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martedì 31 marzo 2015

OPINIONI: Il clero ha una grande responsabilità all'interno della Chiesa

Il neo-clero

Il clero ha una grande responsabilità all'interno della Chiesa: è in grado di stimolare e far lievitare una realtà o, al contrario, di deprimerla e necrotizzarla.

In Occidente, il concilio di Trento aveva certamente in mente questo quando istituì i seminari, luoghi deputati alla formazione intellettuale e spirituale del clero.

Non sono di quelle persone che pensano ai seminari come a luoghi ideali. Come ogni scelta umana, anche questo tipo d'istituzioni risentono di limiti e problematiche di varia natura emerse nel corso del tempo.

Ammetto, però, che la loro istituzione aveva un fine positivo: formare un clero di alta qualità. Che ci sia riuscito o meno, poi, è un altro paio di maniche e dipende da luoghi, tempi e persone. La caricatura con la quale si apre questo post ci indica che, nonostante tutto, nella Francia dell'Ancien Règime, il clero non era visto nel modo migliore e che i buoni esempi continuavano a rimanere una minoranza.

Nel tempo attuale, tuttavia, è successo qualcosa di totalmente nuovo, che solo in parte il mondo tradizionalista cattolico ha notato: la nascita di un neo-clero. Questo neo-clero è in rottura più o meno apertamente palese con il passato religioso ed è composto da uomini che, francamente, potremo definire "né carne né pesce".

Non li si può qualificare laici, poiché appartengono ad uno status differente, distinto e appartato da quello laicale. Non li si può definire chierici, poiché hanno profonda idiosincrasia verso tutto quello che definisce il chierico in senso proprio (il dedicarsi alla preghiera, alla riflessione quotidiana sui misteri della fede, al santuario, alla cura delle realtà ecclesiastiche, ad un'istruzione tradizionale...).

Sono sostanzialmente dei chierici desacralizzati che, appena possono, preferiscono il bar all'oratorio, la piazza al presbiterio, la festa e la danza alla compostezza ieratica. Nei casi più tristi, finiscono per avere una doppia vita nella quale manifestano una grande scioltezza e una tranquilla indifferenza, cosa impensabile fino a sessant'anni fa. In questa doppia vita essi si sentono veramente loro stessi!
Non sono "né carne né pesce" ma desiderano la libertà dei laici, pur non essendo tali, e i privilegi dei chierici, pur essendo contro la figura tradizionale del chierico. In questo modo tengono i piedi su due staffe.


Man mano che nell'ambito di una Chiesa vengono meno le vecchie generazioni, emerge sempre più la presenza di questo neo-clero un po' adolescenziale, un po' semplicista, in spessi casi sans soucis e superficiale, molto vitalista, sempre animato da una viscerale avversione alle forme religiose tradizionali.

La gente di una certa età che ha ancora il ricordo di uno stile più impegnato e riservato, denomina questi chierici in modo gentile ma serio come “preti moderni”. In realtà, questa definizione significa semplicemente “non preti”.

Già nei lontani anni '80 ricordo uno studente cattolico di teologia che mi confidava: “In seminario ci danno un'istruzione ma non abbiamo alcun modello da seguire. Chi devo seguire io? A chi mi devo ispirare?”. Costui come tutti i suoi compagni di classe finì per divenire un “prete fai da te”, ossia si ritagliò un'immagine di prete come pensava o credeva fosse meglio. L'istituzione non voleva o non aveva il coraggio di fornigli alcun modello, men che meno un modello sacrale, cosa aborrita già da allora. Oggi, che pure un papa sta desacralizzando la sua figura, le cose sono ancor più precipitate verso l'improvvisazione e la secolarizzazione.

Non si creda che questo sia un problema precipuo al mondo cattolico. Anche altre realtà ecclesiastiche lo vivono da tempo, seppure in forma e modalità diversa.
Ad esempio in Grecia esiste il fenomeno dei “ preti signorini”. Costoro, che tendono ad aumentare sempre più, sono preti non sposati che non vivono in monastero. Sono iscritti nel numero dei monaci di un monastero in modo puramente formale, per giustificare il fatto d'essere celibi, ma non sono in grado di condurre una vita religiosa sotto l'obbedienza di una regola. Ricordo uno di essi che molto sinceramente mi disse: “Non sono in grado e non voglio vivere in monastero!”.

