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lunedì 18 gennaio 2016

ELEGANTISSIMO SERMONE di SANT'ANTONIO , DOTTORE DELLA CHIESA

ELEGANTISSIMO SERMONE 
di SANT'ANTONIO , DOTTORE DELLA CHIESA
DOMENICA I
DOPO L’OTTAVA DELL’EPIFANIA
Temi del sermone

– Vangelo della prima domenica dopo l’ottava dell’Epifania: “Si celebrarono delle nozze in Cana di Galilea”.
– Anzitutto sermone ai predicatori: “Una piccola gemma di rubino”.
– Le quattro virtù: castità, umiltà, povertà e obbedienza: “C’era lì la Madre di Gesù”.
– Contro gli amatori del piacere mondano: “Non guardare il vino quando rosseggia”.
– Le sei parole della beata Vergine Maria: “Sua Madre gli disse”.
– Le sei idrie e il loro simbolismo: “C’erano lì sei idrie”; la pupilla e le palpebre e il loro significato.
– Il convito e il gaudio della vita terna: “Giuseppe, lavatosi il volto dalle lacrime”.

esordio - sermone ai predicatori

1.In quel tempo: In Cana di Galilea si celebrarono delle nozze” (Gv 2,1).
Si legge nell’Ecclesiastico: “Una piccola gemma di rubino incastonata nell’oro è un concerto di musici in un convito rallegrato dal vino” (Eccli 32,7). Vedremo il significato di queste cinque entità: la piccola gemma, il rubino, l’oro, la musica e il convito.
La piccola gemma (in lat. gemmula) e il rubino (in lat. carbunculus) sono (sempre in latino) due diminutivi, nei quali è simboleggiata una duplice umiltà: nella piccola gemma è raffigurata la limpidezza della (propria) riputazione, e nel rubino, che è color fuoco, è simboleggiata la carità. Sono queste le due virtù che ornano l’oro, cioè la sapienza del predicatore; se egli è dotato di queste due virtù, la sua predicazione sarà come un “concerto di musici”. Quando la sapienza esteriore si accorda con la delicatezza della coscienza, e l’eloquen­za è coerente con la condotta di vita, allora si ha il concerto musicale. Quando la lingua non fa rimpiangere la vita, allora abbiamo una gradevole sinfonia.
Giustamente la predicazione è chiamata musica. Dicono che la natura della musica è tale che se l’ascolta uno che è triste, diventa ancora più triste, mentre se l’ascolta uno che è lieto, lo rende ancora più lieto. Così è anche la predicazione: quando dichiara che il ricco, vestito di por­pora, è sepolto nell’inferno (cf. Lc 16,19.22); quando afferma che, come per il cammello è impossibile passare per la cruna di un ago, così è impossibile per il ricco entrare nel regno dei cieli (cf. Mt 19,24; Mc 10,25); quando insegna che ogni fasto e gloria terrena saranno un nulla, allora quei perfidi avari e usurai, che sono sempre nella tristezza perché accumulano con fatica, custo­discono con paura e perdono con grande dispiacere, diverranno ancora più tristi. “Un discorso inopportuno è sgradito, come la musica in tempo di lutto” (Eccli 22,6); “Come aceto su una piaga viva sono i canti allegri per un cuore afflitto” (Pro 25,20). La parola che morde il vizio strazia l’udito dei cattivi; al contrario, rende ancora più lieti i giusti, che vivono nel gaudio dello spirito e nella letizia di una coscienza tranquilla.La coscienza tranquilla è come un perenne convito (Pro 15,15), e, aggiunge l’Ecclesia­stico: “come un convito rallegrato dal vino”.
Il convito rallegrato dal vino e la festa di nozze fatta a Cana di Galilea sono la stessa cosa. Dice appunto il vangelo di oggi: “Ci fu una festa di nozze in Cana di Galilea”.

2. Nell’introito della messa di oggi si canta: “Tutta la terra ti adori, o Dio” (Sal 65,1). Si legge un brano dell’epistola ai Romani: “Abbiamo doni diversi” (Rm 12,6). Di questo brano prenderemo in considerazione solo sei parole che paragoneremo, per quanto è possibile, alle sei idrie di cui parla il brano evangelico.


le nozze celebrate in cana di galilea

3. “C’era una festa di nozze”. Consideriamo quale significato morale abbiano le nozze, Cana di Galilea, la Madre di Gesù, i discepoli di Gesù, il vino che manca, le sei idrie, l’ac­qua cambiata in vino e l’architriclino, cioè il maestro di tavola.
(Si è già parlato ampiamente delle nozze nel commento al vangelo: “Il Regno dei cieli è simile ad un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio” (Mt 22,2) nel sermone della domenica XX dopo Pentecoste, prima parte. Perciò) qui tratteremo brevemente dell’unione dello sposo e della sposa, cioè dello Spirito Santo e dell’anima del penitente.
Cana s’interpreta “zelo”, Galilea “emigrazione”. Nello zelo, vale a dire nell’amore dell’emigrazione (del cambiamento), avvengono le nozze tra lo Spirito Santo e l’anima del penitente. E con questo concorda ciò che leggiamo nel libro di Rut, la quale dalla regione di Moab emigrò a Betlemme; in seguito Booz la prese in moglie (cf. Rt 1,6 ; 4,13).
Rut s’interpreta “che vede”, “che s’affretta”, o anche “che viene meno”. Essa raffigura l’anima del penitente che considera i suoi peccati con la contrizione del cuore, si affretta a lavarli alla fonte della confessione, e recede dalla sua prima malizia con la pratica delle opere di ripa­razione e di penitenza. Dice infatti il salmo: “Vengono meno la mia carne e il mio cuore” (Sal 72,26), cioè la carnalità e la superbia del mio cuore, e così dalla regione di Moab, cioè dalla schiavitù del peccato, emigra con lo zelo dell’amore a Betlemme, che significa “casa del pane”
L’amore di Dio è per l’anima la casa del pane, nella quale è protetta e ristorata, e allora, come dice il beato Bernardo, per la via dell’amore penetra, irrompe lo Spirito Santo.
Lo Spirito Santo è raffigurato in Booz, nome che s’in­terpreta “in lui è potenza”, della quale dice Luca: “Resta­te in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’al­to” (Lc 24,49). L’anima che lo Spirito Santo prende come sua sposa, egli la riveste di potenza dall’alto. Dice Isaia: “Egli dall’alto dà forza allo stanco, e ai deboli moltiplica il vigore e la potenza” (Is 40,29). Dà la forza di risor­gere, dà la potenza perché non soccombano nella tentazione, dà il vigore perché perseverino sino alla fine. Nell’unione tra lo Spirito Santo e l’anima si celebrano le nozze: viene addobbata la camera della coscienza, disposto in bell’ordine il letto nuziale dei buoni pensieri, con mano abile e delicata si promuove l’accordo dei cinque sensi, e così tutt’all’intorno si esulta e si giubila al ricordo dell’infinita dolcezza di Dio (cf. Sal 144,7) e realmente si sperimenta la bontà del Signore.
Questo è l’epitalamio (il canto nuziale) che si canta oggi nell’introi­to della messa: Tutta la terra ti adori, o Dio, e suoni il salterio; canti un salmo al tuo nome, o Altissimo! (cf. Sal 65,4). Tutta la terra comprende l’oriente, il meridione, l’occidente e il settentrione. 
L’oriente raffigura gli incipienti; il meridione raffi­gura i proficienti, che sono ardenti come il sole a mezzo­giorno; l’occidente raffigura i perfetti, che sono del tutto morti al mondo; invece il settentrione raffigu­ra i bravi sposi e i buoni cristiani, i quali ancora in possesso delle sostanze di questo mondo, sopportano pazien­temente i numerosi affanni delle tribolazioni e del dolore. Tutta questa terra adori il Signore con la contrizione del cuore, suoni il salterio della gioiosa confessione, canti il salmo dell’opera penitenziale, nelle nozze che si celebrano in Cana di Galilea.

