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sabato 6 settembre 2014

¿Qué mandáis hacer de mí?



¿Qué mandáis hacer de mí?

         El estribillo de una de las poesías de Santa Teresa que estábamos comentando dice así: “Que hoy os canta amor así. ¿Qué mandáis hacer de mí?”.  La santa nos dice que el amor “canta”. Cuando una persona ama está contenta y se le nota en todo su ser, especialmente en su mirada, pero también en su porte y en actos externos y sobre todo se le ve alegre. Y ya sabemos que la alegría se manifiesta en el canto. El amor canta. David cantaba salmos y tocaba el arpa. Muchos santos y santos han querido cantar loes al Señor, entre otros San Francisco que ha compuesto el hermoso Cántico del Hermano Sol y de la Hermana Luna. 

No siempre será necesario que cantemos cuando oremos, pero sí debe cantar el corazón de lo alegre que está de percibir el amor del Amado y querer corresponder a su amor. No ahoguemos el corazón, dejémoslo cantar, cuando él necesite desahogar sus sentimientos, a veces de alegría; a veces de congoja; a veces de plenitud. El salmista dice: “Mi corazón está preparado, mi corazón está preparado, Dios mío: voy a cantar, a tañer. ¡Gloria mía, despierta!¡Despertad arpa y cítara!¡Despertaré a la aurora!” (Sal 57, 8-9).

            Y ¿qué es lo que canta Santa Teresa? Ella canta: “¿Qué mandáis hacer de mí?”. ¿Qué es lo que quieres que haga, Señor? ¿Cómo puedo agradarte?¿Cuál es tu voluntad sobre mí? La oración busca y encuentra la voluntad del Señor sobre nosotros. En la oración el Señor va hablando al corazón, lo va preparando, lo va fortaleciendo para que el orante haga su voluntad y lo haga por amor y con amor. Y que además la pueda hacer con alegría, con paz, con decisión, con un corazón de enamorado. ¿Qué mandáis hacer de mí? ¡Qué bella oración ésta que sale del corazón como una saeta y se clava en el corazón de Dios! La oración prepara el alma para ajustarse al querer de Dios: “Si me amáis, cumpliréis mis mandamientos” (Jn 14, 15). El Señor nos irá revelando su voluntad  y su querer en la oración. Y su querer será para nosotros prenda segura de santificación personal (1 Tes 4, 3) y fruto apostólico. 

martedì 15 ottobre 2013

S.Teresa d'Avila // Molto interessante. (Autore: Plinio Correa de Oliveira)

S.Teresa d'Avila 
Santa Teresa di Gesù (d'Avila) - Vergine e Dottore della Chiesa (15 ottobre)
Avila, Spagna, 1515 - Alba de Tormes, 15 ottobre 1582
Nata nel 1515, fu donna di eccezionali talenti di mente e di cuore.
Fuggendo da casa, entrò a vent'anni nel Carmelo di Avila, in Spagna. Faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua «conversione», a 39 anni.
Ma l'incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione.
Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un'intensa attività come riformatrice dell'Ordine carmelitano.
Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l'autorizzazione del generale dell'Ordine si dedicò ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile.
Fedele alla Chiesa, nello spirito del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell'intera comunità ecclesiale.
Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614, venne canonizzata nel 1622. Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa. (Avvenire)
Etimologia: Teresa = cacciatrice, dal greco; oppure donna amabile e forte, dal tedesco
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: Memoria di Santa Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa: entrata ad Ávila in Spagna nell’Ordine Carmelitano e divenuta madre e maestra di una assai stretta osservanza, dispose nel suo cuore un percorso di perfezionamento spirituale sotto l’aspetto di una ascesa per gradi dell’anima a Dio; per la riforma del suo Ordine sostenne molte tribolazioni, che superò sempre con invitto animo; scrisse anche libri pervasi di alta dottrina e carichi della sua profonda esperienza.
 
