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giovedì 31 ottobre 2013

"Chi ammira con religioso amore i meriti dei Santi e celebra con lodi ripetute la gloria dei giusti è tenuto ad imitare la loro vita virtuosa e la loro santità.


FESTA DI TUTTI I SANTI

La festa della Chiesa trionfante.
Vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, d'ogni nazione, d'ogni tribù, d'ogni lingua e stavano davanti al trono vestiti di bianco, con la palma in mano e cantavano con voce potente: Gloria al nostro Dio  (Ap 7,9-10). Il tempo è cessato e l'umanità si rivela agli occhi del profeta di Pathmos. La vita di battaglia e di sofferenza della terra (Gb 7,1) un giorno terminerà e l'umanità, per molto tempo smarrita, andrà ad accrescere i cori degli spiriti celesti, indeboliti già dalla rivolta di Satana, e si unirà nella riconoscenza ai redenti dell'Agnello e gli Angeli grideranno con noi: Ringraziamento, onore, potenza, per sempre al nostro Dio! (Ap 7,11-14).
E sarà la fine, come dice l'Apostolo (1Cor 15,24), la fine della morte e della sofferenza, la fine della storia e delle sue rivoluzioni, ormai esaurite. Soltanto l'eterno nemico, respinto nell'abisso con tutti i suoi partigiani, esisterà per confessare la sua eterna sconfitta. Il Figlio dell'uomo, liberatore del mondo, avrà riconsegnato l'impero a Dio, suo Padre e, termine supremo di tutta la creazione e di tutta la redenzione, Dio sarà tutto in tutti (ivi 24-28).
Molto prima di san Giovanni, Isaia aveva cantato: Ho veduto il Signore seduto sopra un trono alto e sublime, le frange del suo vestito scendevano sotto di lui a riempire il tempio e i Serafini gridavano l'uno all'altro: Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti: tutta la terra è piena della tua gloria (Is 6,1-3).
Le frange del vestimento divino sono quaggiù gli eletti divenuti ornamento del Verbo, splendore del Padre (Ebr 1,3), perché, capo della nostra umanità, il Verbo l'ha sposata e la sposa è la sua gloria, come egli è la gloria di Dio (1Cor 11,7). Ma la sposa non ha altro ornamento che le virtù dei Santi (Ap 19,8): fulgido ornamento, che con il suo completarsi segnerà la fine dei secoli. La festa di oggi è annunzio sempre più insistente delle nozze dell'eternità e ci fa di anno in anno celebrare il continuo progresso della preparazione della Sposa (Ap 19,7).

Confidenza.
Beati gli invitati alle nozze dell'Agnello! (ivi, 9). Beati noi tutti che, come titolo al banchetto dei cieli, ricevemmo nel battesimo la veste nuziale della santa carità! Prepariamoci all'ineffabile destino che ci riserba l'amore, come si prepara la nostra Madre, la Chiesa. Le fatiche di quaggiù tendono a questo e lavoro, lotte, sofferenze per Dio adornano di splendenti gioielli la veste della grazia che fa gli eletti. Beati quelli che piangono!(Mt 5,5).
Piangevano quelli che il Salmista ci presentava intenti a scavare, prima di noi, il solco della loro carriera mortale (Sal 125) e ora versano su di noi la loro gioia trionfante, proiettando un raggio di gloria sulla valle del pianto. La solennità, ormai incominciata, ci fa entrare, senza attendere che finisca la vita, nel luogo della luce ove i nostri padri hanno seguito Gesù, per mezzo della beata speranza. Davanti allo spettacolo della felicità eterna nella quale fioriscono le spine di un giorno, tutte le prove appariranno leggere. O lacrime versate sulle tombe che si aprono, la felicità dei cari scomparsi non mescolerà forse al vostro rammarico la dolcezza del cielo? Tendiamo l'orecchio ai canti di libertà che intonano coloro che, momentaneamente da noi separati, sono causa del nostro pianto. Piccoli o grandi (Ap 19,5), questa è la loro festa e presto sarà pure la nostra. In questa stagione, in cui prevalgono brine e tenebre, la natura, lasciando cadere i suoi ultimi gioielli, pare voler preparare il mondo all'esodo verso la patria che non avrà fine.
Cantiamo anche noi con il salmista: "Mi sono rallegrato per quello che mi è stato detto: Noi andremo nella casa del Signore. O Gerusalemme, città della pace, che ti edifichi nella concordia e nell'amore, noi siamo ancora nei vestiboli, ma già vediamo i tuoi perenni sviluppi. L'ascesa delle tribù sante verso di te prosegue nella lode e i tuoi troni ancora liberi si riempiono. Tutti i tuoi beni siano per quelli che ti amano, o Gerusalemme, e nelle tue mura regnino la potenza e l'abbondanza. Io ho messo ormai in te le mie compiacenze, per gli amici e per i fratelli, che sono già tuoi abitanti e, per il Signore nostro Dio, che in te abita, in te ho posto il mio desiderio" (Sal 121).

Storia della festa.
Troviamo prima in Oriente tracce di una festa in onore dei Martiri e san Giovanni Crisostomo pronunciò una omelia in loro onore nel IV secolo, mentre nel secolo precedente san Gregorio Nisseno aveva celebrato delle solennità presso le loro tombe. Nel 411 il Calendario siriaco ci parla di una Commemorazione dei Confessori nel sesto giorno della settimana pasquale e nel 539 a Odessa, il 13 maggio, si fa la "memoria dei martiri di tutta la terra".
In Occidente i Sacramentari del V e del VI secolo contengono varie messe in onore dei santi Martiri da celebrarsi senza giorno fisso. Il 13 maggio del 610, Papa Bonifacio IV dedicò il tempio pagano del Pantheon, vi fece trasportare delle reliquie e lo chiamò S. Maria ad Martyres. L'anniversario di tale dedicazione continuò ad essere festa con lo scopo di onorare in genere tutti i martiri, Gregorio III, a sua volta, nel secolo seguente, consacrò un oratorio "al Salvatore, alla sua Santa Madre, a tutti gli Apostoli, martiri, confessori e a tutti i giusti dormienti del mondo intero".
Nell'anno 835, Gregorio IV, desiderando che la festa romana del 13 maggio fosse estesa a tutta la Chiesa, provocò un editto dell'imperatore Luigi il Buono, col quale essa veniva fissata il 1° novembre. La festa ebbe presto la sua vigilia e nel secolo XV Sisto IV la decorò di Ottava obbligatoria per tutta la Chiesa. Ora, sia la vigilia sia l'Ottava sono soppresse.

MESSA

"Alle calende di novembre vi è la stessa premura che vi è a Natale, per assistere al Sacrificio in onore dei Santi", dicono vecchi documenti in relazione a questo giorno" (Lectiones ant. Brev. Rom. ad hanc diem. Hittorp. Ordo Romanus). Per quanto generale fosse la festa, anzi in ragione della sua stessa universalità, non era forse la gioia speciale per tutti e l'onore delle famiglie cristiane? Le quali santamente fiere di coloro dei quali si trasmettevano le virtù di generazione in generazione e la gloria del cielo, si vedevano così nobilitate ai loro occhi, più che da tutti gli onori terreni.

Ma la fede viva di quei tempi vedeva anche nella festa l'occasione di riparare le negligenze volontarie o forzate commesse nel corso dell'anno riguardo al culto dei beati inscritti nel calendario pubblico.

EPISTOLA (Ap 7,2-12). - In quei giorni: Io Giovanni vidi un altro Angelo che saliva da oriente ed aveva il sigillo di Dio vivo, e gridò con gran voce ai quattro Angeli, a cui era ordinato di danneggiare la terra e il mare e disse: Non danneggiate la terra, il mare e le piante, finché non abbiamo segnato nella loro fronte i servi del nostro Dio. E sentii il numero dei segnati, centoquarantaquattromila di tutte le tribù d'Israele: della tribù di Giuda dodici mila segnati; della tribù di Ruben dodici mila segnati; della tribù di Gad dodici mila segnati; della tribù di Aser dodici mila segnati; della tribù di Neftali dodici mila segnati; della tribù di Manasse dodici mila segnati; della tribù di Simeone dodici mila segnati; della tribù di Levi dodici mila segnati; della tribù di Issacar dodici mila segnati; della tribù di Zabulon dodici mila segnati; della tribù di Giuseppe dodici mila segnati; della tribù di Beniamino dodici mila segnati. Dopo queste cose vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, d'ogni tribù, d'ogni popolo e linguaggio. Essi stavano davanti al trono e dinanzi all'Agnello, in bianche vesti e con rami di palme nelle loro mani, e gridavano a gran voce e dicevano: La salute al nostro Dio che siede sul trono e all'Agnello! E tutti gli Angeli che stavano intorno al trono, ai vegliardi e ai quattro animali, si prostrarono bocconi dinanzi al trono, e adorarono Dio, dicendo: Amen! Benedizione e gloria e sapienza e ringraziamenti e onore e potenza e forza al nostro Dio, nei secoli dei secoli. Così sia.

I due censimenti.
L'Uomo-Dio alla sua venuta sulla terra fece, per mezzo di Cesare Augusto, una prima volta il censimento della terra (Lc 2,1). Era opportuno che all'inizio della redenzione fosse rilevato ufficialmente lo stato del mondo. Ora è il momento di farne un secondo, che affiderà al libro della vita i risultati delle operazioni di salvezza.
"Perché questo censimento del mondo al momento della nascita del Signore, dice san Gregorio in una delle omelie di Natale, se non per farci comprendere che nella carne appariva Colui che doveva poi registrare gli eletti nella eternità?" (Lezione vii dell'Ufficio di Natale). Molti però, a causa dei peccati, si erano sottratti al beneficio del primo censimento, che comprendeva tutti gli uomini nel riscatto di Dio Salvatore, e ne era necessario un secondo che fosse definitivo ad eliminasse dall'universalità del primo i colpevoli. Siano cancellati dal libro dei vivi; il loro posto non è con i giusti (Sal 68,29). Le parole sono del re Profeta e il santo Papa qui le ricorda.
Nonostante questo, la Chiesa, tutta gioiosa, non pensa oggi che agli eletti, come se di essi soli si trattasse nel solenne censimento in cui abbiamo veduto terminare la vita dell'umanità. Infatti essi soli contano davanti a Dio, i reprobi non sono che lo scarto di un mondo in cui solo la santità risponde alla generosità del creatore e all'offerta di un amore infinito.
Prestiamo le anime nostre all'impronta che le deve "conformare all'immagine del Figlio unico" (Rm 8,29) segnandoci come tesoro di Dio. Chi si sottrae all'impronta sacra non eviterà l'impronta della bestia (Ap 13,16) e, nel giorno in cui gli Angeli chiuderanno il conto eterno, ogni moneta, che non potrà essere portata all'attivo di Dio, se ne andrà da sé alla fornace in cui bruceranno le scorie.