4. “C’era anche la Madre di Gesù. Alle nozze fu invitato Gesù con i suoi discepoli” (Gv 2,1-2). O nozze fortunate, onorate di tali e tanti privilegi, gloriose per tanti favori! - In Maria, che fu vergine e madre, è personificata la castità e la fecondità; - in Gesù, che fu umile e che disse: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29); che fu povero – “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli il loro nido, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20) –, è personificata l’umiltà e la povertà; - nei suoi discepoli è rappresentata l’obbedienza e la pazienza. Ecco l’onore e l’ornamento delle nozze, ecco i loro privilegi e la loro dignità.
Lo Spirito Santo, sposo dell’anima, mentre la unisce a se stesso, la rende casta e feconda: casta per la purezza della mente, feconda della prole delle opere buone. È det­to nel Cantico dei Cantici: “Tutte hanno parti gemellari”, sono cioè ricche di opere della duplice carità, oppure della vita attiva e della contemplativa, “e nessuna di loro è sterile” (Ct 4,2). Al contrario è detto: “Maledetta la sterile in Israele” (cf. Es 23,26; Dt 7,14). E anche Geremia: “Il Signore ha pigiato il torchio alla vergine”, cioè alla sterile, “figlia di Sion” (Lam 1,15). Perciò l’anima, per sfuggire a questa sentenza di maledizione, dev’essere casta e feconda, per poter dire di sé: “Io sono la madre del bell’amo­re”, ecco la fecondità, “del timore, della scienza e della santa speran­za” (Eccli 24,24), ecco la castità.
Parimenti lo Spirito Santo rende l’anima umile e povera. Perciò per bocca di Isaia dice: “Verso chi volgerò il mio sguardo, se non all’umile, ossia al povero e al contrito di spirito?” (Is 66,2). Infatti su Gesù, al fiume Giordano, discese lo Spirito in forma di colomba (cf. Mt 3,16), volatile mansueto e che ha come canto il gemito.
È molto difficile praticare l’umiltà in mezzo alle ricchezze, e raramente o mai la purezza in mezzo ai piace­ri e ai divertimenti. Se trovi un ricco umile e un gaudente che vive casto, rèputali due astri del firmamento; ma temo che quelli che hanno questa apparenza, siano piuttosto dipinti con il colore dell’ipocrisia. 
Chi vuole essere veramente umile, si liberi delle ricchezze, dal cui contatto l’umiltà è contaminata e nasce la superbia. Per questo il Signore si lamenta per bocca di Osea: “Io li ho istruiti e ho dato vigore alle loro brac­cia; ed essi hanno tramato il male contro di me. Sono ritornati per essere liberati dal giogo, e sono diventati come un arco fasullo, allentato” (Os 7,15-16). Il Signore li istruisce come figli con doni gratuiti, e rafforza le loro braccia, sostiene cioè la loro energia e il loro vigore, con doni naturali e temporali, affinché difendano Israele come un baluardo e resistano valorosamente in battaglia (cf. Ez 13,5). Ma poiché dalla pinguedine procede l’iniquità, “sono ritornati ad essere figli di Beliar”, cioè senza giogo (cf. Gdc 19,22), vale a dire pieni di superbia. “Hanno abbandonato il Signore – dice Isaia –, hanno bestemmiato il Santo d’Israele, si sono voltati indietro” (Is 1,4), e così sono diventati come un arco fasullo (allentato). Mentre avrebbero dovuto lanciare frecce di vita santa e di sana dottrina e colpire l’avversario, lanciano invece frecce di vita viziosa e di bestemmia contro il Signore.
Ancora, lo Spirito Santo rende l’anima obbediente e paziente. Leggiamo nel libro della Sapienza che lo Spirito Santo è benigno, umano, stabile (cf. Sap 7,22-23). In chi è obbediente e paziente ci sono queste tre qualità: è benigno, cioè bene infiammato (lat. bene ignitus) ad obbedire al superiore; è umano nel sopportare e nel soffrire insieme con il prossimo; è stabile, cioè costante nei suoi propositi. Non sarai mai veramente obbediente se non sarai pazien­te. Infatti è vedova (carente) l’obbedienza che non è rafforzata e sostenuta dalla pazienza.

5. “Venne a mancare il vino” (Gv 2,3). “Fiele di draghi è il loro vino” (Dt 32,33): sono i piaceri del mondo e della carne. Dice in proposito Salomone: “Non guardare il vino quando rosseggia, quando il suo colore scintilla nella coppa di vetro: scende giù pian piano ma finirà con il morderti come un serpente, e come una vipera ti inietterà il suo veleno” (Pro 23,31-32).
Osserva che il vetro è un materiale di poco valore, un materiale fragile, ma bello e splendente. Il vetro raffigu­ra il corpo dell’uomo, il quale in quanto materia è di poco valore, perché originato da fetide secrezioni; è fragile nella sua sostanza, perché “come un fiore germoglia ed è reciso” (Gb 14,2), “e i suoi anni sono considerati come tela di ragno” (Sal 89,9). E Isaia: “Hanno tessuto tele di ragno che non serviranno loro come vesti” (Is 59,5-6). È anche ammirato per lo splendore della sua bellezza fisica, ma di essa è detto: “Fallace è la grazia e vana è la bellezza” (Pro 31,30). Perciò non guardare a questo vetro quando in esso rosseggia il vino, cioè l’allegria del mondo; quando ti sorride la prosperità del mondo e il piacere della carne, non dilettarti in esso: si insinua infatti inavvertitamen­te, ma alla fine morde come un serpente. Questo è ciò che dice anche il Signore: “Guai a voi, che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete” (Lc 6,25). L’allegria del mondo è il vivaio dell’eterno pianto.
E come una vipera ti inietterà il suo veleno”. Qui vino, di là veleno. E verso la fine di questo brano evange­lico leggiamo: “Ogni uomo”, che sa di humus (terra), “serve dapprima il vino buono”, il piacere del mondo, “e quando tutti sono brilli serve quello più scadente” (Gv 2,10), berrà cioè nell’inferno il veleno di morte che la vipera, cioè il diavolo, farà bere alle anime dei dannati. Ahimè, quanto amara sarà quella bevanda per coloro che la bevono” (Is 24,9), coloro che prima si erano ubriacati al calice d’oro della grande meretrice, con la quale hanno fornicato i re della terra (cf. Ap 17,1-4). Perciò vi supplico, venga pure a mancare alle nozze della sposa e dello sposo il vino dell’allegria del mondo. Quando verrà a mancare, si avvererà ciò che dice il vange­lo: “La Madre di Gesù disse al Figlio: Non hanno più vino” (Gv 2,3).
Fa’ bene attenzione che Maria, come si desume dai vangeli di Luca e di Giovanni, parlò solo sei volte, disse soltanto sei espressioni. La prima, “Come avverrà questo?” (Lc 1,34); la seconda, “Ecco la serva del Signore” (Lc 1,38); la terza, “L’anima mia ma­gnifica il Signore” (Lc 1,46); la quarta, “Figlio, perché ci hai fatto questo?” (Lc 2,48); la quinta, “Non hanno più vino” (Gv 2,3); la sesta, “Fate tutto quello che vi dirà” (Gv 2,5)
Queste sei espressioni sono come i sei gradini d’avorio del trono di Salomone, i sei petali del giglio, i sei bracci del candelabro
-Nella prima frase è indicato il fermo proposito di mantenere inviolata la sua verginità; -nella seconda il suo sublime esempio di obbedienza e di umiltà; -nella terza la sua esultanza per i privilegi che le furono concessi; -nella quarta la sua sollecitudine per il Figlio; -nella quinta la sua partecipazione alle altrui necessità; -nella sesta la sua certezza nella potenza del Figlio.

