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sabato 12 ottobre 2013

SAN PIO V


 SAN PIO V
negli Atti Parlamentari della Repubblica Italiana di appena 10 anni fa 

Atti Parlamentari - Camera dei Deputati - 6 ottobre 2003

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, approfitto del provvedimento riguardante l'assegnazione di risorse finanziarie a favore dell'Istituto «San Pio V», oggi all'esame 
dell'Assemblea, per intervenire a titolo personale in merito alla figura di questo grande Papa santo. 

Si tratta senza dubbio di uno dei più grandi Papi della storia della Chiesa. Un Papa padano, San Pio V, che nacque in Piemonte, a Bosco Marengo, nel 1504, da una nobile famiglia di origine bolognese, la famiglia Ghislieri. A 14 anni entrò nell'ordine domenicano, ordine che brillò nella 
lotta contro le eresie di quel periodo, lo stesso ordine Mendicante di San Pietro da Verona e di San Tommaso D'Aquino. Lui stesso fu un grande inquisitore, Commissario generale del Santo Uffizio e poi Papa per soli sette anni, dal 1566 al 1572. Sette anni drammatici, epici, gloriosi, vissuti coraggiosamente, che rimarranno impressi per 
sempre nella storia della nostra civiltà. 

In questi sette anni di pontificato San Pio V arrestò l'eresia in Germania e in Francia, dove inviò un corpo di armati pontifici a combattere i protestanti, contribuendo alla deposizione della regina anglicana Elisabetta I di Inghilterra. Emanò inoltre il catechismo tridentino, che è alla base di tutti i 
catechismi dell'orbe cattolico. Anni in cui confermò, decretò e rese perenne la Messa in latino in rito romano antico, anni in cui si batté contro l'islam e indisse la crociata contro i turchi, che vennero sconfitti nella più grande battaglia navale della storia a Lepanto il 7 ottobre 1571, consacrando quel 
giorno, da allora in poi, alla Madonna del Rosario alla cui intercessione attribuì la vittoria. 

Senza dubbio, dunque, un grande della storia, un Papa santo, giudicato oggi, da molti, scomodo, cui tutti, però, dobbiamo molto. Il Papa della tradizione, il Papa che combatté per difendere la nostra civiltà. Fu lui, come abbiamo detto, che preservò la liturgia cattolica dall'attacco dell'eresia protestante di Lutero. 

Con la bolla Quo primum tempore del 1570 stabilì una volta per tutte la liturgia della Messa, quella stessa messa che fino a quarant'anni fa veniva celebrata in tutto il mondo cristiano. Mi permetto di citare alcuni passi di questa bolla, per far capire come fosse chiara e decisa la posizione di San Pio V su questo argomento: "La Messa non potrà essere celebrata in altro modo da quello prescritto dal Messale da noi pubblicato, da valere in perpetuo, e decretiamo e dichiariamo che in nessun tempo queste disposizioni potranno venire revocate  o diminuite, ma stabili e sempre valide dovranno rimanere nel loro vigore. Nessuno dunque si permetta in nessun modo con temerario ardimento 
di violare e trasgredire questo nostro documento, che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Pietro e Paolo". 

Sappiamo tutti, invece, cosa é poi accaduto: quarant'anni fa le commissioni post-Concilio Vaticano II decisero di cambiare tutta la liturgia della Messa. 
Il 3 aprile 1969 Paolo VI ruppe con la continuità di duemila anni di tradizione liturgica e promulgò la Costituzione apostolica Missale Romanum. Si trattava di 
un cambiamento radicale, eseguito in spirito ecumenico; si «protestantizzò» la liturgia, si girarono gli altari, ma soprattutto si crearono i presupposti e si aprì la strada per un processo di riforma liturgica che ora permette a sacerdoti sempre più disorientati di celebrare messe con rappresentanti di altre religioni, di celebrare messe con la bandiera della pace sull'altare, di introdurre tamburi, 
chitarre, ballerini nelle chiese, di servire la comunione non più in ginocchio in segno di riverenza ma in piedi o addirittura nelle mani, di fare confessioni comuni, cambiando talvolta il significato stesso della Messa da sacrificio redentivo a banchetto conviviale. 

