suo occhio, sempre sereno, oggi arrossato e opaco di 
lacrime già scese e ancora scendenti, e che va molto curvo sotto il suo velo messo 
a quasi turbante, con le ali laterali che scendono lungo il viso. 
Un vecchio affatto, ora, Gioacchino. Chi lo vede deve pensarlo nonno e forse 
bisnonno della piccolina che egli ha per mano. La pena di perderla dà al povero 
padre un passo strascicante, una lassezza di tutto il portamento che lo invecchia di 
un vent'anni, e il viso pare quello di un malato oltre che vecchio, tanto è 
stanco e triste, con la bocca che ha un lieve tremito fra le due rughe, che 
sono così marcate oggi, ai lati del naso.

Cercano i due di celare il pianto. Ma, se possono farlo per molti, non lo possono 
per Maria, che per la sua statura li vede dal basso in alto e, alzando il piccolo capo, 
guarda alternativamente il padre e la madre. Ed essi si sforzano di sorriderle 
con la bocca che trema, e aumentano la stretta della loro mano sulla manina 
minuta ogni volta che la loro figliolina li guarda e sorride. Devono pensare: «Ecco. 
Un'altra volta di meno da vedere questo sorriso».

Vanno piano. A rilento. Pare vogliano protrarre il più a lungo il loro cammino. 
Tutto serve a fermarsi... Ma una strada deve pur finire! E questa sta per finire. 
Ecco là, in cima a questo ultimo pezzo di strada che sale, le mura di cinta del 
Tempio. Anna ha un gemito e stringe più forte la manina di Maria.
«Anna, cara, io sono con te!» dice una voce, uscendo dall'ombra di un basso 
arco gettato su un incrocio di strade. È Elisabetta, che certo era in attesa, la 
raggiunge e stringe al cuore. E, posto che Anna piange, le dice: 
«Vieni, vieni in questa casa amica per un poco. Poi andremo insieme. Vi è anche 
Zaccaria».

Entrano tutti in una stanza bassa e scura, in cui è lume un vasto fuoco. La padrona, 
certo amica di Elisabetta, ma estranea ad Anna, cortesemente si ritira lasciando 
liberi i sopraggiunti.
«Non credere che io sia pentita, o che dia con mala volontà il mio tesoro al Signore» 
spiega Anna fra le lacrime... «ma è che il cuore... oh! il mio cuore come duole, 
il mio vecchio cuore che torna nella sua solitudine di senza figli!... Se sentissi...»
«Lo capisco, Anna mia... Ma tu sei buona e Dio ti conforterà nella tua solitudine. 
Maria pregherà per la pace della sua mamma. Non è vero?».
Maria carezza le mani materne e le bacia, se le passa sul viso per esserne carezzata, 
e Anna serra fra le sue quel visino e lo bacia, lo bacia. Non si sazia di baciare.

Entra Zaccaria e saluta: «Ai giusti la pace del Signore».
«Sì», dice Gioacchino, «supplicaci pace, perché le nostre viscere tremano 
nell'offerta come quelle di padre Abramo mentre saliva il monte (Genesi 22, 1-18), 
e noi non troveremo altra offerta per riscattare questa. Né lo vorremmo fare, 
perché siamo fedeli a Dio. Ma soffriamo, Zaccaria. Sacerdote di Dio, comprendici 
e non ti scandalizzare di noi».
«Mai. Anzi, il vostro dolore, che sa non soverchiare il lecito e portarvi all'infedeltà, 
mi è scuola nell'amare l'Altissimo. Ma fatevi cuore. Anna profetessa avrà 
molta cura di questo fiore di Davide e Aronne. In questo momento è l'unico 
giglio della sua stirpe santa che Davide abbia nel Tempio, e sarà curato come 
perla regale. 
Per quanto i tempi volgano al termine e dovrebbe esser cura delle madri della stirpe 
di consacrare le figlie al Tempio, poiché da una vergine di Davide uscirà il Messia, 
pure, per rilassamento di fede, i posti delle vergini sono vuoti. Troppo poche nel 
Tempio, e di questa stirpe regale nessuna, dopo che ne uscì sposa, or sono tre 
anni, Sara di Eliseo. Vero che ancora sei lustri mancano al termine, ma... Ebbene, 
speriamo che Maria sia la prima di molte vergini di Davide davanti al Sacro 
Velo. E poi... chissà...». Zaccaria non dice altro. Ma guarda pensoso Maria. 

