lunedì 15 ottobre 2012

*** DOMENICA 21ma dopo Pentecoste. Rito Romano-Tridentino. 21 ottobre 2012: Il perdono e la parabola del servo iniquo.


278. <<...Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?>>



Licenziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. 
Vanno a sedersi al limite di esso, proprio vicino alle acque quiete del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.

«Avranno buona pesca», commenta Pietro che osserva. 
«Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona». 
«Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e...». 
«Non abbiamo bisogno di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi». 
«Non tutti, Maestro?», chiede Matteo. 
«Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca». 
«Conversioni, eh?», domanda Giacomo di Zebedeo. 
«Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose».

«Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?». 

«Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto. In verità vi dico: quanto avrete legato sulla Terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla Terra sarà sciolto in Cielo. E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell'amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio. Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l'unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore. Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati»

Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene». 
«Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme 
alla divina Sapienza».

«E... quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro 
di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?». 

«Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con 
voi, così voi dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in Terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».



E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, 
si stringono in cerchio. 

Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare. 

«Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso. Dall'apostolo Simone di Giona mi è stato detto: "Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?". Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate sin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonatoPerdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c'è la volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell'uomo. 
Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di 
dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. 

Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante. 
Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi. 
Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l'altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare 
l'anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e beni d'ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo. Il re-padrone, 
sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche 
lo pregava: "Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all'ultimo denaro". Il re, impietosito da tanto dolore -  era un re buono - non solo acconsentì a questo ma,
saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.

Il suddito se ne andò felice. Uscendo di li, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell'infelice per la gola, gli disse: "Rendimi subito quanto mi devi". Inutilmente l'uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: "Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all'ultimo spicciolo". 
Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l'infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita. La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente, disse: "Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che io ti ho fatto?". E lo consegnò sdegnato ai carcerieri, perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: "Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà". 
Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l'obbligo di essere più di ogni altro senza 
colpe. Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono. Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla 
date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti. Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all'altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono. 

La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo. Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. 
Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi. La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al 
bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe  che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura. Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo quello che Io dissi prima di mandare i dodici. 

Uno fra voi mi ha chiesto: "Ma come guarirò in tuo Nome?". Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con la parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l'ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l'avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure. 

Andate, dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E, giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa 
santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero. 
Andate con pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signore».


Gesù, Maria, Vi amo! 
Salvate tutte le anime.

Venerabile don Placido Baccher, il Beato Pio IX, l'Immacolata e la città di Napoli


Statua posta sopra l'altare maggiore
della chiesa del Gesù Vecchio
[foto Elisabetta Nardi]


Grande fu a Napoli, nel Settecento, il contributo di S. Alfonso de’ Liguori e, nella prima metà dell’Ottocento, quello del venerabile don Placido Baccher (Napoli 5 aprile 1781-10 ottobre 1851).

Quest’ultimo, durante la repubblica partenopea, ebbe esiliato il padre, fucilati due fratelli ed egli stesso, imprigionato in Castel Capuano in attesa di condanna, in giorno di sabato fu riconosciuto innocente e liberato. Egli il giorno precedente con fede viva aveva così pregato: «Domani è sabato; questo giorno non mi può arrecare sventura, perché è il giorno della Madonna, giorno della divina misericordia» (3).


La sera, mentre egli si assopiva recitando il Rosario, gli apparve la Madonna, che gli disse: «Confida, figliuolo; domani sarai liberato da questo orrido carcere. Tu poi dovrai essere mio; e sarai chiamato in una delle principali chiese di Napoli a zelare le glorie del mio immacolato concepimento» (4)

Grato al Signore e alla Vergine, Placido Baccher abbracciò la vita clericale e il 31 maggio 1806 fu ordinato sacerdote nella Basilica di Santa Restituta. Collaborando con D. Pignataro, rettore della chiesa di S. Tommaso d’Aquino, promosse intensamente una cosciente partecipazione ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia, l’adorazione frequente del Cristo eucaristico, la devozione all’Immacolata e un’intensa attività evangelizzatrice e caritativa.