6. “Che ho (più) da fare con te, o donna? Non è ancor giunta la mia ora” (Gv 2,4). Dio, Figlio di Dio, ricevette dalla beata Vergine la natura umana, nell’unità della persona. Il Padre pose la divinità, la madre l’umanità; il Padre la maestà, la Madre l’infermità. Dalla divinità ebbe il potere di mutare l’acqua in vino, di ridare la vista ai ciechi, di risuscitare i morti; dall’infermità della sua umanità ebbe invece la possibilità di aver fame, di aver sete, di essere legato, coperto di sputi e crocifisso.
Dice dunque: “Che ho da fare con te, o donna?”. In lat. Quid mihi et tibi mulier?”. Fa’ attenzione alle due parole mihi e tibi. Nel mihi, a me, è indicata la divinità; nel tibi, a te, è indicata l’umanità. Come avesse detto alla Madre sua: Tu chiedi che adesso venga operato un miracolo, il che a me è possibile, da parte della divinità; a te invece, cioè all’umanità che da te ho ricevuto, devo la capacità di subire la passione.
E quindi soggiunge: “Non è ancor giunta la mia ora”, cioè l’ora della passione, nella quale sarò come schiacciato nel torchio, e le mie vesti saranno come quelle di coloro che pigiano nel tino (cf. Is 63,2-3). Non è ancor giunta l’ora in cui Giuda alzerà il suo calcagno sopra il grappolo, dal quale zampillerà il vino che inebria “i cuori di coloro che cercano il Signore” (Sal 104,3). Non è ancor giunta l’ora in cui l’uva dell’uma­nità che da te ho ricevuto, verrà schiacciata con la pressa della croce, affinché ne scorra il vino che allieta il cuore dell’uomo (cf. Sal 103,15). Quando giungerà quell’ora, che cosa avverrà a me e a te, o donna?

7. “Vi erano là sei idrie (giare) di pietra, preparate per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre metrete” (Gv 2,6). In Cana di Galilea, cioè nell’anima che nello zelo dell’amore è passata dai vizi alle virtù, ci sono sei idrie, vale a dire la contrizione, la confessione, l’orazione, il digiuno, l’elemosina e il perdono delle offese, dato di tutto cuore. Sono queste che purificano i giudei, cioè i penitenti da tutti i loro peccati.
*La contrizione purifica; dice infatti il Signore per bocca di Ezechiele: “Verserò su di voi acqua pura e sarete purificati da tutte le vostre sozzure” (Ez 36,25); e Geremia: “Lava dalla malvagità il tuo cuore, Gerusalemme, se vuoi essere salva; fino a quando albergheranno in te pensieri d’iniquità?” (Ger 4,14). La contrizione lava il cuore dalla malvagità e lo purifica dai pensieri iniqui; e infatti dice il Levitico: “Laveranno con acqua le interiora e i piedi” delle vittime (Lv 1,13). Nelle interiora sono indicati i pensieri impuri, nei piedi i desideri carnali: tutto si lava nell’acqua della contrizione. “Mi laverai, e diventerò più bianco della neve” (Sal 50,9).
*Parimenti la confessione purifica, e quindi è detto: Tutto viene lavato nella confessione (san Bernardo). Dice Geremia: “Effondi come acqua il tuo cuore al cospetto del Signore” (Lam 2,19). Dice “come acqua”, non come vino, o latte, o miele. Quando versi il vino, resta nel vaso il suo odore; quando versi il latte ne resta il colore; quando versi il miele ne resta il sapore; ma quando versi l’acqua, nessuna traccia resta nel vaso di tutto questo.
Nell’odore del vino è simboleggiata la fantasia del peccato, nel colore del latte l’ammirazione della vana bellezza, e nel sapore del miele il ricordo del peccato confessato, unito alla compiacenza della mente. - Sono questi gli avanzi maledetti dei quali parla il salmo: “Sono sazi di figli”, cioè di opere cattive, o di carne suina, vale a dire dell’immondezza del peccato, “e hanno lasciato i loro avanzi ai loro piccoli” (Sal 16,14), cioè agli impulsi istintivi. Tu invece quando effondi il tuo cuore nella confessione, effondilo come acqua, affinché tutte le sozzure e ogni loro traccia venga totalmente cancellata, e così sarai purificato dal peccato. - 
*E anche l’orazione purifica. - Dice il Signore: “Verranno piangendo e io li ricondurrò in preghiera e li guiderò ai torrenti di acque” (Ger 31,9). - E l’Ecclesiastico continua: “Non disprezzerà la preghiera dell’orfano”, cioè dell’umile penitente che dice: “Mio padre e mia madre”, cioè il mondo e la concupiscenza della carne, “mi hanno abbandonato; invece il Signore mi ha accolto” (Sal 26,10); “non disprezzerà la vedova”, cioè l’ani­ma dello stesso penitente, ormai distaccata dal diavolo e dal vizio, “quando si sfoga nel lamento. Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo grido non si alza contro chi gliele fa versare? E dalle sue guance salgono fino al cielo e il Signore che esaudisce, certamente non si diletterà di esse. Chi adora Dio sarà accolto con benevolenza e la sua supplica giungerà fino alle nubi. La preghiera di chi si umilia penetrerà le nubi” (Eccli 35,17-21).
*E anche il digiuno purifica. - Dice il profeta Gioele: “Ritornate a me con tutto il vostro cuore, nel digiuno, nel pianto e nel lamento” (Gl 2,12); - e Matteo: “Tu invece quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto” (Mt 6,17). - Mosè dopo il digiuno di quaranta giorni meritò di ricevere dal Signore la legge perfetta (cf. Es 34,28; Dt 9,9), legge che converte e purifica l’anima (cf. Sal 18,8); - ed Elia meritò di sentire il soffio di una leggera brezza (cf. 3Re 19,12). La saliva dell’uomo digiuno uccide i serpenti. Grande potenza del digiuno, che guarisce la peste dell’anima e smaschera le insidie dell’eterno nemico.
*E anche l’elemosina purifica: “Date in elemosina... e tutto per voi sarà mondo” (Lc 11,41). Come l’acqua spegne il fuoco, così l’elemosina cancella il peccato (cf. Eccli 3,33). E dice ancora l’Ecclesiastico: “L’elemosina dell’uo­mo è come il sacco ch’egli ha con sé. [Dio] terrà conto della generosità dell’uomo come della pupilla del suo occhio” (Eccli 17,18). L’elemosina è raffigurata nel sacco, perché ciò che in essa viene riposto sarà poi ritrovato nella vita eterna. - È ciò che dice anche l’Ecclesiaste: “Getta il tuo pane sulle acque che passano”, dàllo cioè ai poveri che passano di luogo in luogo e di porta in porta, “e dopo lungo tempo”, cioè il giorno del giudizio, “lo ritroverai” (Eccle 11,1), ne avrai cioè la ricompensa: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25,35). Sei pellegrino, o uomo! Porta questo sacco lungo la strada del tuo pellegrinaggio perché, quando alla sera giungerai al tuo asilo, tu possa trovarvi il pane con cui rifocillarti.

