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mercoledì 29 aprile 2020

Conoscere e amare san Benedetto

L'ATTUALITÀ DELLA REGOLA DI S. BENEDETTO

Prologo della Regola
Con la sua opera Benedetto, nel VI° secolo ci offre un mirabile esempio di sintesi tra spiritualità orientale e occidentale e ci ricorda quanto sia indispensabile anche oggi il contatto diretto con queste radici cristiane.
Il Concilio Vaticano II (Decreto sull'ecumenismo, 15) ha richiamato all'attenzione non soltanto dei "monaci" o dei religiosi, ma dei cristiani in genere, l'importanza della conoscenza delle fonti orientali, da cui Benedetto attinge: "In Oriente si trovano le ricchezze di quelle tradizioni spirituali che sono state espresse particolarmente dal monachesimo. Ivi infatti fin dai tempi gloriosi dei santi padri fiorì quella spiritualità monastica, che si estese poi all'Occidente e dalla quale, come da sua fonte, trasse origine la regola monastica dei latini e in seguito ricevette ripetutamente nuovo vigore. Perciò caldamente si raccomanda che i cattolici con maggior frequenza accedano a queste ricchezze dei padri orientali, le quali trasportano tutto l'uomo alla contemplazione delle cose divine".
Estratto dal libro "La Regola di S. Benedetto" di Georg Holzherr, edito a cura delle monache benedettine dell'Abbazia "Mater Ecclesiae" - Isola San Giulio (NO)

del Sommo Pontefice Papa Giovanni Paolo II per il XV Centenario della nascita di S. Benedetto, Patrono d'Europa, messaggero di pace.
Testo prelevato dal sito della Santa Sede (http://www.vatican.va)

 Le Benedettine di S. Maria Assunta di Claro (CH)
estratto da "Ora et Labora" Periodico dell’Associazione Amici del Monastero di Claro - 2014

Estratto dal libro "Fermati e ascolta il tuo cuore - Vivere oggi la Regola di San Benedetto " di Joan Chittister, O.S.B.,
Effatà editrice

Estratto e tradotto da "The radical Christian life - A year with Saint Benedict (La radicale vita Cristiana - Un anno con San Benedetto)" di Joan Chittister O.S.B.,
Liturgical Press 2011


LA SAGGEZZA BENEDETTINA PER DARE NUOVA VITA E NUOVA SPERANZA ALLA COMUNITÀ FAMILIARE


Estratto dal libro "San Benedetto e la vita familiare" di D. Massimo Lapponi O.S.B.,
Libreria Editrice Fiorentina

P. Réginald Gregoire (1935-2012) O.S.B. - Università di Pisa
Conferenza tenuta a Norcia l’8 marzo 1986

Estratto dal libro "SAN BENEDETTO dal passato al futuro dell'Europa" di Reginald Gregoire, O.S.B.,
 edito dall'Abbazia San Benedetto - Seregno

Estratto dal libro "Alla ricerca di Dio - La strada di S. Benedetto" di Esther de Waal,
 edito a cura della Comunità monastica benedettina di S. Giovanni Evangelista - Lecce

Estratto dal libro "La vita quotidiana secondo San Benedetto" di Léo Moulin,
 edizioni Jaca Book


Giuseppe Cremascoli
Estratto da “BENEDICTINA”    ANNO 55 - FASC. N.2 LUGLIO-DICEMBRE 2008
CENTRO STORICO BENEDETTINO ITALIANO

Prefazione alla seconda edizione italiana del libro "Dopo la virtù" di Alasdair MacIntyre,
 Armando Editore


A SCUOLA DI MANAGER CON SAN BENEDETTO?
Alcuni testi e commenti controversi sull'argomento


21 luglio 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net

giovedì 6 febbraio 2020

Davanti al bivio

Nel mondo non del mondo. 

La fede nell'epoca post cristiana

L’uomo è davvero davanti al bivio, come mai prima d’ora, tra Dio e la società? 
Ne hanno discusso il saggista americano Rod Dreher, il direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian e Giuliano Ferrara
L’opzione Benedetto
Lo scrittore americano Rod Dreher, autore del libro "L'Opzione Benedetto"

Pubblichiamo la trascrizione della conversazione tra il saggista americano Rod Dreher, il direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian e Giuliano Ferrara, avvenuta lunedì 10 settembre al Teatro Piccolo Eliseo di Roma sulla fede nell’epoca post cristiana e l’Opzione Benedetto. L’evento è stato organizzato dal Foglio con la Fondazione De Gasperi. 