Nominato ben presto rettore della chiesa del Santissimo Salvatore, detta del Gesù Vecchio, egli, dopo essersi consigliato col suo confessore, il barnabita Francesco Saverio Bianchi, poi canonizzato, accettò l’incarico e subito si mise all’opera per sistemare questa artistica chiesa che con la soppressione della Compagnia di Gesù era passata al Demanio e adibita a teatro, ad aula magna dell’Università e, per diversi anni, persino abbandonata. A sue spese don Placido riparò il tetto e la cupola, acquistò suppellettili ed arredi sacri, riportò all’antico splendore marmi e bronzi, e fece costruire un organo idoneo per rendere più solenni le funzioni liturgiche.


Don Placido volle porre nelle mani della Madonna e del Bambino la corona del Rosario, e ai piedi della Vergine, sul globo, simbolo del mondo, un gruppo di teste di angeli; a destra e a sinistra due angeli recanti nelle mani un giglio e una stella; e ancora a destra uno specchio e a sinistra una rosa quasi a richiamare le litanie lauretane.


Malgrado tutto, don Placido soleva dire che la chiesa gli sembrava una casa senza padrona e una reggia senza regina. Fece perciò modellare dall’artista napoletano Nicola Ingaldi la Madonnina, come gli era apparsa durante la sua prigionia in Castel Capuano. La statua è di proporzioni ridotte, è parte in creta e parte in legno; le sue vesti sono di lino ingessato e inargentato; sul manto, sulla veste e sopravveste sono dipinti fiori, stelle e frange dorate. La Madonnina sorregge sul braccio sinistro il Bambino, mentre col piede schiaccia la testa del serpente.

La Madonnina fu collocata su un trono composto di colonne e cornici di legno indorato e ghirlandato di lauro, con in alto, a rilievo, le persone della Santissima Trinità. Vi si accede con due rampe di scale in marmo, sulle quali si adagiano due angeli sostenenti candelabri di bronzo dorato.
A questo punto va menzionata una data storica di grande importanza per la devozione dell’Immacolata a Napoli. Leone XII, a chiusura dell’anno giubilare del 1825, concesse all’Archidiocesi partenopea di celebrarlo ancora per tutto il 1826. Don Placido promosse ed ottenne dal Capitolo Vaticano che la Madonnina fosse incoronata il 30 dicembre 1826 dal card. Luigi Ruffo di Scilla, arcivescovo di Napoli.

La celebrazione fu solennissima e vi presenziò il re Francesco II con la regina Elisabetta. Incessante fu il pellegrinaggio dei fedeli e straordinaria la partecipazione ai Sacramenti. Allora don Placido scrisse al cardinale arcivescovo che la gran Signora gli aveva imposto di riferirgli queste sue parole: «Beati i sacerdoti che celebreranno al mio altare e beati i fedeli che vi faranno la comunione nel sabato seguente alla mia incoronazione» (5).

Da allora sino ad oggi nel cosiddetto Sabato privilegiato accorrono a venerare la Madonnina di don Placido innumerevoli pellegrini a confessarsi e a ricevere l’Eucaristia da Napoli e dalla Campania. All’altare maggiore si celebrano ininterrottamente sante Messe durante la notte e il giorno e vari sacerdoti e diaconi distribuiscono l’Eucaristia. Non manca mai a presenziare l’Eucaristia e a confessare il cardinale arcivescovo (6).


Il Beato Pio IX, pontefice dell’Immacolata, esule a Napoli



Pio IX, non appena ascese al soglio pontificio il 16 giugno 1846, decise di appagare il vivo desiderio dei fedeli di vedere finalmente definita come dogma la Concezione Immacolata di Maria.

Intanto, instauratasi la repubblica romana, il papa, per poter esercitare liberamente il suo ministero di pastore universale, il 20 settembre 1848 lasciò Roma e con nave passò a Gaeta, dove fu accolto dal re di Napoli Ferdinando II. Qui il 6 dicembre 1848 costituì una commissione di cardinali e di teologi per esaminare a fondo la questione della definibilità del privilegio mariano e per suggerire come procedere all’atto solenne. Non tutti furono d’accordo sulla opportunità della definizione. [Il Beato] Antonio Rosmini, pur ritenendo ammessa da tutto il popolo di Dio la Concezione Immacolata della Madre del Redentore, consigliava di non definirla subito e proponeva di interpellare i vescovi mediante un’enciclica.
Perciò il papa, il 2 febbraio 1849, trasmise ai vescovi l’enciclica Ubi primum per conoscerne il parere. La risposta fu plebiscitaria: su 665 risposte, 570 furono entusiasticamente favorevoli, qualche altra incerta sull’opportunità della definizione e 6 soltanto contrarie.
L’episcopato del Regno di Napoli aveva già avviato studi e petizioni in ordine alla proclamazione dogmatica dell’Immacolata. Il 27 novembre 1849 Ferdinando II inviava a Pio IX la petizione di 40 vescovi, esprimendo anche il suo vivo desiderio di vedere sempre crescere la devozione verso l’Immacolata nei suoi Stati (7). Il 2 dicembre ne inviava altre 16.