8.L’elemosina custodisce anche la grazia come la pupilla dell’occhio. Per conservare l’acutezza della vista c’è una pellicola molto leggera, che sta sopra la pupilla; e per la protezione degli occhi sono state create le palpebre; e ogni animale chiude gli occhi per non lasciar entrare in esse dei corpi estranei, e questo non volontariamente ma per stimolo naturale; e l’uomo, avendo questa pellicola molto più sottile di tutti gli altri animali, chiude gli occhi con grande frequenza. Invece l’uccello, quando chiude gli occhi, li chiude soltanto con la palpebra inferiore. - Come la palpebra preserva la pupilla coprendola, così anche l’elemosina preserva la grazia, che è come la pupilla dell’anima, per mezzo della quale l’anima vede. È ciò che dice Tobia: “L’elemosina libera da ogni peccato e dalla morte, e non permette che le anime cadano nelle tenebre” (Tb 4,11).
Come l’uomo chiude molto spesso gli occhi per istinto naturale, così deve anche fare spesso l’elemosina per conservare la grazia. La natura stessa gli insegna e lo spinge a far questo. Dice Giobbe: “Visitando la tua specie, non peccherai” (Gb 5,24). La tua specie, o uomo, è l’altro uomo: come per inclinazione naturale provvedi a te stesso, così devi provvedere anche all’altro: “Ama il prossimo tuo, come te stesso” (Mt 19,19). E l’uomo deve far questo perché la pellicola del suo occhio è più sottile di quella degli altri animali. La sottigliezza della pellicola simboleggia la compassione della mente che è, e dev’essere maggiore che in qualsiasi altro vivente. L’animale dà la prova di essere “bruto”, cioè feroce, proprio perché manca di compassione.
Dice Mosè: “Il pellegrino, l’orfano e la vedova che stanno dentro le tue porte, mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore, Dio tuo, ti benedica in tutte le opere delle tue mani” (Dt 14,29); e ancora: “Ti comando di aprire le mani al tuo fratello povero e bisognoso, che abita con te nella stessa terra” (Dt 15,11).
*Parimenti il perdono dell’offesa purifica l’anima dai peccati. Dice il Signore: “Se perdonerete agli uomini le loro colpe, anche il Padre vostro celeste perdonerà a voi i vostri delitti” (Mt 6,14). Chi fa questo è come l’uccello che chiude gli occhi con le palpebre inferiori. L’uccello è chiamato in lat. avis, da a privativo, senza, e vis che suona quasi come via. Infatti, quando vola non segue una via. Così chi perdona a colui che lo offende non ha nel suo cuore la via del rancore e dell’odio; e chiude gli occhi con le palpebre inferiori quando di tutto cuore perdona l’offesa ricevuta. - E questa è l’elemo­sina spiri­tuale, senza la quale ogni opera buona resta priva della ricompensa della vita eterna.
Dice l’Ecclesiastico: “Perdona al tuo prossimo che ti ha fatto del male, e quando implorerai, anche i tuoi peccati saranno perdonati. Se l’uomo cova l’ira verso un altro uomo, come potrà chiedere a Dio la guarigione? Non ha pietà verso il suo simile, ed osa pregare per i suoi peccati? Egli, che è soltanto carne, conserva rancore, e chiede che Dio gli sia propizio. Chi perdonerà i suoi peccati?” (Eccli 28,2-5). “Ricordati dell’alleanza dell’Altissimo” – che dice: “Perdonate e sarà perdonato a voi –, e non far caso dell’ignoranza del prossimo. Astieniti dalle risse e diminuirai i tuoi peccati” (Eccli 28,9-10). Non fa caso dell’ignoranza del prossimo colui che attribuisce appunto all’igno­ranza, e non alla malizia, l’offesa ricevuta: così finge di non accorgersene e quindi non la conserva nel cuore.

9. Ecco dunque le sei idrie di pietra, ricavate da quella pietra “che i costruttori avevano scartato” (Sal 117,22), staccata “dal monte non per mano d’uomo” (Dn 2,34). E come sono piene? “Fino all’orlo” (Gv 2,7), dell’acqua della salvezza. “Contenevano ciascuna due o tre metrete”. La metreta era una misura [di circa 40 litri]. Nelle idrie che ne contenevano due è simboleggiato l’amore di Dio e del prossimo, in quelle che ne contenvano tre la professione di fede nella Santa Trinità: questo è necessario a tutte le suddette idrie.
L’Apostolo nomina, con altre parole, queste sei idrie nell’epistola di oggi (cf. Rm 12,11-14). Siate – dice – *ferventi nello spirito: ecco la contri­zione, che è la prima idria. Fa’ attenzione alla parola “ferventi”. Come le mosche non osano entrare in una pentola che ferve, cioè che bolle, così in un cuore veramente contrito non possono entrare “le mosche morte che guastano il profumo dell’unguento” (Eccle 10,1). *Lieti nella speranza”: ecco la confessione (la seconda idria). Nella confessione il peccatore deve allietarsi nella speranza del perdono, e nondimeno dolersi di aver commesso la colpa. *Per­se­veranti nella preghiera, ecco la terza idria. *Partecipi delle privazioni dei santi, (la quarta idria): ecco il digiuno. Nelle privazioni, cioè nel digiuno e nell’astinenza i santi furono afflitti, tribolati: di essi non era degno il mondo (cf. Eb 11,37-38); “nelle fatiche – dice l’Apostolo –, nelle veglie e nei digiuni” (2Cor 6,5). Però queste parole possono anche essere applicate all’elemosina materiale. E infatti soggiunge: *“Praticate l’ospitalità”, che è la quinta idria. *“Benedite coloro che vi perseguitano; benedite e non maledite”, ecco la sesta idria, cioè il perdono delle offese.