Gli stessi cardinali Bacci e Ottaviani - allora prefetto del Sant'Uffizio - inviarono una lettera a Paolo  VI, il 5 ottobre 1969, in cui affermavano che la nuova messa rappresenta sia nel suo insieme sia nei particolari un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica di sempre.

Dunque, un Papa (san PIO V) scomodo ai giorni nostri, sicuramente dal punto di vista della liturgia: non piace evidentemente a nessuno ricordare tali sue affermazioni. 
Un Papa ancora più scomodo per la sua battaglia anti-islamica, in difesa della nostra civiltà: se oggi l'Europa non è islamica, molto lo si deve a San Pio V. 

Domani ricorre il quattrocentotrentaduesimo anniversario della battaglia di Lepanto, in cui la flotta degli Stati cristiani voluta da San Pio V sconfisse quella ottomana. Mesi di 
paziente lavoro diplomatico lo portarono alla costituzione della Lega santa, guidata dal giovane Giovanni d'Austria, figlio di Carlo V, cui partecipò in primis, con più della metà delle imbarcazioni - e da veneto lo dico con un certo orgoglio - la Serenissima Repubblica di Venezia, e poi la 
cattolicissima Spagna di Filippo II, lo Stato pontificio, Genova, i Savoia, moltissimi volontari provenienti da tutta la cristianità. 

Per merito di quel Papa, gli Stati cristiani del Mediterraneo si unirono per battere il nemico comune, un nemico sempre più feroce, un nemico sempre più pericoloso, il nemico islamico. 
È chiaro dunque che questo Papa, forse più di tutti, impersona valori che in molti settori della nostra società oggi si vogliono cancellare. L'ideologia illuminista e relativista propria della nostra realtà, impostata su non valori, trema nel dover fare i conti con questo passato. 

La Chiesa stessa, uscita dal Vaticano II, ha paura a confrontarsi con questo Papa e con ciò che ha rappresentato. Lo vogliono dimenticare e, spesso molti, lo dico anche con disagio, addirittura se ne vergognano. 
È dunque doveroso oggi, in questa occasione, ricordare da parte mia ciò che molti vogliono dimenticare. 

Anche questa Chiesa, dicevamo, con il Concilio Vaticano II si è trasformata: una nuova messa, una nuova teologia dei sacramenti, un nuovo catechismo, un nuovo diritto canonico, nuovi concordati, addirittura una nuova lettura della storia, quasi che qualcuno volesse farla diventare una nuova religione. Oggi sembra affermare cose che in passato apparentemente condannava. Pensiamo all'atteggiamento sulla libertà religiosa. Pensiamo alle condanne che vengono 
emesse sul glorioso periodo delle crociate, dimenticando che le stesse crociate vennero indette, predicate e combattute da santi papi come - appunto - San Pio V, dal Beato Urbano II, da santi predicatori come Bernardo Chiaravalle, da santi re, uno su tutti San Luigi, re di Francia. 

Pensiamo a figure di santi stravolte e riviste in chiave modernista, come quella di San Francescodiventato il paladino della teologia della liberazione, il santo dei pacifisti. 
Tutti dimenticano che San Francesco partecipò alla quinta crociata e incontrò anche il sultano Malik al Kamil, non certo per dialogare ma per tentare di convertirlo. Questa è storia. 