VANGELO (Mt 5,1-12). - In quel tempo: Gesù avendo veduto la folla, salì sul monte e, come si fu seduto, gli si accostarono i suoi discepoli. Allora egli aprì la sua bocca per ammaestrarli, dicendo: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati i mansueti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che piangono, perché saranno consolati. Beati i famelici e sitibondi di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati sarete voi, quando vi oltraggeranno e perseguiteranno e, falsamente, diranno di voi ogni male per cagion mia. Rallegratevi (in quel giorno) ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

Le Beatitudini.
La terra è oggi così vicina al cielo che uno stesso pensiero di felicità riempie i cuori. L'Amico, lo Sposo ritorna in mezzo ai suoi e parla di felicità.Venite a me voi tutti che avete tribolazioni e sofferenze. Il versetto dell'Alleluia era con queste parole l'eco della patria e tuttavia ci ricordava l'esilio, ma tosto nel Vangelo è apparsa la grazia e la benignità del nostro Dio Salvatore (Tt 2,11; 3,4). Ascoltiamolo, perché ci insegna le vie dellabeata speranza (ivi 2,12-13), le delizie sante, che sono ad un tempo garanzia ed anticipo della perfetta felicità del cielo.
Sul Sinai, Dio teneva l'Ebreo a distanza e dava soltanto precetti e minacce di morte, ma sulla vetta di quest'altra montagna, sulla quale è assiso il Figlio di Dio, in modo ben diverso si promulga la legge dell'amore! Le otto Beatitudini all'inizio del Nuovo Testamento hanno preso il posto tenuto nell'Antico dal Decalogo inciso sulla pietra.
Esse non sopprimono i comandamenti, ma la loro giustizia sovrabbondante va oltre tutte le prescrizioni e Gesù le trae dal suo Cuore per imprimerle, meglio che sulla pietra, nel cuore del suo popolo. Sono il ritratto perfetto del Figlio dell'uomo e riassunto della sua vita redentrice. Guardate dunque e agite secondo il modello che si rivela a voi sulla montagna (Es 25,40; Ebr 8,5 ).
La povertà fu il primo contrassegno del Dio di Betlemme e chi mai apparve più dolce del figlio di Maria? chi pianse per causa più nobile, se egli già nella greppia espiava le nostre colpe e pacificava il Padre? Gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, i pacifici dove troveranno fuori di lui il modello insuperato, mai raggiunto e sempre imitabile? E la sua morte lo fa condottiero dei perseguitati per la giustizia! Suprema beatitudine questa della quale più che di tutte le altre, la Sapienza incarnata si compiace e vi ritorna sopra e la precisa e oggi con essa termina, come in un canto d'estasi.
La Chiesa non ebbe mai altro ideale. Sulla scia dello Sposo, la sua storia nelle varie epoche fu eco prolungata delle Beatitudini. Cerchiamo di comprendere anche noi e, per la felicità della nostra vita in terra, in attesa dell'eterna, seguiamo il Signore e la Chiesa.
Le Beatitudini evangeliche sollevano l'uomo oltre i tormenti, oltre la morte, che non scuote la pace dei giusti, anzi la perfeziona.

Discorso di san Beda [1].
"In cielo non vi sarà mai discordia, ma vi sarà accordo in tutto e conformità piena, perché la concordia tra i Santi non avrà variazioni; in cielo tutto è pace e gioia, tutto è tranquillità e riposo e vi è una luce perpetua assai diversa dalla luce di quaggiù, tanto più splendida quanto più bella. Leggiamo nella Scrittura che la città celeste non ha bisogno della luce del sole, perché 'il Signore onnipotente la illuminerà e l'Agnello ne è la fiaccola' (Ap 21,23). 'I Santi brilleranno come stelle nell'eternità, e quelli che istruiscono le moltitudini saranno come lo splendore del firmamento' (Dn 12,3). Là, non notte, non tenebre, né ammassi di nubi; non rigore di freddo, né eccessivo calore, ma uno stato di cose così bene equilibrato che 'occhio non vide e orecchio non udì e il cuore dell'uomo nulla mai comprese' (1Cor 2,9) di simile. Lo conoscono quelli che sono trovati degni di goderne e 'i nomi dei quali sono scritti nel libro della vita' (Fil 4,3) che 'hanno lavato il loro vestito nel sangue dell'Agnello e stanno davanti al trono di Dio, servendolo notte e giorno' (Ap 7,14). 'Là non c'è vecchiaia, né debolezze della vecchiaia, perché tutti sono giunti allo stato dell'uomo perfetto, nella misura dell'età del Cristo' (Ef 4,13).
Ma quello che tutto sorpassa è l'essere associati ai cori degli Angeli, dei Troni e delle Dominazioni, dei Principati e delle Potenze; il godere della compagnia di tutte le Virtù della corte celeste; il contemplare i diversi ordini dei Santi, più splendenti che gli astri; il considerare i Patriarchi illuminati dalla loro fede, i Profeti radiosi di speranza e di gioia, gli Apostoli preparati a giudicare le tribù di Israele e tutto l'universo; i Martiri, cinti del diadema splendente della porpora della vittoria e infine le Vergini con la fronte coronata di candidi fiori" (18 Discorso sui Santi).

Incoraggiamento alla pratica delle virtù.
La Chiesa dopo averci mostrato la bellezza e la gioia del cielo, dopo la seducente esposizione sulla eternità, avrebbe potuto presentarci la questione che san Benedetto pose al postulante, che bussava alla porta del monastero: Vuoi la vita? vuoi vedere giorni felici? (Prologo alla Regola). Avremmo anche noi prontamente risposto: sì. E pare che davvero la questione ce l'abbia silenziosamente posta e che abbia udito il nostro , perché prosegue adesso esponendoci le condizioni, necessarie per entrare nel regno dei cieli.
"La speranza di giungere alla ricompensa della salvezza ci alletti, ci attiri, lottiamo volentieri e con tutto l'impegno nello stadio della santità; mentre Dio e Cristo ci guardano. Dato che già abbiamo cominciato ad elevarci sopra il mondo ed il secolo, stiamo attenti, perché nessun desiderio terreno ci attardi. Se l'ultimo giorno ci trova svincolati da ogni cosa, se ci trova in agile corsa nel cammino delle buone opere, il Signore non potrà fare a meno di ricompensare i nostri meriti.
Colui che dà, come prezzo della sofferenza, a quelli che hanno saputo vincere nella persecuzione, una corona imporporata, darà pure, come prezzo delle opere di santità, una corona bianca a coloro che avranno saputo vincere nella pace. Abramo, Isacco, Giacobbe non furono messi a morte, ma sono stati tuttavia ritenuti degni dei primi posti fra i Patriarchi, perché tale onore meritarono con la fede e le opere di giustizia, e coloro che saranno trovati fedeli, giusti e degni di lode siederanno al banchetto con questi grandi giusti. Bisogna ricordare però che dobbiamo compiere la volontà di Dio e non la nostra, perché 'chi fa la volontà di Dio vive eternamente' (Gv 2,17) come vive eternamente Dio stesso.
Bisogna dunque che con spirito puro, fede ferma, virtù robusta, carità perfetta, siamo preparati a compiere tutta la volontà di Dio, osservando con coraggiosa fedeltà i comandamenti del Signore, l'innocenza nella semplicità, l'unione nella carità, la modestia nell'umiltà, l'esattezza nell'impiego, la diligenza nell'assistenza degli afflitti, la misericordia nel sollevare i poveri, la costanza nella difesa della verità, la discrezione nella severità della disciplina e infine bisogna che non lasciamo di seguire o dare l'esempio delle buone opere. Ecco la traccia che tutti i Santi, tornando alla patria, ci hanno lasciata, perché, camminando sulle loro orme, possiamo giungere alle gioie che essi hanno raggiunto" (Beda, 18 Discorso sui Santi).

È utile lodare i Santi.
Una esortazione per i suoi figli la Chiesa la chiede a san Bernardo, e ci parla con la sua voce.
"Dato che celebriamo con una festa solenne il ricordo di tutti i Santi, diceva ai suoi monaci l'abate di Chiaravalle, credo utile parlarvi della loro felicità comune nella quale gioiscono di un beato riposo e della futura consumazione che attendono. Certo, bisogna imitare la condotta di quelli che con religioso culto onoriamo; correre con tutto lo slancio del nostro ardore verso la felicità di quelli che proclamiamo beati, bisogna implorare il soccorso di quelli dei quali sentiamo volentieri l'elogio.
A che serve ai Santi la nostra lode? A che serve il nostro tributo di glorificazione? A che serve questa stessa solennità? Quale utile portano gli onori terrestri a coloro che il Padre celeste stesso, adempiendo la promessa del Figlio, onora? Che cosa fruttano loro i nostri omaggi? Essi non hanno alcun desiderio di tutto questo. I santi non hanno bisogno delle nostre cose e la nostra divozione non reca loro alcun vantaggio: ciò è cosa assolutamente vera.
Non si tratta di loro vantaggio, ma nostro, se noi veneriamo la loro memoria. Volete sapere come abbiamo vantaggio? Per conto mio, confesso che, ricordando loro, mi sento infiammato di un desiderio ardente, di un triplice desiderio.
Si dice comunemente: occhio non vede, cuore non duole. La mia memoria è il mio occhio spirituale e pensare ai Santi è un po' vederli, e, ciò facendo, abbiamo già 'una parte di noi stessi nella terra dei viventi' (Sal 141,6), una parte considerevole, se la nostra affezione accompagna, come deve accompagnarlo, il nostro ricordo. È in questo modo, io dico, che 'la nostra vita è nei cieli' (Fil 3,20). Tuttavia la nostra vita non è in cielo, come vi è la loro, perché essi vi sono in persona e noi solo con il desiderio; essi vi sono con la loro presenza e noi solo con il nostro pensiero".

