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lunedì 8 settembre 2014

SERMONE PER LA NATIVITÀ DI MARIA SANTISSIMA . Di San Bernardo abate



SERMONE PER LA NATIVITÀ DI MARIA SANTISSIMA 


L’ acquedotto 

1. Nel Cielo si gode per la presenza della Vergine Madre, la terra ne venera la 
memoria. Lassù visione di tutta la sua grandezza, qui il ricordo di lei; là vi è la 
sazietà, quaggiù come una piccola pregustazione di primizie; lassù la realtà, 
quaggiù il nome. Signore, dice, il tuo Nome è per sempre, e il tuo ricordo di 
generazione in generazione (Sal 134, 13). Generazione e generazione, di uomini, 
s’intende, non di angeli. Vuoi sapere che il suo nome e la sua memoria è tra noi, 
e la sua presenza è in cielo? Così pregherete, dice il Signore: Padre nostro che sei nei 
cieli, sia santificato il tuo Nome (Mt 6, 9). Preghiera fedele, che fin dall’inizio ci fa 
sapere che noi siamo figli adottivi di Dio, ancora pellegrini sulla terra, affinché 
sapendo che fino a quando non saremo in cielo, e saremo pellegrini lontani dal 
Signore, gemiamo interiormente, aspettando l’adozione a figli, cioè la presenza 
del Padre. Ben a proposito il Profeta, parlando di Cristo, dice: Spirito è davanti 
alla nostra faccia il Cristo Signore. All’ombra di lui vivremo tra le genti (Lam 4, 20). 
Tra i beati del cielo invece non si vive all’ ombra, ma piuttosto nello splendore. 
Tra i santi splendori, dice il Salmo, dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho 
generato (Sal 109, 3). Questo dice il Padre. 

2. Ma la Madre ha generato quel medesimo splendore, però nell’ombra, quella 
stessa ombra con cui l’Altissimo l’adombrò. A ragione canta la Chiesa, non la 
Chiesa dei Santi che è lassù nello splendore, ma quella che nel frattempo è 
pellegrina sulla terra: All’ombra di colui che ho bramato, mi sono seduta, e dolce è il 
suo frutto al mio palato (Ct 2, 3). Aveva chiesto che le fosse indicata la luce 
meridiana dove pasce lo sposo; ma dovette contentarsi dell’ombra in luogo 
della luce piena, e ricevere per il momento un assaggio invece della sazietà. 
Infine non dice: «Sotto l’ombra di lui che (l’ombra) avevo desiderata, ma mi sono 
seduta all’ombra di lui (lo sposo) che avevo desiderato. Non aveva cercato 
l’ombra di lui, ma lui stesso, il vero meriggio, luce piena da luce piena: È il suo 
frutto, continua, è dolce al mio palato, come dicesse: al mio gusto. Fino a quando da 
me non toglierai lo sguardo e non mi permetterai di inghiottire la mia saliva? (Gb 7, 
19) Fino a quando si continuerà a dire: Gustate e vedere come è soave il Signore? 
(Sal 33, 9) Certamente è soave al gusto e dolce al palato, per cui ben a ragione 
anche (solo) per questo prorompe in parole di ringraziamento e di lode. 

3. Ma quando si potrà dire: Mangiate, amici, bevete e inebriatevi o carissimi? (Ct 5, 
1) /giusti, dice il Profeta, banchetteranno, ma al cospetto di Dio (Sal 67, 4), ma non 
nell’ombra. E parlando di sé dice: Mi sazierò quando apparirà la tua gloria (Sal 16, 
15). Anche il Signore dice agli Apostoli: Voi avete perseverato con me nelle mie 
prove: e io vi preparo un regno come il Padre mio l’ha preparato per me, affinché 
mangiate e beviate alla mia mensa. Ma dove? Nel mio Regno, dice (Lc 22, 28-30). 
Beato davvero chi mangerà il pane nel Regno di Dio. Sia santificato pertanto il tuo 
Nome, per il quale frattanto in qualche modo sei in mezzo a noi, o Signore, 
abitando per la fede nei nostri cuori, poiché il tuo Nome è stato invocato su di noi 
(Ef 3, 17). Venga il tuo Regno. Venga ciò che è perfetto e sparisca ciò che è 
parziale (Cfr. 1 Cor 13, 10). Ora, dice l’Apostolo, raccogliete il frutto che vi porta 
alla santificazione (Rm 6, 22), e il fine è la vita eterna. La Vita eterna, fonte perenne 
che irriga tutta la superficie del paradiso. 
E non solo la irriga, ma la inebria, fonte degli orti, pozzo delle acque vive che 
sgorgano impetuose, e fiume impetuoso che rallegra la città di Dio (Sal 45, 5). E chi è 
questo fonte della vita se non Cristo Signore? Quando si manifesterà Cristo vostra 
Vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria (Col 3, 4). In verità la stessa 
pienezza si è annichilita per essere per noi giustizia e santificazione e perdono, 
senza che apparisse ancora la vita o la gloria, o la beatitudine. Questa fonte 
arrivò fino a noi, le sue acque furono portate sulle piazze, anche se lo straniero 
non ne berrà. Quella vena celeste è discesa attraverso l’acquedotto, non 
portando l’abbondanza della fonte, ma cadendo come una pioggia di grazia sui 
nostri cuori riarsi, a chi più a chi meno. L’acquedotto è pieno, in modo che gli 
altri possano attingere dalla sua pienezza, ma non riceverne la pienezza stessa. 

4. Voi avete già capito, se non sbaglio, quale sia questo acquedotto che, 
ricevendo la pienezza della sorgente dal cuore dello stesso Padre, l’ha data per 
noi alla luce, anche se non come è, ma quale potevamo comprenderla. Sapete 
infatti a chi fu detto: Ave, o piena di grazia (Lc 1, 28). O ci meravigliamo che si sia 
potuto trovare una creatura capace di divenire un tale e così grande acquedotto, 
simile a quello visto dal Patriarca Giacobbe, la cui sommità toccasse i cieli, anzi, 
oltrepassasse i cieli e arrivasse a quel vividissimo fonte delle acque che sono 
sopra i cieli? Se ne meravigliava anche Salomone, e quasi disperando che tale 
creatura ci potesse essere, diceva: Una donna forte chi la troverà? E in realtà per 
tanto tempo al genere umano mancarono i rivoli della grazia, non essendovi 
ancora così desiderabile acquedotto di cui parliamo. Né fa meraviglia che si sia 
fatto attendere così a lungo, se si pensa ai lunghi anni che Noè, uomo giusto, 
impiegò per costruire l’arca, nella quale si salvarono poche, cioè, otto persone 
(Gen 6, 9) , e questo per un tempo abbastanza breve. 

5. Ma in che modo questo nostro acquedotto raggiunse un fonte così elevato? 
Non in altra maniera che mediante un veemente desiderio, mediante una 
fervida devozione, una pura orazione, come sta scritto: L’orazione del giusto 
penetra i cieli (Eccli 35, 21). E chi fu giusto se non la giusta Maria, dalla quale ci è nato il Sole di giustizia? Come dunque ella arrivò all’inaccessibile Maestà, se 
non bussando, chiedendo, cercando? Alla fine trovò quello che cercava, Lei, a 
cui fu detto: Hai trovato grazia presso Dio (Lc 1, 30). Che cosa? È piena di grazia, e 
trova ancora grazia? Era proprio degna di trovare quello che cercava, non 
bastandole la propria pienezza, né poteva starsene contenta del suo bene, ma 
come sta scritto: Chi beve me avrà ancora sete: (Eccli 24, 29): essa chiede la 
sovrabbondanza per la salvezza di tutti. Lo Spirito Santo sopravverrà in te, le dice 
l’Angelo, e ti infonderà quel prezioso balsamo in tanta abbondanza e pienezza 
da farlo traboccare abbondantemente da ogni parte. È così, già i nostri volti 
brillano per l’unzione dell’olio. Già esclamiamo: Olio effuso è il tuo Nome, (Sal 
103, 15) e la tua memoria di generazione in generazione (Sal 101, 13). Non è però 
sparso invano quest’olio, e se sparso, non viene sprecato. Per questo infatti le 
giovinette, cioè le anime semplici, amano lo Sposo, e non poco, e l’unguento che 
scende dal capo, non solo cade sulla barba, ma arriva fino ai bordi del vestito. 