In un interessante studio sulla figura di San Francesco, Guido Vignelli illustra le distorsioni della cultura laicista. E non solo. Anche Vittorio Messori, nel libro, Uomini, storia e fede, parla della figura di San Francesco e di come essa sia stata travisata in questi giorni. È interessante leggere 
cosa dice Messori sulla figura di San Francesco: questo San Francesco che esercita un fascino unico su uomini di ogni razza, di ogni fede e di ogni incredulità; ma spesso il loro Francesco non è mai esistito. A lui credono di rifarsi adepti e proseliti di molte ideologie e utopie contemporanee, 
sospette e, magari, dannose sotto le nobili apparenze. È nel suo nome che si parla di uno spirito di Assisi che ha spesso l'aria di uno spirito di pseudoecumenismo da 8 settembre, da tutti a casa.Messori cita una dichiarazione di Franco Cardini, medievalista, che - anch'egli - si ribella al disegno 
che è stato proposto di San Francesco. Dice Cardini che San Francesco non è affatto il personaggio che generalmente ci viene presentato adesso. Non era il precursore dei teologi della liberazione né tantomeno fu l'araldo di un cristianesimo dolciastro, melenso, ecologico e pacifista, del tipo di chi ride sempre, dello scemo del villaggio, di chi parla con gli uccellini e fa amicizia con i lupi. 
Francesco era un'altra cosa. Ecco, questi sono alcuni esempi sui quali, purtroppo, ci dobbiamo confrontare in questo momento. 

Ora, invece, dobbiamo prendere atto che molti sacerdoti non cercano più di convertire come facevano nel passato ma, anzi, si arrendono, attraverso il dialogo ecumenico, di fronte al dilagare delle altre religioni. Dunque, siamo costretti ad assistere, ogni giorno di più, a situazioni che sarebbero state giudicate impossibili, incredibili e inaccettabili fino a pochi anni fa: incontri di preghiera sincretistici; preti che si vergognano di vestirsi da preti; sacerdoti che sfilano nei gay 
pride e che manifestano nelle piazze con i violenti dei centri sociali, che affermano che non serve credere nella Chiesa per salvarsi, che vogliono sposarsi, che vivono il loro sacerdozio come un lavoro e non come una missione. 

La crisi della Chiesa nasce, evidentemente, dal Concilio Vaticano II. Si è arrivati al punto che, in molte chiese, i vescovi negano ai loro fedeli la messa tridentina, che, per altro, è autorizzata dal Vaticano, e allo stesso tempo concedono le loro chiese o i locali delle loro parrocchie ai 
rappresentanti di altre religioni, tra cui agli islamici, magari per festeggiare la fine del Ramadan. La gente, i fedeli stessi sono sempre più confusi: non hanno esempi su cui basarsi né certezze in cui credere e si stanno creando una propria religione, una religione soggettivista. 

Il venerabile Pio XII 
pronunciò queste parole che oggi, forse, sembrano profetiche: verrà un giorno in cui il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio, in cui la Chiesa dubiterà come Pietro ha dubitato; sarà tentata di credere che l'uomo è diventato Dio e che suo figlio non è che un simbolo, una filosofia 
come tante altre. Forse, quel giorno sta per arrivare, purtroppo. Comunque, è certo che i presupposti di quell'avvento nascono, sicuramente, nel Concilio Vaticano II, di cui, evidentemente, non si potrà parlare mai sufficientemente male per i danni che dalla sua 
interpretazione sono derivati, causando  una crisi della Chiesa che sembra inarrestabile. 

Confido in un ripensamento, in un ritorno alla tradizione. È l'unica ancora di salvezza di fronte alle tenebre di questa società moderna, impostata ormai sull'unico valore del dio denaro. San Pio V è l'esempio della tradizione, è l'esempio che molti, nella Chiesa cattolica di oggi, dovrebbero seguire. 
Dobbiamo difendere la nostra identità. Molti non si rendono neanche conto dell'eredità a cui stiamo rinunciando: 2 mila anni di storia che pian piano saranno cancellati. 

Il mondo moderno, le multinazionali e i grandi interessi hanno, evidentemente, bisogno di masse senza personalità e senza identità, da guidare e a cui imporre le proprie regole. E l'identità religiosa che, comunque, ti lega al territorio e alle sue tradizioni diventa un ostacolo. Ed è chiaro che faranno di tutto per abbattere questo ostacolo. Dunque, è indispensabile muoversi, agire e combattere e certo non conformarsi al pensiero unico, contro i nemici della tradizione, della nostra storia, della nostra cultura e della nostra identità. 