Il 25 dicembre del 1849 le petizioni provenienti dalle regioni meridionali al di qua del Faro, cioè dalla Calabria all’Abruzzo, erano 336, e in seguito, sempre all’epoca dell’esilio di Pio IX, superavano le 600. Nel settembre del 1849 la Conferenza plenaria dell’episcopato meridionale inviò una petizione collettiva firmata da tutti i 26 presuli partecipanti e pubblicava una lettera pastorale collettiva tendente a ottenere la proclamazione.

Pio IX, che il 2 settembre 1849 si era trasferito nella Reggia di Portici, profittando della sua permanenza in Campania (durata dal 20 settembre 1848 al 6 aprile 1850), visitò chiese e istituti religiosi, trovando ovunque affetto, gratitudine e attesa della definizione dogmatica.

Nei Diari dei cerimonieri della cattedrale di Napoli (8) troviamo un’eco di tali pellegrinaggi e visite. Così al 9 settembre 1849 si nota:

 «Pio IX al Gesù Vecchio… celebra la Messa. Sale la scala che mena al trono della Madonna e vi recita le litanie. Indi chiede carta, calamaio e penna e poi scrive: "Pio IX dichiara di mettersi sotto la protezione di Maria Immacolata". Il foglio è gelosamente custodito dal rettore della Chiesa don Placido Baccher. Bacia la reliquia del sangue di S. Luigi Gonzaga, entra nella camera del rettore ed infine, da un balcone, imparte la benedizione alla folla dal grande cortile del Salvatore» (9).

Il 27 settembre 1849 Pio IX visitava il Gesù Nuovo, venerava l’Immacolata e le spoglie di S. Francesco De Geronimo, s’intratteneva con la comunità dei gesuiti in sacrestia, con altre 300 persone nell’oratorio delle dame, con molti membri delle varie Congregazioni mariane nelle loro rispettive sale (10).

In quel periodo il P.Carlo Maria Curci propose al papa la pubblicazione di una rivista a difesa della dottrina della Chiesa nei vari rami del sapere e della vita sociale. Pio IX fece sua l’idea e quasi l’impose al generale Jan Philip Roothan (1775-1853). Questi era titubante perché temeva che i gesuiti si sarebbero dovuti immischiare in questioni anche politiche, ma venne incontro alla proposta caldeggiata dal papa. Nacque così, il 5 aprile 1850, presso il Gesù Nuovo La Civiltà Cattolica, che fu stampata nel cortile di S.Sebastiano. Nel settembre successivo si fu costretti a trasferire a Roma la rivista per difficoltà sorte con la censura borbonica (11 ).

L'Obelisco dell'Immacolata inPiazza del Gesù Nuovo (Napoli)
[foto Sebastiano Esposito s.j.]
Rientrato in Vaticano, Pio IX fece approntare la bolla definitoria dell’Immacolata Concezione attraverso l’iter di 8 redazioni, che fece spostare l’accento da una dimostrazione storico-teologica alla fede attuale e alla Tradizione viva della Chiesa.

L’8 dicembre 1854 Pio IX pronunciò la solenne formula definitoria: «Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina che ritiene che la Santissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio Onnipotente, ed in vista dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di colpa originale, è stata rivelata da Dio e perciò da credersi fermamente ed inviolabilmente da tutti i fedeli» (12).