Rod Dreher: Buonasera a tutti e grazie davvero di essere con noi stasera, per me è un grande onore essere qui perché provengono dall’Italia tre delle figure più importanti che hanno segnato la mia vita, ovvero san Benedetto da Norcia poi Dante Alighieri e da ultimo Marco Sermarini. Oggi la chiesa è in grande crisi, la più grande dai tempi della Riforma, forse la più grande dalla caduta dell’Impero romano. Il Papa e i suoi predecessori sono accusati di aver coperto i misfatti di un cardinale gay corrotto e altri invece sostengono che il Papa sia vittima di un complotto conservatore. Viviamo in un’epoca in cui vescovo si contrappone a vescovo e il laicato è in uno stato di confusione ed è anche spaventato. Andando oltre la cronaca quotidiana, la fede è stata in grave declino per intere generazioni. In Italia come in America noi cristiani non siamo stati in grado di trasmettere la fede ai nostri figli. Mi sembra chiaro che ormai viviamo in una società post cristiana. (…)

Ma allora cosa deve fare un cristiano fedele? Ora vi chiedo di accompagnarmi verso la periferia orientale della città di Roma, siamo attorno all’anno 500 e un giovanotto corre verso la foresta accompagnato dalla sua balia. Il giovanotto è Benedetto, è nato a Norcia da genitori cristiani ed era arrivato a Roma per completare la sua istruzione. L’Impero era già caduto e la capitale era dominata dai barbari. Gli standard morali dei romani avevano subìto un crollo impressionate e il giovanotto aveva visto i suoi compagni sprofondare nella corruzione. Il giovanotto temeva che la stessa cosa sarebbe successa anche lui, che avrebbe perso Dio e la sua anima immortale.

Benedetto lascia tutto alle spalle e non sa cosa il futuro ha in serbo per lui. Sa solamente che se resta a Roma rischia di perdere la fede. Dunque, Benedetto ha intenzione di andare a vivere in una grotta a Subiaco dove digiunerà. Pregherà, leggerà le sacre scritture e aspetterà che Dio gli dica cosa fare. Dopo tre anni, Benedetto uscirà dalla sua grotta e fonderà i monasteri che chiamerà “scuole per il servizio del signore”. Un giorno scriverà la sua famosa Regola che è rivolta ai laici che desiderano vivere in una comunità cristiana. La regola di Benedetto è breve e molto semplice. Tuttavia, è uno dei documenti più incisivi della civiltà occidentale. I monaci benedettini hanno salvato la nostra civiltà perché durante il medioevo i monasteri benedettini si sono sparsi in tutta Europa come le stelle nel firmamento e sono stati centri di dottrina, di studio e di luce in tempi molto bui. I monaci hanno preservato la memoria dell’occidente e l’hanno tenuta viva nelle loro biblioteche e hanno posto le fondamenta per la rinascita della vita civile.
La chiesa, dice Rod Dreher, è in grande crisi, “la più grande dai tempi della Riforma, forse la più grande dalla caduta dell’Impero romano”

Vorrei essere chiaro su un punto, san Benedetto non si era prefisso di salvare la civiltà occidentale ma voleva solo essere fedele alla lezione di Dio e vivere in una comunità dove poteva insegnare agli altri come vivere da cristiano. Alla sua morte, avvenuta nel quarto decennio del Sesto secolo, Benedetto ha lasciato dietro solo un piccolo numero di monasteri nei pressi di Roma. Tuttavia, ha lasciato dietro un modo di vivere il Vangelo che avrebbe raccolto le energie spirituali sparse nel suo tempo e nei suoi luoghi e le avrebbe sottoposte a un processo di raffinamento e avrebbe preparato l’occidente per la grande fioritura che si è avuta sei secoli dopo con san Francesco di Assisi. Che è stato giusto per il suo tempo esattamente come Benedetto è stato giusto per il suo tempo ma Benedetto è giusto anche per il nostro tempo. Io credo che Benedetto sia un esempio per noi cristiani di oggi. (…)

A me sembra che sia un suicidio spirituale restare dentro al mondo post cristiano se la situazione delle famiglie è questa. Oggi noi cristiani siamo nella stessa situazione del giovane Benedetto che è di fronte alla società moderna ma è anche di fronte a una scelta che cambierà la sua vita. Abbiamo il coraggio di voltare le spalle a quel mondo e di avviarci nel fitto della foresta in cerca del Signore? Vogliamo più Dio o il mondo? Se la risposta è Dio, abbiamo già compiuto i primi passi in quella che io chiamo l’opzione Benedetto. La crisi oggi è spaventosa eppure cosa ci sentiamo dire dai nostri leader? Che tutto va bene, che non dobbiamo essere preoccupati ma felici.

A me sembra come se stesse arrivando un’inondazione disastrosa ma i nostri leader ci dicono: “Rilassatevi e godetevela, adesso fuori dalla porta di casa avete un bellissimo lago”. Cari amici, l’inondazione è arrivata e l’acqua sta salendo velocemente. Quello che stiamo facendo noi cristiani non funziona e quindi è il momento di avviare un cambiamento radicale, è ora di costruire arche prima che l’inondazione non ci travolga”. Tre anni fa quando ho compiuto la mia prima visita al monastero di Norcia sono stato a pranzo col Priore, padre Cassiano Folsom, e gli ho parlato dei punti principali dell’opzione Benedetto. Il primo principio è che noi cristiani dobbiamo vederci come degli esuli in un mondo che si sta facendo sempre più ostile all’autentica fede cristiana. Tuttavia, dobbiamo essere quelle che Benedetto chiamava “le minoranza creative”, dobbiamo imparare a vivere con gioia il nostro esilio interno.
Dreher: “I monaci hanno preservato la memoria dell’occidente e hanno hanno posto le fondamenta per la rinascita della vita civile”
  
Secondo principio. Dobbiamo recuperare la preghiera e tutte le altre discipline spirituali che hanno radice nelle tradizioni della chiesa. Noi cristiani comuni dobbiamo lavorare per rendere più monastica la nostra fede, dobbiamo vivere come se tutto quello che facciamo fosse preghiera e la vita fosse una manifestazione dello Spirito Santo. E’ l’unico modo in cui possiamo recuperare la dimensione sacra della vita che nella modernità è andata persa. Il terzo principio è che dobbiamo recuperare un senso profondo dell’ordine, e non sto parlando solo di seguire le regole dico che dobbiamo recuperare un rapporto corretto con Dio e con il mondo.