Per chi crede in questa battaglia, il santo giusto a cui votarsi è sicuramente San Pio V, il papa di Lepanto. 
Io spero che questo istituto, visto che è intitolato a San Pio V, al papa di Lepanto, porti avanti nella sua azione questi valori che, abbiamo visto, si vogliono dimenticare, si vogliono cancellare. Questi valori sono scomodi, ma comunque rappresentano la nostra storia e noi pensiamo sia importante farli ricordare a tutti. 

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.



venerdì 18 maggio 2012

L'ATTEGGIAMENTO... SCISMATICO DEI SACERDOTI CHE CONDANNANO LA MESSA IN LATINO E GLI INSEGNAMENTI DEL PAPA




Benedetto XVI ribadì che "i seminaristi siano preparati a celebrare la santa Messa in latino e inoltre i semplici fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia" (da Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa). Il latino è senza dubbio la lingua più longeva della liturgia romana: la si utilizza infatti da più di sedici secoli, ossia da quando si perfezionò a Roma, sotto Papa Damaso († 384) il passaggio ad essa dal greco. I libri liturgici ufficiali del Rito Romano vengono pertanto a tutt'oggi pubblicati in latino (editio typica). Il Codice di Diritto Canonico, al can. 928, stabilisce: «La celebrazione eucaristica venga compiuta in lingua latina o in altra lingua, purché i testi liturgici siano stati legittimamente approvati». Questo canone traduce in modo sintetico, e tenendo presente l'attuale situazione, l'insegnamento della Costituzione liturgica ...
... del Concilio Vaticano II.
Al celebre n. 36, la Sacrosanctum Concilium stabilisce come principio: «L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini» (§ 1).
In questo senso, il Codice afferma innanzitutto: «La celebrazione eucaristica venga compiuta in lingua latina».
Nei successivi commi, la Sacrosanctum Concilium ammette la possibilità di utilizzare anche le lingue nazionali: «Dato però che, sia nella Messa che nell'amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti» (§ 2)
«In base a queste norme, spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22-2 (consultati anche, se è il caso, i vescovi delle regioni limitrofe della stessa lingua) decidere circa l'ammissione e l'estensione della lingua nazionale. Tali decisioni devono essere approvate ossia confermate dalla Sede Apostolica» (§ 3).
«La traduzione del testo latino in lingua nazionale da usarsi nella liturgia deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra» (§ 4).
In base a questi successivi commi, il Codice aggiunge: «... o in altra lingua, purché i testi liturgici siano stati legittimamente approvati».
Come si vede, anche nelle attuali disposizioni normative, la lingua latina resta ancora al primo posto, come quella che la Chiesa preferisce in linea di principio, pur riconoscendo che la lingua nazionale può risultare utile per i fedeli. Nell'attuale situazione concreta, la celebrazione in latino è diventata piuttosto rara. Motivo in più perché nella liturgia pontificia (ma non solo in essa) il latino sia custodito come preziosa eredità della tradizione liturgica d'Occidente. Non a caso, il servo di Dio Giovanni Paolo II ha ricordato che:
«La Chiesa romana ha particolari obblighi verso il latino, la splendida lingua dell'antica Roma e deve manifestarli ogniqualvolta se ne presenti l'occasione» (Dominicae cenae, n. 10).
In continuità con il Magistero del suo Predecessore, Benedetto XVI, oltre ad auspicare un maggior utilizzo della lingua tradizionale nella celebrazione liturgica, in particolare in occasione di celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, ha scritto:
«Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché ad utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia» (Sacramentum Caritatis, n. 62).
Da non perdere il video con la conferenza del prof. Roberto De Mattei al Convegno dei Francescani dell'Immacolata "Il Vaticano II, un Concilio pastorale":
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=OgyhzlZLz0A

Titolo originale: "IL CONCILIO VATICANO II STABILIVA CHE LA LINGUA LATINA FOSSE CONSERVATA NELLA LITURGIA PER CUI ANCHE OGGI RESTA QUELLA CHE LA CHIESA PREFERISCE"
Integrazione a cura di Carlo Di Pietro