6. Osserva, o uomo, il disegno di Dio, il disegno della Sapienza, il disegno della 
pietà. Prima di irrorare l’aia, la celeste rugiada scese tutta sul vello: stando per 
redimere il genere umano, ne depose tutto il prezzo in Maria! Per quale ragione 
fece questo? Forse perché Eva venisse scusata per mezzo della Figlia, e il 
lamento dell’uomo contro la donna, d’ora in poi non avesse più ragione di 
essere. Non dirai più, o Adamo: La donna che mi hai dato mi ha presentato il frutto
proibito; dirai piuttosto: «La donna che mi hai dato mi ha dato da mangiare il 
frutto benedetto». Piissimo disegno; ma non è tutto, forse c’è n’è ancora un altro 
nascosto. Del resto questo è poca cosa, se non erro, per i vostri desideri. È un 
latte dolce; se premiamo più forte, ne verrà fuori un bel burro grasso. 
Guardando più a fondo voi scorgerete con quanto affetto e devozione abbia 
voluto che noi onorassimo Maria colui che ha posto in lei la pienezza di ogni 
bene, sicché se in noi c’è qualche speranza, qualche grazia, qualche speranza di 
salvezza, sappiamo che tutto ciò ci viene da lei che sale ricolma di delizie. Vero 
giardino di delizie, sul quale non solo soffia, ma che investe sopravvenendo 
dall’alto quel divino austro, perché si diffondano in abbondanza i suoi aromi, 
vale a dire i carismi delle grazie. Togli questo sole che illumina il mondo, dove 
sarà giorno? togli Maria, questa stella del mare, un mare grande e spazioso: che 
cosa ne resta se non un mondo tutto avvolto nella caligine e nell’ombra di morte 
e in tenebre densissime? 

7. Veneriamo dunque questa Maria con tutto l’ardore dei nostri cuori, con i più 
teneri sentimenti di affetto e di devoto ossequio, perché tale è la volontà di 
Colui che ha voluto che noi ricevessimo tutto per mezzo di Maria. Questa è la 
volontà sua, ma per il nostro bene. Per tutto infatti provvedendo a tutti i miseri, 
egli conforta il nostro cuore trepidante, esercita la fede, rafforza la speranza, 
scaccia la diffidenza, rialza chi è pusillanime. Avevate timore di accostarvi al 
Padre. Atterrito al solo udirne la voce, correvi a nasconderti tra il fogliame: 
allora ti ha dato Gesù come mediatore. Che cosa non otterrà dal Padre un tale 
Figlio? Sarà infatti esaudito per la sua pietà: il Padre infatti ama il Figlio. Hai 
ancora paura di andare anche da lui? È tuo fratello e carne tua, provato in tutto, 
eccetto il peccato, perché fosse misericordioso (Eb 4, 15). Questo ti ha dato Maria 
come fratello. Ma forse anche in lui temi la divina maestà, perché pur essendosi 
fatto uomo, rimase tuttavia Dio. Vuoi avere un avvocato anche presso di lui? 
Ricorri a Maria. In Maria c’ è la pura umanità, non solo pura perché 
incontaminata, ma pura per singolarità di natura. Né dubiterei che anch’essa 
sarà esaudita per la sua pietà. Il Figlio esaudirà certamente la Madre, come il 
Padre esaudirà il Figlio. Figliuoli miei, questa è la scala dei peccatori, questa è la 
mia massima fiducia, questa è tutta la ragione della mia speranza. E che? Può 
forse il Figlio non accogliere la supplica (della Madre) o non venire esaudito 
(dal Padre)? Può egli non ascoltare e non essere ascoltato? Né l’uno, né l’altro. 
Tu hai trovato, disse l’Angelo, grazia presso Dio (Lc 1, 30). Felice espressione. 
Maria troverà sempre grazia, e la grazia è la sola cosa di cui abbiamo bisogno. 
La Vergine prudente cercava non la sapienza, come Salomone, non le ricchezze, 
non gli onori, non la potenza, ma la grazia. È infatti solo la grazia che ci salva. 

8. Perché desideriamo altre cose, o fratelli? Cerchiamo la grazia, e chiediamola 
per mezzo di Maria, perché essa trova quello che cerca e nulla le è rifiutato di 
quello che essa chiede. Cerchiamo la grazia, ma la grazia presso Dio; fallace è 
infatti la grazia presso gli uomini. Cerchino altri il merito, noi sforziamoci di 
trovare grazia. Non è forse per grazia di Dio che siamo qui? Davvero è grazie 
alla Misericordia del Signore se non siamo consunti noi (Lam 3, 22). Chi noi? Noi 
spergiuri, noi omicidi, noi adulteri, noi ladri, veramente rifiuto di questo 
mondo. Interrogate le vostre coscienze, fratelli e constatate che ove abbondò il 
delitto, sovrabbondò la grazia. Maria non pretende il merito, ma cerca la grazia. 
Essa ripone tanta fiducia nella grazia e non si insuperbisce, che è presa da 
timore al saluto dell’Angelo. Maria, dice il Vangelo, si domandava che senso avesse 
quel saluto (Lc 1, 29). Si riteneva, infatti, indegna di venire così salutata da un 
Angelo. E forse diceva tra sé: «Donde viene a me che un Angelo del Signore 
venga da me?» Non temere, Maria, non stupirti che venga un Angelo; viene uno 
che è più grande anche dell’Angelo. Non meravigliarti che venga a te l’Angelo 
del Signore: anche il Signore dell’Angelo è con te. E poi, perché non potresti 
vedere l’Angelo tu che già vivi come un Angelo? Perché un Angelo non 
dovrebbe visitare una compagna della vita degli Angeli? Come non saluterebbe 
una concittadina dei Santi e familiari di Dio? Davvero angelica vita infatti è la 
verginità, e coloro che non si sposano né si maritano saranno come Angeli di 
Dio. 