Quarto, dobbiamo stabilire una qualche forma di vita cristiana comune per affrontare questa catastrofe. Quinto, noi dobbiamo respingere quella che Benedetto XVI ha chiamato la dittatura del “relativismo” e dobbiamo educare noi stessi e i nostri figli secondo gli insegnamenti della chiesa e secondo le tradizioni culturali e letterarie della nostra civiltà. Sesto e ultimo punto, la nostra vocazione deve essere quella di vivere nel mondo e non nei monasteri ma non dobbiamo farci assimilare da questo mondo. Ha ragione Papa Francesco quando dice che “noi cristiani siamo chiamati a condividere la nostra fede e il nostro amore per Cristo con il mondo” però non possiamo dare quello che non abbiamo. Padre Cassiano mi ha ascoltato con attenzione e poi mi ha detto che tutti i cristiani che non riusciranno a seguire l’opzione Benedetto non riusciranno ad affrontare queste tenebre che scenderanno su di noi, con la fede intatta. Mi ha detto che “ci sono dei cattolici che vivono secondo l’opzione Benedetto, vivono sull’altro versante delle montagne a San Benedetto del Tronto, dovresti andare a trovarli”.

Ed e così che ho incontrato i “tipi loschi”, che sono il migliore esempio a mia conoscenza di come dovrebbe funzionare l’opzione Benedetto. E così che ho conosciuto Marco Sermarini che di questo gruppo è il leader ed è uno dei miei eroi. Se pensate che l’opzione Benedetto sia un consiglio che vi porterà nel cuore paura e rabbia, vi esorto a passare un po’ di tempo con i “tipi loschi”. Si tratta di famiglie cattoliche attive dedite al magistero della chiesa e colme del Vangelo. I “tipi loschi” seguono l’esempio del beato Pier Giorgio Frassati, e vanno a messa in parrocchia. Studiano la Bibbia, pregano insieme, condividono i pasti e compiono pellegrinaggi soprattutto nel monastero benedettino di Norcia. Coltivano il loro giardino e hanno persino fondato una scuola cattolica, intitolata a Gilbert Keith Chesterton.
Secondo l’autore de “L’opzione Benedetto”, è necessario stabilire una qualche forma di vita cristiana comune per affrontare la catastrofe

Loro servono i poveri e dunque sono un esempio di controcultura, proprio secondo la chiamata di Papa Benedetto a essere delle “minoranza creative” in questa società post-cristiana. Marco e i suoi compagni di università hanno iniziato i “tipi loschi” negli anni Novanta quando erano tutti molto insoddisfatti dal cattolicesimo così come era vissuto ogni giorno. Marco e i suoi amici cercavano un modo più radicale per servire Dio, e hanno imparato che l’unica cosa di cui avevano bisogno da cristiani fedeli ce l’avevano davanti agli occhi da sempre. Queste verità erano state sempre nascoste. Marco mi ha detto che “noi non abbiamo scoperto niente, ci siamo solo ricordati di alcuni insegnamenti che avevamo chiuso in una scatola e l’avevamo dimenticati”. Il futuro del cristianesimo viene deciso dalle comunità di veri credenti come lo sono i “tipi loschi”. E’ vero, in un certo senso, lasciano il mondo così come San Benedetto ha voltato le spalle a Roma e se n’è andato. Però, da un punto di vista simbolico, queste persone entrano nella grotta di Subiaco per affondare le loro radici spirituali sempre più giù. E loro non restano nella grotta, non vivono da eremiti, ma entrano nel mondo per condividere i doni del Signore così come ci ha incoraggiato Papa Francesco. L’opzione Benedetto non riguarda solo la nostra sopravvivenza come cristiani ma riguarda anche il futuro del genere umano. Se noi dobbiamo essere per il mondo come Cristo ci ha insegnato, allora dobbiamo trascorrere più tempo lontani dal mondo, dobbiamo pregare e seguire una formazione spirituale più seria. (…)

L’opzione Benedetto non è una formula magica, è un modo di vivere la vita da cristiani in una civiltà post cristiana. E’ un appello alla chiesa affinché svolga la sua funzione in delle circostanze che non ha mai vissuto fin dai suoi primi secoli. E quindi l’opzione Benedetto sarà diversa a seconda dei luoghi perché i cristiani che la seguono devono adattare i princìpi alle loro tradizioni locali. Per questo motivo non dobbiamo essere rigidi e nostalgici ma dobbiamo lavorare insieme per costruire un futuro praticabile per noi stessi e per i nostri figli. Lo scopo comune è una ricerca radicale di santità.
Il discorso “profetico” del professor Joseph Ratzinger sulle minoranze creative che salveranno la chiesa. Correva l’anno 1969
  