Poi riprende: «Io pure veglierò su Lei. Sono sacerdote ed ho il mio potere là dentro. 
Lo userò per quest'angelo. E Elisabetta verrà sovente a trovarla...».

«Oh! di certo! Io ho tanto bisogno di Dio e verrò a dirlo a questa Bambina, perché 
lo dica all'Eterno».
Anna si è rinfrancata. Elisabetta, per sollevarla più ancora, chiede: «Non è il tuo 
velo di sposa questo? Oppure hai filato del nuovo bisso?».
«È quello. Lo consacro con Essa al Signore. Non ho più occhi... E anche le ricchezze 
sono molto scemate per tasse e sventure... Non mi era lecito fare gravi spese. 
Ho provveduto solo ad un ricco corredo per il suo tempo nella Casa di Dio e 
per poi... perché penso che non sarò io quella che la vestirà per le nozze... e voglio 
sia sempre la mano di sua mamma, anche se fredda e immota, che la para alle nozze 
e le fila i lini e le vesti da sposa».
«Oh! perché pensare così?!».
«Sono vecchia, cugina. Mai come sotto questo dolore me lo sento. L'ultime forze 
della mia vita le ho date a questo fiore, per portarlo e nutrirlo, ed ora... ed ora... 
sulle estreme soffia il dolore di perderlo e le disperde».
«Non dire così, per Gioacchino».
«Hai ragione. Vedrò di vivere per il mio uomo».
Gioacchino ha fatto mostra di non sentire, intento ad ascoltare Zaccaria, ma ha 
udito e sospira forte con gli occhi lucidi di pianto.
«Siamo a mezzo fra terza e sesta. Credo sarebbe bene andare» dice Zaccaria.
Si alzano tutti per rimettersi i mantelli e andare. 
Ma, prima di uscire, Maria si inginocchia sulla soglia a braccia aperte: un piccolo 
cherubino implorante. «Padre! Madre! La vostra benedizione!».

Non piange, la piccola forte. Ma le labbruzze tremano e la voce, spezzata da un 
interno singulto, ha più che mai il trepido gemito della tortorina. Il visetto è più 
pallido e l'occhio ha quello sguardo di rassegnata angoscia che, più forte sino a 
divenire inguardabile senza soffrirne profondamente, le vedrò sul Calvario e 
nel Sepolcro.
I genitori la benedicono e la baciano. Una, due, dieci volte. Non se ne sanno saziare... 
Elisabetta piange silenziosamente e Zaccaria, per quanto voglia non mostrarlo, 
è commosso.
Escono. Maria fra il padre e la madre, come prima. Davanti, Zaccaria e la moglie. 
Eccoli dentro le mura del Tempio. «Vado dal Sommo Sacerdote. Voi salite sino alla grande terrazza». 

Valicano tre cortili e tre atri sovrapposti. Eccoli ai piedi del vasto cubo di marmo 
incoronato d'oro. Ogni cupola, convessa come una mezza arancia enorme, 
sfolgora al sole che ora, sul mezzodì, cade a perpendicolo sul vasto cortile che circonda 
il fabbricato solenne, ed empie il vasto piazzale e l'ampia scalinata che conduce 
al Tempio. Solo il portico che fronteggia la scalinata, lungo la facciata, è in ombra, 
e la porta altissima di bronzo e oro è ancor più scura e solenne in tanta luce.
Maria pare ancor più di neve fra il gran sole. Eccola ai piedi della scalinata. 
Fra padre e madre. Come deve battere il cuore a quei tre! Elisabetta è a 
fianco di Anna, ma un poco indietro, di un mezzo passo.
Uno squillo di trombe argentine e la porta gira sui cardini, che pare diano suono di 
cetra nel girare sulle sfere di bronzo. Appare l'interno con le sue lampade nel 
profondo, ed un corteo viene dall'interno verso l'esterno. 
Un pomposo corteo fra suoni di trombe argentee, nuvole d'incenso e luci.
Eccolo sulla soglia. Davanti, colui che deve essere il Sommo Sacerdote.