Desiderare l'aiuto dei Santi.
"Perché possiamo sperare tanta beatitudine dobbiamo desiderare ardentemente l'aiuto dei Santi, perché quanto non possiamo ottenere da noi ci sia concesso per la loro intercessione.
Abbiate pietà di noi, sì, abbiate pietà di noi, voi che siete nostri amici. Voi conoscete i nostri pericoli, voi conoscete la nostra debolezza; voi sapete quanto grande è la nostra ignoranza, e quanta la destrezza dei nostri nemici; voi conoscete la violenza dei loro attacchi e la nostra fragilità. Io mi rivolgo a voi, che avete provato le nostre tentazioni, che avete vinto le stesse battaglie, che avete evitato le stesse insidie, a voi ai quali le sofferenze hanno insegnato ad avere compassione.
Io spero inoltre che gli angeli stessi non disdegneranno di visitare la loro specie, perché è scritto: 'visitando la tua specie non peccherai' (Gb 5,24). Del resto, se io conto su di essi perché noi abbiamo una sostanza spirituale e una forma razionale simile alla loro, credo di poter maggiormente confidare in coloro che hanno, come me, l'umanità e che sentono perciò una compassione particolare e più intima per le ossa delle loro ossa e la carne della loro carne".

Confidenza nella loro intercessione.
"Non dubitiamo della loro benevola sollecitudine a nostro riguardo. Essi ci attendono fino a quando anche noi non avremo avuta la nostra ricompensa, fino al grande giorno dell'ultima festa, nella quale tutte le membra, riunite alla testa sublime, formeranno l'uomo perfetto in cui Gesù Cristo, nostro Signore, degno di lode e benedetto nei secoli, sarà lodato con la sua discendenza. Così sia" (Discorso sui Santi, passim).

Imitare coloro che si lodano.
Troviamo in san Giovanni Crisostomo la dottrina già esposta: è cosa buona lodare i Santi, ma alla lode bisogna unire l'imitazione delle loro virtù.
"Chi ammira con religioso amore i meriti dei Santi e celebra con lodi ripetute la gloria dei giusti è tenuto ad imitare la loro vita virtuosa e la loro santità. È necessario infatti che chi esalta con gioia i meriti di qualche santo abbia a cuore di essere come lui fedelmente impegnato nel servizio di Dio. O si loda e si imita, o ci si astiene anche dal lodare. Sicché, dando lode ad un altro, ci si rende degni di lode e, ammirando i meriti dei Santi, si diventa ammirabili per una vita santa. Se amiamo le anime giuste e fedeli, perché apprezziamo la loro giustizia e la loro fede, possiamo anche essere quello che sono, facendo quello che fanno".

I modelli.
"Non ci è difficile imitare le loro azioni, se consideriamo che i primi Santi non ebbero esemplari innanzi a sé e quindi non imitarono altri, ma si fecero modello di virtù degno di essere imitato, affinché, con il profitto che noi ricaviamo imitando loro e con quello che il prossimo ricaverà, imitando noi, Gesù Cristo nella sua Chiesa sia glorificato perpetuamente dai suoi servi.
Così avvenne fin dai primi tempi del mondo. Abele, l'innocente, fu ucciso, Enoc fu rapito in cielo, perché ebbe la fortuna di piacere a Dio, Noè fu trovato giusto, Abramo fu approvato da Dio, perché riconosciuto fedele, Mosè si distinse per la mansuetudine, Giosuè per la castità, Davide per la dolcezza, Elia fu gradito al Signore, Daniele fu pio e i suoi tre compagni furono vittoriosi, gli Apostoli, discepoli di Cristo, furono designati maestri dei credenti e i Confessori, da loro istruiti combatterono da forti, mentre i martiri, consumati nella perfezione, trionfano e legioni di cristiani, armati da Dio, continuamente respingono il demonio. Per ciascuno di essi la lotta è diversa, ma le virtù sono simili e le vittorie di tutti restano gloriose".

Necessità del combattimento.
"Tu, o cristiano, sei soldato ben meschino, se credi di vincere senza combattere e di raggiungere il trionfo senza sforzo! Spiega le tue forze, lotta con coraggio, combatti, senza debolezze, nella mischia. Mantieni il patto, rimetti sulle condizioni, renditi conto di che cosa sia l'essere soldato, il patto che hai concluso, le condizioni che hai accettate, la milizia nella quale ti sei arruolato" (Giovanni Crisostomo, Discorso sulla imitazione dei Martiri).

La nostra risurrezione.
Ci giova oggi ricordare la dottrina sulla risurrezione dei morti, che san Paolo esponeva un giorno ai fedeli di Corinto, sulla grandiosa cerimonia liturgica che la seguirà, e sulla visione beatifica, che avremo in premio nell'eternità.
Noi risusciteremo, perché Cristo è risuscitato. Questa dottrina riassume in certo modo tutto il cristianesimo. Il battesimo è inserzione di ciascuno di noi in Cristo e dal momento che noi siamo entrati nell'unità della sua vita e formiamo con lui un solo corpo mistico e reale insieme, l'interesse è comune, la condizione nostra è legata alla sua, quello che è avvenuto in lui deve avvenire in noi: la morte, il seppellimento, la risurrezione, l'ascensione, la vita eterna in Dio. Le membra avranno la sorte del capo e potremmo dire, propriamente parlando, di essere già risuscitati in Gesù Cristo, perché la sua Risurrezione è causa, motivo, esempio, sicura garanzia della nostra.
Cristo non è risuscitato per sé solo, per conto suo, ma per noi tutti. Nella legge antica erano offerte a Dio le spighe mature, in nome di tutta la messe. Il Signore, se è un essere individuale, è pure il secondo Adamo, essere vivente, che comprende in sé la moltitudine di quelli che da lui son nati e perciò, se egli è risuscitato, tutti sono risuscitati, ma ciascuno a suo tempo; Cristo per primo, poi tutti quelli che sono di Cristo risusciteranno alla sua venuta. Dopo sarà la fine.

L'inizio della vita eterna.
"Sarà la fine. La fine del periodo laborioso nel corso del quale il Signore raccoglie il numero dei suoi eletti, stabilisce il suo regno e annienta i suoi nemici. Si potrebbe dire altrettanto bene inizio della vita nuova, compimento del disegno di Dio con il ritorno a lui di tutto quanto avrà acconsentito ad appartenere a Cristo Nostro Signore Gesù Cristo, dopo aver trionfato di tutte le potenze nemiche, debellata ogni autorità e scardinato ogni potere ostile al suo, porterà a Dio, suo Padre, tutte le nature umane delle quali è re e, avendo qual Figlio operato solo per il Padre, gli riconsegnerà il comando su tutta la sua conquista. Sì, noi lo sappiamo, tutto si piegherà davanti a Dio in cielo, sulla terra, e nell'inferno; tutto sarà sottomesso, fuorché Colui, che ha sottomesso a sé tutte le cose.
L'eternità comincerà con una cerimonia liturgica di infinita grandezza. Il Verbo Incarnato, nostro Signore Gesù Cristo, il re predestinato, circondato dagli Angeli, dagli uomini nati per la sua grazia e viventi la sua vita, si metterà alla testa della falange che il Padre gli ha dato e la guiderà e condurrà verso il santuario eterno. Si presenterà con essi davanti al Padre e presenterà e offrirà a lui la messe immensa degli eletti germogliati dal suo sangue e si sottometterà con essi alla paterna dominazione di Colui, che tutto gli donò e sottomise, rimettendogli lo scettro e la regalità della creazione da lui conquistata, che con lui entrerà nel seno della Trinità. La famiglia di Dio sarà allora completa e Dio sarà tutto in tutti".

Dio è tutto in tutti.
"Dio tutto in tutti: l'espressione ha per il nostro pensiero qualcosa di prodigioso e di meraviglioso... Oggi Dio non è tutto in me e io non sono in relazione diretta con lui, ma sempre tra noi sta l'importuna creazione e io arrivo a Dio a prezzo di un lento e penoso cammino sempre avvolto nella oscurità. Il mio pensiero non vede Dio e la fede stessa me lo vela: non sono un essere intelligente, e non lo sarò che quando Dio si offrirà come oggetto alla mia intelligenza finalmente desta, il giorno in cui Dio, per mostrarsi a me, si unirà alla mia intelligenza, perché io possa conoscerlo. Come dire questo? Dio sarà allora alla radice stessa del mio pensiero, perché io lo veda, alla radice della mia volontà, perché io lo possieda, alla radice e al centro del mio cuore, perché io l'ami. Egli allora sarà la bellezza che amo e sarà in me il cuore che ama la bellezza, sarà il termine e l'oggetto dei miei atti e in me ne sarà il principio.
Questa gloriosa appartenenza della mia anima a Dio si prepara sulla terra con l'unione a Cristo. Nell'eternità entreremo totalmente nella vita di Dio, se quaggiù saremo interamente conformati a Cristo. Questa è l'idea fondamentale del cristianesimo: essere con Cristo nel tempo, per essere con Dio nell'eternità (Dom Delatte, Epistole di san Paolo, I, 379-383)".

PREGHIAMO
O Dio onnipotente ed eterno, che ci hai concesso di venerare con una sola solennità i meriti di tutti i tuoi Santi; ti preghiamo di accordarci, in vista di tanta moltitudine di intercessori, l'abbondanza della tua misericordia.


[1] Il discorso, attribuito a san Beda, pare piuttosto di Walfrido Strabone, o più probabilmente ancora di Helischar di Treviri. Riv. Ben. 1891, p. 278

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1222-1234

giovedì 24 ottobre 2013

«Sopportate e astenetevi, dice Tertulliano; chi osserverà questi due punti, vivrà senza peccato, e sarà felice (Ad Martyr.)».