Qualsiasi cosa sia meno di questo diventerà ateismo, non ci sono altre opzioni. C’è già stato un Benedetto che tutto questo lo aveva previsto. Nel 1969 un sacerdote di nome Joseph Ratzinger ha avanzato una profezia. Parlando agli ascoltatori della radio tedesca Ratzinger predisse una grave crisi che avrebbe distrutto gran parte della ricchezza e del potere della chiesa. Predisse che la chiesa sarebbe diventata molto più piccola ma i superstiti sarebbero stati il seme del rinnovamento. Ratzinger aggiunse queste parole: “Il futuro della chiesa potrà venire e verrà da coloro le cui radici sono profonde e vivono a partire dalla pienezza della loro fede. Il futuro della chiesa sarà plasmato di nuovo dai santi, quegli uomini la cui mente indaga più a fondo degli slogan quotidiani. Quegli uomini che vedono più degli altri perché le loro vite abbracciano una realtà più ampia. Joseph Ratzinger è stato un profeta e il santo di cui ha scelto di prendere il nome quando è stato eletto Papa, cioè Benedetto di Norcia, ci mostra come sopravvivere a questa epoca buia. Ci mostra come facciamo a sopravvivere a questa nuova età di tenebra e come possiamo essere una vera luce per il mondo.

Torniamo a san Benedetto che lasciava Roma. Era un ottimista? Certo che no. Benedetto in quel momento vedeva corruzione ovunque ma aveva fede in Dio e si è messo a cercare il Signore procedendo sempre avanti. Attraverso la sua rinuncia, in cui ha detto sì a Dio e no al mondo, ha aperto le porte a un glorioso rinascimento della fede. Non ottimismo, ma speranza. Mentre l’Impero che ci circonda cade in rovina, noi cristiani oggi attendiamo un nuovo Benedetto che indubbiamente sarà molto diverso da quello antico. Invito ciascuno di voi a riflettere e ad ascoltare queste mie parole. “Amico mio, magari tu sei colui che il Signore sta chiamando a guidare il suo popolo in un’epoca come questa”.

Il Foglio: Direttore Vian, cosa pensa della lettura che fa Rod Dreher della questione? Siamo davvero come non mai davanti al bivio: o Dio o il mondo?

Giovanni Maria Vian: Sì e no. Questo libro è molto ben costruito, molto suggestivo; del resto abbiamo ascoltato che è frutto di dieci anni di lavoro. Ma contiene molto di più di quanto l’autore ci abbia spiegato fino adesso sintetizzandone il messaggio. Il lettore trova anche una breve storia dei venti secoli cristiani e non cristiani in occidente. Ed è un libro fortemente radicato nella realtà statunitense, benché poi guardi a oriente, all’Italia, al centro dell’Italia, a Norcia, e a San Benedetto del Tronto. Resta però un libro fortemente americano. Una realtà certo importante e che influisce sull’Europa occidentale, ma che è una realtà particolare. L’editore, esemplandosi sull’edizione originale, ha scelto l’immagine suggestiva di una cittadella su un monte circondato da nubi e nebbie. È un po’ quello che l’autore accennava anche durante la presentazione e che nel libro ritorna con espressioni angoscianti come quella di una “nuova età oscura”.

Vian: “I riflettori sono puntati da Dreher su una piccola parte del mondo. E’ un libro suggestivo, ma non convincente”
Davanti a questa situazione Dreher propone la costituzione di piccoli monasteri, le famiglie, e di piccole aggregazioni di famiglie che arrivano a costruire delle scuole cristiane, di diverso livello, addirittura fino all’insegnamento secondario superiore, par di capire. Il sottotitolo, “Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano”, può essere accolto, ma se si aggiungono due aggettivi: “Una strategia per i cristiani conservatori in un mondo post-cristiano”. E’ questo il limite principale del libro. Anche se è efficace lo slogan scelto dagli organizzatori di questa presentazione: “Nel mondo, non del mondo”, che è la notissima espressione giovannea, il libro – chiaramente molto ideologico e molto schierato – è un po’ debole dal punto di vista complessivo della storia occidentale, se non altro per il fatto che è molto parziale. I riflettori sono puntati su una piccola parte del mondo. Ma soprattutto è un libro non convincente. Suggestivo, ripeto, ma non convincente. Dreher è poi molto al corrente di tutto quello che omette. Mi limito a un paio di citazioni. L’autore è attualmente cristiano ortodosso e fa un’allusione alla “preghiera del cuore” che gli italiani di una certa età, di formazione cattolica, riconoscono subito perché è al centro di quel straordinario libro che è “I racconti del pellegrino russo”.

Questa preghiera del cuore è però raccomandata da un monaco all’autore con le parole “in questo modo tu ti astrai da te stesso”. Rischia insomma l’effetto “terapia”, che Dreher, giustamente a mio avviso, detesta. L’altra citazione, esplicita invece, è da Bonhoeffer, non ricordo se da La vita comune, senza ricordare la sua definizione del monachesimo come reazione alla mondanizzazione della chiesa. Sintetizzando, Dreher – ed è il limite principale – propone di stare “fuori del mondo”. Fuori del mondo bisogna starci, è chiaro: tutto il corpus giovanneo è percorso dalla tensione tra luce e tenebre e via discorrendo. Questo senz’altro. E lo stesso autore dice poi che bisogna andare nel mondo e cita il Pontefice e il suo predecessore, Benedetto XVI. Ed un po’ tutta la storia cristiana. Benedetto si ispira al monachesimo egiziano, ad Antonio, a Pacomio. A sua volta questo si ispira a un modello giudaico, poco noto ma descritto in maniera affascinante da Filone nel De vita contemplativa. Il monachesimo – proprio Bonhoeffer lo descrive con grande lucidità, anche se non è naturalmente il primo a farlo –  è una reazione alla mondanizzazione della chiesa.