Al secolo Teresa de Cepeda y Ahumada, riformatrice del Carmelo, Madre delle Carmelitane Scalze e dei Carmelitani Scalzi; "mater spiritualium" (titolo sotto la sua statua nella basilica vaticana); patrona degli scrittori cattolici (1965) e Dottore della Chiesa (1970): prima donna, insieme a Santa Caterina da Siena, ad ottenere tale titolo; nata ad Avila (Vecchia Castiglia, Spagna) il 28 marzo 1515; morta ad Alba de Tormes (Salamanca) il 4 ottobre 1582 (il giorno dopo, per la riforma gregoriana del calendario fu il 15 ottobre); beatificazione nel 1614, canonizzazione nel 1622; festa il 15 ottobre.
La sua vita va interpretata secondo il disegno che il Signore aveva su di lei, con i grandi desideri che Egli le mise nel cuore, con le misteriose malattie di cui fu vittima da giovane (e la malferma salute che l'accompagnò per tutta la vita), con le "resistenze" alla grazia di cui lei si accusa più del dovuto.
Entrò nel Carmelo dell'Incarnazione d'Avila il 2 novembre 1535, fuggendo di casa. Un pò per le condizioni oggettive del luogo, un pò per le difficoltà di ordine spirituale, faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua "conversione", a 39 anni.
Ma l'incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione.
Nel 1560 ebbe la prima idea di un nuovo Carmelo ove potesse vivere meglio la sua regola, realizzata due anni dopo col monastero di San Giuseppe, senza rendite e "secondo la regola primitiva": espressione che va ben compresa, perchè allora e subito dopo fu più nostalgica ed "eroica" che reale. Cinque anni più tardi Teresa ottenne dal Generale dell'Ordine, Giovanni Battista Rossi - in visita in Spagna - l'ordine di moltiplicare i suoi monasteri ed il permesso per due conventi di "Carmelitani contemplativi" (poi detti Scalzi), che fossero parenti spirituali delle monache ed in tal modo potessero aiutarle.
Alla morte della Santa i monasteri femminili della riforma erano 17.
Ma anche quelli maschili superarono ben presto il numero iniziale; alcuni con il permesso del Generale Rossi, altri - specialmente in Andalusia - contro la sua volontà, ma con quella dei visitatori apostolici, il domenicano Vargas e il giovane Carmelitano Scalzo Girolamo Graziano (questi fu inoltre la fiamma spirituale di Teresa, al quale si legò con voto di far qualsiasi cosa le avesse chiesto, non in contrasto con la legge di Dio).
Ne seguirono incresciosi incidenti aggravatisi per interferenze di autorità secolari ed altri estranei, sino all'erezione degli Scalzi in Provincia separata nel 1581.
Teresa potè scrivere: "Ora Scalzi e Calzati siamo tutti in pace e niente ci impedisce di servire il Signore".
Teresa è tra le massime figure della mistica cattolica di tutti i tempi.
Le sue opere - specialmente le 4 più note (Vita, Cammino di perfezione, Mansioni e Fondazioni) - insieme a notizie di ordine storico, contengono una dottrina che abbraccia tutta la vita dell'anima, dai primi passi sino all'intimità con Dio al centro del Castello Interiore.
L' Epistolario, poi, ce la mostra alle prese con i problemi più svariati di ogni giorno e di ogni circostanza. La sua dottrina sull'unione dell'anima con Dio (dottrina da lei intimamente vissuta) è sulla linea di quella del Carmelo che l'ha preceduta e che lei stessa ha contribuito in modo notevole ad arricchire, e che ha trasmesso non solo ai confratelli, figli e figlie spirituali, ma a tutta la Chiesa, per il cui servizio non badò a fatiche.
Morendo la sua gioia fu poter affermare: "muoio figlia della Chiesa". (Autore: Anthony Cilia – Fonte: www.ocarm.org)


 


Santa Teresa d’Avila (1515-1582) era al Carmelo di Toledo quando il re del Portogallo, Don Sebastiano (1554-1578), fu ucciso e il suo esercito sconfitto alla grande battaglia contro i Mori ad Alcacer-Quibir, in Marocco, nel 1578.