I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Perfezione

Data: Domenica, 03 maggio @ 11:57:26 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


 1. Che cosa è la perfezione. 
 2. Gradi della perfezione. 
 3. Felicità e ricchezze della perfezione. 
 4. Mezzi per arrivare alla perfezione.







1. CHE COSA È LA PERFEZIONE. - «Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste», dice Gesù Cristo (MATTH. V, 48). «Siate perfetti» - ripete il grande Apostolo (II Cor XIII, 11). 

Ma che cosa è questa perfezione, e in che consiste? 

Consiste primieramente nell'imitare Gesù Cristo: «Chi dice di essere in Gesù Cristo, deve camminare per la via per cui ha camminato Gesù Cristo» (I IOANN. II, 6). 
In secondo luogo, consiste nel far vivere Gesù Cristo in noi, e nel vivere noi solamente di Gesù e per Gesù. Lo dice S. Paolo il quale certamente viveva secondo là perfezione: «Io vivo, ma non già io, ma è Gesù che vive in me; perché tutto il mio vivere sta in Gesù Cristo» (Gal II, 20), (Philipp. I, 21).

*Un dotto, avendo incontrato un mendicante, gli domandò: Donde ne vieni tu? - da Dio, rispose l'accattone. - Dove hai imparata così grande sapienza? - L'ho trovata là dove ho abbandonato tutte le creature. - Chi sei tu? - Io sono re. - Dov'è il tuo regno? - Nell'anima mia: perché ho imparato a governare i miei sensi esteriori ed interiori, affinché tutti gli affetti e le potenze tutte dell'anima mia mi stiano soggette. - Chi ti ha guidato a questa perfezione? - Il mio silenzio, le mie preghiere, le mie meditazioni, la mia unione con Dio. Io ho lasciato tutto ciò che non è Dio, ed ho trovato il mio Dio, e godo in lui pace e riposo continuo (TAULERO, p. 685). Ecco la perfezione.. .


La perfezione dell'uomo, secondo Sant'Agostino, sta nel riguardarsi come imperfettissimo. «Non essere mai contento, dice questo santo Padre, di quello che sei, se vuoi arrivare a quello che non sei; poiché dal punto in cui ti compiaci di te stesso, ti arresti; se poi tu dici: basta, allora sei perso (Serm. L, de Tempo)». 

La perfezione consiste nel progredire di virtù in virtù, fino a che si arrivi alla casa di Dio (Psalm. LXXXIII, 7); cosicché, come spiega S. Giovanni, chi già è giusto, si studi di divenirlo di più; chi già è santo, diventi più santo (Apoc. XXII, 11). Di questo abbiamo un bell'esempio nel giovinetto Gesù a cui lode nota l'Evangelista, che cresceva del continuo in saggezza, come in età, e in grazia presso Dio e presso gli uomini» (Luc. II, 52).


La vera perfezione dei giusti è di non mai presumere di essere tali, perché loro non succeda che non continuando la loro via, non corrano il pericolo di cadere là dove cesserebbero di avanzare... La perfezione è un'eroica generosità, una grande e costante applicazione a progredire in tutte le virtù, a praticare le opere meravigliose ch'esse inspirano. 

Perciò dobbiamo imitare, in certo senso, l'avaro; come questi non è mai sazio di oro, così noi non siamo mai sazi di grazia, di virtù, di buone opere. Voi conservate benissimo ciò che avete acquistato, se lavorate sempre ad accumulare. Quello che possedete andrà via scemando a misura che cessate di acquistare. 

S. Marciano, incontratosi con un cacciatore, gli domandò: Che cosa fate voi? - E questi: Caccio lepri e cervi, come vedete, e li perseguito finché li ho presi. ­ Anch'io, riprese il Santo, corro dietro a Dio, e non cesserò da questa caccia divina, finché non l'abbia preso e me ne sia impadronito per sempre (Ha THEODORETUS in Philotet.). 

Il cuore dell'uomo perfetto cerca sempre di ascendere, dice il Profeta (Psalm. LXXXIII, 6); il Savio paragona la vita dei giusti al sole levante che si avanza e cresce finché sia giunto al meriggio (Prov. IV, 18). «Felice colui, esclama S. Gerolamo, che ogni giorno avanza; che non considera quello che ha fatto di bene ieri, ma pensa quello che deve fare quest'oggi per avanzare. Il santo è sempre disposto ad ascendere, il peccatore a discendere; e quindi siccome l'uomo perfetto si perfeziona ogni giorno più, così l'uomo peccatore discende e decresce ogni giorno (In Psalm. LXXXIII)». 

S. Agostino chiama perfetto l'uomo, quando lavora tutta la sua vita a tendere verso l'immutabile, eterna vita, e che vi si adopera con tutto l'animo (De doctrina christ., C. XXII).

«Ogni allievo che alla scuola di Gesù Cristo non avanza è indegno, dice S. Bernardo, del suo insegnamento. La vera virtù non conosce confine; non è limitata da tempo; non dice mai basta, ma ha sempre fame e sete della giustizia, di modo che se sempre vivesse, sempre per quanto sta da lei, si sforzerebbe di divenire più giusta; s'ingegnerebbe a tutto potere di andare dal perfetto al sublime della perfezione. Infatti essa non si è già dedicata al servizio di Dio per un dato tempo, come un servo ordinario, ma gli si è consecrata per sempre. Ecco come parla il giusto: Signore, io non dimenticherò mai la vostra legge salutare, perché voi mi santificate per mezzo suo. La perfezione non è per il tempo, ma per l'eternità. La continua fame del perfetto merita di saziarsi eternamente. E sebbene il tempo le ponga ben tosto fine, essa ha tuttavia compiuto un lungo spazio di tempo, mediante la continua pratica della virtù» (Epl. CXLII).


«Per quanto lunga sia la nostra carriera, scrive S. Agostino, per quanti passi si siano fatti nella via della perfezione, nessuno non dica mai: questo mi basta, io sono giusto. Chi così parlasse o pensasse, rimarrebbe per via e non toccherebbe la mèta. 
Ecco che cosa dice l'Apostolo: Fratelli miei, io non mi credo di aver già terminato la corsa. Egli corre del continuo, e voi vi arrestate! egli si stima ancora imperfetto, e voi vi vantate della vostra giustizia!» (Serm. XV de Verbo Apost.). «Deh per carità! aggiungete sempre, camminate sempre, avanzate sempre. Meglio e più presto cammina lo zoppo che tiene la via, che non colui il quale corre fuori di strada (Serm. XV, de Verbo Apost.)». 

«No, non è perfetto colui il quale non desidera di essere sempre più perfetto; e si mostra più perfetto colui che tende sempre a maggiore perfezione (Epistola XXXIV, ad Dragon.)». «Il non andare innanzi, dice S. Bernardo, è senza dubbio un indietreggiare. Correte pure quanto volete, ma se non correte fino alla morte, non ottenete il premio del vincitore (Epistola CCLIV, ad Garrinum)».


*Ecco un abbozzo della perfezione cristiana, tracciato da S. Cipriano

«L'umiltà nel tratto, la stabilità nella fede, la riservatezza nelle parole, la giustizia nelle azioni, la castigatezza nei costumi; 

non mai fare ingiuria, sopportare quelle che ci si fanno, mantenere la pace e l'unione con tutti, amare Dio come un padre, temerlo come un giudice, preferire Gesù Cristo a ogni altra cosa, come egli ha preferito noi a tutto;

unirci inseparabilmente alla sua carità, stringerci con coraggio, confidenza e perseveranza alla sua croce; 

quando si tratta del suo nome e del suo onore, mostrare costanza nei discorsi per confessarlo, fiducia nelle prove, pazienza nei patimenti e nella morte per arrivare alla corona; 

fare tutto questo è voler essere coeredi di Gesù Cristo, è un adempire il precetto di Dio, è un fare la volontà del Padre celeste» (De Orat. domin.).

*In verità, diceva S. Macario, chi tiene il disprezzo in conto di lode, la povertà stima tesoro, la fame ha in luogo di eccellente alimento, non muore giammai (Vit. Patr.).


2. GRADI DELLA PERFEZIONE. - 

A coloro che tendono alla perfezione, S. Giovanni Climaco assegna per lezione queste pratiche: 

«L'obbedienza, il digiuno, il cilizio, la cenere, le lacrime, la confessione, il silenzio, l'umiltà, le vigilie, il coraggio, il freddo, il lavoro, le prove, il disprezzo, la contrizione, l'oblio delle ingiurie, la carità fraterna, la dolcezza, la fede semplice senza curiosità, il disprezzo del mondo, la rinunzia ai parenti, il distacco da ogni cosa, la semplicità congiunta all'innocenza, la brama di essere dimenticato». 

Più alte opere prescrive a quelli che già sono avanti nella perfezione. La vita di costoro, egli dice, sta nel trionfare della vanagloria e dei moti inconsulti dell'animo, nello sperare fermamente la salute; nel riposo dell'anima, nella discrezione, nel ricordo ben radicato e continuo del giudizio finale, nella misericordia, nell'ospitalità, nella modesta correzione, nella preghiera. 

Quelli finalmente che sono giunti alla perfezione, vuole che abbiano il cuore libero di ogni impedimento, posseggano carità perfetta, umiltà profondissima, siano interamente morti al mondo e tutti assorti in Gesù Cristo, attendano con fervore alla contemplazione, ricevano tutti i lumi celesti, desiderino la morte, odiino la vita, fuggano del continuo il proprio corpo (Grad. XXVI).

Bisogna tendere alla perfezione di Dio medesimo. Consumata perfezione, altissima elevazione è l'imitazione di Dio. «E giacché imitarlo non ci è dato, come avverte S. Gerolamo, nella potenza, nella magnificenza, nell'eternità e in altri simili attributi; possiamo almeno imitarlo da lontano nella dolcezza, nell'umiltà, nella carità, nella purezza, nella santità» (Epist.). «Bisogna imitare, dice S. Tommaso, l'immutabilità di Dio con la costante uguaglianza d'animo così nelle prosperità, come nelle avversità; la sua prescienza, con la previdenza dei fini ultimi; la sua veracità, la sincerità, la pazienza, la clemenza, l'obbedienza, la carità sua» (4 q. II, art. 7).