La situazione che Dreher descrive, quella che oggi si vive più nell’Europa occidentale che negli Stati Uniti, è una invece situazione di scristianizzazione. In un contesto di secolarizzazione che inizia alla fine del medioevo e attraverso un lungo processo di secolarizzazione che però ha anche purificato le chiese cristiane. Resta un po’ a margine l’ortodossia cui adesso appartiene Dreher. Ma resta poi fuori tutto il mondo che attualmente costituisce la grande maggioranza del mondo cristiano. I cristiani di diverse confessioni crescono soprattutto nell’emisfero sud. Ed è interessante che il monachesimo conosca un risveglio anche non cattolico a metà dell’Ottocento con il movimento di Oxford. Nascono molti gruppi monastici anglicani, soprattutto. Ma poi negli anni quaranta del secolo scorso vi è il fenomeno di un monachesimo che nasce protestante e diventa realmente ecumenico: sto parlando dalla comunità di Taizé, realtà che attira sin dalla metà degli anni sessanta moltissimi giovani, soprattutto europei, ma che progressivamente si apre anche al resto del mondo. E consiglierei Dreher, nel suo prossimo viaggio in Italia, di andare in Piemonte, a Bose.

Lì, una cinquantina d’anni fa, nasce un’altra comunità monastica ecumenica che ha oggi un’incidenza rilevante. E si potrebbe continuare ancora. Guardando al monachesimo tradizionale – non alludo a quello dei benedettini di Norcia, e penso per esempio soltanto Montecassino – viene invece da piangere, davvero “sunt lacrimae rerum”. Questi monachesimi a cui ho accennato sono monachesimi diversi, su cui sarebbe interessante sentire l’opinione di Dreher. Il libro si apre con questa immagine suggestiva dell’uscita di Benedetto da Roma, che lascia la città imperiale in rovina. Sì, Benedetto affascina, ma poi Francesco e Domenico nascono come reazione alla mondanizzazione del monachesimo benedettino. Di fronte all’incredulità che comincia ad affermarsi fortemente, Ignazio, un giovane basco, ha l’intuizione studiando nell’università di Parigi della futura Compagnia di Gesù. Ascoltando la storia di Benedetto che lascia Roma, mi è però venuta in mente un’altra storia, tratta da un antico apocrifo cristiano e rilanciata enormemente da un romanziere polacco, poi ripreso in numerosi film.

Un libro “giustamente ideologico”, fatto “non per essere affidato ai caratteri mobili bensì alle anime”, osserva Ferrara
In “Quo vadis?” Pietro di fronte alla persecuzione lascia Roma e sulla via Appia, dove oggi c’è una bella chiesetta barocca, incontra il Signore che sta andando verso Roma. E Pietro gli chiede: Signore, dove vai? (“Domine, quo vadis?”). E questi risponde che sta andando a Roma a farsi crocifiggere di nuovo. Che è il percorso inverso di quello di Benedetto. Credo che alle donne e agli uomini di oggi parli di più un modello di cristianesimo più comprensibile. Nel 1950, Giovanni Battista Montini, che tredici anni dopo verrà eletto Papa e prenderà il nome di Paolo, il propagandista più sensazionale del cristianesimo, incontrò per la prima volta Jean Guitton, autore poi dei Dialoghi con Paolo VI. Montini gli dirà, a proposito di un suo libro pubblicato finito sotto gli strali del Sant’Uffizio e dell’Osservatore Romano: bisogna essere antichi e moderni, perché a cosa serve dire quello che è vero se gli uomini del nostro tempo non ci capiscono? Ecco, io credo che questo libro parli a chi è già convinto ma non riesca ad andare molto più in là.

Giuliano Ferrara: Io ho due obiezioni. Naturalmente è interessante e suggestivo, come diceva Vian, mettersi da parte per custodire un seme partendo da un autentico spavento, dalla ricognizione di un panorama in cui campeggia questa inondazione, spirano venti tempestosi, tutto è in pericolo. E’ suggestivo ed è bello questo costruire un esilio e farlo in modo creativo, combinare minoranze diverse, farlo in quello che è il centro della crisi, il luogo della inondazione (che non è l’emisfero sud del mondo, bensì l’occidente euro-americano, la vecchia Europa, l’anglosfera). Io penso che non si possa erigere un’obiezione teologica, di pensiero, culturale o addirittura magisteriale contro una pretesa di questo genere che implica il vissuto, l’esperienza diretta, il sacrificio di un’esistenza più semplice: compromissoria. E’ ovvio che l’Opzione Benedetto va bene. Anche la pratica, pur essendo naturalmente da definire e da capire. Anche io non conosco i “tipi loschi”, ma conosco Bose e tutto sommato vorrei andare dai “tipi loschi”.