***

COSTITUZIONE "QUO PRIMUM TEMPORE" E LA MESSA. I PADRI CONCILIARI FORNISCANO CHIARE SPIEGAZIONI AL POPOLO DI DIO CIRCA IL CAMBIO DI LITURGIA
I Fin dal tempo della Nostra elevazione al sommo vertice dell'Apostolato, abbiamo rivolto l'animo, i pensieri e tutte le Nostre forze alle cose riguardanti il Culto della Chiesa, per conservarlo puro, e, a tal fine, ci siamo adoperati con tutto lo zelo possibile a preparare e, con l'aiuto di Dio, mandare ad effetto i provvedimenti opportuni. E poiché, tra gli altri Decreti del sacro Concilio di Trento, ci incombeva di eseguire quelli di curare l'edizione emendata dei Libri Santi, del Messale, del Breviario e del Catechismo, avendo già, con l'approvazione divina, pubblicato il Catechismo, destinato all'istruzione del popolo, e corretto il Breviario, perché siano rese a Dio le lodi dovutegli, ormai era assolutamente necessario che pensassimo quanto prima a ciò che restava ancora da fare in questa materia, cioè pubblicare il Messale, e in tal modo che rispondesse al Breviario: cosa opportuna e conveniente, poiché come nella Chiesa di Dio uno solo è il modo di salmodiare, cosí sommamente conviene che uno solo sia il rito per celebrare la Messa.
II
Per la qual cosa abbiamo giudicato di dover affidare questa difficile incombenza a uomini di eletta dottrina. E questi, infatti, dopo aver diligentemente collazionato tutti i codici raccomandabili per la loro castigatezza ed integrità - quelli vetusti della Nostra Biblioteca Vaticana e altri ricercati da ogni luogo - e avendo inoltre consultato gli scritti di antichi e provati autori, che ci hanno lasciato memorie sul sacro ordinamento dei medesimi riti, hanno infine restituito il Messale stesso nella sua antica forma secondo la norma e il rito dei santi Padri.
III
Pertanto, dopo matura considerazione, abbiamo ordinato che questo Messale, già cosí riveduto e corretto, venisse quanto prima stampato a Roma, e, stampato che fosse, pubblicato, affinché da una tale intrapresa e da un tale lavoro tutti ne ricavino frutto: naturalmente, perché i sacerdoti comprendano di quali preghiere, di qui innanzi, dovranno servirsi nella celebrazione della Messa, quali riti e cerimonie osservare. 
IV
Perciò, affinché tutti e dovunque adottino e osservino le tradizioni della santa Chiesa Romana, Madre e Maestra delle altre Chiese, ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell'orbe Cristiano: - nelle Patriarcali, Cattedrali, Collegiate e Parrocchiali del clero secolare, come in quelle dei Regolari di qualsiasi Ordine e Monastero, maschile e femminile, nonché in quelle degli Ordini militari, nelle private o cappelle - dove a norma di diritto o per consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa, sia quella Conventuale cantata presente il coro, sia quella semplicemente letta a bassa voce, non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall'ordinamento del Messale da Noi pubblicato; e ciò, anche se le summenzionate Chiese, comunque esenti, usufruissero di uno speciale indulto della Sede Apostolica, di una legittima consuetudine, di un privilegio fondato su dichiarazione giurata e confermato dall'Autorità Apostolica, e di qualsivoglia altra facoltà.
V
Non intendiamo tuttavia, in alcun modo, privare del loro ordinamento quelle tra le summenzionate Chiese che, o dal tempo della loro istituzione, approvata dalla Sede Apostolica, o in forza di una consuetudine, possono dimostrare un proprio rito ininterrottamente osservato per oltre duecento anni. Tuttavia, se anche queste Chiese preferissero far uso del Messale che abbiamo ora pubblicato, Noi permettiamo che esse possano celebrare le Messe secondo il suo ordinamento alla sola condizione che si ottenga il consenso del Vescovo o dell'Ordinario, e di tutto il Capitolo.
VI
