mercoledì 7 novembre 2012

Paradiso è un luogo, ove "nihil est quod nolis, totum est quod velis"; ivi non troverai cosa che ti dispiaccia, e troverai tutto quel che vuoi. "Nihil est, quod nolis".

Catecismo para niños



TRE MEDITAZIONI SUL PARADISO

MED. I. Del paradiso. 

Oh beati noi, se in questa terra soffriremo con pazienza i travagli della vita presente! Finiranno un giorno le angustie, i timori, le infermità, le persecuzioni e tutte le croci: e queste, se ci salviamo, diventeranno tutte per noi oggetti di allegrezza e di gloria in paradiso: "Tristitia vestra (ci fa animo il Signore) vertetur in gaudium" (Io. 16. 20). Sono sì grandi le delizie del paradiso, che da noi mortali non possono né spiegarsi, né capirsi: "Oculus non vidit (dice l'Apostolo), nec auris audivit, nec in cor hominis ascendit, quae praeparavit Deus iis, qui diligunt illum" (I Cor. 2. 9). Occhio non vide mai bellezze simili alle bellezze del paradiso: orecchio non mai udì armonie simili all'armonie del paradiso: né può il cuore umano giungere a comprendere i contenti, che ha preparati Iddio a coloro che l'amano. È bello vedere una campagna ornata di colline, di piani, di boschi e di marine. È bello il vedere un giardino pieno di frutta, di fiori e di fontane. Oh quanto è più bello il paradiso!

Per intendere quanto sieno grandi i gaudii del paradiso, basta sapere che in quel regno beato risiede un Dio onnipotente, applicato a rendere beate l'anime sue dilette. Dice S. Bernardo1 che il paradiso è un luogo, ove "nihil est quod nolis, totum est quod velis"; ivi non troverai cosa che ti dispiaccia, e troverai tutto quel che vuoi. "Nihil est, quod nolis". In paradiso non vi è notte, né stagioni di verno e di state, ma un continuo giorno sempre sereno ed una continua primavera sempre deliziosa. Non vi sono più persecuzioni o invidie, perché ivi tutti si amano sinceramente, e ciascuno gode del bene dell'altro, come fosse proprio. Non vi sono più infermità, né dolori, perché il corpo non è più soggetto a patire: non vi è povertà, perché ognuno è ricco appieno, e non ha più che desiderare: non vi sono più timori, perché l'anima confermata in grazia non può più peccare e perdere il sommo bene.

"Totum est, quod velis". In paradiso avrai quanto desideri.
Ivi è contentata la vista in veder quella città così bella ed i suoi cittadini tutti vestiti alla regale, perché tutti sono re di quel regno eterno. Vedremo ivi la bellezza di Maria, che comparirà più bella, che non sono tutti gli Angeli e santi insieme. Vedremo la bellezza di Gesù, che supererà poi immensamente la bellezza di Maria. Sarà contento l'odorato con quei odori di paradiso. Sarà contento l'udito colle armonie celesti e coi canti de' beati, che tutti con dolcezza somma canteranno le divine lodi in eterno.
Ah mio Dio, io non merito il paradiso, ma l'inferno; ma la vostra morte mi dà speranza di ottenerlo. Io desidero e vi domando il paradiso, non tanto per godere, quanto per amarvi eternamente, sicuro di non potervi più perdere.
Madre mia Maria, o stella del mare, voi colle vostre preghiere avete da condurmi in paradiso.

1 [21.] S. BERNARDUS, De diversis, serm. 16, n. 7; PL 183, 582: «Ibi nihil deest: ecce abundantia qua impletur humana cupiditas. Quae est ita copia, ubi nihil quod nolis sit, totum sit quod velis».






MED. II. Del paradiso. 


Figuriamoci un'anima, che uscendo da questo mondo entra nell'eternità in grazia di Dio. Ella si presenta tutta piena d'umiltà e di confidenza innanzi a Gesù suo giudice e Salvatore. Gesù l'abbraccia, la benedice e le fa sentire quelle dolci parole: Anima diletta allegramente, già sei salva: "Veni sponsa mea, veni coronaberis".1 Se l'anima ha bisogno di purgarsi, la manda al purgatorio,2 ed ella tutta rassegnata abbraccia il castigo, poich'ella3 stessa non vuol entrare in cielo, in quella patria di purità, se non è tutta purificata. Viene l'Angelo custode per condurla al purgatorio, ella prima lo ringrazia dell'assistenza fattale in vita e poi ubbidiente lo siegue.
Ah mio Dio, quando sarà questo giorno, che mi vedrò fuori di questa terra di pericoli, sicuro di non potervi più perdere? Sì volentieri andrò al purgatorio, che mi spetta: lieta abbraccerò ogni pena: mi basterà l'amarvi in quel fuoco con tutto il mio cuore, giacché ivi non amerò altri che voi.

Compita la purga, l'Angelo tornerà e le dirà: Via su, anima bella, è finita la pena, vieni a godere la faccia del tuo Dio, che t'aspetta in paradiso. Ecco l'anima già passa le nubi, passa le sfere, le stelle ed entra nel cielo. Oh Dio che dirà in entrare in quella patria bella, e in dar la prima occhiata a quella città di delizie! Gli Angeli e' santi e specialmente i suoi santi avvocati le verranno ad incontro,4 e con giubilo le daranno il benvenuto, con dirle: Benvenuta compagna nostra, benvenuta.
Ah Gesù mio, fatemene degno.

Qual consolazione avrà ella in incontrarsi ivi co' suoi parenti ed amici entrati già prima in cielo! Maggiore poi sarà il suo gaudio in vedere la sua regina Maria ed in baciarle i piedi, ringraziandola di quante grazie le ha fatte. La regina l'abbraccerà ed ella stessa la presenterà a Gesù, che l'accoglierà come sposa. E Gesù poi la presenterà al suo Padre divino, che abbracciandola, la benedirà dicendo: "Intra in gaudium Domini tui".5 E così la farà beata della stessa beatitudine, ch'egli gode.
Ah mio Dio, fate ch'io6 v'ami assai in questa vita, acciocché v'ami assai in eterno. Voi siete l'oggetto più degno d'esser7 amato, voi meritate tutto il mio amore, io non voglio amare altro che voi. Datemi voi la grazia per eseguirlo.
E voi, Maria, madre mia, proteggetemi.

1 [24.] Cant., 4, 8: «Veni de Libano, sponsa mea», etc. 

5 [19.] Matth., 25, 21. 





File:Par 27.jpg

MED. III. Del paradiso.

Le bellezze de' santi, le armonie celesti e tutte l'altre delizie del paradiso sono i minori pregi del paradiso. Il bene che fa l'anima appieno beata è il vedere ed amare Dio da faccia a faccia. Dice S. Agostino1 che se Dio facesse vedere la sua bella faccia a' dannati, l'inferno con tutte le sue pene diventerebbe per essi un paradiso. Anche in questa terra, quando Dio nell'orazione fa gustare la sua dolce presenza ad un'anima, e con un raggio di luce le scovre2 la sua bontà e l'amore che le porta, è tanto il contento che l'anima si sente liquefare e struggere d'amore; e pure in questa vita noi non possiamo vedere Dio qual'è, lo vediamo all'oscuro, come dietro di un denso velo: che sarà, quando Dio si toglierà davanti il velo e si farà vedere da faccia a faccia alla scoverta?3
Signore, io per avervi voltate le spalle non sarei più degno di vedervi, ma fidato nella vostra bontà spero di vedervi ed amarvi per sempre in paradiso. Parlo così, perché parlo con un Dio, ch'è morto per darmi il paradiso.