10. “Dice loro Gesù: Adesso attingete e portate al maestro di tavola (architriclino). Quando l’architriclino gustò l’acqua divenuta vino”, ecc. (Gv 2,8-9). Troviamo su questo una concordanza nella Genesi, quando Giuseppe, lavatosi il viso dalle lacrime, dice: Servite il pranzo. Dopo che il pranzo fu servito, a parte per Giuseppe, a parte per i suoi fratelli e a parte anche per gli Egiziani, i fratelli di Giuseppe bevvero insieme con lui fino ad essere un po’ brilli (cf. Gn 43,31-34).
“Giuseppe, figlio crescente e bello d’aspetto” (Gn 49,22) è figura di Gesù Cristo. Cristo fu come il grano di senape, di profondissima umiltà, ma poi crebbe e diventò un grande albero, tra i cui rami dimorano gli uccelli del cielo (cf. Mt 13,31-32), cioè coloro che contemplano le cose celesti. Egli è “il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 44,3), “e in lui gli angeli desiderano fissare lo sguardo” (1Pt 1,12). Egli laverà il volto dalle lacrime, come dice Isaia: “Il Signore Dio asciugherà le lacrime da ogni volto” (Is 25,8), quando muterà l’acqua delle sei idrie nel vino del gaudio celeste; 
l’acqua della contrizione sarà allora convertita nel vino della letizia del cuore. Il Signore infatti promette: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegre­rà, e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22). Allora il cuore che ora “è contrito e umiliato” (Sal 50,19) sarà giocondo e allietato dal vino della gioia. Dice Salomone: “Il cuore che ha conosciuto l’amarezza, al suo gaudio non farà partecipare un estraneo” (Pro 14,10).
Parimenti, l’acqua di una confessione bagnata di lacrime sarà mutata nel vino della lode divina. Dice Isaia: “Ritor­neranno e verranno in Sion cantando lodi; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e scompariranno tristezza e pianto” (Is 35,10), in cui si trovavano prima, nella confessione del loro peccato.
Similmente l’acqua della preghiera bagnata di lacrime sarà cambiata nel gaudio della contemplazione della Trinità e dell’Unità. Sempre Isaia: “Canteranno lodi insieme, perché vedranno con i loro occhi il Signore che fa ritornare Sion” (Is 52,8).
E anche il digiuno sarà mutato nella letizia di un’eccellente vendemmia. Isaia: “Su questo monte il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli un convito di grasse vivande”, ecc. (Is 25,6).
(Vedi il sermone della domenica II dopo Pentecoste, prima parte: “Un uomo diede una grande cena”).
Ugualmente la duplice elemosina, quella materiale, e il perdono dell’offesa ricevuta, che è l’elemosina spirituale, sarà mutata nella gioia della duplice stola, cioè nella glorificazione dell’anima e del corpo. Isaia: “Possederanno il doppio nella loro terra, godranno di una letizia perenne” (Is 61,7).

11. Dunque “Giuseppe, lavatosi il volto dalle lacrime, disse: Servite il pranzo (Gn 43,31)”.  È ciò che dice il Signore: “Io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno” (Lc 22,29-30). Però a parte per Giuseppe, a parte per i suoi fratelli, e a parte anche per gli Egiziani. 
È ciò che dice Matteo: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua maestà con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti; ed egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri. E porrà le pecore alla sua destra e invece i capri alla sua sinistra” (Mt 25,31-33).
Bevvero insieme con lui fino ad essere un po’ brilli”. Ecco adesso l’architriclino, presso il quale saremo inebriati dell’abbondanza della sua casa (cf. Sal 35,9)Archi, cioè principe, tri, tre, clino, letto: quindi principe di tre ordini di letti: quei letti sui quali gli antichi usavano adagiarsi per mangiare. I tre ordini di letti simboleggiano le tre categorie di fedeli della chiesa: i coniugati, i casti e i vergini, il cui principe è il buon Gesù: egli “li farà accomodare a mensa e quindi passerà a servirli” (Lc 12,37).
Fratelli carissimi, imploriamo umilmente questo principe perché conceda anche a noi di celebrare le nozze in Cana di Galilea, di riempire d’acqua le sei idrie, per poter bere con lui il vino del gaudio eterno nelle nozze della celeste Gerusalemme.
Si degni di concedercelo lui che è benedetto, degno di lode e glorioso per i secoli eterni. E ogni anima, sposa dello Spirito Santo, risponda: 
Amen. Alleluia.

martedì 22 dicembre 2015

Tre eventi






1. In quel tempo: “Un editto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutto il mondo” (Lc 2,1). In questo vangelo si devono considerare tre eventi:
- il censimento del mondo,
- la nascita del Salvatore,
- l’annuncio dell’angelo ai pastori.
Con l’aiuto di Dio presenteremo brevemente ognuno dei tre avvenimenti.

I. il censimento del mondo

2. Censimento del mondo: “Uscì un editto”. Osserva che in questa prima parte si dice, in senso morale, che chi vuole veramente pentirsi dei peccati commessi, deve prima di tutto “fare il censimento”, “descrivere” come dice il vangelo, con contrizione tutta la sua vita, e poi accostarsi alla confessione.
“Uscì un editto di Cesare Augusto”. Cesare, che s’interpreta “signore del potere”, e Augusto, “in solenne atteggiamento”, rappresenta Dio onnipotente, Signore di tutto il creato: “La mia mano ha fatto tutto questo” (Is 66,2); e “sotto di lui si piegano coloro che reggono il mondo” (Gb 9,13), cioè il peso del mondo, quindi i prelati della chiesa e principi del mondo. Dio sta in atteggiamento solenne perché, come dice Daniele: “Mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano” (Dn 7,10).
Si dice che uno sta (in piedi) quando è pronto ad andare in aiuto ai suoi; invece che siede, quando esercita il giudizio: in entrambe le positure è nobile, solenne, maestoso.
Questo nostro “imperatore” emette ogni giorno un editto per mezzo dei suoi banditori, cioè i predicatori della chiesa, perché venga censito tutto il mondo. Il mondo è detto anche orbe, dal lat. orbis, cerchio, appunto per la sua rotondità: infatti l’oceano, circondandolo da ogni parte, ne lambisce tutt’intorno i confini. La vita dell’uomo è un orbe, cioè come un cerchio: infatti nella Genesi gli viene detto: Sei terra e alla terra ritornerai (cf. Gn 3,19).
L’uomo deve censire, deve descrivere tutto questo cerchio, ripensando nell’amarez­za della sua anima a ciò che ha commesso nella fanciullezza, nell’adolescenza, nella giovinezza e anche nella vecchiaia. E osserva che dice “tutto” il cerchio, per indicare che deve descrivere i peccati commessi con il cuore, con la bocca, con le azioni, e i peccati di omissione, e le loro circostanze: e questo è indicato dal fatto che non dice “scrivere” ma “descrivere”, che significa scrivere i vari modi e i vari luoghi del peccato.
“Questo primo censimento fu fatto dal governatore della Siria Quirino” (Lc 2,2).
Quirino, che s’interpreta “erede”, è figura del peniten­te, erede di Dio e coerede di Cristo (cf. Rm 8,17), il quale dice: “La mia eredità è splendida per me” (Sal 15,6). Il penitente fa il primo censimento dei suoi peccati quando, per prima cosa, cerca diligentemente, con profonda contrizione, ciò che ha commesso e ciò che ha omesso. Egli è il governatore della Siria, nome che significa “altezza”, cioè l’altezza della superbia e dell’arro­ganza. Dice Giobbe del diavolo: “Egli vede tutte le cose alte, ed è il re di tutti i figli della superbia” (Gb 41,25). Quale potere è più degno di lode, di quello che si esercita su se stessi e nell’umiliare la propria superbia?
 LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

domenica 13 dicembre 2015

GODETE SEMPRE NEL SIGNORE: Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte.