 Un vecchio solenne, vestito di lino finissimo, e sul lino una più corta tunica 
pure di lino, e su questa una specie di pianeta, qualcosa fra la pianeta e la veste 
dei diaconi, multicolore: porpora e oro, violaceo e bianco vi si alternano e brillano come 
gemme al sole; due gemme vere brillano su esso ancor più vivamente al sommo 
delle spalle. Forse sono fibbie con il loro castone prezioso. Sul petto, una larga placca 
splendente di gemme, sostenuta da una catena d'oro. E pendagli e ornamenti 
splendono alla base della tunica corta, e oro splende sulla fronte al disopra del 
copricapo, che mi ricorda quello dei preti ortodossi, la loro mitra fatta a cupola anziché 
a punta come quella cattolica.

Il solenne personaggio viene avanti, da solo, sino al principio della scalinata, 
nell'oro del sole che lo fa ancora più splendido. Gli altri attendono stesi a corona 
fuor dalla porta, sotto il portico ombroso. A sinistra è un gruppo candido di fanciulle 
con Anna profetessa e altre anziane, certo maestre.
Il Sommo Sacerdote guarda la Piccola e sorride. Le deve parere ben piccina 
ai piedi di quella scalinata degna di un tempio egizio! Alza le braccia al cielo 
in una preghiera. Tutti curvano il capo, come annichiliti davanti 
alla maestà sacerdotale in comunione con la Maestà eterna. 

Poi, ecco. Un cenno a Maria. E Lei si stacca dalla madre e dal padre e sale, 
come affascinata sale. E sorride. 
Sorride all'ombra del Tempio, là dove scende il Velo prezioso... È in alto della 
scalinata, ai piedi del Sommo Sacerdote che le impone le mani sul capo. La vittima 
è accettata. Quale ostia più pura aveva mai avuto il Tempio?
Poi si volge e, tenendole la mano sulla spalla come a condurla all'ara, l'Agnellina 
senza macchia, la conduce presso la porta del Tempio. Prima di farla entrare chiede: 
«Maria di David, sai il tuo voto?». Al «sì» argentino, che gli risponde, egli grida: 
«Entra, allora. Cammina in mia presenza e sii perfetta».
E Maria entra e l'ombra l'inghiotte, e lo stuolo delle vergini e delle maestre, poi 
quello dei leviti, sempre più la nascondono, la separano... Non c’è più... 

Ora anche la porta gira sui suoi cardini armoniosi. Uno spiraglio sempre più stretto 
permette vedere il corteo che inoltra verso il Santo. Ora è proprio un filo. Ora non è 
più niente. Chiusa.

All'ultimo accordo dei sonori cardini risponde un singhiozzo dei due vecchi e un 
grido unico: «Maria! Figlia!»; e poi due gemiti che si invocano: «Anna!», 
«Gioacchino!»; e terminano: «Diamo gloria al Signore, che la riceve nella sua 
Casa e la conduce sulla sua via».
E tutto finisce così.


Dice Gesù:23
«Il Sommo Sacerdote aveva detto: "Cammina in mia presenza e sii perfetta". Il Sommo 
Sacerdote non sapeva che parlava alla Donna solo a Dio inferiore in perfezione. 
Ma parlava in nome di Dio e perciò sacro era il suo ordine. Sempre sacro, 
ma specie alla Ripiena di Sapienza.
Maria aveva meritato che la "Sapienza la prevenisse e le si mostrasse per prima", 
perché "dal principio del suo giorno Ella aveva vegliato alla sua porta e, desiderando 
d'istruirsi, per amore, volle esser pura per conseguire l'amore perfetto e meritare d'averla 
a maestra".
Nella sua umiltà non sapeva di possederla da prima d'esser nata e che l'unione con 
la Sapienza non era che un continuare i divini palpiti del Paradiso. Non poteva 
immaginare questo. E quando nel silenzio del cuore Dio le diceva parole sublimi, 
Ella umilmente pensava fossero pensieri di orgoglio, e levando a Dio un cuore 
innocente supplicava: "Pietà della tua serva, Signore!".