In questa terra l'anime amanti di Dio sono bensì le più contente, ma non possono godere quaggiù un contento pieno e perfetto: quel timore, che non sanno se sono degne dell'amore o dell'odio del loro amato Signore, le mantiene quasi sempre in pena. Ma in paradiso l'anima è sicura che ama Dio ed è amata da Dio, e vede che quel dolce laccio d'amore, che la tiene unita con Dio, non si scioglierà mai più in eterno. Accrescerà le fiamme il conoscer4 meglio allora, qual amore è stato quello di Dio in essersi fatt'uomo5 ed aver voluto per lei morire: di più in essersi dato a lei nel sagramento dell'Eucaristia. Accrescerà l'amore il vedere allora distintamente le grazie, che le ha fatte per condurla in cielo: vedrà che quelle croci inviatele in vita sono state tutti tiri del suo affetto per renderla beata. Vedrà poi le misericordie, che le ha usate, i lumi e le chiamate a penitenza. Vedrà su da quel mondo beato tante anime dannate già nell'inferno per meno peccati de' suoi, ed ella si vedrà già salva, che possiede Dio, sicura di non poterlo più perdere per tutta l'eternità.
Gesù mio, Gesù mio, quando verrà questo giorno per me troppo felice?

Compirà la felicità del beato il sapere con sicurezza che quel Dio che allora gode, l'avrà da godere in eterno. Se ne' beati entrasse timore, che avessero a perdere quel Dio che godono, il paradiso non sarebbe più paradiso. Ma no, il beato è certo, come è certo di Dio, che quel sommo bene che gode, l'ha da godere per sempre. Quel gaudio poi niente mancherà col tempo, egli sarà sempre nuovo. Sarà il beato sempre contento e sempre sitibondo di quel contento: sempre all'incontro sitibondo e sempre saziato.
Quando dunque ci vediamo afflitti da' travagli di questa terra alziamo gli occhi al cielo e consoliamoci dicendo: Paradiso, paradiso. Finiranno le pene un giorno, anzi queste medesime diventeranno oggetti di allegrezza. Ci aspettano i santi, ci aspettano gli Angeli, ci aspetta Maria; e Gesù sta colla corona in mano per coronarci, se gli saremo fedeli.
Ah mio Dio, quando sarà quel giorno, che giungerò a possedervi e potrò dirvi: Amor mio, non vi posso perdere più?
O Maria, speranza mia, non lasciate di pregare per me, finché non mi vediate già salvo a' piedi vostri in paradiso.

1 [30.] Ps. AUGUST., De triplici tabernaculo, c. 4; PL 40, 995: «Cuius faciem si omnes carcere inferni inclusi viderent, nullam poenam, nullum dolorem, nullamque tristitiam sentirent: cuius praesentia si in inferno cum sanctis habitatoribus appareret, continuo infernus converteretur in amoenum paradisum» (cfr. Glorieux, 28). 
5 [20.] fatt'uomo) fatto uomo B B1 B2. 

(Sant’Alfonso Maria de’ Liguori)

Catecismo para niños
AVE GIGLIO BIANCO DELLA SS.MA TRINITA’

Guardiamo al Paradiso

Casanova Achille XX.jpg


Descrizione del Paradiso della Mistica Maria Valtorta del 25-5-1944

25‑5. Tenterò descrivere la inesprimibile, ineffabile, beatifica visione della tarda sera di ieri, quella che dalsogno dell’anima mi condusse al sogno del corpo per apparirmi ancor più nitida e bella al mio ritorno ai sensi. E prima di accingermi a questa descrizione, che sarà sempre lontana dal vero più che non noi dal sole, mi sono chiesta: “Devo prima scrivere, o prima fare le mie penitenze?”. Mi ardeva di descrivere ciò che fa la mia gioia, e so che dopo la penitenza sono più tarda alla fatica materiale dello scrivere.
Ma la voce di luce dello Spirito Santo ‑ la chiamo così perché è immateriale come la luce eppure è chiara come la più sfolgorante luce, e scrive per lo spirito mio le sue parole che son suono e fulgore e gioia, gioia, gioia ‑ mi dice avvolgendomi l’anima nel suo baleno d’amore: “Prima la penitenza e poi la scrittura di ciò che è la tua gioia. La penitenza deve sempre precedere tutto, in te, poiché è quella che ti merita la gioia. Ogni visione nasce da una precedente penitenza e ogni penitenza ti apre il cammino ad ogni più alta contemplazione. Vivi per questo. Sei amata per questo. Sarai beata per questo. Sacrificio, sacrificio. La tua via, la tua missione, la tua forza, la tua gloria. Solo quando ti addormenterai in Noi cesserai di esser ostia per divenire gloria”.
Allora ho fatto prima tutte le mie giornaliere penitenze. Ma non le sentivo neppure. Gli occhi dello spirito “vedevano” la sublime visione ed essa annullava la sensibilità corporale. Comprendo, perciò, il perché i martiri potessero sopportare quei supplizi orrendi sorridendo. Se a me, tanto inferiore a loro in virtù, una contemplazione può, effondendosi dallo spirito ai sensi corporali, annullare in essi la sensibilità dolorifica, a loro, perfetti nell’amore come creatura umana può esserlo e vedenti, per la loro perfezione, la Perfezione di Dio senza velami, doveva accadere un vero annullamento delle debolezze materiali. La gioia della visione annullava la miseria della carne sensibile ad ogni sofferenza.