Sermone  di sant'Antonio
sull’epistola della santa messa nella III Domenica di Avvento

2. “Godete sempre nel Signore” (Fil 4,4). Non possono fare ciò coloro dei quali parla Isaia: “La testa è tutta malata e tutto il cuore langue; dalla pianta dei piedi fino alla sommità del capo non c’è in lui parte sana, ma ferite e lividi, e piaghe aperte che non sono state né fasciate, né medicate, né curate con l’olio” (Is 1,5-6). Nella testa sono indicati i prelati, nel cuore i veri religiosi, e nella pianta dei piedi i laici.
Ahimè, tutta la testa è malata! Geremia: “Dai profeti di Gerusalemme è uscita la corruzione su tutta la terra” (Ger 23,15), e anche Daniele: “L’iniquità è uscita da Babilonia per opera degli anziani e dei giudici, che solo in apparen­za sono guide del popolo” (Dn 13,5). E del male di questi capi, dice ancora Isaia: “Tutte le teste”, cioè i prelati, “di essa”, della chiesa, “saranno calve, e tutte le barbe saranno rasate” (Is 15,2).
Dopo una lunga malattia, o per la vecchiaia, di solito cadono i capelli e nella testa subentra la calvizie. Ahimè, le nostre teste, cioè i nostri prelati, con la lunga malattia dei loro vizi e il loro invecchiamento nel male hanno perduto la chioma, cioè la grazia dello Spirito Santo; e ogni barba, cioè ogni vigore e forza nel compiere le opere buone, è stata in essi rasata. E così sono diven­tati deboli ed effeminati. Infatti il Signore, per bocca di Isaia, dice di essi: “ Darò loro come capi dei ragazzi, e uomini effeminati li domineranno” (Is 3,4). In verità, dunque, la testa è tutta malata!
“E tutto il cuore langue”. Osserva che il cuore ha tre funzioni: è la sede della sapienza; in esso fu scritta la legge naturale, che dice: non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te; è l’organo dal quale provengono lo sdegno, il ribrezzo e l’avversione. Così nei veri religiosi c’è la sapienza della contemplazione, c’è la legge dell’amore, e c’è il ribrezzo e l’avversione per il peccato.
Questo cuore, posto al centro tra la testa e i piedi, cioè tra i chierici e i laici, soffre e piange per le “infermità” di entrambi. “Dalla pianta dei piedi fino alla sommità del capo”, cioè dai più umili fino ai più elevati, dai laici fino ai chierici, da quelli che fanno vita attiva fino a quelli dediti alla vita contemplativa, non c’è in tutto il corpo alcuna parte sana. Come possono dunque godere nel Signore?
“Ferite e lividi, e piaghe aperte”. Nella ferita è indicata la lussuria; nei lividi l’ava­ri­zia, dalla quale proviene anche l’invidia; e nelle piaghe aperte la super­bia. Dei primi due vizi si parla nella Genesi, dove Lamech si rivolge alle sue mogli e dice loro: “Io ho ucciso un uomo per una mia ferita, e un ragazzo per un mio livido”(Gn 4,23). Lamech, che per primo introdusse sulla terra la sozzura della bigamia, raffigura il lussurioso e l’avaro; egli uccise un uomo, cioè la ragione, per la ferita della lussuria, e un ragazzo, cioè l’inizio della buona volontà, nel rancore dell’avarizia.
Non è solo per l’avarizia e la brama del denaro, ma anche per la voglia di emergere in questo mondo, che nascono rancori, discordie e calunnie. Il prestigio di una dignità passeggera è come un osso gettato tra i cani, i quali si avventano su di esso con rabbia e furore, mordendosi tra loro. La stessa cosa fanno coloro di cui parla Isaia: “Cani avidissimi che non sanno mai saziarsi, sono i pastori incapaci di comprendere” (Is 56,11).
Della gonfiezza della superbia dice Giobbe: “Perché mai il tuo cuore ti solleva in alto e i tuoi occhi sono come allucinati, accarezzando grandi progetti? Perché il tuo spirito si erge orgoglioso contro Dio, sì da far uscire dalla tua bocca tali discorsi?” (Gb 15,12-13). Anche il Signore, per bocca di Isaia, dice la stessa cosa a Sennacherib: “Conosco la tua abitazione, so quando entri e quando esci; conosco la furia che hai contro di me. Poiché ti sei infuriato contro di me, la tua superbia è giunta ai miei orecchi” (Is 37,28-29).
Ecco dunque: la ferita della lussuria non è avvolta nelle fasce della continenza; il livore dell’avarizia non è curato con la medicina dell’elemosina; la piaga aperta della superbia non è medicata con l’olio dell’umiltà inte­riore, dalla quale procede la luce della coscienza, che produce il gaudio nello Spirito Santo: e chi è privo di questa luce non è in grado di godere nel Signore.
Sono invece in grado di godere nel Signore coloro che si ritraggono dall’iniquità e ritorneranno con Giacobbe6, dei quali Isaia dice: Ritorne­ranno e verranno a Sion cantando inni di lode; una felicità perenne splenderà sul loro capo, gaudio e letizia li accom­pagneranno e fuggiranno sofferenze e gemiti (cf. Is 35,10). “Godete, dunque, sempre nel Signore”.

3. “Ve lo ripeto: godete!” (Fil 4,4). Osserva che dice due volte “godete”, e questo a motivo del duplice beneficio del primo e del secondo avvento. Dobbiamo godere perché nel primo avvento ci ha portato le ricchezze e la gloria. E di nuovo dobbiamo godere perché nel secondo avvento ci darà “lunghi giorni”.......


LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!



domenica 13 settembre 2015

IL PIU’ GRANDE SACRAMENTO! SI’ IL PIU’ GRANDE!

IL PIU’ GRANDE SACRAMENTO! 
SI’ IL PIU’ GRANDE!

Istituendo il Sacramento della Riconciliazione o Confessione, Gesù Cristo ha manifestato chiaramente il modo in cui vuole perdonare i peccati degli uomini. Quali sono le condizioni affinché ci beneficiamo della sua incommensurabile misericordia? Senza di Esso non potremmo ricevere l'Eucaristia! Eppure molti rifuggono da questo secondo battesimo.

Don Carlos Adriano Santos dos Reis, EP

Era un giovedì soleggiato e umido nella città di San Paolo, quasi alla fine dell'anno. La Cattedrale della Sede aprì le sue porte ai fedeli molto presto, come al solito. Alle nove alcuni sacerdoti cominciarono a camminare per i corridoi laterali del grande edificio in direzione dei confessionali, davanti ai quali vari fedeli attendevano il loro arrivo.
– Perché queste file dentro la Chiesa? – chiese a uno di loro un curioso osservatore.
– Stiamo aspettando per confessarci.
– Come sarebbe?
– Questa fila è per la Confessione, affinché il sacerdote ci ascolti. Lei è cattolico?
– Sì… Tempo fa ho sentito parlare di questo. Solamente nella mia Prima Comunione. Come funziona?
– La Confessione è affinché Dio perdoni i nostri peccati. Ci inginocchiamo lì nel confessionale, vicino al sacerdote, e lui perdona in nome di Dio.
– Ah! E… Dio perdona proprio?
– Sì, chiaro, purché ci sia pentimento.
– Ho fatto tante cose sbagliate nella vita…
Seguì un silenzio prolungato, mentre il visitatore cambiava a poco a poco espressione e si astraeva dalle cose intorno a lui. Era entrato nella Cattedrale mosso da mera curiosità e si sentiva ora invitato a cambiar vita. Era tanto tempo che non si confessava, e non si ricordava più come si faceva. Trenta, quarant'anni?
– Anch'io posso mettermi in fila? Qualsiasi persona avrebbe percepito il dramma interiore di questo sconosciuto, che Dio chiamava alla conversione.
– Sì, entri qui prima di me. Un passo decisivo era stato fatto nella vita di quell'uomo verso la salvezza della sua anima. Si mise vicino agli altri, in attesa del suo turno, ma non riusciva più a parlare, poiché le lacrime correvano a torrenti sul suo volto.