Oh! veramente che la vera Sapiente, la eterna Vergine, ha avuto un sol pensiero sin 
dall'alba del suo giorno: 
"Rivolgere a Dio il suo cuore sin dal mattino della vita e vegliare per il Signore, 
pregando davanti all'Altissimo", chiedendo perdono per la debolezza del suo cuore, 
come la sua umiltà le suggeriva di credere, e non sapeva di anticipare le richieste di 
perdono per i peccatori, che avrebbe fatto ai piedi della Croce insieme al Figlio morente.

"Quando poi il gran Signore lo vorrà 
(Siracide 39, 6, quelle che seguono sono citazioni da: Proverbi 8), 
Ella sarà riempita dello Spirito d'intelligenza" e comprenderà allora la sua sublime 
missione. Per ora non è che una pargola, che nella pace sacra del Tempio allaccia, 
"riallaccia" sempre più stretti i suoi conversari, i suoi affetti, i suoi ricordi con Dio.

Questo è per tutti. Ma per te, piccola Maria, non ha nulla di particolare da dire il tuo 
Maestro?" Cammina in mia presenza, sii perciò perfetta ". Modifico lievemente la sacra 
frase e te la dò per ordine. Perfetta nell'amore, perfetta nella generosità, perfetta nel soffrire.
Guarda una volta di più la Mamma. E medita su quello che tanti ignorano, 
o vogliono ignorare, perché il dolore è materia troppo ostica al loro palato e al loro 
spirito. Il dolore. Maria lo ha avuto dalle prime ore della vita. Esser perfetta come 
Ella era, era possedere anche una perfetta sensibilità. Perciò più acuto doveva 
esserle il sacrificio. Ma per questo più meritorio. Chi possiede purezza possiede amore, 
chi possiede amore possiede sapienza, chi possiede sapienza possiede generosità ed 
eroismo, perché sa il perché per cui si sacrifica.
In alto il tuo spirito anche se la croce ti curva, ti spezza, ti uccide. Dio è con te».




Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis


martedì 20 novembre 2012

Soldato pieno di vizi, ma aveva una moglie divota ...



ESEMPIO V.

Narra il Pelbarto (Stellar. lib. 12, part. ult., c.7)6 che un certo
soldato era pieno di vizi, ma aveva una moglie divota, la quale non avendolo potuto ridurre, almeno gli raccomandò a non lasciare di dire ogni giorno un'Ave Maria avanti a qualche immagine della Madonna. Un dì andando costui a peccare, passò per una chiesa, entrò a caso in quella e vedendo l'immagine della santa Vergine, genuflesso le disse l'Ave Maria; ed allora che vide? vide Gesù bambino in braccio a Maria tutto ferito, che mandava sangue. Allora disse: Oh Dio, chi barbaro ha così trattato quest'innocente Bambino? Voi siete, rispose Maria, peccatori, che trattate così il mio Figlio. Egli allora compunto la pregò ad ottenergli il perdono, chiamandola madre di misericordia; ed ella disse: Voi peccatori mi chiamate madre di misericordia, ma non lasciate di farmi madre di dolori e di miseria.

Ma il penitente non si perdé d'animo, seguitò a pregar Maria che intercedesse per lui. La B. Vergine si voltò al Figlio e gli domandò il perdono per quel peccatore. Il Figlio parea che ripugnasse; ma allora disse Maria: Figlio mio, non partirò da' piedi tuoi, se non perdoni questo afflitto che a me si raccomanda. Allora disse Gesù: Madre mia, io non vi ho negato mai niente; desiderate voi il perdono per costui? sia perdonato; ed in segno del perdono ch'io gli do, voglio ch'esso venga a baciarmi queste ferite. Andò il peccatore, si accostò, e siccome baciava, si chiudevano le ferite. Indi partitosi dalla chiesa, cercò perdono alla moglie, e di comun consenso lasciarono ambedue il mondo e si fecero religiosi in due monasteri, dove con santo fine terminarono la vita.
___________
Note:
6 PELBARTUS DE THERMESWAR, Ord. Min. de Obs., Stellarium coronae gloriosissimae Virginis, lib. 12, pars tertia (ultima), cap. 7, Venetiis, 1586, pag. 224, 225. Il Pelbarto comincia così la sua narrazione: «Scribitur in libro qui dicitur Promptuarium exemplorum beatae Virginis, et refert clarius et melius magister Ioannes Gritsch, Ordinis Minorum, quod quidam miles…».



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