La santa ebbe una rivelazione relativa a questa disfatta.
Ne fu grandemente rattristata e pianse, perché si augurava con tutte le sue forze la vittoria della Cristianità e la sconfitta dei suoi nemici.

Protestò con il Signore: “Mio Dio,come puoi permettere la disfatta del tuo popolo e la vittoria dei tuoi nemici?”.
Il Signore le rispose: “Se li ho trovati pronti a comparire alla mia presenza, perché sei triste?”.
Il suo sentimento di tristezza svanì quando considerò la gloria di cui i soldati uccisi in battaglia stavano già godendo in Cielo.
Ammirava questi guerrieri che Dio aveva trovato pronti per la felicità eterna, specialmente se considerava i costumi normalmente rilassati dei soldati.

Immediatamente le venne il desiderio di estendere la sua riforma carmelitana al Portogallo.
Pregò ardentemente per conoscere la volontà di Dio, e nel giorno della festa dell’Assunzione la risposta venne.
Il Signore le disse: “Figlia mia, non andrai in Portogallo per fondare case della tua riforma.
Le tue figlie e figli lo faranno in futuro, quando porrò termine al castigo inflitto al Portogallo e mostrerò la mia misericordia a questo Paese.

L’aumento del numero di buoni religiosi mi permetterà di sollevare il Portogallo dalla miseria in cui sarà caduto, di restaurarlo nella felicità di cui aveva goduto in passato, e di promettergli future glorie”.
Vediamo qui collegarsi due temi: la sconfitta di Alcacer-Quibir nel 1578 e la fondazione di conventi carmelitani in Portogallo.
In primo luogo Santa Teresa stava pregando quando Dio le rivelò che il re Don Sebastiano del Portogallo, che regnò dal 1557 al 1578, aveva patito la grande sconfitta di Alcacer-Quibir.
La battaglia si rivelò decisiva da diversi punti di vista.
Se il re Don Sebastiano – un re molto pio e vergine, l’ultimo fiore del vecchio Portogallo – fosse stato vittorioso, avrebbe spezzato il potere dei musulmani.
Il Portogallo avrebbe potuto fondare una prospera colonia nell’Africa del Nord, un ponte verso un’Africa interamente cattolica.
Questo avrebbe portato un fiero colpo al potere dei musulmani nel mondo intero.
Gli islamici occupavano allora la penisola balcanica, la Turchia, tutta l’Asia Minore, il Nord Africa e parti dell’Africa sub-sahariana. Pertanto, se l’esercito portoghese avesse conquistato una parte del Nord Africa, altri regni come la Spagna e la Francia avrebbero profittato di questa vittoria.
Il Portogallo aveva già la sua testa di ponte a Fez. Ad Alcacer-Quibir tentava di ampliare la sua posizione militare.
Per queste ragioni Alcacer-Quibir fu una battaglia decisiva.
Per questa battaglia d’oltremare il re Don Sebastiano aveva allestito una grande flotta a Lagos con un ampio esercito di nobili e soldati portoghesi. Gli storici dicono che la sua tattica contro i musulmani fu imprudente.
Morì in battaglia e il potere portoghese patì un duro colpo. Al contrario, il potere islamico si consolidò e prese forza.
Questo non fu solo un fatto negativo per la lotta contro l’islam, ma favorì anche i protestanti.
In effetti, liberi dalla pressione cattolica in Africa, i musulmani si concentrarono sui Balcani e sull’attacco contro l’Austria-Ungheria.
Per questo scopo favorirono gli Stati protestanti che erano anch’essi nemici dell’Impero Austro-Ungarico.
La catastrofe fu pure disastrosa per l’indipendenza del Portogallo.
Don Sebastiano lasciò un solo erede, il cardinale Don Enrico (1512-1580) suo zio, che divenne re del Portogallo.
La Santa Sede lo dispensò dal celibato ecclesiastico perché potesse continuare la dinastia degli Avis.
Ma regnò solo due anni, dal 1578 al 1580, e non ebbe figli.
 La corona portoghese passò per diritto di successione al re Filippo II di Spagna (1527-1591).
La dinastia degli Avis sparì.