"Forse che io ho piacere della morte del malvagio?"

Casi come questo non sono rari ai nostri giorni. Quanti e quanti uomini hanno fatto bene la loro Prima Comunione, ma dopo, purtroppo, portati dalle preoccupazioni della vita, si sono lasciati trascinare dalle attrazioni del mondo e si sono dimenticati completamente dei loro doveri verso Dio!
Continuano a essere cattolici, sì, ma cattolici la cui fede è diventata come una brace soffocata sotto la coltre di cenere spessa dei peccati. E conservano appena nella memoria alcuni frammenti delle loro prime lezioni di Catechismo, apprese durante l'infanzia.
Dio, però, non li dimentica. A un certo momento Gesù Cristo bussa paternamente alla porta delle loro anime con un affettuoso invito a fare una buona Confessione.
Che cosa terribile sarebbe che una persona, a causa dei suoi gravi peccati, fosse condannata alle prigioni eterne, dove i reprobi sono castigati con l'allontanamento da Dio, per il quale siamo stati creati, e soffrono terribili tormenti, senza un solo istante di sollievo!
Egli, però, sommamente misericordioso, non desidera per il peccatore questo destino: "Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore Dio – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?" (Ez 18, 23). Dio vuole perdonarci, e per questo stabilisce questa condizione: la confessione dei nostri peccati a uno dei suoi ministri.


Dio perdona attraverso il sacerdote

La Confessione è uno dei più palpabili segni della bontà di Dio. Gravemente offeso da chi pecca mortalmente, Egli ha il potere di fulminare con una sentenza di eterna condanna il peccatore, e facendolo, praticherebbe soltanto un atto di giustizia. Ci ha lasciato, tuttavia, questo Sacramento per mezzo del quale perdona al penitente tutti i peccati, per quanto gravi e numerosi essi siano.
È molto noto l'episodio della prima apparizione del Divino Maestro ai suoi discepoli, dopo la Resurrezione. Per paura di essere, anche loro, perseguitati e condannati, erano riuniti in una sala con le porte chiuse, quando all'improvviso apparve loro Gesù. Alitando su di loro, il nostro Redentore disse: "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non li perdonerete, non saranno perdonati" (Gv 20, 22- 23). Era istituito il Sacramento della Confessione!
Così, dai primordi della Chiesa i fedeli hanno cercato gli Apostoli per confessare loro le proprie colpe, e ricevere da loro l'assoluzione. Questo potere di perdonare, dato da Cristo alla sua Chiesa, è conferito ai presbiteri attraverso il Sacramento dell'Ordine. Ed è così che è passato di generazione in generazione attraverso i secoli fino ai nostri giorni.



Requisiti per una buona Confessione

È chiaro che Dio potrebbe perdonare i peccati in un altro modo, ma ha espresso chiaramente la sua volontà di farlo attraverso un sacerdote nel Sacramento della Riconciliazione: "In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche in Cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in Cielo" (Mt 18, 18), disse Gesù agli Apostoli.



Como beneficiarci di questo Sacramento?

Dio sommamente misericordioso è anche giusto. Egli vuole che, perché utilizziamo bene questo meraviglioso mezzo, ci sottoponiamo ad alcune condizioni senza le quali la Confessione non solo non ci servirà a nulla, ma diventerebbe nociva per l'anima.

Quali sono questi requisiti? Sintetizzando, la Chiesa ci insegna che cinque cose sono imprescindibili per una buona Confessione

fare un buon esame di coscienza, 

aver dolore dei peccati, 

fare il proposito di non commetterli più, 

confessarli 

e compiere la penitenza imposta dal confessore.

Ma in che cosa consiste precisamente ognuna di queste richieste?

L'esame di coscienza 

Il fedele desideroso di ottenere il perdono delle sue colpe, deve prima ascoltare la sua anima, per sapere quali peccati ancora non sono stati confessati. Non è necessario riportare alla memoria i peccati di tutta la vita, ma solo quelli commessi dall'ultima Confessione ben fatta.1

Un episodio narrato nelle Sacre Scritture dimostra bene l'importanza dell'esame di coscienza: il Re Davide aveva commesso due peccati: adulterio e omicidio. Inviato da Dio, il profeta Natan soffiò per mezzo di un severo ammonimento la mancanza dell'esame di coscienza da parte del re. E solo così costui cadde in sé e fu capace di pentirsi e chiedere perdono (cfr. II Sm 12, 1-13).

In questo episodio dell'Antico Testamento, possiamo verificare un altro buon motivo per l'esame di coscienza: ci aiuta a provare dolore per i nostri peccati, cioè, ci aiuta a pentirci. Se ci soffermiamo a conoscere seriamente ognuna delle offese fatte a Dio, ci disponiamo a sentire per loro una vera tristezza e, così, a ottenere il perdono.

L'esame di coscienza deve esser fatto con cura, senza precipitazione. È importante ricordare i peccati commessi con pensieri, parole, atti e omissioni, percorrendo, per questo fine, i Comandamenti della legge di Dio e della Chiesa, la lista dei peccati capitali e gli obblighi del nostro stesso stato. L'esame deve comprendere anche i cattivi costumi da esser corretti, e le occasioni di peccato da essere evitate.

Ma la Chiesa, da buona madre, ci raccomanda anche di evitare di lasciarci condurre dall'esagerata preoccupazione di aver dimenticato una colpa o circostanza. Una volta, Santa Margherita Alacoque, inquieta e turbata, stava facendo con eccessiva cura il suo esame di coscienza per la Confessione. Le apparve allora Nostro Signore stesso e la tranquillizzò: "Perché ti tormenti? Fa' quello che puoi. Io amo i cuori contriti che si accusano sinceramente dei peccati che conoscono, con la volontà di non dispiacerMi più".

Qualunque persona, sia per mancanza di memoria, sia per rilassamento, può sentir difficoltà a ricordare i peccati ancora non confessati. Senza l'aiuto di Dio, nessuno riesce a far nulla bene. Per questo, è molto appropriato cominciare l'esame di coscienza con una preghiera, chiedendoGli, attraverso la Madonna o il nostro Angelo Custode, di illuminare la nostra mente perché riconosciamo tutte le nostre colpe e ci dia la forza per detestarle.

Quante volte ho peccato? Ecco un'importante domanda da farsi. Un soldato ricevette in combattimento tre gravi ferite. Portato all'ospedale, mostrò al medico solo due delle sue ferite; nascose la terza, mosso da uno stupido sentimento di vergogna. A nulla valse che il medico avesse guarito le due lesioni che conosceva, poiché il soldato morì in seguito dell'aggravamento della terza.
Ora, anche la Confessione è un atto di guarigione. Se vogliamo stringere nuovamente la nostra amicizia con Dio, e avere l'anima guarita dalle piaghe dei nostri peccati, dobbiamo chiedere perdono di tutti quanti loro indistintamente. Per questo, trattandosi di peccati mortali – colpe in materia grave, con piena conoscenza e pieno consenso della volontà –, si deve investigare tutto; ossia, nella misura delle possibilità, quante volte è stato praticato un determinato atto peccaminoso, e in che circostanze

È rilevante riferire nella Confessione le situazioni che aggravano il peccato. Per esempio, rubare a un povero è più grave che a un ricco. Trattare male i genitori, cui dobbiamo la vita, è più grave che fare lo stesso a un compagno di scuola. Le circostanze aggravanti devono esser indicate perché il sacerdote, per perdonare, deve conoscere con chiarezza i peccati. Come un medico, quando visita un paziente, ha bisogno prima di valutare bene il quadro della malattia, per poter applicare la medicina più adeguata. Se omettiamo queste informazioni per malizia, la Confessione sarà mal fatta, pertanto, nessun peccato sarà perdonato.