Ed ora cerco descrivere.
Ho rivisto il Paradiso. E ho compreso di cosa è fatta la sua Bellezza, la sua Natura, la sua Luce, il suo Canto. Tutto, insomma. Anche le sue Opere, che sono quelle che, da tant’alto, informano, regolano, provvedono a tutto l’universo creato. Come già l’altra volta, nei primi del corrente anno, credo, ho visto la Ss. Trinità. Ma andiamo per ordine.
Anche gli occhi dello spirito, per quanto molto più atti a sostenere la Luce che non i poveri occhi del corpo che non possono fissare il sole, astro simile a fiammella di fumigante lucignolo rispetto alla Luce che è Dio, hanno bisogno di abituarsi per gradi alla contemplazione di questa alta Bellezza.
Dio è così buono che, pur volendosi svelare nei suoi fulgori, non dimentica che siamo poveri spiriti ancor prigionieri in una carne, e perciò indeboliti da questa prigionia. Oh! come belli, lucidi, danzanti, gli spiriti che Dio crea ad ogni attimo per esser anima alle nuove creature! Li ho visti e so. Ma noi... finché non torneremo a Lui non possiamo sostenere lo Splendore tutto d’un colpo. Ed Egli nella sua bontà ce ne avvicina per gradi.
Per prima cosa, dunque, ieri sera ho visto come una immensa rosa. Dico “rosa” per dare il concetto di questi cerchi di luce festante che sempre più si accentravano intorno ad un punto di un insostenibile fulgore.
Una rosa senza confini! La sua luce era quella che riceveva dallo Spirito Santo. La luce splendidissima dell’Amore eterno. Topazio e oro liquido resi fiamma... oh! non so come spiegare! Egli raggiava, alto, alto e solo, fisso nello zaffiro immacolato e splendidissimo dell’Empireo, e da Lui scendeva a fiotti inesausti la Luce. La Luce che penetrava la rosa dei beati e dei cori angelici e la faceva luminosa di quella sua luce che non è che il prodotto della luce dell’Amore che la penetra. Ma io non distinguevo santi o angeli. Vedevo solo gli immisurabili festoni dei cerchi del paradisiaco fiore.
Ne ero già tutta beata e avrei benedetto Dio per la sua bontà, quando, in luogo di cristallizzarsi così, la visione si aprì a più ampi fulgori, come se si fosse avvicinata sempre più a me permettendomi di osservarla con l’occhio spirituale abituato ormai al primo fulgore e capace di sostenerne uno più forte.
Beato Angelico, Incoronazione della Vergine, Firenze, Galleria degli Uffizi


E vidi Dio Padre: Splendore nello splendore del Paradiso. Linee di luce splendidissima, candidissima, incandescente. Pensi lei: se io lo potevo distinguere in quella marea di luce, quale doveva esser la sua Luce che, pur circondata da tant’altra, la annullava facendola come un’ombra di riflesso rispetto al suo splendere? Spirito... Oh! come si vede che è spirito! È Tutto. Tutto tanto è perfetto. È nulla perché anche il tocco di qualsiasi altro spirito del Paradiso non potrebbe toccare Dio, Spirito perfettissimo, anche con la sua immaterialità: Luce, Luce, niente altro che Luce.
Di fronte al Padre Iddio era Dio Figlio. Nella veste del suo Corpo glorificato su cui splendeva l’abito regale che ne copriva le Membra Ss. senza celarne la bellezza superindescrivibile. Maestà e Bontà si fondevano a questa sua Bellezza. I carbonchi delle sue cinque Piaghe saettavano cinque spade di luce su tutto il Paradiso e aumentavano lo splendore di questo e della sua Persona glorificata.
Non aveva aureola o corona di sorta. Ma tutto il suo Corpo emanava luce, quella luce speciale dei corpi spiritualizzatí che in Lui e nella Madre è intensissima e si sprigiona dalla Carne che è carne, ma non è opaca come la nostra. Carne che è luce. Questa luce si condensa ancor di più intorno al suo Capo. Non ad aureola, ripeto, ma da tutto il suo Capo. Il sorriso era luce e luce lo sguardo, luce trapanava dalla sua bellissima Fronte, senza ferite. Ma pareva che, là dove le spine un tempo avevano tratto sangue e dato dolore, ora trasudasse più viva luminosità.
Gesù era in piedi col suo stendardo regale in mano come nella visione che ebbi in gennaio, credo.
Un poco più in basso di Lui, ma di ben poco, quanto può esserlo un comune gradino di scala, era la Ss. Vergine. Bella come lo è in Cielo, ossia con la sua perfetta bellezza umana glorificata a bellezza celeste.
Stava fra il Padre e il Figlio che erano lontani tra loro qualche metro. (Tanto per applicare paragoni sensibili). Elia era nel mezzo e, con le mani incrociate sul petto ‑ le sue dolci, candidissime, piccole, bellissime mani ‑ e col volto lievemente alzato - il suo soave, perfetto, amoroso, soavissimo volto ‑ guardava, adorando, il Padre a il Figlio.
Piena di venerazione guardava il Padre. Non diceva parola. Ma tutto il suo sguardo era voce di adorazione e preghiera e canto. Non era in ginocchio. Ma il suo sguardo la faceva più prostrata che nella più profonda genuflessione, tanto era adorante. Ella diceva: “Sanctus!”, diceva: “Adoro Te!” unicamente col suo sguardo.
Guardava il suo Gesù piena di amore. Non diceva parola. Ma tutto il suo sguardo era carezza. Ma ogni carezza di quel suo occhio soave diceva: “Ti amo!”. Non era seduta. Non toccava il Figlio. Ma il suo sguardo lo riceveva come se Egli le fosse in grembo circondato da quelle sue materne braccia come e più che nell’Infanzia e nella Morte. Ella diceva: “Figlio mio!”, “Gioia mia!”, “Mio amore!” unicamente col suo sguardo.