9. Vedi come anche in questo modo il nostro acquedotto raggiunge la fonte, né 
penetra ormai i cieli con la sola orazione, ma anche con l’ integrità che la rende 
vicina a Dio, come dice il Saggio? Era infatti la Vergine Santa di corpo e di spirito 
(1 C or 7, 34) , e ad essa si addicevano in modo speciale le parole: La nostra patria 
è nei cieli (Fil 3, 20). Santa, ripeto, di corpo e di spirito, perché non resti alcun 
dubbio su questo acquedotto. Esso è invero altissimo, ma sempre incorrotto. 
Orto chiuso, fonte sigillato (Ct 4, 12), tempio del Signore, sacrario dello Spirito 
Santo (dall’off. BVM in Sabato). Né è una vergine stolta, non le manca infatti l’olio, ma 
ne ha pieno il vaso di riserva. Essa ha disposto delle ascensioni nel suo cuore (Sal 83, 
6), ascendendo sia con le sue opere, sia con la sua orazione. Maria si reca in fretta 
sulla montagna e saluta Elisabetta (Lc 1, 39-40) e si ferma circa tre mesi per 
aiutarla, così da poter dire, lei Madre ad un altra madre (Elisabetta) quello che 
molto tempo dopo il Figlio (Gesù) avrebbe detto al figlio (Giovanni) : Lascia fare, 
ora, così dobbiamo compiere ogni giustizia (Mt 3, 15). Veramente sale sui monti 
Maria, la cui giustizia è come i monti più alti. Questa è la terza ascensione della 
Vergine, ed è scritto che una corda a tre capi è difficile a rompersi: la sua carità 
cercava con fervore la grazia, nella sua carne splendeva la verginità, nel servizio 
alla vecchia Elisabetta eccelleva l’umiltà. Se infatti chiunque si umilia sarà 
esaltato, che cosa di più sublime che l’umiltà di Maria? Elisabetta si stupiva 
della sua venuta, e diceva: A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? 
(Lc 1, 43). Ma ora si meravigli piuttosto che, sull’esempio del Figlio, essa non sia 
venuta per essere servita, ma per servire. Giustamente perciò quel Cantore 
divino, pieno di ammirazione per lei, esclamava: Chi è costei che sorge come 
aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati? 
(Ct 6, 9). Davvero ella sorge sopra tutto il genere umano, sale fino agli Angeli, 
ma li oltrepassa ancora e si innalza sopra ogni celeste creatura. Di fatti essa deve 
attingere necessariamente al di sopra degli Angeli l’acqua viva per farla 
discendere sugli uomini. 

10. Come avverrà questo, dice, poiché non conosco uomo? Santa veramente di corpo e 
di spirito, che possedeva l’integrità del corpo, e il proposito di rimanere vergine. 
L’Angelo le rispose: Lo Spirito Santo sopravverrà in te e la potenza dell’Altissimo ti 
coprirà con la sua ombra. Non interrogare me, le dice, sono cose superiori a me, e 
io non posso spiegarle. Lo Spirito Santo, non lo Spirito Angelico, scenderà su di te e 
la potenza dell’Altissimo ti adombrerà, non io. Non fermarti agli Angeli, Vergine 
santa: la terra chiede che per tuo mezzo le venga dato qualcosa di più sublime 
che plachi la sua sete. Sorpassatili di poco, troverai l’amato dell’anima tua. 
Ho detto: di poco, non perché il tuo Diletto non sia incomparabilmente più alto, 
ma perché tra lui e gli angeli non troverai null’altro. Oltrepassa dunque le Virtù 
e le Dominazioni, i Cherubini e i Serafini, e arriverai a lui del quale cantano in 
coro, ripetendo a vicenda: Santo, Santo, Santo è il Signore, Dio degli eserciti (Is 6, 
3). Il Santo infatti che da te nascerà sarà chiamato Figlio di Dio (Lc 1, 35). Fonte della 
Sapienza il Verbo del Padre nell’alto dei cieli (Eccl 1, 5). Questo Verbo, per mezzo di 
te si farà uomo, sicché colui che dice: Io sono nel Padre, e il Padre è in me (Gv 14, 
10), dica pure nello stesso tempo: Io sono uscito da Dio e sono venuto (Gv 8, 42). In 
principio, è detto, era il Verbo. Già scaturisce la fonte, ma per il momento resta in
se stessa. E il Verbo era presso Dio, in una luce inaccessibile; e da principio il 
Signore diceva: Io nutro pensieri di pace e non di sventura (Ger 29, 11). Ma il 
tuo pensiero è dentro dite, o Signore, e noi non sappiamo quello che tu pensi. 
Chi infatti conosceva i sentimenti del Signore, o chi era suo consigliere? 
Pertanto il pensiero di pace è disceso facendosi opera di pace: Il Verbo si fece 
carne, e ormai abita tra noi. Abita nei nostri cuori per la fede, anche nella nostra 
memoria, abita nel pensiero, ed è disceso fino all’immaginazione. Come 
avrebbe potuto prima formarsi una immagine di Dio, non forse facendosi con il 
cuore un idolo? 

11. Era del tutto incomprensibile e inaccessibile, invisibile e inescogitabile. Ma 
ora ha voluto farsi comprendere, farsi vedere, farsi pensare. In che modo, mi 
chiedi? Eccolo che giace nel presepio, riposa in braccio alla Vergine, predica sul 
monte, passa le notti in preghiera, ovvero pende dalla croce, è coperto dal 
pallore della morte, scende libero e comanda negli inferi, ovvero ancora lo vedi 
risorgere il terzo giorno, mostrare agli Apostoli il luogo dei chiodi, segni della 
sua vittoria, e infine ascendere al cielo davanti ai loro occhi. Tutti questi pensieri 
rispondono a verità, alimentano la pietà e la santità. Quando penso a qualcuna 
di queste cose, io penso Dio, che è per ogni cosa il Dio mio. 
Meditare queste cose io chiamo sapienza, e giudico prudenza il rievocare il 
dolce ricordo di questi fatti, prefigurati nei frutti abbondanti spuntati dalla 
Verga sacerdotale di Aronne, e che Maria, attingendoli dal cielo, in modo più 
copioso ha messo a vostra disposizione. Dal cielo veramente, e da sopra gli 
Angeli, perché essa ha ricevuto il Verbo dal cuore stesso del Padre, come sta 
scritto: Il giorno al giorno trasmette la parola (Sal 18, 3). Davvero giorno è il Padre: 
e giorno da giorno è la salvezza di Dio. Non è giorno forse anche la Vergine? E 
quale giorno! Giorno veramente fulgido Maria, che avanza come Aurora che sorge, 
bella come la luna, splendente come il sole (Ct 6, 9). 

12. Considera come Maria arriva fino agli Angeli per la pienezza della grazia, e 
supera quando sopravviene in lei lo Spirito. Negli angeli c’è la carità, la 
purezza, l’umiltà. Quale di queste cose non fu eminente in Maria? Ma questo è 
stato dimostrato sopra, per quanto ci fu possibile spiegare. Ora vediamo la sua 
sopraeminenza. A quale degli Angeli è stato mai detto: Lo Spirito Santo 
sopravverrà in te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra: 
perciò il Santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio? E poi: 
La verità è germogliata dalla terra 
(Sal 84, 12), non dalla creatura angelica; essa ha assunto non la natura degli 
angeli, ma il seme di Abramo. È grande cosa per l’Angelo l’essere servitore 
ministro di Dio; ma Maria meritò qualcosa di più sublime, quella di esserne 
Madre. La maternità pertanto della Vergine è gloria sovraeminente, e per il 
singolare privilegio a lei concesso, essa è divenuta tanto più eccellente degli 
angeli quanto più il suo titolo di Madre è differente da quello di servi (ministri). 
Già ta per umiltà, ricevette ancora questa grazia di diventare madre senza 
concorso d’uomo e senza i dolori del parto. Tutto questo è ancora poco: quello 
che è nato da lei è chiamato il Santo, ed è il Figlio di Dio. 