Così, la morte del re Don Sebastiano ad Alcacer-Quibir rappresentò un danno gravissimo per il Portogallo.
Comprendendo tutto questo, Santa Teresa divenne triste e pianse.
Chiese al Signore come aveva potuto permettere la disfatta.
La risposta fu che quell’esercitò era così ben preparato spiritualmente che Egli portò molti dei soldati in Cielo.
Con tutto il rispetto, questa prima parte della risposta del Signore ci sembra un po’ evasiva.
Ma la risposta completa viene quando il Signore spiega che la disfatta è stata una punizione e che i buoni religiosi che verranno saranno uno dei modi di sfuggire al castigo.
Potete vedere come il centro del dialogo fra Santa Teresa e il Signore è essenzialmente una preoccupazione politica e militare che riguarda il Portogallo.

Questo si oppone a una certa mentalità sentimentale e dolciastra sulle vite dei santi, che non vorrebbe mai considerare questi aspetti.
Tutto dev’essere spirituale nel senso più ristretto del termine.
Questa falsa pietà aborre ogni riferimento agl’interessi politici e militari cattolici.
Ritiene falsamente che la spiritualità sia una cosa così elevata da escludere questi aspetti.
Insinua che il vero santo non si occupa di affari politici e militari.
Ma questo episodio che coinvolge Santa Teresa e il Signore testimonia precisamente il contrario.
Il Signore mostra la sconfitta militare del re Sebastiano in una rivelazione mistica alla grande Santa Teresa perché è questo il tema di cui vuole intrattenersi con lei.
Evidentemente Dio aveva un grande interesse per quella battaglia. Quando la causa cattolica è sconfitta in armi, le persone sante dovrebbero essere tristi.
E Santa Teresa lo era. Ne segue un dialogo, dove Dio rivela il senso profondo della storia e le ragionisoprannaturali della sconfitta.
Consideriamo quanto meravigliosi sono i disegni di Dio.
La sua Divina Sapienza ha un’infinità di sfaccettature, che l’intelligenza umana non potrà mai riuscire ad abbracciare.
Risponde alla domanda di Santa Teresa affermando che molti soldati portoghesi erano ben preparati alla morte e così li ha portati in Cielo.
Vedete come anche nel momento in cui Dio sta castigando una nazione, la sua misericordia tiene conto della situazione spirituale dei combattenti.
Forse avrebbe rimandato il momento del castigo se quei soldati non fossero stati pronti a una buona morte.
Vedete la sua delicatezza, la sua bontà, la sua misericordia.
In secondo luogo, lasciatemi dire una parola sull’Ordine Carmelitano.
Santa Teresa aveva la speciale missione di diffondere la riforma del Carmelo.
La missione dei Carmelitani era quelle di attirare tramite la preghiera e la penitenza le grazie di Dio nei Paesi dove fondavano i loro conventi.
Una seconda dimensione della loro missione era di guadagnare queste grazie per tutta la Cristianità e – terza dimensione – per il mondo intero, perché tutti potessero convertirsi alla religione cattolica.
Quando Santa Teresa vide che la nazione portoghese era per molti aspetti fervente, concepì il desiderio di fondarvi un convento.
Era un progetto eccellente e gradito a Dio, Ma Dio stesso chiese di rimandarne l’esecuzione. Perché?
Solo la Divina Sapienza lo sa.
Ma una considerazione è che il popolo portoghese aveva bisogno di tempo per accettare la supremazia spagnola dopo che la corona del Portogallo era stata incorporate alla Spagna del re Filippo II, che l’aveva ricevuta in legittima successione dopo la morte del cardinal Don Enrico.
Se le carmelitane spagnole fossero andate subito in Portogallo secondo il desiderio di Santa Teresa avrebbero potuto trovarvi una cattiva accoglienza.
Un periodo di adattamento sembrava necessario.
Forse fu questa una delle ragioni per cui il Signore rimandò l’arrivo delle carmelitane spagnole in Portogallo.
Dopo che l’unione dei due regni fu accettata la presenza di carmelitane spagnole in Portogallo seguì naturalmente e produsse immensi frutti spirituali.
Come conclusione, possiamo vedere quanto è importante seguire gli eventi del nostro tempo nella misura in cui hanno a che fare con la salvezza delle anime, la causa cattolica, la sconfitta della Rivoluzione, la gloria e l’esaltazione della Sante Chiesa.
Questo per noi è un atto di amore a Dio caratteristico della nostra vocazione contro-rivoluzionaria, che è attenta ai problemi dell’ora presente. Chiediamo a Santa Teresa questa grazia incomparabile. (Autore: Plinio Correa de Oliveira - Fonte: www.cescor.org)