Però ho due obiezioni di fondo. In questo libro, ovviamente colto, interessante e ben documentato – e molto ideologico, in cui Dreher mette il suo stampo, il suo imprinting, e fa benissimo a farlo. E’ un libro-esperienza, non è “libresco”, non è fatto per essere affidato ai caratteri mobili, ma alle anime, ai credenti, a un pubblico reattivo e forte –, si parte dalla rottura filosofica generativa della modernità che è quella del filosofo nominalista Guglielmo di Occam (un francescano che ha creato grandi aspettative alla cultura moderna ma che ha creato grandi guai alla chiesa perché ha corroso profondamente la vecchia metafisica scolastica, quel grande equilibrio che Tommaso in contraddizione e conflitto con Agostino aveva costruito dando all’uomo medievale quella custodia, quella protezione straordinaria che era il suo cosmo. Questo cosmo viene infranto da Occam). Giustamente Dreher dice che le radici della crisi non sono negli articoli del New Yorker di venti o dieci anni fa, non sono negli articoli del New York Times e neanche nella sola Rivoluzione francese. No, le radici sono lontane e profonde. L’impressione è quella di una rovina che accumula detriti su detriti e uccide una specie di situazione originaria felice del cristianesimo letto e interpretato dai Padri, esperito dai monaci, e poi alla fine distrutto da un’ondata demoniaca.

Benedetto che lascia Roma, un’immagine opposta al Signore dell’apocrifo “Quo vadis?” che torna per farsi cocifiggere
Il discorso di Benedetto XVI ai Bernardini ha tutta un’altra luce. Niente di quello che dice Ratzinger è direttamente contraddicibile con quello che dice Dreher: non faccio un confronto stupido tra i testi, anche perché uno è un testo magisteriale e l’altro è un lavoro di ricerca. Però ecco, è tutta un’altra cosa. Perché il progetto di Benedetto XVI di Illuminismo cristiano partiva dal fatto che l’uomo moderno è stato costruito dal cristianesimo e non contro il cristianesimo. La modernità intorno a quel grande nucleo che è il concetto di persona e a quella grande quintessenza del cristianesimo che è la nozione di libertà nasce dal cristianesimo e lo rinnega nel momento in cui relativizza la verità. Cioè nel momento in cui separa la verità dalla sua sfericità, dalla sua universalità operativa per tutti gli uomini, universalità di credo e di ragione.

Nel discorso di Ratzinger si dice subito, alle prime righe, che i due elementi fondamentali del contributo del monachesimo alla costruzione del mondo moderno sono le désir de Dieu e l’amour des lettres. Cioè, la cultura, il desiderio di Dio e l’amore grammaticale per la parola con la “p” minuscola, non quindi l’amore ovvio per la Parola rivelata e rivelante, ma proprio l’amore per quella facoltà della fede di spiegare le sue ragioni che avviene attraverso il linguaggio. D’altra parte, ed è il secondo punto, la seconda obiezione amichevole a Dreher è questa: che cosa chiede la modernità rovesciata e pervertita da un punto di vista cristiano al cristiano e di conseguenza alla sua chiesa? Gli chiede di essere privato, di aderire a un culto privato, stabilire le sue regole, amare e venerare il suo Dio nel foro interiore, privatizzarlo, familiarizzarlo anche nella forma e nell’amore comunitario. L’importante è che non pretenda di esondare nello spazio pubblico.

E invece proprio questo è stato il segnale di Benedetto. Dreher fa bene a riferirsi a Ratzinger, al suo pontificato, al significato carismatico che ha avuto la sua elezione, a tutto il ciclo giovanpaolino-ratzingeriano, a Benedetto XVI che come Papa della Renuntiatio è il vero grande Papa della crisi (ha aperto il XXI secolo con un inaudito atto di coraggio, di forza, di verità, molto tragico come quello di ...abbandonare il Soglio); fa bene a riferirsi a lui. Però, e in qualche riga lo si vede esplicitamente, lui dice “ma perché continuiamo a fare le guerre culturali? Perché pensiamo di poter mettere un argine magari con la norma, con la legge (vi ricordate il referendum sulle tecniche biogenetiche che si tenne in Italia, poi completamente disatteso dalla prassi delle sentenze, del diritto). Ha ragione Dreher quando dice che le guerre culturali sono state perse, con la sentenza Obergefell sul matrimonio tra persone dello stesso sesso negli Stati Uniti –  e non tanto per la sentenza, ma perché la sentenza era molto popolare e nasceva da un radicale cambiamento di opinione.
Ferrara: “Dreher fa bene a citare Ratzinger, ma il discorso di Benedetto XVI ai Bernardini ha tutta un’altra luce”
Ha ragione certo, le battaglie culturali sono state perse. Che però il problema dei cristiani sia quello di occupare uno spazio non privato, ma pubblico, e che questo abbia un intrinseco elemento di contraddizione culturale che deriva dal vissuto della fede e dai significati che i cristiani danno alla fede personale, ma nell'arena pubblica, è un altro portato del lungo periodo in cui Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno esercitato la funzione di Papa o di prefetto della congregazione per la Dottrina della fede. E’ il grande scandalo culturale a cavallo del Terzo millennio, ed è una cosa rispetto alla quale l’Opzione Benedetto (del tutto lecita, fertile e feconda di qualcosa rispetto allo stato disagiato della chiesa contemporanea e dei suoi fedeli) mi sembra laterale. Non coglie lo scandalo, non lo lascia emergere. E’ una soluzione al ribasso che chiude strade, strutture di relazione, che provoca un ripiegamento.
(ha collaborato Gregorio Sorgi)