Si beava di guardare il Padre e il Figlio. E ogni tanto alzava più ancora il volto e lo sguardo a cercare l’Amore che splendeva alto, a perpendicolo su Lei. E allora la sua luce abbagliante, di perla fatta luce, si accendeva come se una fiamma la investisse per arderla e farla più bella. Ella riceveva il bacio dell’Amore e si tendeva con tutta la sua umiltà e purezza, con la sua carità, per rendere carezza a Carezza e dire: “Ecco. Son la tua Sposa e ti amo e son tua. Tua per l’eternità”. E lo Spirito fiammeggiava più forte quando lo sguardo di Maria si allacciava ai suoi fulgori.
E Maria riportava il suo occhio sul Padre e sul Figlio. Pareva che, fatta deposito dall’Amore, distribuisse questo. Povera immagine mia! Dirò meglio. Pareva che lo Spirito eleggesse Lei ad essere quella che, raccogliendo in sé tutto l’Amore, lo portasse poi al Padre e al Figlio perché i Tre si unissero e si baciassero divenendo Uno. Oh! gioia comprendere questo poema di amore! E vedere la missione di Maria, Sede dell’Amore!
Ma lo Spirito non concentrava i suoi fulgori unicamente su Maria. Grande la Madre nostra. Seconda solo a Dio. Ma può un bacino, anche se grandissimo, contenere l’oceano? No. Se ne empie e ne trabocca. Ma l’oceano ha acque per tutta la terra. Così la Luce dell’Amore. Ed Essa scendeva in perpetua carezza sul Padre e sul Figlio, li stringeva in un anello di splendore. E si allargava ancora, dopo essersi beatificata col contatto del Padre e del Figlio che rispondevano con amore all’Amore, e si stendeva su tutto il Paradiso.
Ecco che questo si svelava nei suoi particolari... Ecco gli angeli. Più in alto dei beati, cerchi intorno al Fulcro del Cielo che è Dio Uno e Trino con la Gemma verginale di Maria per cuore. Essi hanno somiglianza più viva con Dio Padre. Spiriti perfetti ed eterni, essi sono tratti di luce, inferiore unicamente a quella di Dio Padre, di una forma di bellezza indescrivibile. Adorano... sprigionano armonie. Con che? Non so. Forse col palpito del loro amore. Poiché non son parole; e le linee delle bocche non smuovono la loro luminosità. Splendono come acque immobili percosse da vivo sole. Ma il loro amore è canto. Ed è armonia così sublime che solo una grazia di Dio può concedere di udirla senza morirne di gioia.
Più sotto, i beati. Questi, nei loro aspetti spiritualizzati, hanno più somiglianza col Figlio e con Maria. Sono più compatti, direi sensibili all’occhio e ‑ fa impressione ‑ al tatto, degli angeli. Ma sono sempre immateriali. Però in essi sono più marcati i tratti fisici, che differiscono in uno dall’altro. Per cui capisco se uno è adulto o bambino, uomo o donna. Vecchi, nel senso di decrepitezza, non ne vedo. Sembra che anche quando i corpi spiritualizzati appartengono ad uno morto in tarda età, lassù cessino i segni dello sfacimento della nostra carne. Vi è maggior imponenza in un anziano che in un giovane. Ma non quello squallore di rughe, di calvizie, di bocche sdentate e schiene curvate proprie negli umani. Sembra che il massimo dell’età sia di 40, 45 anni. Ossia virilità fiorente anche se lo sguardo e l’aspetto sono di dignità patriarcale.
Fra i molti... oh! quanto popolo di santi!... e quanto popolo di angeli! I cerchi si perdono, divenendo scia di luce per i turchini splendori di una vastità senza confini! E da lungi, da lungi, da questo orizzonte celeste viene ancora il suono del sublime alleluia e tremola la luce che è l’amore di questo esercito di angeli e beati...
Fra i molti vedo, questa volta, un imponente spirito. Alto, severo, e pur buono. Con una lunga barba che scende sino a metà del petto e con delle tavole in mano. Le tavole sembrano quelle cerate che usavano gli antichi per scrivere. Si appoggia con la mano sinistra ad esse che tiene, alla loro volta, appoggiate al ginocchio sinistro. Chi sia non so. Penso a Mosè o a Isaia. Non so perché. Penso così. Mi guarda e sorride con molta dignità. Null’altro. Ma che occhi! Proprio fatti per dominare le folle e penetrare i segreti di Dio.
Lo spirito mio si fa sempre più atto a vedere nella Luce. E vedo che ad ogni fusione delle tre Persone, fusione che si ripete con ritmo incalzante ed incessante come per pungolo di fame insaziabile d’amore, si producono gli incessanti miracoli che sono le opere di Dio.
Vedo che il Padre, per amore del Figlio, al quale vuole dare sempre più grande numero di seguaci, crea le anime. Oh! che bello! Esse escono come scintille, come petali di luce, come gemme globulari, come non sono capace di descrivere, dal Padre. È uno sprigionarsi incessante di nuove anime... Belle, gioiose di scendere ad investire un corpo per obbedienza al loro Autore. Come sono belle quando escono da Dio! Non vedo, non lo posso vedere essendo in Paradiso, quando le sporca la macchia originate.
Il Figlio, per zelo per il Padre suo, riceve e giudica, senza soste, coloro che, cessata la vita, tornano all’Origine per esser giudicati. Non vedo questi spiriti. Comprendo se essi sono giudicati con gioia, con misericordia, o con inesorabilità, dai mutamenti dell’espressione di Gesù. Che fulgore di sorriso quando a Lui si presenta un santo! Che luce di mesta misericordia quando deve separarsi da uno che deve mondarsi prima di entrare nel Regno! Che baleno di offeso e doloroso corruccio quando deve ripudiare in eterno un ribelle!
È qui che comprendo ciò che è il Paradiso. E ciò di che è fatta la sua Bellezza, Natura, Luce e Canto. È fatta dall’Amore. Il Paradiso è Amore. È l’Amore che in esso crea tutto. È l’Amore la base su cui tutto si posa. È l’Amore l’apice da cui tutto viene.
Il Padre opera per Amore. Il Figlio giudica per Amore. Maria vive per Amore. Gli angeli cantano per Amore. I beati osannano per Amore. Le anime si formano per Amore. La Luce è perché è l’Amore. Il Canto è perché è l’Amore. La Vita è perché è l’Amore. Oh! Amore! Amore! Amore!... Io mi annullo in Te. Io risorgo in Te. Io muoio, creatura umana, perché Tu mi consumi. Io nasco, creatura spirituale, perché Tu mi crei.
Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, Terza Persona! Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che sei amore delle Due Prime! Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che ami i Due che ti precedono! Sii benedetto Tu che mi ami. Sii benedetto da me che ti amo perché mi permetti di amarti e conoscerti, o Luce mia...

Ho cercato nei fascicoli, dopo aver scritto tutto questo, la precedente contemplazione del Paradiso. Perché? Perché diffido sempre di me e volevo vedere se una delle due era in contraddizione con l’altra. Ciò mi avrebbe persuasa che sono vittima di un inganno.
No. Non vi è contraddizione. La presente è ancor più nitida ma ha le linee essenziali uguali. La precedente è alla data 10 gennaio 1944. E da allora io non l’avevo mai più guardata. Lo assicuro come per giuramento.

Tratto dai Quaderni di Maria Valtorta (Mistica) 
(Quaderno 22) Edizioni CEV

AVE MARIA PURISSIMA!
SENZA PECCATO ORIGINALE CONCEPITA!

martedì 6 novembre 2012

PER NON SCORDARE IL GRAN DONO CHE LA PROVVIDENZA CI HA FATTO QUEL 1° SABATO 7/7/2007


PER NON SCORDARE IL GRAN DONO CHE LA PROVVIDENZA CI HA FATTO QUEL 1° SABATO 7/7/2007

Ecco dunque il link al testo ufficiale del "motu proprio", in latino: 


Riportiamo integralmente la lettera di spiegazione del papa, con le maiuscole e gli a capo del testo originale trasmesso ai vescovi: 



"La ragione positiva che mi ha motivato..." 


Cari Fratelli nell’Episcopato, 

con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica "Motu Proprio data" sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera. 

Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto. 

A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera. 


* * *


In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito. 

Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica. Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa. 

Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio "Ecclesia Dei" del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le "giuste aspirazioni" di quei fedeli che richiedevano quest’uso del Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucarestia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni. 


* * *


In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli. 

È vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione "Ecclesia Dei" in contatto con i diversi enti dedicati all’ "usus antiquior" studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale. 



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Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: "La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!" (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio. 

Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso. 


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In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: "Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum"). 

Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio. 

Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio. 

Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: "Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue" (Atti 20,28). 

Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli. 

Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007 

BENEDICTUS PP. XVI 



AVE MARIA!

Benedetto XVI ai vescovi italiani riuniti in assemblea generale

La verità non invecchia mai.

L'appello accorato del Papa: nella liturgia ispiratevi a San Francesco!


Davvero è un appello accorato quello del Papa ai vescovi riuniti ad Assisi per esaminare (anche) la nuova traduzione del Messale Romano (secondo la III edizione tipica), esame che si concluderà nel maggio del 2011. Vi riporto, in fondo al post, la parte principale del messaggio papale, la sezione che si riferisce alla riforma della liturgia.