Questi “signorini” sono simili al clero latino con la differenza che mentre in Occidente il clero si è ritagliato un suo preciso status, in Oriente il “signorino” si fa uno status a suo uso e consumo con il rischio di divenire molto individualista e, in fin dei conti, di obbedire solo a se stesso. Queste persone, sottoposte ad un maggior rischio  d'individualimo, sono gli episcopabili odierni!

Per essere più chiaro ancora: un vescovo scelto da questi “signorini” e con queste caratteristiche invece di pensare al bonum ecclesiae, finirà per attingere ai soldi della Chiesa e rimpinguare il suo conto corrente sottoponendo la Chiesa stessa ai suoi capricci e promuovendo gente incapace e cortigiana, punendo ed isolando le persone più degne. Sta succedendo e succederà sempre più ...

Ricordo un monaco atonita di una certa responsabilità che mi ripeteva: "Stanno saccheggiando la Chiesa, la Chiesa è piena di ladri". Si riferiva a questo. E non si creda che questo sia solo un problema orientale. È un problema universale!


Per aliam viam, ci troviamo sempre dinnanzi alla stessa problematica posta dall'esistenza del neo-clero. Nel caso greco il neo-clero bizantino non può mostrare aperta antipatia per le tradizioni ma le svitalizza rendendole pura formalità, cose da farsi per poi sbarazzarsi di paramenti sacri e simboli religiosi e correre al caffé del paese per parlare di amenità. Un appartenente al neo-clero greco, così, non s'immerge nella liturgia come in un mistero con il quale riempire di grazia se stesso e i fedeli (prospettiva spirituale-monastica, misterica e mistica) ma la tratta come il palcoscenico di un teatro nel quale mostra se stesso e per questo solo fatto cerca lodi e consensi. Invece di succedere il contrario come dovrebbe, Dio, come in Occidente, diviene lo sfondo e l'uomo emerge in primo piano col rischio di oscurare tutto.

Il neo-clero è un flagello per la Chiesa ovunque esso appaia. Purtroppo questo flagello è quanto si merita l'uomo attuale, raramente in grado di poter offrire una qualità migliore a se stesso e agli altri. Ecco, quindi, una delle ragioni dell'implosione del Cristianesimo in se stesso: quando il neo-clero diviene sempre più prevalente, Dio è spinto sempre più sullo sfondo e l'uomo, con il pretesto di Dio, mette in mostra se stesso. Alla fine è la Chiesa stessa che cambia natura e diviene qualcos'altro. Da questa neo-chiesa i cristani fedeli non potranno che appartarsi o fuggire, essendo oramai divenuta una realtà tossica. Ecco in parte spiegata la fuga dalla pratica religiosa, in questi ultimi decenni.
Pubblicato da Pietro C. 13:30 

7 commenti:
non penso sia prerogativa del neo-clero, non essere sale, ma anche quelli precedente alla generazione 70-80-90 ad essere spenta e glielo si legge negli occhi..