«Chi è colei che si avanza come l'aurora nascente, bella come la luna, splendida come il sole?» (Cantic. VI, 9). Chi è colei che si leva come aurora nascente? ecco l'anima che comincia la sua perfezione... Bella come la luna; ecco l'anima che avanza in perfezione... Splendida come il sole; ecco l'anima arrivata all'apice della perfezione. 

Quello che qui è indicato sotto figura, viene chiaramente spiegato dallo Spirito Santo nel libro della Sapienza, dove si legge: «Il principio della sapienza è il vero, il sincero desiderio della regola; la cura della regola diviene il suo amore; l'amore della sapienza porta all'osservanza delle sue leggi; l'osservanza delle leggi mette alla consumazione della santità; e la santità avvicina, anzi unisce l'uomo a Dio» (Sap. VI, 13-20).


La scala della perfezione consta di due bracci e di dodici scalini, scrive S. Bernardo. 

Il braccio a destra è il disprezzo di se stesso fino all'amore di Dio; quello a sinistra significa il disprezzo del mondo fino all'amore del regno celeste. 

I dodici scalini, sono: 1° l'odio del peccato...; 2° la fuga del peccato...; 3° il timore dell'odio di Dio...; 4° la soggezione al Creatore in ogni cosa...; 5° l'obbedienza al proprio superiore...; 6° la sommissione al proprio uguale...; 7° la condiscendenza verso l'inferiore...; 8° mettersi nell'ultimo luogo...; 9° meditare incessantemente il proprio fine...; 10° sempre temere delle proprie opere...; 11° confessare umilmente i propri pensieri...; 12° lasciarsi condurre in tutto dalla mano di Dio, secondo il suo volere... 

Per questa scala discendono e ascendono gli angeli, e gli uomini montano al cielo» (Serm. in Cant.).


*La perfezione, dice S. Basilio, è una scala al cui sommo è la carità e i cui scalini sono formati da altrettante rinunzie. 

1° Rinunziare alle cose terrene...; 2° obliarle interamente...; 3° detestarle, disprezzarle come fango...; 4° spogliarsi dell'attaccamento al prossimo, agli amici...; 5° odiare l'anima propria per Gesù Cristo...; 6° rinunziare alla propria volontà, al proprio giudizio...; 7° mortificare incessantemente le proprie voglie per adempire quello che ha detto Gesù Cristo: «Chi vuole venire dopo me, rinunzi a se medesimo, prenda la sua croce, e batta le mie orme» (MATTH. XVI, 24)...; 8° seguire Gesù e da lui imparare l'umiltà e la mitezza...; 9° amare in ogni caso ed efficacemente il prossimo, compresi i propri nemici...; 10° abbracciarsi a Dio, e formare con lui un solo spirito (In Psalm.). 

Questa scala poggia alla casa di Dio, alla porta del cielo.

*Cassiano scrive: «L'ordine, secondo il quale voi potrete con tutta facilità ascendere alla cima della perfezione, è il seguente: Il cominciamento della salute e della sapienza è il timore di Dio; dal timore del Signore nasce la compunzione salutare; dalla compunzione del cuore deriva la rinunzia, il distacco, il disprezzo di ogni umano desiderio; da questa negazione nasce l'umiltà; l'umiltà genera la mortificazione della volontà; con la mortificazione della volontà si schiantano o si recidono le radici di tutti i vizi; estirpati i vizi, le virtù attecchiscono, crescono, fioriscono, fruttificano; mediante la nascita, l'accrescimento e l'impero delle virtù, si acquista la purezza del cuore; per mezzo della purità del cuore si arriva al possesso della perfetta carità» (Institut.).




3. FELICITÀ E RICCHEZZE DELLA PERFEZIONE.

S. Paolo, che era perfetto, così descrive ai Corinzi le meraviglie, le ricchezze, gli stupendi, frutti della sua perfezione: «Ci diportiamo in tutto come ministri di Dio, con molta pazienza, nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle battiture, nelle prigioni, tra le sedizioni, nelle fatiche, nelle vigilie, nei digiuni; con la castità, con la scienza, con la longanimità, con la mansuetudine, con lo Spirito Santo, con la carità non simulata; con la parola di verità, con la virtù di Dio, con le armi della giustizia a destra e a manca; per mezzo della gloria e dell'ignominia, dell'infamia e del buon nome; come seduttori, eppur veraci; come ignoti, ma pure conosciuti; come moribondi, ed ecco che siamo vivi; quasi melanconici, e pure sempre allegri; quasi mendichi, ma che molti facciamo ricchi; quasi privi di tutto, e possessori di ogni cosa» (II Cor. VI, 4-10).

S. Gregorio Nazianzeno dice dei perfetti: «La loro vita è la ricchezza nell'indigenza, l'abbondanza nella penuria, la gloria nel disprezzo, la pazienza nell'infermità, un'ammirabile famiglia nel celibato (la famiglia delle virtù); il disprezzo delle delizie fa la loro delizia; abbracciano l'umiltà, per guadagnare il regno celeste; niente posseggono nel mondo, e ne sono i padroni; vestiti di carne, vivono come se non l'avessero; hanno Iddio per loro porzione e vivono in assoluta inopia per la speranza del regno, e questa povertà completa li fa regnare su tutte le cose» (Orat. I, de Pace).

Le opere delle persone perfette toccano all'eroismo: eroica è la vittoria sopra di se medesimi; eroica la loro vittoria su l'inferno, su le passioni; eroico è il modo col quale superano le difficoltà, vincono gli ostacoli che per l'ordinario si oppongono all'acquisto delle virtù; eroici gli sforzi che fanno per compiere imprese nobili ed ardue. In virtù degli sforzi che facciamo per arrivare alla perfezione, noi diventiamo, dice il Nazianzeno, tanto più terribili ai demoni, quanto più ci avviciniamo a Dio (Orat. I, de Pace).

«I raggi del sole; scrive Seneca, toccano sì la terra, ma stanno là donde vengono (Epist. XLI)». Così è dei perfetti: splendono su la terra, l'illuminano con la loro castità; ma essi dimorano nel cielo, e i raggi di luce che spargono su l'universo partono da Dio medesimo.
E poi i perfetti sono i soli veramente felici, e nel tempo e nell'eternità, perché praticano tutte le virtù le quali soltanto recano. la vera felicità; 
praticano tutto ciò che dà le otto beatitudini predicate da Gesù Cristo. 

Stanno bassi ed umili, e Gesù ha detto: beati i poveri di spirito, perché il regno dei cieli è per loro. 

Sono tutto bontà e dolcezza, e Gesù ha detto: beati i miti, perché possederanno la terra; la terra del loro corpo, la terra dei viventi. 

Essi piangono; e nel Vangelo sta scritto: beati quelli che piangono, perché saranno consolati. 

Non hanno altra brama che di santificarsi, e Gesù ha detto: beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 

Chi più di loro ha viscere di carità, di umanità, di compassione verso il prossimo? e Gesù ha detto: beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia. 

Sono angeli di purità: beati quelli che hanno il cuore puro, perché vedranno Dio. 

Sono pacifici: beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. 

Soffrono con pazienza le afflizioni, gli insulti, i disprezzi, le croci, le persecuzioni; beati quelli che patiscono persecuzione per la giustizia, perché di loro è il regno dei cieli (MATTH. V, 5-10).




4. MEZZI PER ARRIVARE ALLA PERFEZIONE.

Il mezzo per arrivare alla perfezione è di fare quello in cui consiste la perfezione; cioè l'imitazione di Dio e di Gesù Cristo, secondo l'esortazione di S. Paolo: «Siate imitatori di Dio come figli carissimi, e camminate nell'amore, come Cristo ci ha amati» (Eph. V, 1-2).

S. Egidio, discepolo di S. Francesco, diceva: «Volete voi vederci bene? siate cieco. Volete udire bene? siate sordo. Volete parlare bene? siate muto. Volete camminare bene? tagliatevi i piedi. Volete lavorare bene? recidetevi le mani. Volete amarvi sinceramente? odiatevi. Volete vivere lietamente? mortificatevi. Volete molto guadagnare? perdete tutto. Il modo di divenire ricco sta nell'essere povero. 

Il segreto per vivere felice e tra le delizie consiste nell'affliggervi e nel punirvi. Desiderate di essere tranquillo e sicuro? state sempre nel timore. Vi piace essere innalzato? abbassatevi. Volete gli onori? disprezzatevi e onorate quelli che vi spregiano. Se amate avere il bene, sopportate il male. Se amate stare in riposo, occupatevi. Se amate essere benedetto, desiderate di essere maledetto. Grande sapienza e sublime perfezione è saper praticare queste cose! E appunto perché queste cose sono grandi, gli insensati non vi arrivano» (Lib. I, pag. 65).

Importa sapere ed essere persuasi, l° che siamo molto lontani dalla perfezione; 2° attendere ogni giorno ad avanzare in perfezione; 3° avere insaziabile brama di divenire perfetti; 4° tenere del continuo fisso lo sguardo sul valore della celeste vocazione di Dio, su la palma promessa al vincitore. Per toccare alla perfezione, per meritare la corona, mezzo sovra ogni altro efficace è di esaminarci seriamente, soprattutto sul peccato in noi dominante, e perciò non mai dimenticare l'esame quotidiano della propria coscienza; conosciuto il peccato radicale o dominante, sforzarsi a distruggerlo. 

«Avanzate, dice San Agostino, entrate schiettamente con voi stessi in giudizio senza adularvi e lusingarvi. Poiché non vi è dentro di voi una persona in faccia a cui dobbiate arrossire o possiate vantarvi; ma vi è uno a cui piace l'umiltà. Questi vi provi, e provatevi voi medesimi (Sentent.)».