Il comunicato finale dell'assemblea dei vescovi recita con sussiego: "Proprio l’ambito liturgico, posto al centro dei lavori, ha visto l’esame e l’approvazione della prima parte dei testi della terza edizione italiana del Messale Romano. La liturgia è stata anche il filo conduttore del messaggio del Santo Padre che, nell’esprimere ai Vescovi affettuosa vicinanza e fraterno incoraggiamento, ha sottolineato come ogni celebrazione abbia il suo fulcro nella presenza, nel primato e nell’opera di Dio"
Che il Santo Padre debba ricordare ai vescovi che al centro della celebrazione liturgica c'è la presenza, il primato e l'opera di Dio, non mi sembra un segnale rassicurante. Capirei che lo ricordi ai giovani della GMG, ma si presume che i vescovi lo sappiano e non abbiano bisogno dei fondamentali del catechismo.

Aggiunge il comunicato: "Al cuore dei loro lavori, i Vescovi, dopo aver affrontato alcune questioni puntuali, hanno approvato la prima parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale Romano. Nella prossima Assemblea Generale (maggio 2011) saranno analizzati i restanti testi, prima dell’approvazione generale e della loro trasmissione alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, a cui spetterà autorizzare la pubblicazione della nuova versione italiana del Messale Romano".


Andiamo al dunque: vedremo mai, come è successo per la traduzione inglese, almeno qualche saggio dei testi ora approvati, prima che siano mandati a Roma e pubblicati a stampa in modo definitivo? Io ne dubito, perchè la segretezza con cui la commissione per la liturgia lavora (e la CEI approva) è indice che non si vuole esser troppo disturbati, si ha un certo sacro orrore dell'aperto dibattito teologico, che potrebbe portare a correzioni non volute dai pochi che hanno "le mani in pasta". Basterebbe che gli italiani imparassero ad usare internet come lo ha utilizzato la commissione per la traduzione in inglese (ICEL), non si chiede niente di più. Ma in nostri esperti - forse - preferiscono che i "sacri misteri" rimangano celati al volgo? Il Papa lo sa, eppure mette le mani avanti, come vediamo chiaramente nel testo del suo appello cristallino.
Papa Benedetto, ben consapevole delle resistenze di vescovi e sacerdoti italici al suo magistero liturgico e al suo esempio personale, rompe gli indugi e mostra la via da percorrere per rinnovare la liturgia italiana, che non è - in realtà - tanto piena d'abusi come in certe parti d'Europa, ma è stantia, si è fermata ai primi anni '70, come mostra il tenore delle traduzioni-invenzioni che affliggono in gran misura i testi del proprio del tempo e dei santi dell'attuale Messale in italiano.

Ma Bendetto XVI ha fatto molto di più che inviare una semplice esortazione, come si può leggere nelle righe del suo intervento. Ha indicato espressamente la via francescana al culto divino

"Ma come?" - si chiederà l'ingenuo conoscitore del santo patrono d'Italia - "Il Poverello non è forse quel fantasioso fraticello che seguiva le sue ispirazioni, e come giullare di Dio adorava l'eterno saltellando tra i campi in fiore e gli uccellini? Cosa c'entra con la liturgia?".

Chi conosce la Regola dei Frati minori, gli altri scritti di san Francesco e la storia dei primi secoli dell'Ordine, non ha invece dubbi: il Papa ha centrato il bersaglio e ha proposto il modello giusto.

 San Francesco, proprio perchè non sacerdote, ha sempre avuto stima altissima del culto pubblico della Chiesa e ha preteso assoluta fedeltà dei suoi frati sacerdoti alla liturgia della Chiesa Romana e non ad altra.

In un tempo in cui pullulavano le interpretazioni personali della fede, della presenza di Cristo nell'Eucaristia, ed erano molteplici le forme liturgiche, Francesco scelse per i suoi frati la forma della Chiesa Romana e l'obbedienza in tutto al romano Pontefice. 

Per questo è triste vedere come invece tanti francescani, delle varie obbedienze, diano più retta allo spirito dei tempi e alle loro idee personali, che non all'insegnamento e del Papa e a mettere in pratica i libri liturgici , così come sono scritti, sine glossa (direbbe san Francesco).

Ecco le parole di Sua Santità, che mi permetto di commentare in rosso:
Dal messaggio di Benedetto XVI ai vescovi italiani riuniti in assemblea generale

[...] 1. In questi giorni siete riuniti ad Assisi, la città nella quale “nacque al mondo un sole” (Dante, Paradiso, Canto XI), proclamato dal venerabile Pio XII patrono d’Italia: san Francesco, che conserva intatte la sua freschezza e la sua attualità – i santi non tramontano mai! – dovute al suo essersi conformato totalmente a Cristo, di cui fu icona viva.

Come il nostro, anche il tempo in cui visse san Francesco era segnato da profonde trasformazioni culturali, favorite dalla nascita delle università, dallo sviluppo dei comuni e dal diffondersi di nuove esperienze religiose. [l'eresia abbondava ai tempi di Francesco, il Papa lo sa bene, e per questo avvicina certe "esperienze religiose" di secoli così distanti...]

Proprio in quella stagione, grazie all’opera di papa Innocenzo III – lo stesso dal quale il Poverello di Assisi ottenne il primo riconoscimento canonico – la Chiesa avviò una profonda riforma liturgica. [Leggi: il concilio Lateranense IV è l'omologo medievale del Vaticano II, per quanto riguarda il rinnovamento - anche liturgico - della Chiesa]

Ne è espressione eminente il Concilio Lateranense IV (1215), che annovera tra i suoi frutti il “Breviario”. Questo libro di preghiera accoglieva in se la ricchezza della riflessione teologica e del vissuto orante del millennio precedente. Adottandolo, san Francesco e i suoi frati fecero propria la preghiera liturgica del sommo pontefice [implicito un riumbrotto papale, come se dicesse: Cari francescani, perchè oggi non fate altrettanto, secondo la volontà del vostro fondatore, e non solo per il breviario ma anche per il messale e lo stile celebrativo?]: in questo modo il santo ascoltava e meditava assiduamente la Parola di Dio, fino a farla sua e a trasporla poi nelle preghiere di cui è autore, come in generale in tutti i suoi scritti.

Lo stesso Concilio Lateranense IV, considerando con particolare attenzione il sacramento dell’altare, inserì nella professione di fede il termine “transustanziazione”, per affermare la presenza reale di Cristo nel sacrificio eucaristico: “Il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo e il vino nel sangue per divino potere” (DS, 802).

Dall’assistere alla santa messa e dal ricevere con devozione la santa comunione sgorga la vita evangelica di san Francesco e la sua vocazione a ripercorrere il cammino di Cristo Crocifisso: “Il Signore – leggiamo nel Testamento del 1226 – mi dette tanta fede nelle chiese, che così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, poiché con la tua santa croce hai redento il mondo” (Fonti Francescane, n. 111). [E' triste constatare che sugli altari di molte chiese francescane delle varie obbedienze, anche in certe basiliche papali, la croce - tanto amata da Francesco - e tanto richiamata da papa Benedetto, non è ancora ricomparsa al centro degli altari. Speriamo che questo richiamo papale serva, finalmente, a smuovere le acque stantie, non solo nelle chiese serafiche, ma in quelle cattoliche italiane in genere]

In questa esperienza trova origine anche la grande deferenza che portava ai sacerdoti e la consegna ai frati di rispettarli sempre e comunque, “perché dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente in questo mondo, se non il Santissimo Corpo e il Sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri” (Fonti Francescane, n. 113).