A ricordo di tale evento il papa fece elevare a Roma in Piazza di Spagna la colossale colonna, ritrovata nel 1777 in Campo Marzio. Nell’artistico monumento, secondo il disegno ideato dall’architetto Poletti e approvato da Pio IX, la colonna di marmo cipollino (dal diametro di mt 3,45) poggia su due piedistalli ottagonali sovrapposti. Quello inferiore sui quattro lati opposti offre altrettanti piedistalli, sui quali sono sedute le statue di Mosè, Isaia, Davide ed Ezechiele. Negli altri lati dell’ottagono, alternandosi con i precedenti, sono collocati bassorilievi riguardanti episodi della vita di Maria Santissima. Sui quattro lati maggiori del secondo basamento ottagonale sono fissi in bronzo gli stemmi di Pio IX e l’iscrizione riguardante la definizione del dogma mariano.
Gli altri quattro lati minori servono a formare fondo alle statue sopra menzionate. Su questo secondo basamento, all’altezza di mt 8,25, sorge la colonna, alta (compresi la base e il capitello) mt 14,27 e per un terzo del fusto ornata di lauro, in modo da collegare la parte inferiore a quella superiore senza togliere la vista della superficie. Il capitello di un vago composito allude con le sigle iniziali alla Vergine Immacolata, coi gigli alla sua purezza e con l’ulivo alla sua implorazione della pace. Su questo capitello, mediante un secondo piedistallo alto mt 2,67, sorgono i simboli degli evangelisti che sorreggono il mondo, su cui s’eleva la statua della Vergine Immacolata scolpita in bronzo da Giuseppe Obisi, alta mt 4. Il viso di Maria è rivolto al cielo per ringraziare la Santissima Trinità del privilegio che le è stato concesso ed è stato solennemente proclamato dal pontefice, e per implorare per tutti pace sulla terra (13).

Le analogie tra il monumento mariano di Roma e quello della Piazza del Gesù Nuovo di Napoli sono evidenti per cui non è da escludersi che l’idea a Pio IX sia stata ispirata dall’obelisco di Napoli da lui più volte ammirato nel suo soggiorno in Campania (14).

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Note


3. Gennaro Luisi, Il venerabile don Placido Baccher apostolo dell’Immacolata, Edizione Basilica del Gesù Vecchio, Napoli 1978, p. 15.

4. Ivi.
5.Ivi,p. 26.
6. Si ricordano ancora le parole pronunciate nel 1968 dal card. Corrado Ursi che sintetizzano bene il ruolo di Maria nella nostra vita: «Figli miei, ricordiamo sempre che l’Immacolata è connessa con la Pasqua della Chiesa. In Maria troviamo la realizzazione più bella di unione e comunione con la Santissima Trinità, per cui dobbiamo invocare l’aiuto della sua mediazione universale per ottenere quella santità necessaria ai membri della Chiesa e così poter conseguire la salvezza nella Pasqua del Cristo glorificato». Ivi, p. 26.
7. G. Russo, Documenti napoletani per la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione, in Asprenas 10 (1963) 59-92.
8. Questi Diari si trovano nell’Archivio storico della diocesi di Napoli e sono editi da: Franco Strazzullo, Diari dei cerimonieri della cattedrale di Napoli – Una fonte per la storia napoletana, Tipografia Agar, Napoli 1961.
9. Ivi, p. 181.
10. Ivi, p. 182.
11. Cf. M. Volpe S.I., I Gesuiti nel Napoletano, II, Napoli 1918, pp. 183-202; P. Pirri S.I., Giovanni Roothan, XX Generale della Compagnia di Gesù, Tipografia Macioce, Isola del Liri 1930, pp. 463-469; P. Curci, Memorie della Civiltà Cattolica, Primo Quadriennio 1850-1853, Roma 1954, pp. V-XLI.
12. Bolla Ineffabilis Deus, in Enchiridion delle Encicliche, 2, EDB, Bologna 1936, n. 761.
13. Cf. La Civiltà Cattolica, S.II, vol. 10 (1855) 400-401.
14. Il progetto approvato per l’obelisco dell’Immacolata nella Piazza del Gesù Nuovo fu quello di Giuseppe Genoino e l’esecuzione fu diretta dall’ingegnere Giuseppe Fiore e dal gesuita Filippo Amato. I lavori procedettero così spediti che già nel 1742 si commissionarono molte delle statue, provvisoriamente eseguite in stucco. Tra il 1752 e il 1753 Francesco Pagano e Matteo Bottigliero realizzarono le sculture in marmo, oltre ai vari elementi decorativi: al primo livello quattro coppie di puttini con gli emblemi dell’Immacolata; al secondo livello quattro bassorilievi con gli eventi mariani della Nascita, Assunzione, Purificazione e Concezione della Vergine; sul ballatoio quattro statue dei santi gesuiti Ignazio, Francesco Saverio, Francesco Borgia, Francesco Regis; al terzo piano altri quattro puttini; al terzo livello due medaglioni raffiguranti S.Stanislao Kostka e S.Luigi Gonzaga. Francesco Pagano nel 1758 fuse in bronzo dorato la statua dell’Immacolata, che presumibilmente solo nel 1758 fu issata sulla cima. Cf. Angela Schiattarella – Filippo Jappelli S.I., Gesù Nuovo (edizione con note), Edizioni Eidos Sas, Castellammare di Stabia 1997, pp. 105-108.