13. Per il resto, fratelli, dobbiamo fare tutto perché il Verbo che, uscito dalla 
bocca del Padre, è venuto a noi per mezzo della Vergine, non se ne ritorni 
vuoto, ma ancora, per mezzo della medesima Vergine Maria, rendiamo grazia 
per grazia. Vada il pensiero frequente mentre ancora ne sospiriamo la presenza, 
e le grazie che scendono a noi siano fatte risalire alla loro origine, per ridiscenderne 
in maggiore abbondanza. Se invece non ritornano alla fonte, si 
disseccano, e infedeli nel poco, non meritiamo di ricevere ciò che è massimo. È 
poca cosa il pensiero unito al desiderio della presenza, poco in confronto con 
quello che desideriamo grande è ciò che meritiamo; è molto al di sotto il 
desiderio, molto superiore è il merito. Saggiamente la sposa si rallegra non poco 
di questo poco. Avendo infatti detto: Dimmi dove pascoli, dove riposi nel meriggio, 
(Ct 1, 6) ricevendo piccole cose invece di quelle immense, e in cambio del pasto 
meridiano offrendo un sacrificio vespertino non mormora affatto, né si rattrista, 
come d’ordinario succede, ma ringrazia, e in tutto si mostra più devota. Sa 
infatti che se sarà fedele nell’ombra della memoria, otterrà senza dubbio la luce 
della presenza. Pertanto Voi che vi ricordate del Signore, non tacete e non lasciatelo 
stare in silenzio (Is 62, 6-7). Poiché coloro che hanno presente il Signore non 
hanno bisogno di esortazione, e quello che dice un altro Profeta: Loda il Signore, 
Gerusalemme, loda il tuo Dio o Sion (Sal 147, 1), sono parole di congratulazione, 
più che di ammonizione. Coloro che camminano nella fede hanno bisogno di 
essere ammoniti di tacere e di non lasciare stare in silenzio il Signore. Egli parla 
infatti, di pace per il Suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore 
(Sal 84, 9) , ascolterà quelli che ascoltano lui, e parlerà a quelli che parlano a lui. 
Diversamente, se tu taci, fai tacere anche lui. Non tacere dunque. Da che cosa? 
Dalla lode di Dio. Non tacete, e non dategli requie fino a che stabilisca sulla terra la 
lode di Gerusalemme. La lode di Gerusalemme è lode gioconda e decorosa. Non è 
possibile pensare che gli Angeli, cittadini di Gerusalemme, prendano piacere e 
si ingannino a vicenda in una lode vana. 

14. Sia fatta la tua volontà, o Padre, come in cielo, così in terra (Mt 6, 10) affinché la 
lode di Gerusalemme sia stabilita sulla terra. E adesso che cosa c’è? In 
Gerusalemme un Angelo non cerca la sua gloria da un altro Angelo, e sulla 
terra l’uomo brama di essere lodato da un altro uomo? Esecrabile perversità! 
Ma lasciamola a coloro che ignorano Dio, a coloro che si sono dimenticati del 
Signore loro Dio (1 Cor 15, 34). Voi che vi ricordate del Signore, non tacete, non 
cessate di lodarlo, fino a che la sua lode si stabilisca e sia resa perfetta sulla 
terra. C’è infatti un silenzio irreprensibile, anzi, lodevole. C’è anche un discorso 
non buono. Altrimenti non avrebbe detto il Profeta: È buona cosa per l’uomo 
attendere in silenzio la salvezza di Dio (Lam 3, 26). È cosa buona tacere dalla 
millanteria, è buono astenersi dalla bestemmia, dalla mormorazione, dalla 
detrazione. Avviene che uno, esasperato da un lavoro lungo e faticoso, 
mormora dentro di sé, e giudica coloro che vigilano per la sua anima, 
consapevoli del conto che ne devono rendere. È questo un grido che rompe ogni 
silenzio, il grido di un animo indurito che fa tacere, in quanto non permette che 
venga percepita la voce della parola. Un altro, per la pusillanimità dello spirito, 
si lascia prendere dalla disperazione e questa è una bestemmia che non sarà 
rimessa né in questa vita, né nella futura. Un altro ancora s’inorgoglisce nel suo 
cuore e leva con superbia il suo sguardo, stimandosi più di quello che è, e dice: 
La mia mano potente (Dt 32, 27) , e pensa di essere qualche cosa, mentre non è 
nulla. Che cosa direbbe a costui Colui che parla di pace? Dice infatti: Tu dici: Io sono ricco, e non ho bisogno di nessuno (Ap 3, 17). Ora la Verità risponde così: Guai 
a voi, ricchi, perché avete la vostra consolazione (Lc 6, 24). E al contrario: Beati, 
dice, quelli che piangono, perché saranno consolati (Mt 5, 5). Tacciano dunque in noi 
la lingua maldicente, la lingua blasfema, la lingua millantatrice, perché è bene 
in questo triplice silenzio aspettare la salvezza di Dio, e dì così: Parla Signore, 
perché il tuo servo ti ascolta (1 Re 3, 10). Quelle parole in realtà non sono rivolte a 
Lui, ma contro di Lui, come diceva Mosè agli Ebrei che mormoravano: La vostra 
mormorazione non è contro di noi, ma contro il Signore (Es 16, 8).

15. Astieniti da tali parole, senza tuttavia tacere del tutto, per non costringere 
Dio al silenzio. Parla a lui accusandoti in umile confessione della tua vanità, 
onde ottenere perdono per le colpe passate. Parla ringraziando, invece della 
mormorazione, per ottenere una grazia più abbondante per il presente. Parla 
nell’ orazione, contro la diffidenza, per conseguire la gloria del futuro. 
Confessa, ripeto,i peccati passati, per i benefici presenti rendi grazie, e poi prega 
con più fervore per il futuro, di modo che anche Dio non taccia il suo perdono, 
non cessi di largire i suoi doni, e non venga meno nelle sue promesse. Non 
tacere tu, ripeto, e fa’ in modo che lui non stia in silenzio. Parla tu, affinché parli 
anche lui e possa dire: Il mio diletto è a me, e io a lui. Parola gioconda, parola 
dolce. Non è davvero parola di mormorazione, ma voce della tortora. E non 
dire: Come canteremo i canti del Signore in terra straniera? (Sal 136, 4). Ormai non 
sarà più considerata straniera quella di cui dice lo Sposo: La voce della tortora si è 
udita nella nostra terra (Ct 2, 12). L’aveva infatti sentito dire: Prendeteci le piccole 
volpi e forse per questo uscì in grido di esultanza, dicendo: Il mio Diletto è a me e 
io a lui. Davvero voce di tortora, che, con una singolare pudicizia resta fedele al 
suo compagno, sia vivo che morto, sicché né la morte, né la vita la separa 
dall’amore di Cristo. Considera infatti se ci sia qualche cosa che abbia potuto 
alienare questo diletto dalla sua amata, e impedirgli di restare fedele, anche 
qualora la diletta abbia peccato o gli abbia voltato le spalle. Ammassi di nuvole 
cercavano di offuscare i raggi del sole: così le nostre iniquità si frapponevano 
tra noi e Dio, minacciando di separarci da lui; ma il sole divenne caldo, e tutta 
quella nuvolaglia si è dissipata. Diversamente, quando mai saresti tornato da 
lui se egli non ti fosse rimasto fedele, se non avesse gridato: Ritorna, Sunamita, 
ritorna, ritorna, perché ti vediamo?. Sii dunque anche tu fedele a lui, e nessuna 
calamità o fatica ti faccia allontanare da lui. 

16. Lotta con l’angelo, non soccombere, perché il regno di Dio patisce violenza e i 
violenti lo rapiscono (Mt 11, 12). Non lasciano forse intendere la lotta le parole: Il 
mio Diletto a me, e io a lui?Egli ti ha fatto conoscere il suo amore; mostragli anche
il tuo. In molte cose infatti ti mette alla prova il Signore tuo Dio. Spesso se ne va, 
volta altrove la faccia, ma non perché sia adirato. È una prova, non segno di 
riprovazione. Il tuo Diletto ti ha sopportato; sopporta anche tu il tuo Diletto, 
sopporta, agisci virilmente. Non lo hanno vinto i tuoi peccati, anche tu non 
lasciarti vincere dai suoi flagelli, e otterrai la benedizione. Ma quando? Quando 
spunterà l’aurora, quando sarà finito il giorno, quando avrà stabilito la lode di 
Gerusalemme sulla terra. Ecco che un uomo lottava con Giacobbe fino al mattino 
(Gen 32, 24). Al mattino fammi sentire la tua misericordia, perché in te ho sperato, 
Signore. Non tacerò, non ti lascerò stare in silenzio fino al mattino, né digiuno, 
possibilmente. Tu ti degni in realtà pascerti, ma tra i gigli. Il mio diletto a me, e io 
a lui che si pasce tra gigli (Ct 2, 16). Veramente anche sopra, se ricordate, è stato 
chiaramente indicato che la voce della tortora si ode quando compariscono i 
fiori. Ma bada che vi è indicato il luogo, non il cibo, né vi è espresso di che cosa 
si pasce il Diletto, ma tra quali cose. Forse egli si pasce, non di cibo, ma della 
compagnia dei gigli, non si ciba di gigli, ma sta in mezzo a loro. E veramente i 
gigli piacciono più per il profumo che per il sapore, e sono adatti per essere 
veduti più che mangiati. 