giovedì 11 luglio 2019

San Benedetto da Norcia

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Benedetto, nato a Norcia da nobile famiglia ed istruito a Roma nelle discipline liberali, per darsi interamente a Gesù Cristo si ritirò in una profonda spelonca presso un luogo detto Subiaco ; nella quale si mantenne nascosto per tre anni senza che lo sapesse altri che il monaco Romano, che gli forniva il necessario alla vita. Un giorno avendo il diavolo eccitata in lui una violenta tentazione d'impurità, si ravvoltolò fra delle spine finché, tutto lacero nel corpo, il senso della voluttà fu soffocato nel dolore. Ma la fama della sua santità già sparsasi lungi da quella spelonca, alcuni monaci si misero sotto la sua condotta: non potendo però sopportare le sue riprensioni meritate per la loro vita licenziosa, risolsero di mettergli del veleno nella bevanda. Ma nel presentargli da bere, egli con un segno di croce mandò in frantumi il vaso e, abbandonato il monastero, ritornò nella solitudine.

Ma siccome venivano a lui ogni giorno molti discepoli, edificò dodici monasteri, munendoli di santissime leggi. Poi si portò a Cassino, dove spezzò un idolo d'Apollo che ancora vi si venerava, ne rovesciò l'altare e bruciò i boschetti; e vi costrusse un tempietto a san Martino e una cappella a san Giovanni, ed istruì i terrazzani e gli abitanti nel la religione cristiana. Ond'è che Benedetto cresceva ogni dì più nella grazia divina, così da predire anche l'avvenire con spirito profetico. Il che avendo appreso Totila re dei Goti, per provare se la cosa era veramente così, si fece precedere dal suo scudiero con vesti e seguito reale perché si fingesse il re. Ma appena Benedetto l'ebbe Visto; Deponi, figlio, disse, deponi ciò che porti, perché non è tuo. A Totila poi predisse la sua entrata in Roma, la traversata del mare, e la morte dopo nove anni.


Alcuni mesi prima di morire, egli annunziò ai suoi discepoli il giorno della sua morte; e ordinò che sei giorni prima gli si aprisse la tomba in cui voleva fosse inumato il suo corpo: il sesto giorno volle essere portato in chiesa; dove, ricevuta l'Eucaristia, pregando cogli occhi alzati al cielo, spirò l'anima fra le braccia dei discepoli: e due monaci la videro salire in cielo, ornata d'un preziosissimo pallio, circondata da lampade fulgenti, e udirono dire da un uomo dall'aspetto risplendentissimo e venerando che stava sopra la testa di lui: Questa è la via, per cui il diletto del Signore, Benedetto, è asceso al cielo.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 9 aprile 2008

San Benedetto da Norcia
Cari fratelli e sorelle, 
vorrei oggi parlare di san Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio pontificato. Comincio con una parola di san Gregorio Magno, che scrive di san Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina” (Dial. II, 36). Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella memoria della gente e soprattutto nel fiorente Ordine religioso da lui fondato. San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea.

 La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio. Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione. San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo. 

Questa prospettiva del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. Con la presentazione di san Benedetto come “astro luminoso”, Gregorio voleva indicare in questa situazione tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p. 1158). Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”. 

La nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno 480. Proveniva, così dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regione della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione pienamente credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). 

Così, ancora prima della conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una “comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco. Lì visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Medioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro Speco”. 

Il periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo di maturazione. Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace intorno a sé. Solo allora decise di fondare i primi suoi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco.

Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. Alcuni hanno spiegato questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso ecclesiastico locale. Ma questo tentativo di spiegazione si è rivelato poco convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedetto a ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. 
     Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo 547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo. 

Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. 

Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). 
     Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.

All’obbedienza del discepolo deve corrispondere la saggezza dell’Abate, che nel monastero tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figura, delineata soprattutto nel secondo capitolo della Regola, con un profilo di spirituale bellezza e di esigente impegno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto, poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo non poté in alcun modo insegnare diversamente da come visse” (DialII, 36). 
     L’Abate deve essere insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore. Inflessibile contro i vizi, è però chiamato soprattutto ad imitare la tenerezza del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad “accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta “il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore” (3,3). Questa disposizione rende sorprendentemente moderna una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere anche un uomo che sa ascoltare e sa imparare da quanto ascolta. 

Benedetto qualifica la Regola come “minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi.            Paolo VI, proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la formazione della civiltà e della cultura europea. 
     Oggi l’Europa – uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. 
      Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/1, 1990, p. 58). Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero.

Saluti:
Je suis heureux de vous accueillir chers pèlerins francophones. Je salue en particulier le groupe de la Vallée de l’Andelle dans le diocèse d’Évreux ainsi que les jeunes venus notamment de Neuilly, de Rueil-Malmaison et de Pontivy. A l’exemple de saint Benoît, donnez une place importante à la prière et à la contemplation du visage du Christ ressuscité présent et agissant dans votre vie! Bon temps pascal!
I am happy to greet the English-speaking visitors present at today’s Audience, including the pilgrims from the Archdiocese of Manila, and the many groups from England and the United States. May your lives, after the example of Saint Benedict, be lived in humility, prayer, obedience to God and faithful service to your neighbour. May the Lord bless you and your families!
Von Herzen heiße ich alle deutschsprachigen Audienzteilnehmer willkommen; einen besonderen Gruß richte ich heute an die Alumnen des "Collegium Orientale" in Eichstätt. Und natürlich begrüße ich auch besonders die Leserreise des Traunsteiner Wochenblattes. Folgen wir dem Rat des hl Benedikt: "Der Liebe zu Christus nichts vorziehen". Dann finden wir zu einem erfüllten, zu einem wirklichen Menschenleben; und wir können so zur Erneuerung der Gesellschaft aus dem christlichen Glauben beitragen. Der Herr segne euch alle.