Fate tutto a maggior gloria di Dio: «Una piccola cosa ben fatta, diceva già Platone, vale molto meglio, che non molte grandi e illustri, fatte alla meglio (Lib. de Repub.)». Tutto ciò che è ben fatto è grande; ma non tutto quel che è grande è ben fatto: e quando non è ben fatto, quello che è grande diventa piccolo. 
Le piccole cose ben fatte, guidano alla perfezione; le grandi, spacciate trascuratamente, conducono all'imperfezione. «L'esercizio di funzioni sante non prova la santità, nota S. Cipriano; per ciò bisogna che si compia santamente quello che è santo (Serm. in Evang.)». Lodate Iddio ogni giorno, dice S. Agostino; e voi lo loderete ogni giorno, se fate bene tutto quello che fate (Sentent.)».

Portatevi adunque, o atleta di Gesù Cristo, in modo che possiate dire con S. Paolo, il più mirabile degli atleti: «Io ho combattuto nel buon arringo, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Del resto aspetto la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi darà in quel giorno; né solo a me, ma anche a tutti quelli cui sta a cuore la sua venuta» (II Tim. IV, 7-8). 

La vita è breve, poco lunga è la corsa, eterna ed immarcescibile la corona... Nel levarvi il mattino, pensate e dite con S. Antonio: «Ho cominciato quest'oggi a correre; solo oggi ho cominciato a servire Dio; può essere che finisca in questo giorno la mia corsa e il mio servizio. Or bene, io, vivrò come se avessi da morire quest'oggi; correrò come se oggi dovessi terminare la mia corsa. Poiché il tempo della corsa non è lungo, e lungo cammino mi resta a fare per giungere al cielo, correrò di carriera e con tutte le forze (Vit. Pat. 1. I).

Altri mezzi eccellenti per arrivare alla perfezione sono: il pensiero della presenza di Dio; la conformità al suo volere; un'umiltà profonda; un assoluto distacco da ogni cosa: ritirarsi in fondo all'anima, studiarvi gli ostacoli alla virtù e rimuoverli decisamente; fermare la mente in Dio; professare una rassegnazione assoluta; disprezzare tutto e desiderare di essere disprezzati da tutti... «Sopportate e astenetevi, dice Tertulliano; chi osserverà questi due punti, vivrà senza peccato, e sarà felice (Ad Martyr.)».




Santa Monica e sant'Agostino
pregate per noi!


lunedì 23 settembre 2013

È stata la mia forza nella vita.


Le sette beatitudini 
contrapposte alle sette spade

 Nuovo dettato di Maria
Dice Maria SS.ma:

«La beatitudine dell’estasi natalizia è venuta meco come essenza di fiore chiusa nel vivo vaso del cuore per tutta la vita. Indescrivibile gioia. Umana e sovrumana. Perfetta.

Quando il venir di ogni sera mi martellava nel cuore il doloroso “memento”: “Un giorno meno di attesa, un giorno più di vicinanza al Calvario” e l’anima mia ne usciva ricoperta di pena come se un flutto di strazio l’avesse ricoperta, anticipata onda della marea che m’avrebbe inghiottita sul Golgota, io curvavo il mio spirito sul ricordo di quella beatitudine che era rimasto vivo nel cuore, così come uno si curva su una gola montana a riudire l’eco di un canto d’amore ed a vedere in lontananza la casa della sua gioia.

È stata la mia forza nella vita. E lo è stata soprattutto nell’ora della [1281] mia morte mistica ai piedi della Croce. Per non giungere a dire a Dio ‑ che ci puniva, io e il mio dolce Figlio, per i peccati di tutto un mondo ‑ che troppo atroce era il castigo e che la sua mano di Giustiziere era troppo severa, io, attraverso il velo del più amaro pianto che donna abbia versato, ho dovuto affissare quel ricordo luminoso, beatifico, santo, il quale si alzava in quell’ora come visione di conforto dall’interno del cuore per dirmi quanto Dio m’avesse amata, si alzava per venirmi incontro non attendendo, poiché era gioia santa, che io lo cercassi, perché tutto quanto è santo è infuso da amore e l’amore dà la sua vita anche alle cose che par che vita non hanno.

Maria, occorre fare così quando Dio ci colpisce.

Ricordare quando Dio ci ha dato la gioia, per poter dire anche fra lo strazio: “Grazie, mio Dio. Tu sei buono con me”.

Non rifiutare il conforto del ricordo di un passato dono di Dio che sorge per confortarci nell’ora in cui il dolore ci piega, come steli percossi da una bufera, verso la disperazione, per non disperare della bontà di Dio.

Procurare che le nostre gioie siano gioie di Dio, ossia non darci delle gioie umane, da noi volute e facilmente contrarie, come tutto quanto è frutto del nostro operare avulso da Dio, alla sua divina Legge e Volontà, ma attendere solo da Dio la gioia.

Serbare il ricordo di esse anche a gioia passata, perché il ricordo che sprona al bene ed a benedire Iddio è ricordo non condannabile ma anzi consigliato e benedetto.

Infondere della luce di quell’ora le tenebre dell’ora presente per farle sempre tanto luminose che ci bastino a vedere il santo Volto di Dio anche nella più buia notte.

Temperare l’amaro del calice di quella goduta dolcezza per poterne sopportare [1283] il sapore e giungere a berlo sino all’ultima stilla.

Sentire, poiché lo si è conservato come il più prezioso ricordo, la sensazione della carezza di Dio mentre le spine ci stringono la fronte.

Ecco le sette beatitudini contrapposte alle sette spade. Te le dono per mia lezione di Natale (metti questa data) e con te le dono a tutti i miei prediletti.
La mia carezza per benedizione a tutti.»

Tratto da: “I Quaderni del 1944: Quaderno nr 12. Ed. CEV 

[1280] 25 ‑ 12 ‑ 1943 Natale.