17. Così dunque si pasce (lo sposo) tra i gigli fino a che spiri la brezza del giorno, e 
alla bellezza dei fiori succeda l’abbondanza dei frutti. Nel frattempo è l’ora dei 
fiori, non dei frutti, mentre cioè siamo più nella speranza che nella realtà, e 
camminando nella fede e non nella visione, ci consoliamo più con la speranza 
che nell’ esperienza (dei beni eterni). Considera infine la delicatezza del fiore, e 
ricorda quello che dice l’Apostolo: Portiamo questo tesoro in vasi di creta. A quanti 
pericoli sono esposti i fiori. Come è facile per un giglio essere perforato dagli 
aculei delle spine! Giustamente canta il Diletto: Come giglio tra le spine, così la mia 
amica tra le fanciulle (Ct 2, 2). Non era tra le spine colui che diceva: Io ero pacifico 
in mezzo a coloro che detestavano la pace? (Sal 119, 7) Del resto, anche se il giusto 
germoglia come il giglio, lo sposo non si pasce presso un giglio solo, né si 
compiace della singolarità. Senti come egli dimori ove vi sono più gigli. Dove vi 
sono due o tre radunati in mio nome, mi trovo in mezzo a loro (Mt 18, 20). Gesù ama 
sempre il mezzo, il Figlio dell’uomo mediatore tra Dio e gli uomini, riprova 
sempre gli angoli, le pieghe. Il mio diletto è a me e io a lui che si pasce tra i gigli. 
Cerchiamo di avere gigli, fratelli, estirpiamo spine e triboli e affrettiamoci a 
sostituirli con gigli, perché si degni di pascersi anche tra noi qualora si degni di 
scendere a noi il Diletto. 

18. Presso Maria egli si pasceva, e abbondantemente, a causa della moltitudine 
di gigli. Non era forse un giglio il decoro della verginità, l’ornamento 
dell’umiltà, la sovraeminenza della carità? Avremo anche noi dei gigli, anche se 
di molto inferiori. Ma neanche tra questi disdegnerà di pascersi lo sposo, a 
condizione che le azioni di grazie di cui abbiamo parlato, siano dotate di ilare 
devozione, che la nostra orazione sia resa accetta dalla purezza d’intenzione, e 
la nostra confessione ci avrà ottenuto, con il perdono, di fare candide le nostre 
vesti, come è scritto: Se i vostri peccati fossero come scarlatto, diverranno come la 
neve, e se fossero rossi come porpora, diverranno bianchi come la lana (Is 1, 18). Del 
resto, qualunque sia la cosa che ti disponi a offrire, ricordati di affidarla a 
Maria,onde per il medesimo canale per cui la grazia è discesa a noi, ritorni al 
largitore della grazia. A Dio infatti non mancavano mezzi per infonderci, come 
voleva, la sua grazia, anche senza questa acqua, ma egli ha voluto darci questo 
veicolo. Forse le tue mani sono sporche di sangue o infette di regali, perché non 
le hai tenute pure da ogni cupidigia. Dunque quel poco che desideri offrire, 
fallo passare per le mani degnissime e accettissime di Maria se non vuoi subire 
un rifiuto. Esse in realtà sono come candidissimi gigli; né avrà a ridire 
quell’amatore di gigli di non aver trovato tra i gigli qualsiasi cosa che egli avrà 
trovato tra le mani di Maria. 
1. Omni die dic Mariae 
Mea laudes anima:
 
Ejus festa, ejus gesta
 
Cole devotissima.

giovedì 1 maggio 2014

Carissimo Amico,


Carissimo Amico,

«La mentalità attuale sembra opporsi al Dio di misericordia, e tende ad eliminare dalla vita ed a togliere dal cuore umano la nozione stessa di misericordia, constata Papa Giovanni Paolo II. La parola e l'idea di misericordia sembrano mettere a disagio l'uomo che, grazie ad uno sviluppo scientifico e tecnico finora sconosciuto, è diventato padrone della terra che ha sottomesso e dominato... Tuttavia, la situazione del mondo attuale non palesa soltanto trasformazioni capaci di far sperare per l'uomo un avvenire terreno migliore, ma rivela altresì molteplici minacce, di gran lunga peggiori di quelle che si erano conosciute finora» (Enciclica Dives in misericordiaDM, 2, 30 novembre 1980).In occasione della cerimonia di beatificazione di Suor Faustina Kowalska, il 18 aprile 1993, il Papa dice anche: «Il bilancio di questo secolo che volge al termine presenta, oltre alle conquiste, che hanno spesso superato quelle delle epoche precedenti, un'inquietudine ed una paura profonda quanto all'avvenire. Di conseguenza, dove, se non nella misericordia divina, il mondo può trovare la via d'uscita e la luce della speranza?»
Uno sguardo alla vita ed al messaggio di Suor Faustina, ci permetterà di capire meglio l'infinita ricchezza della divina misericordia.


Un'educazione austera


Il 25 agosto 1905, a Glogow (Polonia), nella casa dei coniugi Kowalski, nasce una bambina, terza di una famiglia che conterà dieci figli. Il giorno seguente, con il santo battesimo, riceverà il nome di Elena. Suo padre si guadagna con difficoltà il pane quotidiano, benchè passi le giornate a coltivare una terra poco generosa, ed una parte delle notti ad esercitare il mestiere di falegname. In questa famiglia patriarcale, i genitori predicano più con l'esempio che con le parole. I figli vengono allevati con affetto, ma anche con energia e addirittura con durezza.
Elena è di indole allegra ed espansiva. Benchè si faccia notare come ottima alunna, rimarrà a scuola solo due anni: si ha bisogno di lei in casa per le pulizie e per il lavoro nei campi. A 9 anni, fa la prima comunione, e diventa più meditativa, cerca momenti di silenzio e di solitudine. A 14 anni, la si manda a lavorare in una fattoria dei dintorni. Ciò porterà in casa un po' di denaro, ed essa potrà farsi un vestito della festa per andare a Messa. Dopo un anno di servizio pieno di abnegazione, di gentilezza e di diligenza, Elena dichiara a sua madre: «Mamma, devo farmi suora; devo entrare in convento!»
La risposta è un «no» categorico. I Kowalski, a corto di denaro e pieni di debiti, non possono assumersi le spese per la costituzione del corredo, vale a dire pagare gli abiti religiosi, condizione per l'ammissione in convento delle postulanti. Elena deve dunque pazientare: torna al lavoro, più lontano, nella città di Lodz.


In mezzo a ballerini sfrenati...