Davanti a tale dono, cari fratelli, quale responsabilità di vita ne consegue per ognuno di noi! “Badate alla vostra dignità, frati sacerdoti – raccomandava ancora Francesco – e siate santi perché egli è santo” (Lettera al Capitolo Generale e a tutti i frati, in Fonti Francescane, n. 220)! 

Sì, la santità dell’eucaristia esige che si celebri e si adori questo mistero consapevoli della sua grandezza, importanza ed efficacia per la vita cristiana, ma esige anche purezza, coerenza e santità di vita da ciascuno di noi, per essere testimoni viventi dell’unico sacrificio di amore di Cristo. [Il punto che Benedetto XVI non smette di ricordare. I preti del tempo di Francesco non avevano il problema pedofilia, ma certo non erano affatto moralmente più in salute o considerati dal popolo dei preti dei nostri giorni, che anzi, nella maggioranza dei casi, sono molto più santi di quello che i giornali mostrano.]

Il santo di Assisi non smetteva di contemplare come “il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umìli da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca apparenza di pane” (ibid., n. 221), e con veemenza chiedeva ai suoi frati: “Vi prego, più che se lo facessi per me stesso, che quando conviene e lo vedrete necessario, supplichiate umilmente i sacerdoti perchè venerino sopra ogni cosa il Santissimo Corpo e il Sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo” (Lettera a tutti i custodi, in Fonti Francescane, n. 241). [San Francesco parla del Messale: le parole di Dio scritte che consacrano il corpo del Signore! Sono parole da venerare, non da cambiare a proprio gusto, parole da conservare intatte, anche in traduzione.]

2. L’autentico credente, in ogni tempo, sperimenta nella liturgia la presenza, il primato e l’opera di Dio. Essa è “veritatis splendor” (Sacramentum caritatis, 35), avvenimento nuziale, pregustazione della città nuova e definitiva e partecipazione ad essa; è legame di creazione e di redenzione, cielo aperto sulla terra degli uomini, passaggio dal mondo a Dio; è Pasqua, nella croce e nella risurrezione di Gesù Cristo; è l’anima della vita cristiana, chiamata alla sequela, riconciliazione che muove a carità fraterna.

Cari fratelli nell’episcopato, il vostro convenire pone al centro dei lavori assembleari l’esame della traduzione italiana della terza edizione tipica del Messale Romano [Dopo più di 10 anni era ora!]. La corrispondenza della preghiera della Chiesa (lex orandi) con la regola della fede (lex credendi) plasma il pensiero e i sentimenti della comunità cristiana, dando forma alla Chiesa, corpo di Cristo e tempio dello Spirito [I liturgisti vorrebbero, a ragione, che la lex orandi stabilisca la lex credendi, il Papa si ostina da sempre a dire il contrario, come mai? Perchè se i testi liturgici sono un punto fisso di riferimento, non sottoposto a continue mutazioni, è certo normale, come dicevano i santi Padri, che ad essi ci si rivolga per conoscere ciò che si deve credere. Ma se, come nel secolo che è appena trascorso e all'inizio di questo, la liturgia diventa quanto di più (teologicamente) instabile ci sia, vero campo di battaglia ideologico, è necessario che la legge del credere intervenga per ripristinare la corretta legge del pregare]. Ogni parola umana non può prescindere dal tempo, anche quando, come nel caso della liturgia, costituisce una finestra che si apre oltre il tempo. Dare voce a una realtà perennemente valida esige pertanto il sapiente equilibrio di continuità e novità, di tradizione e attualizzazione. [la crescita e il progresso organico della liturgia non è affatto escluso, ma che sia organico e dove necessario per il bene dei fedeli, non per seguire le idee degli "esperti"].

Il Messale stesso si pone all’interno di questo processo. Ogni vero riformatore [ci possono dunque essere "falsi riformatori"], infatti, è un obbediente della fede: non si muove in maniera arbitraria, né si arroga alcuna discrezionalità sul rito; non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e a noi affidato. La Chiesa intera è presente in ogni liturgia: aderire alla sua forma è condizione di autenticità di ciò che si celebra. [più chiaro di così! No all'arbitrarietà, alla discrezionalità, al ritenersi "padroni del rito". Anche i vescovi sono solo custodi e amministratori del tesoro che appartiene alla Chiesa tutta, a cui va assicurata l'autenticità, la verità di ciò che si celebra]

Dal Vaticano, 4 novembre 2010
Benedetto XVI


Qui potete trovare il commento, molto duro, di Magister che sostiene il richiamo papale nei confronti dell'episcopato italiano: Il papa scuote i vescovi: "Imparate da san Francesco"

Santo Rostro de Jesús míranos con Tu Misericordia.


La Beata MARIA PIERINA de las Hijas de la Inmaculada Concepción 



La Madre María Pierina, llamada por sus padres Josefina Francisca María, nace en Milán el 11 de septiembre de 1890. 
Con 23 años ingresa a la Congregación de las Hijas de la Inmaculada Concepción de Buenos Aires, que era una pequeña comunidad recientemente fundada por la Madre Eufrasia Iaconis. Desde el día de su ingreso a la comunidad, guarda una amistad profunda y verdadero sentimiento filial hacia la Madre Estanislada, que será su maestra, superiora y siempre confidente. 

Entre 1919 y 1921 la Madre Pierina visita Argentina, en un breve paréntesis antes de asumir cargos de gran responsabilidad que afronta con total dedicación a pesar de su precaria salud. Definitivamente en Italia, es elegida Superiora de la Casa de Milán en 1928, Superiora de la Casa de Roma en 1939 y, diez años después, Superiora Regional.
En el desempeño de sus tareas demuestra que es una mujer sumamente capaz, de una personalidad avasallante, con una actividad afiebrada, que sabe conjugar siempre con una intensa vida interior. Finalmente, después de innumerables fatigas nunca evitadas, llega el "no puedo más". 

Cuando la Segunda Guerra Mundial apenas había terminado y Roma estaba ocupada por las tropas de los aliados, el 26 de julio de 1945 en Centonara D’Artó, a los 55 años, bendiciendo a sus Hermanas y con los ojos fijos en el Divino Rostro, muere esta Hija de la Inmaculada, que según tantos testimonios fue una persona serena, dulce, afable, dueña de sí misma en todo su comportamiento, siempre sensible para percibir los problemas ajenos, y también confiada para buscar su solución.

La devoción al Divino Rostro de Jesús

  

La Madre Pierina hizo cuanto hizo en su corta vida, aceptando el dolor y el sufrimiento interiores en grado superlativo, sin dejar traslucir a sus queridas hijitas y hermanas otra cosa que una sonrisa cordial o una ayuda eficaz, todo... por Jesús. Una única preocupación como un fuego interior la consumía: dar a Jesús, donar a Jesús, porque Jesús es todo.
Pero si éste es el compromiso que asume cualquier bautizado cuando promete renunciar a Satanás, a sus pompas y a sus obras y entregarse a Jesucristo por siempre jamás, si éste es el recto orden del amor que se deja traslucir en la vida de aquél que cumple con los mandamientos de la ley de Dios, ¿por qué consideramos heroica la respuesta de la Madre Pierina?