Invece, mentre con la presente Nostra Costituzione, da valere in perpetuo, priviamo tutte le summenzionate Chiese dell'uso dei loro Messali, che ripudiamo in modo totale e assoluto, stabiliamo e comandiamo, sotto pena della Nostra indignazione, che a questo Nostro Messale, recentemente pubblicato, nulla mai possa venir aggiunto, detratto, cambiato. Dunque, ordiniamo a tutti e singoli i Patriarchi e Amministratori delle suddette Chiese, e a tutti gli ecclesiastici, rivestiti di qualsiasi dignità, grado e preminenza, non esclusi i Cardinali di Santa Romana Chiesa, facendone loro severo obbligo in virtú di santa obbedienza, che, in avvenire abbandonino del tutto e completamente rigettino tutti gli altri ordinamenti e riti, senza alcuna eccezione, contenuti negli altri Messali, per quanto antichi essi siano e finora soliti ad essere usati, e cantino e leggano la Messa secondo il rito, la forma e la norma, che Noi abbiamo prescritto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiano l'audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo Messale.
VII
Anzi, in virtú dell'Autorità Apostolica, Noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l'Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui dunque avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente: cosí che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari,a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta, né, d'altra parte, possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale.
VIII
Similmente decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore. E ciò, non ostanti: precedenti costituzioni e decreti Apostolici; costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concilii sia Provinciali che Sinodali; qualunque statuto e consuetudine in contrario, nonché l'uso delle predette Chiese, fosse pur sostenuto da prescrizione lunghissima e immemorabile, ma non superiore ai duecento anni.
IX
Inoltre, vogliamo e, con la medesima Autorità, decretiamo che, avvenuta la promulgazione della presente Costituzione, e seguita l'edizione di questo Messale, tutti siano tenuti a conformarvisi nella celebrazione della Messa cantata e letta: i Sacerdoti della Curia Romana, dopo un mese; quelli che sono di qua dei monti, dopo tre mesi; quelli che sono di là dei monti, dopo sei mesi o appena sarà loro proposto in vendita.
X
Affinché poi questo Messale sia ovunque in tutta la terra preservato incorrotto e intatto da mende ed errori, ingiungiamo a tutti gli stampatori di non osare o presumere di stamparlo, metterlo in vendita o riceverlo in deposito, senza la Nostra autorizzazione o la speciale licenza del Commissario Apostolico, che Noi nomineremo espressamente nei diversi luoghi a questo scopo: cioè, se prima detto Commissario non avrà fatta all'editore piena fede che l'esemplare, che deve servire di norma per imprimere gli altri, è stato collazionato con il Messale stampato in Roma secondo la grande edizione, e che gli è conforme e in nulla ne discorda; sotto pena, in caso contrario, della perdita dei libri e dell'ammenda di duecento ducati d'oro da devolversi  ipso facto alla Camera Apostolica, per gli editori che sono nel Nostro territorio e in quello direttamente o indirettamente soggetto a Santa Romana Chiesa: della scomunica latæ sententiæ e di altre pene a Nostro arbitrio, per quelli che risiedono in qualsiasi altra parte della terra.
XI
Data però la difficoltà di trasmettere le presenti Lettere nei varii luoghi dell'orbe Cristiano, e di portarle alla conoscenza di tutti il piú presto possibile, Noi prescriviamo che esse vengano affisse e pubblicate come di consueto alle porte della Basilica del Principe degli Apostoli e della Cancelleria Apostolica, e in piazza di Campo dei Fiori, dichiarando che sia nel mondo intero accordata pari e indubitata fede agli esemplari delle medesime, anche stampati, purché sottoscritti per mano di pubblico notaio e muniti del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, come se queste stesse Lettere fossero mostrate ed esibite.
XII

Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo. 


Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno diciannove di luglio dell'anno millecinquecentosettanta, quinto del nostro pontificato.
PIUS EPÍSCOPUS SERVUS SERVÓRUM DEI AD PERPÉTUAM REI MEMÓRIAM
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro
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LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!