Saludo cordialmente a los fieles de lengua española, en particular, a los miembros del Curso de actualización sacerdotal del Pontificio Colegio Español de Roma, al grupo de Lleida con su Obispo, Monseñor Javier Salinas, a la Institución “Padre Rubinos” de A Coruña, y a los demás peregrinos venidos de España, Argentina, Ecuador y otros países latinoamericanos. Os exhorto a que, siguiendo las huellas de San Benito, no antepongáis nada al amor de Cristo. Muchas gracias.

Saluto in lingua croata:
Srdačnu dobrodošlicu upućujem svim hrvatskim hodočasnicima, a osobito vjernicima župe Gospe od Zdravlja iz Splita te župe Blaženoga Alojzija Stepinca iz Varaždina. Svojim životom budite navjestitelji radosne vijesti Gospodinova uskrsnuća. Hvaljen Isus i Marija!
Traduzione italiana:
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini croati, particolarmente ai fedeli della parrocchia della Madonna della Salute di Split e della parrocchia del Beato Luigi Stepinac di Varaždin. Con la vostra vita siate gli annunciatori del lieto messaggio della risurrezione del Signore. Siano lodati Gesù e Maria!
Saluto in lingua lituana:
Nuoširdžiai sveikinu piligrimus atvykusius iš Lietuvos. Brangūs bičiuliai, raginu Jus būti visuomet dosniais Kristaus mokiniais ir visur liudyti jo išganymo žinią. Širdingai visus laiminu. Garbė Jėzui Kristui!
Traduzione italiana:
Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dalla Lituania. Cari amici, vi esorto ad essere sempre generosi discepoli di Cristo e di testimoniare ovunque il suo messaggio di salvezza. Di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua polacca:
Pozdrawiam serdecznie uczestniczących w audiencji Polaków. Witam wiernych z parafii świętego Jakuba oraz z Sanktuarium Matki Bożej ze Szczyrku na czele z biskupem Tadeuszem Rakoczym. Pozdrawiam pracowników Portu Lotniczego w Warszawie oraz uczestników Światowych Rekolekcji Podhalańskich. Wszystkim tu obecnym życzę obfitych darów paschalnych i z serca błogosławię.
Traduzione italiana:
Saluto cordialmente tutti i Polacchi che partecipano a quest’udienza. Saluto i fedeli dalla Parrocchia di san Giacomo e dal Santuario della Madre di Dio in Szczyrk con il Vescovo Tadeusz Rakoczy. Saluto i rappresentanti dei dipendenti dell’aeroporto di Varsavia e anche i partecipanti agli esercizi spirituali, per le persone provenienti dalla regione di Podhale, venute da diverse parti del mondo. A tutti i qui presenti, auguro abbondanti doni pasquali e vi benedico tutti di cuore.

Saluto in lingua ungherese:
Isten hozta a magyar zarándokokat, különösen is a tusnádfürdői csoport tagjait. A húsvéti idő adja meg nektek a lelki megújulást. A Feltámadott Úr kísérjen útjaitokon Titeket és családjaitokat. Apostoli áldásommal. Dicsértessék a Jézus Krisztus!
Traduzione italiana:
Saluto con affetto i fedeli ungheresi, specialmente il gruppo arrivato da Tusnádfürdő. Il tempo pasquale assicuri per ognuno di voi l’occasione del rinnovamento spirituale. Il Signore Risorto accompagni voi e le vostre famiglie in tutte le vie. Con una speciale Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Suore Figlie della Croce e i laici che ne condividono il carisma, qui convenuti nel ricordo di suor Maria Laura Mainetti che, fedele al dono totale di sé, ha sacrificato la sua vita pregando per chi la colpiva. Saluto i fedeli di Trivento, accompagnati dal loro vescovo monsignor Domenico Scotti e li esorto ad una sempre più generosa adesione a Cristo ad imitazione della Vergine Maria da loro tanto venerata con il titolo di "Incoronata". Saluto i Fratelli delle Scuole Cristiane, gli insegnanti e gli alunni dell'Istituto Pio XII di Roma, voluto da questo mio venerato Predecessore cinquant'anni fa in uno dei quartieri più poveri della città. Saluto gli atleti che partecipano ai campionati Europei di Taekwondo, incoraggiandoli a promuovere anche attraverso questa disciplina sportiva il rispetto per il prossimo e la lealtà. Saluto i rappresentanti dell'Istituto per Ispettori della Polizia di Stato, di Nettuno e gli esponenti dell'Aeronautica Militare, di Pratica di Mare.
Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli, esortando ciascuno a vivere intensamente questo tempo pasquale, testimoniando la gioia che Cristo morto e risorto dona a quanti a Lui si affidano.


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