Giaculatoria. - Santa Teresa d'Avila, pregate per noi.
AVE MARIA!
DOMINUS TECUM!

domenica 9 giugno 2013

L'inferno visto dai santi. Ottimo servizio del carissimo Padre Antonio Di Monda

titolo l'inferno visto dai santi

a cura di Padre Antonio di Monda o.f.m.conv. 1


inferno


Parlo d'inferno... e mi sembra già di sentire gli sghignazzamenti, i risolini ironici, i giudizi sprezzanti di tutti i... superuomini arrivati. Beati loro! Alla convinzione che l'inferno è una favola, un'invenzione di anime tristi che, consapevolmente o no, appestano l'aria con queste fantasie mefitiche. Sull'inferno purtroppo oggi forse si scherza troppo: fioriscono barzellette e battute che, per lo più, tendono appunto a svuotare di significato una realtà ritenuta fantasia e creazione di preti e di gente triste. Come si può oggi - dicono tanti - parlare ancora d'inferno, nell'era della tecnica onnipotente e di conquiste quasi incredibili? Ma, sia detto a scanso di equivoci: lazzi e sorrisetti ironici e altre cose del genere, non devono impressionare troppo, perché alla verità non si perviene con negazioni idiote e ironie stupide. Se tutto il mondo arrivasse alla pazzia di affermare che il sole è un'illusione, non per questo il sole cesserebbe di essere. La verità è indistruttibile ed eterna come Dio, e l'inferno è una realtà di ragione e di rivelazione, che niente e nessuno, nonostante i tanti interrogativi che solleva, potrà vanificare. È vero, molti - e sono soprattutto agnostici, razionalisti e materialisti e uomini dalla dubbia condotta - non credono all'inferno, adducendo ragioni su ragioni che non provano niente. L'inferno - dicono molti di loro - è qui sulla Terra. E ora diamo la parola a chi - per grazia speciale di Dio - ha potuto visitare il luogo dell'eterno castigo.


«Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10, 28).
«Meglio entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani e due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno» (Mt 18, 8).
«Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9, 42).


l L'inferno visto da Santa Teresa d'Avila

santa teresa d'avilaMonaca e riformatrice del Carmelo, Teresa di Gesù, nata ad Avila in Spagna il 28 marzo 1515 e morta ad Alba il 4 ottobre 1582, è una dei Santi che ha visto l'inferno. Lo racconta essa stessa nella vita scritta da lei in questi termini: «Un giorno mentre ero in orazione; mi trovai tutt'a un tratto trasportata intera nell'inferno. Compresi che Dio mi voleva far vedere il luogo che i demoni mi avevano preparato, e che io mi ero meritato con i miei peccati. 
Fu una visione che durò pochissimo, ma vivessi anche molti anni, mi sembra di non poterla più dimenticare. L'ingresso mi pareva un cunicolo molto lungo e stretto, simile a un forno assai basso, buio e angusto; il suolo tutto una melma puzzolente piena di rettili schifosi. In fondo, nel muro, c'era una cavità scavata a modo di nicchia, e in essa mi sentii rinchiudere strettamente. 

E quello che allora soffrii supera ogni umana immaginazione, né mi sembra possibile darne solo un'idea perché cose che non si sanno descrivere. Basti sapere che quanto ho detto, di fronte alla realtà sembra cosa piacevole. Sentivo nell'anima un fuoco che non so descrivere, mentre dolori intol­lerabili mi straziavano orrendamente il corpo. 