Il dolore dei peccati

La cosa più importante perché il penitente ottenga il perdono di Dio è il pentimentoossia, provare disgusto per la colpa commessa e una volontà ferma di non ricadere più in essa. Naturalmente, non c'è necessità di versare lacrime per il dolore dei peccati, ma è necessario nell'intimo del cuore essere dispiaciuti di aver offeso Dio, più che se ci fosse capitata qualsiasi altra disgrazia.
Senza pentimento, la Confessione non ha nessun valore. Non è possibile ottenere il perdono di Dio senza odiare la colpa commessa, senza la disposizione di non ripeterla mai piùQuest'atteggiamento dell'anima deve estendersi a tutti i peccati mortali, senza eccezione alcuna. E per ottenere il perdono delle nostre colpe nella Confessione, basta un pentimento per paura dei castighi che il peccato comporta – l'attrizione –, sebbene la cosa migliore sia che ci pentiamo per aver offeso Dio – la contrizione.

Il pentimento comprende anche la fiducia nella misericordia divina, poiché, il dolore dei peccati senza questa virtù potrebbe portare alla disperazione.

Il fermo proposito

Essendoci, di fatto, pentimento per i peccati commessi, si produrrà nell'anima il proposito, la ferma volontà, risolutamente determinata, di non ripeterli mai più e di fuggire dalle occasioni prossime, di evitare tutto quello che induce al male: può essere una persona, un oggetto, un luogo o anche una circostanza che mi mette in pericolo di offendere Dio.


L'umile accusa?

Si narra che, un giorno, Sant'Antonino di Firenze si trovava in una chiesa e si accorse della presenza di un demonio molto vicino alla fila della Confessione. Disgustato, l'Arcivescovo si diresse dall'angelo malvagio e gli chiese:
– Che stai facendo tu qui?
– Guarda, pratico qui una buona azione.
– Come è possibile questo?
– Sì, sono venuto a fare una restituzione. Normalmente i cristiani hanno vergogna di peccare e, per questo, prima che essi pratichino una cattiva azione, io cerco di toglierla dal loro spirito. Ma ora che stanno per confessarsi, conviene che io la restituisca affinché davanti al confessore essi omettano le loro colpe...

Una Confessione mal fatta può portare un'anima a condannarsi, ed è questo che il demonio vuole. A volte, può accadere di essere tentati di tacere i nostri peccati al confessore, o di non raccontarli direttamente. Affinché questo non succeda, è interessante ricordare anche come debba essere l'accusa dei peccati nel Sacramento della Confessione.
Primo è necessario, seguendo lo stesso principio dell'esame di coscienza, raccontare al sacerdote tutti i peccati mortali commessi dopo l'ultima Confessione ben fatta. Se uno nasconde un solo peccato grave di proposito nella Confessione, oltre a non ricevere il perdono di nessuno, finisce per commetterne un altro, perché sta offendendo qualcosa di sacro istituito da Cristo stesso. Ossia, è a Gesù stesso che si sta mentendo.
La Confessione deve essere sincera. Il penitente deve accusare al sacerdote i suoi peccati con obiettività, evitando superflue lungaggini, che possono perfino pregiudicare la chiarezza della materia. La mancanza di sincerità quanto alla maniera di accusare i peccati è un'altra tentazione del demonio contro cui è imprescindibile stare in guardia. E anche le scuse possono essere occasione di tentazione: giustificare i peccati, creando attenuanti, non riconoscendosi interamente colpevole delle proprie mancanze o dando la colpa agli altri.

Infine, la penitenza

Alla fine della Confessione, il sacerdote impone la penitenza detta anche soddisfazione. In genere è una preghiera o un'opera buona, che il confessore ordina al penitente come espiazione dei suoi peccati.
Col nostro senso di giustizia, sappiamo che a ogni offesa deve corrispondere una riparazione proporzionale. Il principio si applica anche a Dio: se offeso, anche Lui merita una riparazione. Se l'offesa contro Dio è grave, il peccatore merita l'inferno, poiché la punizione riparatrice deve esser proporzionale all'offesa: in questo caso, eterna. 
Ma la Confessione sacramentale, oltre a perdonare la colpa del penitente, perdona la pena eterna, che è commutata con una pena temporale. Per questo, quando uno si confessa, i suoi peccati sono completamente perdonati, ma il suo debito con Dio ancora non è stato interamente pagato. Per questo il sacerdote impone la penitenza dopo la Confessione: essa ha l'obiettivo di riparare il male commesso contro Dio. Tuttavia, può succedere che sia perdonata la pena temporale anche nella stessa Confessione; quando il penitente ha uno straordinario dolore per i suoi peccati.

È chiaro che Gesù stesso, con le sue sofferenze e la sua morte in Croce, ha soddisfatto la divina giustizia quanto ai nostri peccati, pagando già il nostro debito riguardo a Dio. Per questo nella Confessione è perdonata la nostra colpa e la punizione eterna. Ma Dio esige, con ogni diritto, che anche noi, quando ci è possibile, facciamo qualcosa a soddisfazione dei nostri peccati. E questa piccola soddisfazione è anche pretesa per la comprensione della gravità delle nostre colpe, affinché ci serva da rimedio ai peccati e ci preservi da ricadute.


Dio perdona coloro che si confessano bene

Tutto nella vita deve esser preso sul serio e più ancora le cose relazionate con Dio. Per questo, dobbiamo praticare con molta fedeltà gli insegnamenti della Chiesa riguardo al Sacramento della Confessione, sempre fiduciosi che, attraverso questo, sono perdonati tutti i nostri peccati, siamo aiutati a non ricadere in loro e ci è restituita la pace di coscienza.

Una volta, si presentò a Sant'Antonio da Padova un grande peccatore per confessarsi. Il poveretto era così confuso che quasi non riusciva a parlare. Piangeva e singhiozzava con tanta veemenza che non riusciva a esprimere al Santo nessuna delle sue colpe. Per aiutarlo, il confessore gli suggerì dolcemente che facesse un esame di coscienza scritto:
– Va', scrivi i tuoi peccati e, poi, torna a confessarli.
Il penitente seguì il consiglio. Poi, lesse nel confessionale le sue colpe, proprio come le aveva scritte. Non appena terminò la Confessione, grande miracolo! Il foglio dove il peccatore aveva scritto meticolosamente le sue offese a Dio diventò completamente bianco, poiché tutto quello che era stato scritto era scomparso!

Questo prodigio ci consola molto e ci incoraggia ad approssimarci con rettitudine e fiducia al Sacramento della Penitenza, che è capace di distruggere in noi il peggior male che esiste, il peccato. Nostro Signore istituì questo Sacramento per tutti i membri peccatori della sua Chiesa, dando loro una nuova possibilità di incontrarsi con Dio e di restaurare l'amicizia con Lui.  

 Solamente la Confessione ben fatta perdona di fatto i peccati. Se uno, per malizia o vergogna, non si accusasse di uno o più peccati, la sua Confessione non sarebbe valida.

(Rivista Araldi del Vangelo, Maggio/2014, n. 133, pp. 33 - 37)

AVE MARIA!