Cor mitissimum
ora pro nobis

giovedì 13 giugno 2013

Sant'Agostino: DISCORSO 53/A : LE OTTO MASSIME DELLE BEATITUDINI DEL VANGELO

DISCORSO 53/A

LE OTTO MASSIME DELLE BEATITUDINI DEL VANGELO
Non basta lodare la parola di Dio con la lingua ma bisogna metterla in pratica.
1. Con noi avete udito, carissimi, il santo Vangelo; mentre vi parliamo dello stesso passo che vi è stato letto, ci aiuti il Signore affinché le nostre parole siano adatte a voi e producano frutti per la vostra condotta morale. Chi ascolta la parola di Dio deve pensare che deve realizzarsi quanto ascolta: non deve cercare di lodare con la lingua la parola di Dio e poi non tenerla in nessun conto nella vita. Poiché, se son dolci le massime quando si ascoltano, quanto più dolci devono essere quando si mettono in pratica! Noi infatti siamo simili ai seminatori, e voi siete il campo di Dio: [facciamo in modo che] non periscano i semi, ma spunti la messe. Avete sentito con noi che Cristo Signore, essendoglisi avvicinati i suoi discepoli, aprendo la bocca cominciò a istruirli dicendo: Beati i poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli 1, ecc.. L'unico e vero Maestro insegnava ai discepoli che lo attorniavano, dicendo le massime da noi ricordate brevemente. Anche voi vi siete avvicinati a noi, affinché, con il suo aiuto, vi rivolgiamo la parola e vi istruiamo. Che cosa potremo fare di meglio che insegnare le massime che un sì grande maestro enunciò dandone la spiegazione?
Molti sono ricchi, nessun ricco è sicuro.
2. Siate dunque poveri nello spirito, affinché sia vostro il regno dei cieli. Perché temete d'esser poveri? Pensate alle ricchezze del regno dei cieli! Si teme la povertà; si abbia pure timore, ma dell'iniquità. Infatti, dopo la povertà dei giusti, verrà una grande felicità, perché piena sarà la tranquillità; quaggiù invece, quanto più cresce quella che si chiama ricchezza, ma non lo è, non solo cresce anche il timore, ma non finisce la cupidigia. Puoi darmi molti ricchi, ma puoi forse darmi un solo ricco senza timore? Un ricco desidera ardentemente di ammassare denaro, ma trema per la paura di perderlo. Quando mai è libero uno schiavo siffatto? È uno schiavo chi è soggetto a una qualsivoglia padrona; ed è forse libero chi è schiavo dell'avarizia? Beati dunque i poveri nello spirito. Che vuol dire poveri nello spirito? Poveri quanto alla volontà, non quanto alle facoltà. Poiché chi è povero nello spirito è umile; e Dio ascolta i gemiti degli umili e non disprezza le loro preghiere. Il Signore proclamò solennemente il proprio discorso cominciando dall'umiltà, cioè dalla povertà. Si trova una persona pia, ricca di beni terreni, eppure non gonfia di superbia. Si trova anche una persona povera, che non possiede nulla, priva di qualsiasi sostentamento. Questa non ha speranza maggiore di quella: poiché quella è povera nello spirito, per il fatto ch'è umile; questa invece è povera, sì, ma non nello spirito. Ecco perché Cristo Signore, dopo aver affermato: Beati i poveri, aggiunse: nello spirito. Tutti voi dunque, che ci avete ascoltato, e siete poveri, non dovete cercare d'essere ricchi.
Con quali parole l'Apostolo si rivolge a coloro che non sono ricchi.
3. Ascoltate l'Apostolo, non me, e vedete che cosa dice: Certo la pietà, congiunta con l'accontentarsi di quello che si ha, è un grande guadagno. In questo mondo infatti non abbiamo portato nulla e non potremo portar via nulla; se abbiamo vitto e vestiario, di questo cerchiamo di accontentarci. Questi invece che vogliono diventar ricchi - non dice "quelli che sono", ma "quelli che vogliono diventarlo" - coloro dunque che vogliono diventar ricchi incappano - dice - nella tentazione e nel laccio [di Satana], e in molti desideri stupidi e dannosi, che fanno precipitare gli individui nella rovina e nella perdizione. Poiché la radice di tutti i mali è la cupidigia del denaro, per il cui sfrenato desiderio alcuni si sono sviati lontano dalla fede e si sono tormentati da se stessi con molti dolori 2. Ci pare dolce la parola "ricchezza" quando la sentiamo. Ma incappano nella tentazione, è forse una parola dolce? I molti desideri stupidi e dannosi, sono forse una parola dolce? Rovina e perdizione, sono forse una parola dolce? Tormentarsi da se stessi con molti dolori, è forse una parola dolce? Non farti sedurre da un solo falso bene per rimanere nella morsa di tanti veri dolori. Orbene, con le suddette parole il beato Apostolo non si rivolge a coloro che sono ricchi, ma a quelli che non lo sono, perché non vogliano esserlo. Vediamo ora anche con quali parole si rivolge a coloro ch'egli trovava già ricchi. Abbiamo detto ciò che doveva essere detto; voi che siete poveri l'avete udito; quanti qui siete ricchi, ascoltate il medesimo beato Apostolo.
Come Paolo esorta i ricchi. Il ricco superbo non possiede ma è posseduto.
4. Scrivendo al suo discepolo Timoteo, tra gli altri ammonimenti rivoltigli, gli rivolge anche questo: Ai ricchi di questo mondo raccomanda. La parola di Dio li aveva trovati già ricchi poiché, se li avesse trovati poveri, avrebbe detto ciò che ho ricordato prima. Raccomanda, dunque, ai ricchi di questo mondo di non essere superbi, né di riporre le loro speranze nell'instabilità delle ricchezze, ma nel Dio vivente, il quale ci dà tutto con abbondanza perché ne possiamo godere. Siano ricchi di opere buone, generosi nel dare, disposti a partecipare agli altri quel che possiedono, si preparino un tesoro sicuro per l'avvenire per acquistare la vera vita 3. Consideriamo un poco queste poche frasi. Anzitutto - dice - raccomanda ai ricchi di non essere superbi.Non c'è nulla che generi la superbia come la ricchezza. Se il ricco non è superbo, calpesta la ricchezza, si attacca a Dio; il ricco superbo non possiede [la ricchezza], ma ne è posseduto. Il ricco superbo è simile al diavolo. Che cosa ha il ricco superbo, dal momento che non ha Dio? [S. Paolo] aggiunge anche: non riporre la speranza nell'instabilità della ricchezza. Deve possedere la ricchezza in modo da tener presente che può andare perduto ciò che possiede. Possegga dunque ciò che non può perdere. Dopo aver detto dunque: né sperare nell'instabilità della ricchezza,aggiunge: ma nel Dio vivente. Poiché la ricchezza può andare in rovina; e volesse il cielo che andasse perduta senza mandare in rovina anche te. Il salmo apostrofa e schernisce l'uomo che ripone la speranza nella ricchezza: sebbene l'uomo cammini ad immagine di Dio. L'uomo infatti è stato creato ad immagine di Dio; ma riconosca d'essere stato creato, lasci andare in rovina ciò che ha fatto lui stesso e rimanga come Dio lo ha fatto. Sebbene dunque l'uomo cammini a immagine di Dio, tuttavia si turberà inutilmente 4. Che vuol dire: Si turberà inutilmente? Accumula ricchezze e non sa per chi le raduna 5. Mentre vivono, osservano queste verità a proposito dei morti; vedono che i beni di molti morti non sono posseduti dai loro figli, ma questi, vivendo da dissoluti, mandano in malora quanto è stato lasciato loro o lo perdono in seguito a false accuse; e, quel ch'è più grave, mentre si cerca quel che uno ha, va in rovina anche chi lo ha. Molti vengono uccisi a causa delle loro ricchezze. Ecco, ciò che avevano lo hanno lasciato quaggiù: dal momento che non hanno fatto con la ricchezza ciò che [Dio] comanda, con quale faccia si sono presentati a lui? Possiedi dunque la vera ricchezza: cioè Dio stesso, che ci offre in godimento abbondanza di ogni bene.
Esempio dell'agricoltore che affida la semente alla terra.
5. Siano ricchi - dice - di opere buone. In esse devono apparire le ricchezze, con esse devono seminare. Di tali opere infatti parlava il medesimo Apostolo quando disse: Non stanchiamoci di fare il bene, poiché a suo tempo raccoglieremo la messe 6. Cerchino di seminare; [l'agricoltore] non vede ancora bene i proventi che ne ricaverà: abbia fede e semini. L'agricoltore che semina vede forse già la messe raccolta? Tira fuori e sparge nei solchi il frumento conservato con tanta fatica e tanta cura. Egli affida alla terra la sua semente; tu non affidi le tue opere a chi ha fatto il cielo e la terra? Siano dunque ricchi, ma di opere buone. Siano generosi nel dare e mettano in comune [quanto possiedono]. Che vuol dire: Mettano in comune? Non lo posseggano da soli. Hai parlato, o Apostolo, e hai insegnato a seminare: mostra anche la messe. Egli la mostra. Ascolta anche qual è la messe. O avaro, non essere pigro a seminare: ascolta - dico - anche qual è la messe. Lo soggiunge infatti dopo aver detto: Siano ricchi di opere buone, generosi nel dare e mettano in Comune [ciò che hanno]; poiché ha detto solo di seminare, deve dire che cosa raccolgono. Si procurino - dice - un tesoro sicuro per l'avvenire al fine di ottenere la vera vita. Destinata a passare è la falsa vita, dove recano piacere le ricchezze. Dopo questa vita dunque si deve andare alla vera vita. Tu ami ciò che hai: riponilo in un posto più sicuro, per non perderlo. Certamente, tutta la tua preoccupazione, chiunque tu sia che ami la ricchezza, non è se non quella di non perdere quel che hai. Ascolta il consiglio del tuo Signore. Non v'è un posto sicuro sulla terra: trasferiscilo in cielo. Ciò che hai ammassato lo avresti voluto affidare a un tuo servo di fede provata: affidalo al tuo fedele Signore. Il tuo servo, per quanto ti sia fedele, può perderlo anche suo malgrado. Il tuo Dio invece non può perdere nulla: tutto ciò che gli avrai affidato lo possederai presso di lui, dal momento che possederai anche lui stesso.
I poveri sono come i facchini della ricchezza che si trasferisce in cielo.
6. Poiché ho detto: "Trasferisci [quanto possiedi] e riponilo in cielo", non ti s'insinui nella mente un pensiero carnale e ti suggerisca: "Ma come tirerò fuori dalla terra o solleverò dalla terra quel che possiedo e lo riporrò nel cielo? In qual modo vi salirò? Con quali macchine innalzerò fin lassù ciò che possiedo?". Osserva gli affamati, osserva i nudi, osserva i poveri, osserva i forestieri, osserva i prigionieri: saranno i facchini dei tuoi beni che trasferirai nel cielo. A questo punto forse ti metterai a pensare e ti domanderai: "In che modo saranno essi i miei facchini? Come prima pensavo in qual modo avrei potuto sollevare fino al cielo ciò che possedevo, senza riuscire a trovarlo, così ora sto pensando come possano sollevarlo coloro ai quali lo do e ugualmente non lo trovo". Ascolta dunque che cosa ti dice il Cristo: "Fa' un contratto di trasferimento; dammi [quanto hai] laggiù sulla terra, dàllo a me laggiù e io poi te lo renderò quassù". Il Cristo dice: "Dammi quanto hai laggiù sulla terra, ove lo hai, e io poi te lo renderò quassù". Anche a questo punto ti domanderai: "In qual modo potrò dare al Cristo? Il Cristo è in cielo, siede alla destra del Padre; quando viveva quaggiù con la sua carne si degnò, per amor nostro, di aver fame, sete, bisogno d'essere ospitato; tutti questi servizi gli furono prestati da sante persone, che furono degne di ricevere nella propria casa il Signore; adesso il Cristo non ha bisogno di nulla: ha posto la sua carne incorruttibile alla destra del Padre. In qual modo potrò dargli qualcosa quaggiù, mentre non ha bisogno di nulla?". Tu ti sei dimenticato di quel che ha detto: Ciò che avete fatto a uno di questi miei [fratelli] più piccoli, lo avete fatto a me 7. Il capo è in cielo, ma le membra le ha sulla terra: un membro di Cristo dia a un altro membro di Cristo; chi possiede dia all'indigente. Sei membro di Cristo e hai di che dare, anche il povero è un membro di Cristo e ha bisogno che tu gli dia. Ambedue camminate per un'unica strada, ambedue siete compagni di viaggio: il povero ha le spalle senza pesi; tu, invece, che sei ricco, sei carico di fardelli; ciò di cui sei gravato, ciò che ti appesantisce, dallo a chi ha bisogno; in tal modo non solo risollevi te stesso, ma sollevi anche il compagno di viaggio. La Sacra Scrittura dice: Il povero e il ricco si sono incontrati: ambedue sono stati creati da Dio 8. Bellissima massima! Il povero e il ricco si sono incontrati. Dove si sono incontrati, se non in questa vita? Il primo è ben vestito, il secondo è coperto di stracci, ma quando si sono incontrati. Ambedue sono nati nudi, poiché anche il ricco è nato povero. Non deve osservare ciò ch'egli ha incontrato, ma guardare ciò che ha portato. Che cosa ha portato il misero, quando è nato, se non la nudità e le lacrime? Ecco perché l'Apostolo dice: Nulla abbiamo portato in questo mondo, ma neppure nulla potremo portar via 9. Mandi dunque innanzi di propria volontà ciò che possa trovare quando uscirà da questa vita. C'è dunque il povero e c'è il ricco e si sono incontrati; l'uno e l'altro poi li ha creati il Signore: il ricco per mezzo del quale soccorrere l'altro; il povero, per mettere alla prova il primo. Beati dunque i poveri nello spirito, poiché di essi è il regno dei cieli 10. Anche se hanno la ricchezza, non la posseggono; siano poveri e sarà loro il regno dei cieli.
Chi sono i miti.
7. Beati i miti poiché essi erediteranno la terra 11. I miti. Quelli che non si oppongono alla volontà di Dio: questi sono i miti. Chi sono i miti? Coloro i quali, quando le cose vanno loro bene, lodano Dio; quando invece vanno male, non bestemmiano Dio; mediante le loro opere buone danno gloria a Dio e dei propri peccati accusano se stessi. Essi erediteranno la terra. Quale terra, se non quella di cui parla il salmo: Sei tu la mia speranza, la mia porzione nella terra dei viventi 12?.
Piangendo se stesso il peccatore ritorna in vita.
8. Beati coloro che piangono, poiché saranno consolati 13. Miei cari fratelli, il pianto è un fatto doloroso, quando è il lamento di chi si pente. In realtà ogni peccatore dovrebbe piangere. Chi viene pianto, se non chi è morto? E che c'è di così morto come un iniquo? Ecco una cosa straordinaria: pianga se stesso e tornerà in vita: pianga spinto dal pentimento e verrà consolato col perdono.
Sulla terra è fame di giustizia, in cielo sazietà.
9. Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati 14. Il fatto d'aver fame della giustizia si ha solo sulla nostra terra. La sazietà della giustizia si avrà solo in un altro luogo, ove nessuno peccherà: la sazietà della giustizia quale si trova negli angeli santi. Ma noi che siamo affamati e assetati della giustizia, dobbiamo dire a Dio: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra 15.
Il povero è tuo mendicante, tu sei mendicante di Dio.
10. Beati quelli che hanno compassione degli altri, perché otterranno compassione 16. Con un'ottima connessione logica, dopo aver detto: Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati, soggiunse: Beati quelli che sentono compassione perché Dio avrà compassione di loro. Tu infatti hai fame e sete della giustizia. Se hai fame e sete, sei mendicante di Dio. Te ne stai dunque come un mendicante davanti alla porta di Dio, ma c'è anche un altro mendicante davanti alla tua porta; quel che farai col tuo mendicante, lo farà Dio con il suo.
Accogli Dio nel cuore purificato e lo dilaterà e ti nutrirà di sé.
11. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio 17. Uno deve compiere tutto ciò ch'è stato detto più sopra e il suo cuore sarà mondato. Ha il cuore puro perché non finge l'amicizia e impedisce che nel suo cuore ci sia l'inimicizia. Poiché Dio dà il premio in relazione al cuore ove egli vede. Tutto ciò che ti piace lì, dentro il tuo cuore, non approvarlo, non lodarlo; e se ti solletica una passione malsana, non vi acconsentire: e se è molto ardente, prega Dio di respingerla, affinché nel tuo intimo si produca qualche effetto salutare e venga purificato il cuore, nel quale viene pregato Dio stesso. Quando infatti vuoi pregare Dio dentro la tua camera, purificala, perché Dio ti esaudisca, purifica la tua camera interna. Talora tace la lingua ma geme l'anima; in ogni modo nel proprio intimo, nella camera del cuore si prega Dio: lì non vi sia nulla che offenda gli occhi di Dio che dispiaccia a Dio. Forse potresti trovarti in difficoltà nel purificare il tuo cuore; invoca allora Colui che non disdegnerà di purificare un posto per sé e si degnerà d'abitare in te. Temi forse di accogliere un potente così grande e di esserne turbato, come degli individui mediocri e meschini i quali sono soliti temere d'esser costretti ad accogliere in casa propria dei viaggiatori altolocati? Certo non v'è nulla di più grande di Dio: tu però non temere le tue strettezze, accoglilo ed egli ti dilaterà. Non hai nulla da offrirgli da mangiare? Accoglilo e ti nutrirà lui e, quel ch'è più dolce alle tue orecchie, sarà lui che ti nutrirà di se stesso. Sarà egli stesso il tuo cibo, poiché è stato proprio lui a dire: Sono io il pane vivo disceso dal cielo 18. Un tal pane ristora e non si deteriora. Beati dunque i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Come si deve comportare l'operatore della pace.
L'ordine della pace in noi.
12. Beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di Dio 19. Chi sono i pacificatori? Coloro che procurano la pace. Vedi delle persone in disaccordo tra loro? Sii tra loro operatore di pace. Parla bene del primo al secondo e viceversa. Ascolti del male riguardo a uno di essi da parte dell'altro come da uno ch'è adirato? Non lo manifestare; dissimula l'insulto ascoltato dall'adirato, da' un leale consiglio per la concordia. Ma se vuoi essere pacificatore tra due tuoi amici che sono in discordia, comincia da te stesso ad essere pacifico: devi mettere in pace te stesso interiormente, dove forse sei in lotta quotidiana con te stesso. Non sentiva forse il dissidio colui che diceva: La carne ha desideri contrari a quelli dello spirito e lo spirito desideri contrari a quelli della carne; queste due forze si oppongono a vicenda, sicché non potete fare quel che vorreste 20? Sono parole del santo Apostolo. Nel mio intimo amo la legge di Dio - dice - ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che contrasta fortemente con la legge amata dalla mia mente, e mi rende schiavo della legge del peccato, che abita nelle mie membra 21. Se dunque proprio nell'interno dell'uomo esiste un certo dissidio ogni giorno, e si lotta lodevolmente, perché le facoltà superiori non siano vinte da quelle inferiori, perché il desiderio sensuale non vinca lo spirito, perché la concupiscenza non vinca la sapienza, ne risulta la giusta pace che tu devi realizzare in te, affinché sulle facoltà inferiori abbia il dominio la facoltà più elevata, ch'esiste in te. La facoltà più elevata che tu hai è quella in cui risiede l'immagine di Dio. Questa si chiama spirito, si chiama intelligenza; in essa arde la fede, si rafforza la speranza, si accende la carità. Desidera il tuo spirito esser capace di vincere i tuoi desideri sensuali? Lo spirito sia soggetto a Colui che gli è superiore e sarà vittorioso della parte inferiore [dell'uomo]; così regnerà in te la pace vera, sicura, stabilita nell'ordine più perfetto. Qual è l'ordine di questa pace? Dio ha il dominio sullo spirito, lo spirito sulla carne; nulla di più ordinato. La carne però ha sempre le sue debolezze. Non era così nel paradiso: è diventata così a causa del peccato, e a causa del peccato è incatenata dalla discordia, che ci contrasta. È venuto però un uomo senza peccato per mettere d'accordo l'anima nostra con la nostra carne e s'è degnato di darci il pegno dello Spirito. Tutti coloro che si lasciano guidare dallo Spirito di Dio sono figli di Dio 22. Beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di Dio. D'altra parte tutta questa lotta, che ci tormenta a causa della nostra debolezza - e anche quando non acconsentiamo ai cattivi desideri, tuttavia siamo in certo qual modo impegnati nella stessa lotta e non ne siamo ancora liberi - tutta questa lotta non ci sarà più quando la morte sarà inghiottita dalla vittoria. Ascolta in che modo non ci sarà più:Bisogna che questo corpo corruttibile - così dice l'Apostolo - si vesta d'incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d'immortalità. Quando poi questo corpo mortale si sarà vestito d'immortalità, allora si avvererà la parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata dalla vittoria 23. È finita la guerra ed è stata conclusa con la pace. Ascolta la voce dei trionfatori: Dov'è, morte, la tua potenza? Dov'è, morte, il tuo pungiglione24. Questa dunque è la voce dei trionfatori; non resterà assolutamente più alcun nemico, nessuno che combatta di dentro, nessuno che tenti dal di fuori. Beati dunque i pacificatori, perché saranno chiamati figli di Dio.