  1. Descrizione: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQe3ys_53d-8_uvOIIrCCDyv3H133fUTPdg1beE2T8ckdxv0pWRoX4kzf_762lcds_4zIPNkIl52O27LEM5A9vEp-qqaOWJmt1JfdtbrI09AHv_OBcGF0mmw5cAY7ffU5VT0wJOT0bXAE/s45/church1.jpg
E' una prospettiva alla quale avevo pensato, in effetti. Ma i difetti di un clero divenuto tale senza vocazione (un tempo era più frequente di oggi) se sono sempre esistiti, oggi si assommano a situazioni decisamente inedite come quelle di una società di fatto postcristiana con tutto quello che ciò comporta.
Sacerdoti poco edificanti sono sempre esistiti. Ma una volta si tendeva a nascondere o a negare i propri peccati, quand'anche non ci si vergognava di essi. Oggi non è più così. Inoltre se un tempo esisteva una certa obbedienza e collaborazione, oggi molti vescovi devono confessare che i preti non obbediscono più. E i problemi di questo clero iniziano a contraddistinguere i vescovi fino a salire sempre più in alto. Sono dati di fatto davanti ai quali umanamente parlando non si può far nulla se non prenderne atto. Non voglio rattristare nessuno ma neppure illudere.
In Oriente ci sono, non meno che da noi, pesanti problemi umani con la particolarità di vescovi ignoranti, incapaci e indegni, moltissima simonia... Questa è la realtà!
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sì,ma dalla mie parti non è la simonia o la disubbidienza è il problema, noto solo che anche le generazioni di preti che è nata negli '50 sta perdendo il significato dei riti e dei sacramenti...


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La simonia è più un problema delle chiese orientali (in Grecia per un semplice battesimo certi parroci chiedono 800 euro, se le pare possibile!), la disobbedienza serpeggia un po' ovunque. Ma la mancanza di significato è indice di una mancanza di vita spirituale.
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vero, epperò come fanno ad avere vita spirituale se hanno ucciso il Padre, per rincorrere il mondo e le sue ideologie mortifere?
  1. Descrizione: https://blogger.googleusercontent.com/img/proxy/AVvXsEgpTYOtkN5cq1xwVK55bMaR32QRjQxucId4hkVtfwaH8qHqWIsLKoRhIZ0H05oyjd6EOJDXgr30VOystyowv2ju5IVIcpHI37lWAHuykYxwtNFRVEL4WkekVdB-RvfaPFsCAqt55oJM=
Penso che questo genere di situazioni nasca quando c'è troppo benessere, in Occidente come in Oriente.
Nella Chiesa cattolica ortodossa - almeno sulla carta - l'asscesi viene ancora predicata e praticata da molti, mentre la Chiesa romana occidentale già dal Medioevo aveva iniziato a tagliare le pratiche del digiuno e dell'astinenza (famosi i castori classificati "animali acquatici" come i pesci), poi a partire dal XV secolo furono ammessi in Quaresima anche formaggi e uova, fino a Pio X, che permise anche la carne in alcuni giorni, per finire con Paolo VI, che ha ridotto i giorni di digiuno a due (!) e l'astinenza ai soli Venerdì.
La Chiesa cattolica ortodossa russa forse è più sana, perché uscita da oltre 70 anni di persecuzione e privazioni.
Anacleto



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È la comodità che ha fatto entrare nell'anima il verme della decadenza. 
Ma come dice giustamente lei non tutti gli ambienti del mondo ortodosso sono marci. Ce ne sono pure di sani, per fortuna! L'impegno personale dev'essere quello di espandere gli ambienti sani senza intrattenersi troppo a dar spago o risonanza a quelli marci. 

Tanto questi ultimi si fanno risonanza da soli: sono come le teste di legno che fan sempre fracasso, segno che certe persone hanno un disagio interiore che non trova riposo fintanto che non si allontanano dallo smodato amore a se stessi...

domenica 11 novembre 2012

"Cari seminaristi, studiate il latino!"

Tibi gratias agimus, Pater sancte!