Passano due anni. Elena ha 18 anni. Supplica di nuovo i genitori di permetterle di realizzare finalmente la sua vocazione. Identico rifiuto netto. Delusa, la ragazza si lascia andare ad una certa tiepidezza e si sforza di soffocare nei divertimenti la chiamata di Dio. Eccola al ballo, una domenica sera, con sua sorella. Balla, ma il suo cuore risente uno strano malessere. Ad un tratto, vede Gesù accanto a sè: è lì, tutto insanguinato, coperto di piaghe, con il volto tormentato dal dolore, lo sguardo implorante, straziante. Le dice: «Per quanto tempo ti sopporterò ancora? Fino a quando mi deluderai?» Elena, stupefatta, sconvolta, smette immediatamente di ballare. Non sente più nessun suono; non vede più nulla della sala da ballo e dei ballerini che continuano a turbinare, sfrenati. Se ne va senza farsi notare, e corre fino alla cattedrale di San Stanislao Kostka.
La chiesa è quasi deserta. Si prosterna, con la faccia contro terra, davanti al Santissimo esposto nel brillante ostensorio; e, con tutto il cuore, vibrante di attesa e di umile sottomissione, chiede a Gesù Cristo: «Cosa devo fare?... – Va' immediatamente a Varsavia, lì entrerai in un convento». Elena si rialza, con il cuore traboccante di gioia, spiega tutto alla sorella, le chiede di salutare i genitori da parte sua, e, senza bagagli, prende il primo treno per Varsavia. Trova provvisoriamente un posto di domestica tuttofare presso una famiglia cattolica. Ma nessuna porta di convento si apre davanti a lei: non si sa che farsene di quella contadina incolta e senza dote. Persevera nelle sue ricerche, e finalmente viene introdotta presso la Madre Superiora delle Suore di Nostra Signora della Misericordia.


Va' a trovare il padrone di casa


Imbarazzata, la Madre Superiora le dice: «Va' a chiedere al Padrone di questa casa se vuol riceverti». Piena di gioia, Elena va nella cappella e, inginocchiata davanti al Tabernacolo, chiede: «Padrone di questa casa, mi vuoi ricevere?» Immediatamente, sente queste parole: «Ti accolgo, sei nel mio Cuore». Torna dalla Superiora che la interroga: «Allora, ti ha accettata nostro Signore? – Sì. – Se Lui ti ha accettata, ti accetto anch'io». Elena (che, in religione, si chiamerà ormai Suor Faustina) comincia così una vita totalmente consacrata al servizio di Cristo misericordioso e della di Lui Santa Madre.
Felice all'inizio, la postulante è ben presto delusa: accolta come conversa, è completamente assorbita da lavori di pulizia, di manutenzione, ecc. ed ha ben poco tempo per la preghiera, la meditazione, il cuore a cuore con Gesù Salvatore. Quasi decisa a lasciare la Congregazione, per cercarne un'altra più contemplativa, supplica il divino Maestro di illuminarla: improvvisamente, il Volto insanguinato di Nostro Signore le appare, nella sua stanza: «Qui ti ho chiamata, qui ti preparo grandi grazie».
Totalmente abbandonata alla volontà divina, Suor Faustina diventerà una vera contemplativa, in varie case della Congregazione e fra lavori continui, che esegue con ingegno e dedizione: cucina, giardino, portineria, ecc.
Il 22 febbraio 1931, le appare nuovamente Nostro Signore. È avvolto in un'ampia veste bianca, una mano è alzata in un gesto di assoluzione, l'altra è posata sul suo divino Cuore. Da quel Cuore scaturiscono in direzione della terra due fiotti di luce, uno rosso, l'altro bianco, i cui fasci si allargano progressivamente fino a ricoprire il mondo intero. E Gesù dice a Suor Faustina: «Dipingi un'immagine simile a ciò che vedi e scrivici sotto: 'Gesù, in te confido'. Desidero che tale immagine sia venerata in tutto il mondo. Prometto a coloro che la venereranno la vittoria sulle forze del peccato, soprattutto nell'ora della morte. Li difenderò io stesso, come mia gloria».
«Cosa significano i due fasci di raggi, uno rosso, l'altro bianco? interroga Suor Faustina. – Questi raggi significano l'acqua ed il sangue. L'acqua che purifica le anime; il sangue che è la vita dell'anima. Sgorgano dal mio Cuore trafitto sulla Croce». San Giovanni testimonia infatti: Uno dei soldati aprì il costato di Gesù con un colpo di lancia e subito ne uscirono abbondantemente sangue ed acqua!(Giov. 19, 34). L'acqua rappresenta il Battesimo ed il sacramento della Penitenza; il sangue, l'Eucaristia.
Suor Faustina è incapace di disegnare o di dipingere. Seguendo le sue indicazioni, un artista realizzerà la santa icona di Gesù misericordioso.

Ma quante lotte, contraddizioni, derisioni e smacchi le sono riservati fino al 1935, data alla quale, timidamente, il quadro verrà esposto nel celebre santuario di Nostra Signora d'Ostra Brama, a Wilno, grazie agli sforzi del suo confessore, don Sopocko. Subito, l'icona attira l'attenzione, e le grazie straordinarie di conversione si moltiplicano. Dopo la morte di Suor Faustina, verrà riprodotta in tutto il mondo.


Per chi la misericordia?


Che cos'è la misericordia? Essere misericordiosi significa avere un cuore velato di tristezza davanti all'altrui miseria, come se si trattasse della propria. L'effetto della misericordia è quello di sforzarsi di allontanare, per quanto possibile, tale miseria dal prossimo. La misericordia divina è l'amore di Dio per gli uomini in preda alla sofferenza, l'ingiustizia, la povertà ed il peccato. Mostra Dio particolarmente prossimo all'uomo. Gesù Cristo ha rivelato, con il suo stile di vita e le sue azioni, come l'amore di Dio sia presente nel mondo in cui viviamo. Tale amore attivo è capace di chinarsi su ogni figliol prodigo, su ogni miseria morale (ogni peccato). «La misericordia è come il secondo nome dell'amore, ed è, in pari tempo, il modo in cui si rivela e si realizza per opporsi al male che è nel mondo, che tenta ed assedia l'uomo, gli si insinua fin nel cuore e può farlo perire nella geenna» (DM, 7).

«Sulle orme di San Paolo, la Chiesa ha sempre insegnato che l'immensa miseria che opprime gli uomini e la loro inclinazione al male ed alla morte non si possono comprendere senza il loro legame con la colpa di Adamo e prescindendo dal fatto che egli ci ha trasmesso un peccato dal quale tutti nasciamo contaminati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 403). Abbiamo tutti bisogno della misericordia, poichè siamo tutti colpiti dalle conseguenze del peccato di Adamo. Le nostre colpe personali non hanno fatto che aggravare la nostra situazione: «Agli occhi della fede, nessun male è più grave del peccato, e niente ha conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la Chiesa e per il mondo intero» (CCC, 1488). 
La perversità del peccato grave si comprende meglio quando si considerano le conseguenze eterne: «È soltanto in questa visione escatologica (del cielo e dell'inferno) che si può avere l'esatta misura del peccato e sentirsi spinti in modo decisivo alla penitenza ed alla riconciliazione (con Dio e con il prossimo)» (Giovanni Paolo II, Riconciliazione e penitenza, 26, 2/12/1984).


Il frutto del peccato


Nella sua misericordia, Dio ha voluto mostrare a Suor Faustina la conseguenza eterna del peccato grave. Scrive nel suo «Giornalino»: «Oggi, sono stata introdotta da un angelo negli abissi dell'inferno. È un luogo di grandi supplizi. La sua estensione è terribilmente vasta. Vi ho visto diversi tipi di sofferenze: – La prima è la perdita di Dio. – La seconda: i perpetui rimorsi della coscienza. – La terza: la sorte dei dannati non cambierà mai. – La quarta: è il fuoco, acceso dall'ira di Dio, che penetrerà nell'anima senza distruggerla. – La quinta: le tenebre incessanti, un odore terribile, soffocante. E, malgrado le tenebre, i demoni e le anime dannate si vedono l'un l'altro e vedono tutto il male altrui ed il loro. – La sesta: è la continua compagnia di Satana. – La settima: una terribile disperazione, l'odio di Dio, le maledizioni, le bestemmie.