Non la pena ma la causa fa il martire.
13. Beati i perseguitati a causa della giustizia 25. Questa aggiunta distingue il martire dal brigante; di fatto anche il brigante è perseguitato per causa dei suoi misfatti ma egli non cerca il premio, bensì sconta la pena dovuta. Fa di uno un martire non la pena, ma la causa; prima scelga la causa e poi tranquillo sopporti la pena. In un sol luogo v'erano tre croci, quando il Cristo soffrì la passione: egli nel mezzo, di qua e di là due briganti. Considera la pena: niente di più simile, eppure uno dei briganti sulla croce trovò il paradiso. Il Cristo nel mezzo fa da giudice: condanna il superbo, soccorre l'umile. Il legno della croce fu il tribunale per il Cristo. Che cosa farà quando giudicherà, egli che poté fare ciò quando era giudicato? Al brigante, che aveva proclamato la sua fede in lui, disse: Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso 26. Egli infatti si differenziava dall'altro. Cosa mai aveva detto? Ricordati di me, Signore quando sarai nel tuo regno 27. Conosco - diceva - i miei delitti; senza dubbio dovrò sopportare tormenti finché non vi giungerai tu stesso. Ma poiché chiunque si umilia sarà esaltato, Cristo pronunciò subito la sentenza e gli concesse il perdono: Oggi - disse - sarai con me in paradiso. Ma il Signore non fu messo intero nel sepolcro lo stesso giorno? Quanto al corpo sarebbe rimasto nel sepolcro; quanto all'anima invece sarebbe rimasto negli inferi, non per esservi tenuto prigioniero, ma per liberarvi quelli che vi erano prigionieri. Se dunque lo stesso giorno si sarebbe trovato negli inferi quanto all'anima, e quanto al corpo sarebbe stato nel sepolcro, come mai disse: Oggi sarai con me in paradiso? Ma il Cristo intero non è forse anima e corpo? Ti sei dimenticato che al principio c'era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo 28? Ti sei dimenticato che il Cristo è potenza e Sapienza di Dio 29? Dove non è dunque la Sapienza di Dio? Di essa non dice forse la Scrittura: Si estende da un confine all'altro con forza e governa ogni cosa con bontà 30? Cristo dunque per quanto riguarda la persona del Verbo dice: Oggi sarai con me in paradiso. "Oggi - dice con l'anima discendo agli inferi, ma con la divinità non mi assento dal paradiso".
Agostino non vuol gravare i fedeli sebbene contenti di ascoltarlo.
14. Per quanto sono stato capace, ho esposto alla vostra Carità tutte le beatitudini di Cristo. Vedo in verità che siete tanto contenti da voler udire ancora. La vostra Carità ci ha stuzzicati a dire molte cose e forse potremmo dirne altre ancora; ma è meglio che ruminiate bene nella mente e digeriate in modo salutare le verità che afferrate.


Gesù Amore, accresci in me
il Tuo Amore!