"Cari seminaristi, studiate il latino!"
Benedetto XVI



Mentre tutti pensavano che ormai le sorti del latino ecclesiastico fossero segnate per il peggio, ecco che nuovamente Benedetto XVI estrae un ... dinosauro dal suo cappello! Tira fuori un Motu proprio che viene, prima di tutto, ad istituire una Pontificia Accademia per lo studio e la diffusione della Lingua Latina, ma politicamente - mi si passi il termine - viene ad insistere presso quanti sono impegnati nella formazione del clero sull'importanza della conoscenza della lingua della Chiesa occidentale. E questo, come ricorda il Papa, per poter accedere alle fonti teologiche, cioè per non trovarsi domani una Chiesa tagliata fuori dalle proprie radici culturali e in balia di pochi, in alto, che potrebbero inventarsi via via nuove "tradizioni" o far filtrare verso la base ignara del suo passato, qualunque novità, spacciandola per antichissima (ma non serve che andate a vedere nei documenti... fidatevi....).
Il Papa non vuole che il latino sia considerato una conoscenza elitaria. Proprio in virtù della democratizzazione del sapere e dell'accesso più ampio possibile ai tesori del passato (e del presente), Benedetto XVI sottolinea ancora e ancora che la Chiesa riconosce il latino come lingua propria, non solo nella Liturgia (soprattutto lì), ma anche in ogni settore della sua vita culturale.
Speriamo che i rettori dei seminari e preposti alle istituzioni accademiche ecclesiali non facciano orecchio da mercante, e si convincano che è più importante insegnare il latino e l'inglese, che non martellare i chierici di corsi e corsetti che spezzettano il sapere e non mettono in mano gli strumenti culturali (cioè le lingue) perché ognuno possa continuare anche dopo gli studi i propri approfondimenti personali, sia volti alla storia (con il latino), sia al presente che va al di là del proprio naso nazionale (con l'inglese).

Leggete qui le anticipazioni già fatte ad Agosto e i commenti...
Qui la notizia da RadioVaticana e qui sotto, ecco il Motu Proprio, insieme a due articoli dallo Statuto dell'Accademia sugli gli scopi e mezzi della nuova istituzione oggi fondata:

LITTERAE APOSTOLICAE
MOTU PROPRIO DATAE
"LATINA LINGUA"
De Pontificia Academia Latinitatis condenda

1. Latina Lingua permagni ab Ecclesia Catholica Romanisque Pontificibus usque est aestimata, quandoquidem ipsorum propria habita est lingua, qui eandem cognoscendam et diffundendam assidue curaverunt, cum Evangelii nuntium in universum orbem transmittere valeret, quemadmodum in Constitutione Apostolica Veterum sapientia Decessor Noster beatus Ioannes XXIII iure meritoque edixit.
Enimvero inde a Pentecoste omnibus hominum linguis locuta et precata est Ecclesia. Attamen christianae communitates primorum saeculorum linguam Graecam Latinamque affatim usurpaverunt, cum illis locis in quibus morabantur universalia essent communicationis instrumenta, quorum ope Christi Verbi novitas hereditati obviam ivit Romani et Hellenistici cultus.
Romano Imperio occidentali exstincto, Romana Ecclesia non modo lingua Latina uti perrexit, verum etiam quodammodo custos eiusdem et fautrix fuit, sive in Theologiae ac Liturgiae, sive in institutionis et scientiae transmittendae provincia.


2. Nostris quoque temporibus Latinae linguae et cultus cognitio perquam est necessaria ad fontes vestigandos ex quibus complures disciplinae ceteroqui hauriunt, exempli gratia Theologia, Liturgia, Patrologia et Ius Canonicum, quemadmodum Concilium Oecumenicum Vaticanum II docet (cfr Decretum de Institutione sacerdotali, Optatam totius, 13).
In hac praeterea lingua, ut universalis Ecclesiae natura pateat, typica forma sunt scripti liturgici libri Romani Ritus, praestantiora Magisterii pontificii Documenta necnon sollemniora Romanorum Pontificum officialia Acta.


3. In hodierno tamen cultu, humanarum litterarum extenuatis studiis, periculum adest levioris linguae Latinae cognitionis, quae in curriculis philosophicis theologicisque futurorum presbyterorum quoque animadvertitur. Sed contra, in nostro ipso orbe, in quo scientia ac technologia praecipuum obtinent locum, renovatum culturae et linguae Latinae studium invenitur, non illis in Continentibus dumtaxat quae proprias culturales radices in patrimonio Graeco et Romano habent. Id diligentius est animadvertendum eo quod non modo academiarum provincia et institutionum implicatur, sed ad iuvenes inquisitoresque etiam attinet, qui ex diversissimis Nationibus et traditionibus proveniunt.