«Che ogni peccatore sappia che sarà torturato per tutta l'eternità attraverso i sensi di cui si è servito per peccare. Scrivo questo per ordine di Dio, acciocchè nessuna anima possa scusarsi affermando che l'inferno non esiste, o che nessuno vi è andato e non si sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio, sono penetrata negli abissi infernali per parlarne alle anime e testimoniare che l'inferno esiste... Ho notato una cosa, ed è che lì vi erano molte anime che avevano messo in dubbio l'esistenza dell'inferno... Così, prego ancor più ardentemente per la salvezza dei peccatori. Invoco su di loro senza posa la divina Misericordia. O Gesù mio, preferisco agonizzare fino alla fine del mondo noi massimi supplizi, piuttosto che offenderti con il minimo peccato».

Questa testimonianza personale della beata è tanto più degna di attenzione che non contraddice in nulla la dottrina della Chiesa: «La Chiesa afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità... Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da Lui per una nostra libera scelta» (CCC, 1035, 1033).

La realtà dell'inferno ci invita a riflettere sulla gravità della sua causa, il peccato mortale. Si «chiama peccato mortale l'atto attraverso il quale un uomo, liberamente e consapevolmente, rifiuta Dio, la di Lui legge, l'alleanza d'amore che Dio gli propone, preferendo proiettarsi verso se stesso, verso qualche realtà creata e finita, verso qualcosa di contrario alla volontà di Dio» (Enciclica Veritatis splendor, 6 agosto 1993). Ciò si verifica nella disubbidienza ai comandamenti di Dio in materia grave (per esempio: idolatria, apostasia, bestemmia, aborto, eutanasia, contraccezione, adulterio, ecc.).


«Gesù mio, misericordia!»


Dio, dal canto suo, non è in nessun modo l'autore del peccato. Ma c'è di più, Egli non abbandona colui che ha la sventura di offenderLo, ma gli offre instancabilmente la grazia del pentimento. Il Sangue di Cristo, morto per amore, ha ottenuto per noi un accesso sicuro presso il Dio di misericordia: Il sangue di Cristo purificherà la nostra coscienza da tutte le opere di morte (Ebr., 9, 14). La misericordia è la caratteristica di Dio. Una preghiera liturgica della Messa per i defunti comincia così: «O Dio, il cui proprio è di avere sempre pietà e di perdonare...», e l'orazione Colletta della 26^ domenica ordinaria afferma che Dio manifesta la propria onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia. La misericordia è la massima virtù, poichè spetta a Lui dare agli altri, e, per di più, alleviare la loro indigenza. Questo è il proprio di Dio, che possiede tutto e che può tutto (ved. San Tommaso d'Aquino, II-II, 30, 4). Giovanni Paolo II sottolinea: «La misericordia, in quanto perfezione del Dio infinito, è essa medesima infinita. Infinita dunque ed inesauribile è la prontezza del Padre ad accogliere i figlioli prodighi che tornano a casa. Infinite sono altresì la prontezza e l'intensità del perdono che scaturisce incessantemente dal mirabile valore del sacrificio del Figlio. Nessun peccato dell'uomo può prevalere su tale forza, nè limitarla» (DM, 13).

Il Salvatore dice un giorno a Suor Faustina: «Voglio che i sacerdoti proclamino la mia grandissima misericordia. Voglio che i peccatori si avvicinino a me senza timore alcuno! Fosse l'anima come un cadavere in avanzato stato di putrefazione, non esistesse più, umanamente, alcun rimedio, non è la stessa cosa davanti a Dio! Le fiamme della misericordia mi consumano. Ho fretta di riversarle sulle anime... Nessun peccato, fosse anche un abisso di abiezione, esaurirà la mia misericordia, perchè più vi si attinge e più essa aumenta... È per i peccatori che ho versato tutto il mio sangue. Che si approssimino dunque a me senza alcun timore!» 
Così si spiega la fiducia di San Bernardo: «Il mio corpo di argilla mi opprime di tutto il suo peso, Satana dispone le sue trappole, ma non sono travolto, non cado, perchè sono solidamente fissato sulla roccia incrollabile. So che ho peccato gravemente, la coscienza me lo rimprovera; ma non mi scoraggio, mi ricordo delle piaghe del mio Salvatore, che è stato ferito per le nostre iniquità (Is. 53, 5). Che cosa c'è di tanto mortale che la morte redentrice di Cristo non guarisca? Quando penso ad un rimedio tanto potente ed efficace, non posso aver paura di nessuna malattia, per quanto sia maligna» (Sermone 61 sul Cantico dei Cantici, 5).
San Benedetto, nel Prologo della sua Regola, ci presenta la misericordia divina come un potente motivo di speranza, ed un appello alla conversione: «È per la riparazione dei peccati che i giorni di questa vita ci sono prolungati come una tregua, come dice l'Apostolo: Ignori che la pazienza di Dio ti induce alla penitenza? Poichè il nostro misericordioso Signore dice pure: Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva. «Il pentimento e la conversione sono le disposizioni necessarie per partecipare alla grazia della Redenzione. Il Papa San Giovanni Paolo ci avverte di ciò quando dice: «Da parte dell'uomo, possono limitare (la misericordia) solo la mancanza di buona volontà, la mancanza di prontezza nella conversione e nella penitenza, vale a dire l'ostinazione incessante che si oppone alla grazia ed alla verità, specialmente di fronte alla testimonianza della Croce e della Risurrezione di Cristo» (DM, 13).

Al peccatore pentito, la divina misericordia viene concessa in modo privilegiato nella confessione. «È il sacramento della penitenza o della riconciliazione che appiana la strada di ciascuno, anche quando è subissato da gravi colpe. In questo sacramento, ogni uomo (battezzato) può sperimentare in modo unico la misericordia, vale a dire l'amore che è più forte del peccato» (DM, 13). La misericordia è promessa anche a coloro che sanno perdonare e compatire le altrui sofferenze: Beati i misericordiosi, perchè otterranno misericordia (Matt. 5, 7).


Vittima dell'amore misericordioso


Dopo l'apparizione del 1931, la vita di Suor Faustina è segnata dalla sofferenza fisica, le prove interiori e le umiliazioni. Ma essa accetta tutto con gioia, per ottenere la salvezza dei peccatori, a tal punto che il Sacro Cuore le promette: «Ti darò tutto ciò che vorrai... Per castigare, ho tutta l'eternità. Ora prolungo il tempo della misericordia. Prima di venire in qualità di Giudice, spalanco le porte della mia misericordia... I più grandi peccatori potrebbero diventare grandissimi santi, se confidassero nella mia misericordia». Come Santa Teresa di Gesù Bambino, la religiosa polacca arde di zelo missionario: «Mi sento responsabile di tutte le anime, sento che non vivo per me sola, ma per tutta la Chiesa... O, Gesù mio, abbraccio il mondo intero per offrirlo alla tua misericordia!»