<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>


Beato Mariano Arciero, Apostolo dell'Eucaristia


Pensieri del Beato Mariano Arciero
sacerdote di Contursi (Salerno) 1707-1788, di spiccata devozione 
verso la Madonna che chiamava “Mamma bella”.

“Il peccato mortale è un vero danno, sommo male, eterno male, fuor di cui propriamente non vi è altro male, perché ogni altro male è un tratto del Divino Amore”.

“Si piange il corpo senza speranza di risuscitarlo; non si piange l’anima che col pianto risuscita…”

“DIO niente perde se mi danno, niente avanza se mi salvo, e fa quanto fa perché mi salvi. Ed io faccio quanto per dannarmi. O sommo necessario, da me sconosciuto, come non fosse mio”.

"Per rimediare alla rovina dell’anima, tutto si può se si vuole, con le lacrime di vera penitenza. Con queste certamente si risuscita (l’anima)”.



Sacri Cuori di Gesù e di Maria, proteggeteci!

Il rapporto del cristiano con la ricchezza. La logica del dono. Usare bene le ricchezze. Scelte coraggiose.


La logica del dono

Il rapporto del cristiano con la ricchezza all'Angelus di questa mattina


Un invito a usare i propri beni in modo evangelico. È venuto, stamattina, da Benedetto XVI, in occasione della recita dell’Angelus, da piazza san Pietro. Dopo la preghiera mariana ha anche ricordato la beatificazione, ieri a Praga, di 14 frati minori, uccisi all’interno del loro convento il 15 febbraio 1611 in odio alla fede.


La logica del dono. “Il Vangelo di questa domenica ha come tema principale quello della ricchezza – ha spiegato il Papa -. Gesù insegna che per un ricco è molto difficile entrare nel Regno di Dio, ma non impossibile; infatti, Dio può conquistare il cuore di una persona che possiede molti beni e spingerla alla solidarietà e alla condivisione con chi è bisognoso, con i poveri, ad entrare cioè nella logica del dono”. In questo modo essa “si pone sulla via di Gesù Cristo, il quale – come scrive l’apostolo Paolo – ‘da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà’”. Come spesso avviene nei Vangeli, ha affermato il Pontefice, “tutto prende spunto da un incontro: quello di Gesù con un tale che ‘possedeva molti beni’. Costui era una persona che fin dalla sua giovinezza osservava fedelmente tutti i comandamenti della Legge di Dio, ma non aveva ancora trovato la vera felicità; e per questo domanda a Gesù come fare per ‘avere in eredità la vita eterna’”. Da una parte “egli è attratto, come tutti, dalla pienezza della vita; dall’altra, essendo abituato a contare sulle proprie ricchezze, pensa che anche la vita eterna si possa in qualche modo ‘acquistare’, magari osservando un comandamento speciale”. Gesù “coglie il desiderio profondo che c’è in quella persona, e – annota l’evangelista – fissa su di lui uno sguardo pieno d’amore: lo sguardo di Dio”. Ma Gesù capisce anche “qual è il punto debole di quell’uomo: è proprio il suo attaccamento ai suoi molti beni; e perciò gli propone di dare tutto ai poveri, così che il suo tesoro – e quindi il suo cuore – non sia più sulla terra, ma in cielo, e aggiunge: ‘Vieni! Seguimi!’”. Quel tale, però, ha precisato il Santo Padre, “invece di accogliere con gioia l’invito di Gesù, se ne va via rattristato, perché non riesce a distaccarsi dalle sue ricchezze, che non potranno mai dargli la felicità e la vita eterna”. 