4. Quapropter necessitas instare videtur ut linguae Latinae altius cognoscendae eiusque congruenter utendae fulciatur cura, sive in ecclesiali sive in patentiore cultus campo. Ut hic nisus extollatur et evulgetur, consentaneum prorsus est docendi rationes adhibere aptas ad novas condiciones et provehere item necessitudines inter Academicas institutiones et inquisitores, ut copiosum ac multiforme Latini cultus patrimonium efferatur.

Ad haec proposita assequenda, Decessorum Nostrorum semitas calcantes, hasce per Litteras Apostolicas Motu Proprio datas hodie Pontificiam Academiam Latinitatis condimus, quae Pontificio Consilio de Cultura erit obnoxia. Eam regit Praeses, quem Secretarius iuvat et ii a Nobis nominantur, dum Consilium Academicum illis auxilium fert.
Opus Fundatum Latinitas, quod Pauli PP. VI chirographo Romani Sermonis die XXX mensis Iunii anno MCMLXXVI est constitutum, exstinguitur.
Decernimus ut hae Litterae Apostolicae Motu Proprio datae, quibus ad experimentum in quinquennium adnexum Statutum comprobamus, per editionem in actis diurnis "L’Osservatore Romano" evulgentur.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die X mensis Novembris, in memoria S. Leonis Magni Papae, anno MMXII, Pontificatus Nostri octavo.
BENEDICTUS PP XVI
* * *
Pontificiae Academiae Latinitatis Statutum
Art. I
Pontificia Academia Latinitatis conditur, cuius sedes in Statu Civitatis Vaticanae locatur, quae linguam Latinam et cultum promoveat extollatque. Academia cum Pontificio Consilio de Cultura copulatur, cui est obnoxia.
Art. II
§ 1. Haec sunt Academiae proposita:
a) ut linguae litterarumque Latinarum, quae ad classicos, Christianos, mediaevales, humanisticos et recentissimos pertinent auctores, cognitionem iuvet studiumque provehat, praesertim apud catholica instituta, in quibus vel Seminarii tirones vel presbyteri instituuntur atque erudiuntur;
b) Ut provehat diversis in provinciis Latinae linguae usum, sive scribendo sive loquendo.


§ 2. Ut haec proposita consequatur, Academia studet:

a) scripta, conventus, studiorum congressiones, scaenica opera curare;
b) curricula, seminaria aliaque educationis incepta procurare, etiam iunctis viribus cum Pontificio Instituto Altioris Latinitatis;
c) hodierna quoque communicationis instrumenta in discipulis instituendis adhibere, ut sermonem Latinum perdiscant;
d) expositiones, exhibitiones et certamina apparare;
e) alia agere ac suscipere ad hoc Institutionis propositum assequendum.

LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI MOTU PROPRIO
"LATINA LINGUA"
con la quale viene istituita la Pontificia Accademia di Latinità


1. La lingua latina è sempre stata tenuta in altissima considerazione dalla Chiesa Cattolica e dai Romani Pontefici, i quali ne hanno assiduamente promosso la conoscenza e la diffusione, avendone fatto la propria lingua, capace di trasmettere universalmente il messaggio del Vangelo, come già autorevolmente affermato dalla Costituzione Apostolica Veterum sapientia del mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII.
In realtà, sin dalla Pentecoste la Chiesa ha parlato e ha pregato in tutte le lingue degli uomini. Tuttavia, le Comunità cristiane dei primi secoli usarono ampiamente il greco ed il latino, lingue di comunicazione universale del mondo in cui vivevano, grazie alle quali la novità della Parola di Cristo incontrava l’eredità della cultura ellenistico-romana.
Dopo la scomparsa dell’Impero romano d’Occidente, la Chiesa di Roma non solo continuò ad avvalersi della lingua latina, ma se ne fece in certo modo custode e promotrice, sia in ambito teologico e liturgico, sia in quello della formazione e della trasmissione del sapere.