En una extensa carta que la Madre Pierina escribió al Papa Pío XII brota una piedad apasionada: Humildemente confieso que siento una gran devoción por el Divino Rostro de Jesús, devoción que me parece que me la infundió el mismo Jesús. Tenía doce anos cuando un viernes santo esperaba en mi Parroquia mi turno para besar el crucifijo, cuando una voz clara me dijo: ¿Nadie me da un beso de amor en el rostro para reparar el beso de Judas? En mi inocencia de niña, creí que todos habían escuchado la voz, y sentía pena viendo que la gente continuaba besando las llagas y ninguno pensaba besarlo en el Rostro. Te doy yo Jesús el beso de amor, ten paciencia, y llegado el momento le estampé un fuerte beso en la cara con el ardor de mi corazón. Era feliz pensando que Jesús, ya contento, no tendría más pena. Desde aquel día el primer beso al crucifijo era a Su Divino Rostro y muchas veces los labios rehusaban separarse porque me sentía fuertemente retenida.


La experiencia se repite cuando tiene 25 años, pero con otros prodigios: En la noche del jueves al viernes santo de 1915, mientras rezaba ante el crucifijo en la Capilla de mi Noviciado, sentí que me decían: "bésame". Lo hice y mis labios en vez de apoyarse sobre un rostro de yeso, sintieron el contacto con Jesús. ¿Qué pasó? Me es imposible decirlo.
Cuando la Superiora me llamó era ya de mañana, sentía el corazón lleno de las penas y deseos de Jesús; deseaba reparar las ofensas que recibió su Santísimo Rostro en la pasión y las que recibe en el Santísimo Sacramento.

En este mismo Colegio de Argentina sucede otra aparición cinco anos después: En 1920, el 12 de abril me encontraba en Buenos Aires en la Casa Madre. Tenía una gran amargura en el corazón. Fui a la Iglesia y prorrumpí en llanto lamentándome con Jesús. Se me presentó con el Rostro ensangrentado y con una expresión de dolor tal que conmovería a cualquiera. Con una ternura que jamás olvidaré me dijo: "Y Yo, ¿qué he hecho?"
Comprendí… y a partir de ese día el Divino Rostro se convirtió en mi libro de meditación, la puerta de entrada a Su Corazón... De tanto en tanto, en los años siguientes –continúa la carta- se me aparecía ya triste, ya ensangrentado, comunicándome Sus penas y pidiéndome reparación y sufrimientos, llamándome a inmolarme ocultamente por la salvación de las almas.

Jesús habla a Pierina


Entre 1920 y 1940, fecha en que data esta carta, el pedido de Nuestro Señor se sucede en reiteradas apariciones: "Quiero que Mi Rostro, que refleja las penas más íntimas, el dolor y el amor de Mi Corazón, sea más honrado. Quien me contempla, me consuela" La Madre Pierina, que es siempre la fiel confidente, se hace portavoz de este ruego y, poco a poco, la devoción al Divino Rostro se va consolidando de un modo concreto gracias a la intervención milagrosa de la Santísima Virgen, que ordena y dispone: un escapulario, una medalla, los medios para costearla, y una fiesta después del martes de quincuagésima para honrar la Santa Faz.
Mientras tanto continúa la entrega o la inmolación oculta de la Madre Pierina. 

Como lo describe en su diario el día 5 de septiembre de 1942: Anoche en la Capilla le dije a Jesús: Jesús quiero ser tu gloria y tu alegría. Y Jesús me respondió. "Ven. Te necesito. Hoy he buscado el gozo en tantos corazones y me fue negado". Dime Jesús: ¿Qué debo hacer para suplir los rechazos que tuviste? Jesús, envuelto en ternura, me respondió. "¿Quieres gozar las dulzuras de la unión conmigo o sentir la pena de mi corazón por los pecados de los hombres? Lo que Tú quieras, Jesús. Y mi alma instantáneamente participó del dolor de Su corazón, dolor imposible de traducir en palabras. Jamás, como en ese instante, comprendí qué cosa era el pecado... Oh, Jesús! Que no te ofenda yo jamás... repara por mí, por los otros, como quieras... Tómamelo todo!
Cuando volví en mí, se había cumplido el tiempo y me dispuse a retirarme. Entonces Jesús me dijo: "¡Quédate un poco más conmigo! ¡Ya me dejas solo…!" Al responderle yo que había pasado el tiempo que me indicara mi director espiritual, Su Rostro se iluminó. "He aquí mi gloria! –me dijo- ¡La obediencia!


Reflexiones sobre la vida de Pierina


<<En fin, está a la vista de Uds., el ciento por uno que redituó el corazón de esta hermana humilde, callada, obediente, pobre, siempre bien dispuesta y entrega«a los demás, que sólo tuvo una pasión para revivir en carne propia, la de Jesús, es decir, sufrir con Él la abyección del mal cometido por los hombres -como en la noche del Huerto-, aceptar siempre la Voluntad de Dios -como acto de obediencia reparadora-, desterrar la más leve sombra de pecado, aunque fuese venial - como la Virgen Inmaculada, Su Madre Celeste-, y contemplar cuál es la anchura, la profundidad y la longura del más grande misterio de amor manifestado en el Divino Rostro de Cristo Jesús.

Su virtud: el recto orden del amor. Ese hoy nos toca imitar, si queremos que un día el Señor nos muestre Su Rostro, el del Corazón que tanto amó a los hombres. Pero la historia de una pasión es siempre, a la vez, una lección que debemos aprender los que no somos ni fríos ni calientes, los que también como ella podemos decir: "Compruebo día a día que soy una nada, más que una nada, una miseria" (Diario, noviembre de 1938).

Quiera Dios que, con su ejemplo, continuemos descubriendo que esta nada y esta miseria, en las manos de María, y con María perdida en el Corazón de Jesús, puede aspirar a una gran santidad, para llegar a la misma convicción de que si un alma santa da mayor gloria a Dios que un millón de almas comunes, yo tengo la obligación de hacerme santa, no por mí, sino por la mayor gloria de Dios. Ella, con su resolución, trazó esta vida ejemplar que hemos celebrado, porque sólo ella se animó a elegir: Sí, Padre, lo quiero, a cualquier costo, quiero ser la Santa de la Gloria de Dios, en la humildad, en la ocultación, en la sostenida e incondicional adhesión al Querer Divino, en el confiado abandono en Dios y en la Obediencia. El Getsemaní y el Tubernáculo serán mi residencia. Sor Pierina debe desaparecer para dejar en sí misma el lugar a su Jesús...que es todo.>>

Delia Maria Albisu


JESÚS habla a la Madre Maria Pierina De Micheli

“Deseo que mi Rostro, el cual refleja la íntimas penas de mi alma, el dolor y el amor de mi Corazón, sea más honrado. Quien me contempla me consuela.”
(primer viernes de Cuaresma de 1936)


A los 12 años, en la Iglesia Parroquial San Pedro in Sala, Milán, un Viernes Santo, oyó una voz que le dijo: ¿Ninguno me da un beso de amor en el rostro, para reparar el beso de Judas?
En su simplicidad de niña, creyó que todos habían oído esa voz y experimentó gran pena al ver que continuaban besando las llagas y no el Rostro de Jesús. Dentro de su corazón exclamó: Te doy yo el beso de amor. ¡Oh, Jesús, ten paciencia! Y llegado su turno, le imprimió con todo el ardor de su corazón, un beso en el Rostro.