Usare bene le ricchezze. “È a questo punto – ha chiarito Benedetto XVI - che Gesù dà ai discepoli – e anche a noi oggi – il suo insegnamento: ‘Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio’. A queste parole, i discepoli rimasero sconcertati; e ancora di più dopo che Gesù ebbe aggiunto: ‘E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio’. Ma, vedendoli attoniti, disse: ‘Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio’”. Il Papa ha riportato, quindi, il commento di San Clemente di Alessandria a questo passo del Vangelo: “La parabola insegni ai ricchi che non devono trascurare la loro salvezza come se fossero già condannati, né devono buttare a mare la ricchezza né condannarla come insidiosa e ostile alla vita, ma devono imparare in quale modo usare la ricchezza e procurarsi la vita”. “La storia della Chiesa – ha chiarito il Pontefice - è piena di esempi di persone ricche, che hanno usato i propri beni in modo evangelico, raggiungendo anche la santità. Pensiamo solo a san Francesco, a santa Elisabetta d’Ungheria o a san Carlo Borromeo”. I primi beati dell’Anno della Fede. Dopo l’Angelus Benedetto XVI ha ricordato che “ieri, a Praga, sono stati proclamati beati Federico Bachstein e tredici confratelli dell’Ordine dei Frati Minori. Essi furono uccisi nel 1611 a causa della loro fede. Sono i primi beati dell’Anno della Fede, e sono martiri: ci ricordano che credere in Cristo significa essere disposti anche a soffrire con Lui e per Lui”. 


Scelte coraggiose. Nei saluti in varie lingue, in francese, il Papa ha dichiarato: “In questo inizio dell’Anno della Fede, il Vangelo di oggi ci invita ad abbandonare tutto per seguire Gesù. Non dobbiamo avere paura di vivere e proclamare la nostra fede in Dio. Ancora oggi, vivere per Dio ci costringe a fare delle scelte per andare avanti. Sono scelte a volte difficili. Ma noi sappiamo che Dio è con noi e ci aiuta a fare il bene, perché la sua grazia ci precede sempre”. Poi il Pontefice, salutando i pellegrini polacchi, ricordando che “oggi in Polonia, e anche nelle parrocchie polacche nel mondo, celebrate ‘la Giornata del Papa’ con il motto: ‘Giovanni Paolo II – Papa della Famiglia’”, ha ringraziato “per questo segno di unità con la Santa Sede, per le vostre preghiere e per il sostegno dei giovani borsisti della Fondazione ‘Opera del Nuovo Millennio’, che prepara questa Giornata”. 


In cammino con i nostri contemporanei. L’Osservatore Romano, in data di oggi, riporta con grande evidenza in prima pagina le parole del Papa al pranzo di venerdì con i padri sinodali. Benedetto XVI aveva alla sua destra il patriarca Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli, e, dall’altra parte, l’arcivescovo anglicano Rowan Williams. “Per me questa comunione – aveva osservato il Papa - è un segno che siamo in cammino verso l’unità e che nel cuore andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà ad andare avanti anche esteriormente. Questa gioia, mi sembra, ci dia forza anche nel mandato dell’evangelizzazione”. Così aveva concluso il Papa: “nel Sinodo siamo insieme con i nostri contemporanei in cammino. Preghiamo il Signore perché ci illumini, ci accenda il cuore affinché diventi veggente, ci illumini la mente; e preghiamo affinché, nella cena, nella comunione eucaristica, possiamo realmente essere aperti, vederlo e così accendere anche il mondo e dare la sua luce a questo nostro mondo”. 


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Cuore immacolato di Maria, prega per noi adesso

e nell'ora della nostra morte.



Ecco, il nostro re camminare avanti a noi; "egli combatterà per noi" (2Esd 4,20)




<<In verità la vita di un santo monaco è la croce; ma la croce è guida al paradiso. Abbiamo cominciato; non ci è lecito tornare indietro, né lasciare ciò che abbiamo intrapreso. Via, o fratelli, procediamo insieme: Gesù sarà con noi.

Abbiamo preso questa croce per amore di Gesù; per amore di Gesù perseveriamo nella croce. Colui che ci guida e ci precede sarà il nostro aiuto. Ecco, il nostro re camminare avanti a noi; "egli combatterà per noi" (2Esd 4,20). 