2. Anche ai nostri tempi, la conoscenza della lingua e della cultura latina risulta quanto mai necessaria per lo studio delle fonti a cui attingono, tra le altre, numerose discipline ecclesiastiche quali, ad esempio, la Teologia, la Liturgia, la Patristica ed il Diritto Canonico, come insegna il Concilio Ecumenico Vaticano II (cfr Decr. Optatam totius, 13).
Inoltre, in tale lingua sono redatti, nella loro forma tipica, proprio per evidenziare l’indole universale della Chiesa, i libri liturgici del Rito romano, i più importanti Documenti del Magistero pontificio e gli Atti ufficiali più solenni dei Romani Pontefici.

3. Nella cultura contemporanea si nota tuttavia, nel contesto di un generalizzato affievolimento degli studi umanistici, il pericolo di una conoscenza sempre più superficiale della lingua latina, riscontrabile anche nell’ambito degli studi filosofici e teologici dei futuri sacerdoti. D’altro canto, proprio nel nostro mondo, nel quale tanta parte hanno la scienza e la tecnologia, si riscontra un rinnovato interesse per la cultura e la lingua latina, non solo in quei Continenti che hanno le proprie radici culturali nell’eredità greco-romana. Tale attenzione appare tanto più significativa in quanto non coinvolge solo ambienti accademici ed istituzionali, ma riguarda anche giovani e studiosi provenienti da Nazioni e tradizioni assai diverse.


4. Appare perciò urgente sostenere l’impegno per una maggiore conoscenza e un più competente uso della lingua latina, tanto nell’ambito ecclesiale, quanto nel più vasto mondo della cultura. Per dare rilievo e risonanza a tale sforzo, risultano quanto mai opportune l’adozione di metodi didattici adeguati alle nuove condizioni e la promozione di una rete di rapporti fra Istituzioni accademiche e fra studiosi, al fine di valorizzare il ricco e multiforme patrimonio della civiltà latina.
Per contribuire a raggiungere tali scopi, seguendo le orme dei miei venerati Predecessori, con il presente Motu Proprio oggi istituisco la Pontificia Accademia di Latinità, dipendente dal Pontificio Consiglio della Cultura. Essa è retta da un Presidente, coadiuvato da un Segretario, da me nominati, e da un Consiglio Accademico.
La Fondazione Latinitas, costituita dal Papa Paolo VI, con il Chirografo Romani Sermonis, del 30 giugno 1976, è estinta.
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La presente Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, con la quale approvo ad experimentum, per un quinquennio, l’unito Statuto, ordino che sia pubblicata su L’Osservatore Romano.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 10 novembre 2012, memoria di S. Leone Magno, anno ottavo di Pontificato.
BENEDICTUS PP XVI

* * *
Statuto della Pontificia Accademia di Latinità
Articolo 1 È istituita la Pontificia Accademia di Latinità, con sede nello Stato della Città del Vaticano, per la promozione e la valorizzazione della lingua e della cultura latina. L’Accademia è collegata con il Pontificio Consiglio della Cultura, dal quale dipende.
Articolo 2§ 1. Scopi dell’Accademia sono:
a) favorire la conoscenza e lo studio della lingua e della letteratura latina, sia classica sia patristica, medievale ed umanistica, in particolare presso le Istituzioni formative cattoliche, nelle quali sia i seminaristi che i sacerdoti sono formati ed istruiti;
b) promuovere nei diversi ambiti l’uso del latino, sia come lingua scritta, sia parlata.

§ 2. Per raggiungere detti fini l’Accademia si propone di:
a) curare pubblicazioni, incontri, convegni di studio e rappresentazioni artistiche;
b) dare vita e sostenere corsi, seminari ed altre iniziative formative anche in collegamento con il Pontificio Istituto Superiore di Latinità;
c) educare le giovani generazioni alla conoscenza del latino, anche mediante i moderni mezzi di comunicazione;
d) organizzare attività espositive, mostre e concorsi;
e) sviluppare altre attività ed iniziative necessarie al raggiungimento dei fini istituzionali.