Ya siendo novicia, durante la adoración nocturna, en la noche del Jueves al Viernes Santo de 1915, mientras ora delante del crucifijo, oye que le dice: Bésame. Sor María Pierina obedece, y sus labios, en lugar de posarse sobre un rostro de yeso, sienten el contacto del verdadero Rostro de Jesús. Cuando la Superiora la llama, ya es de día: tiene el corazón lleno de los padecimientos de Jesús y siente el deseo de reparar los ultrajes que recibió en el Rostro y que recibe cada día en el Sacramento del altar.
El Martes de Pasión de 1936, Jesús le vuelve a decir: Cada vez que se contemple mi Rostro, derramaré mi amor en los corazones y por medio de mi Divino Rostro, se obtendrá la salvación de tantas almas.

En 1937, mientras oraba y "después de haberme instruido en la devoción de su Divino Rostro", le dijo: Podría ser que algunas almas teman que la devoción a mi Divino Rostro, disminuya aquella de mi Corazón. Diles que al contrario, será completada y aumentada. Contemplando mi Rostro las almas participarán de mis penas y sentirán el deseo de amar y reparar. ¿No es ésta, tal vez, la verdadera devoción a mi corazón?

Estas manifestaciones de parte de Jesús se hacían siempre más insistentes.

En mayo de 1938, mientras reza, se presenta sobre la tarima del altar, en un haz de luz, una bella Señora: tenía en sus manos un escapulario, formado por dos franelas blancas unidas por un cordón. Una franela llevaba la imagen del Divino Rostro de Jesús y escrito alrededor: Ilumina Domine Vultum Tuum super nos (Ilumina, Señor, Tu rostro sobre nosotros); la otra, una Hostia circundada por unos rayos y con la inscripción: Mane nobiscum Domine (Quédate con nosotros Señor).

 Lentamente se acerca y le dice:
Escucha bien y refiere al Padre Confesor. Este escapulario es un arma de defensa, un escudo de fortaleza, una prueba de misericordia que Jesús quiere dar al mundo en estos tiempos de sensualidad y de odio contra Dios y la Iglesia. Los verdaderos apóstoles son pocos. Es necesario un remedio divino y este remedio es el Divino Rostro de Jesús. Todos aquellos que lleven un escapulario como éste y hagan, si es posible, una visita cada martes al Ssmo. Sacramento, para reparar los ultrajes que recibió el Divino Rostro de Jesús durante su Pasión y que recibe cada día en la Eucaristía, serán fortificados en la fe, prontos a defenderla y a superar todas las dificultades internas y externas. Además, tendrán una muerte serena bajo la mirada amable de mi Divino Hijo.

En el mismo año, Jesús vuelve a presentase todavía chorreando sangre y con tristeza: ¿Ves cómo sufro? Y sin embargo, de poquísimos soy comprendido. ¡Cuántas ingratitudes de parte de aquellos que dicen amarme! He dado mi corazón como objeto sensibilísimo de mi gran amor por los hombres y doy mi Rostro como objeto sensible de mi dolor por los pecados de los hombres: quiero que sea honrado con una fiesta particular el martes de Quincuagésima, fiesta precedida de una novena en que todos los fieles reparen conmigo, uniéndose a la participación de mi dolor.
En 1939, Jesús de nuevo le dice: Quiero que mi Rostro sea honrado de un modo particular el martes.

Maria Pierina logra hacer acuñar una medalla en lugar del escapulario. El 7 de abril de 1943, La Virgen se le presenta y le dice: Hija mía, tranquilízate porque el escapulario queda suplido por la medalla con las mismas promesas y favores: falta solo difundirla más. AHORA ANHELO LA FIESTA DEL SANTO ROSTRO DE MI DIVINO HIJO: DÍSELO AL PAPA PUES TANTO ME APREMIA. La bendijo y se fue.

La medalla se difunde con entusiasmo. ¡Cuántas gracias se han obtenido! Peligros evitados, curaciones, conversiones, liberación de condenas...
Invitamos a todos a llevar la medalla y rezar, diariamente, 5 Glorias al Santo Rostro de Nuestro Señor.



Novena al Santo Rostro de Jesús

Mi alma tiene sed del Dios vivo ¿cuándo veré Su Rostro?
...Quisiera que mis hijas -y los devotos- se distinguieran en ardor práctico, amoroso, generoso en honrar el SANTO ROSTRO de nuestro JESÚS, dolorido por los pecados de los hombres... de todos... de los nuestros... pero especialmente de aquellos que tendrían que ser sus imitadores... ¿Qué haremos? Si miramos profundamente aquel divino Rostro, nos hablará al corazón, nos hará partícipes de las amargas penas.., y nos dirá: consuélame al menos tú, que dices que me amas, que eres toda mía...
- pausa -
...entremos con Jesús en el huerto de los olivos y contemplemos con amor y contrición los dolores de su Corazón, en Su Santo Rostro.
...unámonos a la divina Víctima, ofreciéndonos por todas las personas del mundo para ser con EL auténticas almas reparadoras, en unión con la Virgen Inmaculada, primera Reparadora.

Canto

Oh Santo Rostro ultrajado por nosotros,
no te acuerdes más de los fallos de la tierra,
no te acuerdes más,
de tu último grito un día en el Calvario
acuérdate, acuérdate Jesús,
acuérdate, acuérdate, oh Rostro de Jesús.

Oración

¡Oh! amabilísimo Jesús, que quisiste sufrir tanto en Tu Santo Rostro, por nuestro amor, vuélvenos a mirar benignamente e imprime en nuestros corazones Tu divina semblanza, para que nuestra alegría sea sufrir por Ti.
Gloria al Padre...

¡Oh! dulcísimo Jesús, que en Tu Rostro divino has sido golpeado,
maltratado, humillado por nuestro amor, haz que el desprecio y la humillación sean nuestra porción predilecta.
Gloria al Padre...

¡Oh! manso Jesús, que en Tu Divino Rostro sudaste sangre por nuestro amor, concédenos la gracia de sufrir por tu amor y así volver a ser mirados por Ti.
Gloria al Padre...

¡Oh! Santo Rostro de Jesús, mientras esperamos el feliz día de poderte contemplar en la gloria del Paraíso, queremos procurarte tanta gloria y deleitar Tu mirada divina.
Tu mirada velada sea nuestro paraíso aquí en la tierra, las lágrimas que lo velan las recogeremos para salvar tantas almas e inflamar los corazones con Tu amor. Amén.

Santo Rostro de Jesús míranos con Tu Misericordia.