Seguiamolo con animo virile; che nessuno abbia paura, né si lasci atterrire; che noi siamo pronti a morire coraggiosamente nella lotta; che non abbiamo a gravare il nostro buon nome con una delittuosa fuga (1Mac 9,10) dinanzi alla croce.>> (Im.Chr. l. 3, c. 56)




"Doce me, Domine, terrena despicere, præsentia
fastidire, æterna quærere, cœlestia sapere, honores fugere,
scandala sufferre, omnem spem in te ponere, extra te nihil
cupere, et super omnia Te ardenter  amare". (Ibid. c. 43)

*

O Sacerdos, quid est tu?
Non es a te, quia de nihilo,
Non es ad te, quia mediator ad Deum,
Non es tibi, quia sponsus ecclesiæ.
Non es tui, quia servus omnium,
Non es tu, quia Dei minister,
Quid es ergo? nihil et omnia,
O Sacerdos.



[O Priest, what are you?
You are not from yourself, for you are from nothing;
you are not to yourself, because you a mediator to God;
you are not for yourself, for you are spouse of the Church;
you are not of yourself, for you are a servant of all;
you are not yourself, for you are a minister of God;
what therefore are you? Nothing and everything,
O Priest.]
***

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (P.L.Scupoli)
CAPITOLO XXII

Le cose medesime ci servono per regolare i nostri sensi, passando alla meditazione del Verbo incarnato nei misteri della sua vita e della sua passione

Sopra ti ho mostrato come dalle cose sensibili noi possiamo elevare la mente alla contemplazione della divinità. Ora apprendi un modo di trarre spunto dalle stesse per meditare sul Verbo incarnato, considerando i sacratissimi misteri della sua vita e della sua passione.

Tutte le cose dell’universo possono servire a questo scopo, se consideri in esse, come sopra dicevo, il sommo Dio come sola prima causa che ha dato loro tutto quell’essere, quella bellezza e quella superiorità che hanno; e da questo passa poi a considerare quanto grande e immensa sia la sua bontà: pur essendo unico principio e Signore di tutto il creato, ha voluto discendere a tanta bassezza da farsi uomo, patire e morire per l’uomo, permettendo che gli stessi uomini si armassero contro di lui per crocifiggerlo.

Molte cose poi particolarmente ci portano davanti agli occhi della mente questi santi misteri, come armi, funi, flagelli, colonne, spine, canne, chiodi, martelli e altre che furono strumenti della sua passione.

Le abitazioni povere ci ricorderanno la stalla e il presepio del Signore. Quando piove ci verrà in mente quella sanguinosa divina pioggia che nell’orto, stillando dal suo sacratissimo corpo, irrigò la terra; le pietre che mireremo ci rappresenteranno quelle che si spezzarono nel momento della sua morte; la terra ci raffigurerà quel movimento che fece allora e il sole quelle tenebre che l’oscurarono (cfr. Mt 27,51; Mc 15,38; Lc 23,44); e vedendo le acque, ci ricorderemo di quella che uscì dal suo sacratissimo costato (cfr. Gv 19,34). Il che dico allo stesso modo di altre cose simili.

Gustando il vino o altra bevanda, ricordati dell’aceto e del fiele del tuo Signore (cfr. Gv 19,29). Se la soavità degli odori ti alletta, ricorri con la mente al fetore dei corpi morti da lui sentito sul monte Calvario; quando ti vesti, ricordati che il Verbo eterno si vestì di carne umana per vestire te della sua divinità; quando ti spogli, pensa al tuo Cristo denudato per essere flagellato e confitto in croce per te; udendo rumori e grida di gente, ricordati di quelle abominevoli voci: Crucifige, crucifige; tolle, tolle (cfr. Gv 19,6), che rimbombarono nelle sue divine orecchie. 

Ogni volta che batte l’orologio, ti sovvenga di quell’affannoso battito di cuore che al tuo Gesù piacque sentire, quando nell’orto cominciò a temere della sua vicina passione e morte; ovvero ti paia di sentire quelle dure percosse con le quali fu inchiodato sulla croce.

In qualunque occasione in cui ti si presentino mestizia e dolori tuoi o altrui, pensa che sono come niente rispetto alle indicibili angosce che trafissero e afflissero il corpo e l’anima del tuo Signore.

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<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>