Gli ultimi mesi di Suor Faustina, vissuti in un sanatorio per via della tubercolosi che la consuma fin dal 1933, trascorrono nella preghiera e l'immolazione per gli agonizzanti che la circondano. Ne ottiene spesso la conversione, anche in circostanze umanamente disperate. Si addormenta dolcemente nel Signore, all'età di 33 anni, il 5 ottobre 1938.
Suor Faustina era molto devota alla Santa Vergine, Madre di Misericordia. «Maria, dice il Papa, è colei che conosce più a fondo il mistero della divina misericordia. Ne sa il prezzo, e quanto esso sia grande. Quest'amore misericordioso non cessa, in lei e grazie a lei, di rivelarsi nella storia della Chiesa e dell'umanità» (DM, 9).
Santa Faustina, ottienici, sotto la materna protezione di Maria e di San Giuseppe, il beneficio di accostarci con fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia ed un aiuto divino al momento opportuno (Ebr. 4, 16), per noi e per tutti coloro che ci sono cari, vivi e defunti.
Dom Antoine Marie osb

venerdì 28 marzo 2014

S. Leonardo da Porto Maurizio e la storia del Prelato di Lione

S. Leonardo da Porto Maurizio ripeteva spesso, nelle
sue prediche, la storia del Prelato di Lione che “per
zelo della sua anima, si era ritirato nel deserto a
far penitenza, ed era morto nella stessa ora in cui
era morto S. Bernardo (1090-1153). 
Comparendo, dopo morte, al
suo Vescovo, gli disse: «nella stessa ora in cui morii io,
spirarono tremila persone. Di queste, l’abate S.
Bernardo ed io salimmo subito al cielo; altri tre, andarono
in purgatorio; tutte le altre duemila novecento
novantacinque anime, precipitarono all’inferno!».

AMDG et BVM

sabato 18 gennaio 2014

Grande mezzo di perfezione




La meditazione dei misteri del Rosario, grande mezzo di perfezione

[71] I santi facevano oggetto principale di studio la vita di Gesù Cristo e ne meditavano le virtù e patimenti: è così che giunsero alla perfezione cristiana.

San Bernardo incominciò da tale esercizio e vi perseverò sempre e fedelmente: “Dall'inizio della mia conversione ‑ egli dice ‑ io feci un mazzetto di mirra, composto dei dolori del mio Salvatore e me lo posi sul cuore pensando ai flagelli, alle spine e ai chiodi della passione e impegnandomi con tutto l'animo a meditare ogni giorno su questi misteri”.

Questo era anche l'esercizio dei Martiri: noi ammiriamo il modo con cui seppero trionfare dei più crudeli tormenti. Ma “donde poteva venire ‑ osserva san Bernardo ‑ la mirabile costanza dei martiri se non dalle piaghe di Gesù Cristo, sulle quali essi frequentemente meditavano? Dov'era l'anima di questi generosi atleti, quando il loro sangue colava e i loro corpi erano straziati dai supplizi, se non nelle piaghe di Gesù Cristo? E quelle piaghe li rese invincibili”.

[72] Anche la santissima Madre del Salvatore meditò durante tutta la sua vita, sulle virtù e le sofferenze del Figlio. Quando, alla nascita di Lui, udì gli Angeli cantare l'inno di gioia, quando vide i pastori adorarlo nella stalla, la sua anima, rapita di ammirazione, meditava su tutte quelle meraviglie: ella paragonava le grandezze del Verbo incarnato al suo profondo abbassamento; la paglia e la mangiatoia col trono e il seno del Padre; la potenza di Dio con la debolezza di un bambino, la sapienza di lui con la semplicità.

La Vergine disse un giorno a santa Brigida: “Quando contemplavo la bellezza, la modestia e la sapienza di mio Figlio, l'anima mia era fuori di sé per la gioia, e quando consideravo che le sue mani e i suoi piedi sarebbero stati trafitti dai chiodi, versavo copiose lacrime e il cuore mi si spezzava per la tristezza e il dolore”.

[73] Dopo l'Ascensione di Gesù, la Madonna trascorse il resto della vita nel visitare i luoghi santificati dal Salvatore con la sua presenza e i suoi tormenti. E ivi meditava sull'eccesso della sua carità e sui rigori della passione. Lo stesso esercizio fece santa Maria Maddalena nei trent'anni che visse solitaria nella grotta della “Sainte‑Baume”

San Girolamo dice che questa era anche la devozione dei primi fedeli: “da tutti i paesi del mondo ‑ egli scrive ‑ venivano in Terra santa per imprimersi più profondamente nel cuore l'amore e il ricordo del Salvatore degli uomini, alla vista degli oggetti e dei luoghi consacrati dalla nascita, dalle fatiche, dalle sofferenze e dalla morte di Lui”.

[74] Tutti i cristiani hanno una sola fede, adorano un solo Dio, sperano la stessa felicità nel cielo; tutti conoscono un solo Mediatore, Gesù Cristo; tutti, dunque, devono imitare questo divino modello e perciò considerare i misteri della sua vita, delle virtù e della sua gloria.

E' un errore credere che la meditazione delle verità della fede e dei misteri della vita di Gesù sia solo per i sacerdoti, i religiosi e per coloro che si sono ritirati dai fastidi del mondo. Se i religiosi e gli ecclesiastici hanno l'obbligo di meditare sulle grandi verità della nostra santa religione perché rispondano degnamente alla loro vocazione, i secolari vi sono altrettanto obbligati a causa dei pericoli di perdersi nei quali si trovano ogni giorno. Devono, perciò, armarsi del ricordo assiduo della vita, delle virtù e delle sofferenze del Salvatore che i quindici misteri dei Rosario presentano.

venerdì 27 dicembre 2013

Eccolo il pargolo in mezzo a noi.


Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa!



Anche da noi piccoli sia magnificato il grande Signore, che per farci grandi, ha fatto se stesso piccolo. 

Un pargolo, dice il Profeta, ci è nato, ci fu dato un figlio (Is 9, 6). 

È nato per noi, non per sé, che nato in modo molto più mirabile del Padre prima dei tempi, non aveva bisogno di nascere nel tempo della madre. 

Non è nato per gli Angeli, i quali possedendolo grande, non lo cercavano piccolo. Per noi dunque è nato, a noi fu dato perché a noi era necessario.



15. Profittiamo di questo pargolo nato e dato a noi, realizzando quello per cui ci è nato e ci fu donato. Si è fatto nostro, usiamone a nostro vantaggio, si è fatto nostro Salvatore, usiamone per la nostra salvezza. Eccolo il pargolo in mezzo a noi. 

O Pargolo desiderato dai piccoli! O veramente pargolo, ma per la malizia, non per la sapienza! Sforziamoci di diventare come questo pargolo; impariamo da lui che è mite e umile di cuore, affinché non sia senza ragione che il grande Dio si è fatto piccolo uomo, perché non sia morto invano, invano sia stato crocifisso. 
Impariamo la sua umiltà, imitiamo la sua mansuetudine, abbracciamo la sua dilezione, partecipiamo ai suoi dolori, laviamoci nel suo sangue. 

Offriamolo come propiziazione per i nostri peccati, perché per questo egli è nato ed è stato a noi dato. Offriamolo agli occhi del Padre, offriamolo anche agli occhi suoi, perché da una parte il Padre non risparmiò il proprio Figlio, ma per noi tutti lo ha sacrificato, e dall’altra il Figlio stesso annientò se stesso, prendendo la forma di servo. Egli ha consacrato se stesso alla morte, ed è stato annoverato tra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori (Is 53, 12) perché non perissero. 

Non possono perdersi coloro per i quali il Figlio prega che non periscano, e per i quali il Padre consegnò alla morte il Figlio perché vivano. Dobbiamo dunque sperare il perdono ugualmente da entrambi tutti e due uguali per la pietà e misericordia, che hanno pari potenza nella volontà, un’unica sostanza nella divinità, nella quale un solo Spirito Santo vive e regna con loro Dio per tutti i secoli dei secoli. (San Bernardo, Omelia III)

GESU' MARIA AMORE
VENITE INSIEME NEL MIO CUORE!