Nella mia vita ne ho sofferto moltissimi, dei più gravi che secondo i medici si possano subire sulla Terra, perché i miei nervi si erano rattrappiti sino a rendermi storpia, senza dire dei molti altri di diverso genere, causatimi in parte dal demonio. 
Tuttavia, non sono nemmeno da paragonarsi con quanto allora ho sofferto, specialmente al pensiero che quel tormento doveva essere senza fine e senza alcuna mitigazione. Ma anche questo era un nulla innanzi all'agonia dell'anima. 

Era un'oppressione, un'angoscia, una tristezza così profonda, un così vivo e disperato dolore che non so come esprimermi. Dire che si soffrano continue agonie di morte è poco, perché almeno in morte pare che la vita ci venga strappata da altri, mentre qui è la stessa anima che si fà in brani da sé. Fatto sta che non so trovare espressioni né per dire di quel fuoco interiore né per far capire la disperazione che metteva il colmo a così orribili tormenti. 

Non vedevo chi me li faceva soffrire, ma mi sentivo ardere e dilacerare, benché il supplizio peggiore fosse il fuoco e la disperazione interiore. Era un luogo pestilenziale, nel quale non vi era più speranza di conforto, né spazio per sedersi o distendersi, rinserrata com'ero in quel buco praticato nella muraglia. Orribili a vedersi, le pareti mi gravavano addosso, e mi pareva di soffocare. Non v'era luce, ma tenebre fittissime; eppure quanto poteva dar pena alla vista si vedeva ugualmente nonostante l'assenza della luce: cosa che non riuscivo a comprendere. 

Per allora Dio non volle mostrarmi di più, ma in un'altra visione vidi supplizi spaventosissimi, fra cui i castighi di alcuni vizi in particolare. A vederli parevano assai più terribili, ma non mi facevano tanta paura perché non li sperimentavo, mentre nella visione di cui parlo il Signore volle farmi sentire in ispirito quelle pene ed afflizioni, come se le soffrissi nel corpo [...]. Sentir parlare dell'inferno è niente. Vero è che io l'ho meditato poche volte perché la via del timore non è fatta per me, ma è certo che quanto si medita sui tormenti dell'inferno, su quello che i demoni fanno patire, o che si legge nei libri, non ha nulla a che fare con la realtà, perché totalmente diversa, come un ritratto messo a confronto con l'oggetto ritrattato. Quasi neppure il nostro fuoco si può paragonare con quello di laggiù. Rimasi spaventatissima e lo sono tuttora mentre scrivo, benché siano già passati quasi sei anni, tanto da sentirmi agghiacciare dal terrore qui stesso dove sono. 

Mi accade intanto che quando sono afflitta da qualche contraddizione o infermità, basta che mi ricordi di quella visione perché mi sembrino subito da nulla persuadendomi che ce ne lamentiamo senza motivo. Questa fu una delle più grandi grazie che il Signore m'abbia fatto, perché mi ha giovato moltissimo non meno per non temere le contraddizioni e le pene della vita che per incoraggiarmi a sopportarle, ringraziando il Signore d'avermi liberata da mali così terribili ed eterni, come mi pare di dover credere».

l L'inferno visto da Santa Veronica Giuliani

Santa Veronica Giuliani (Orsola) nacque il 27 dicembre 1660. Entrò nel monastero delle Clarisse Cappuccine di Città di Castello. Morì il 9 luglio 1727. Una visione dell'inferno, avuta nel 1696, è così raccontata da Santa Veronica: «Parvemi che il Signore mi facesse vedere un luogo oscurissimo; ma dava incendio come fosse stata una gran fornace. Erano fiamme e fuoco, ma non si vedeva luce; sentivo stridi e rumori, ma non si vedeva niente; usciva un fetore e fumo orrendo, ma non vi è, in questa vita, cosa da poter paragonare. In questo punto, Iddio mi dà una comunicazione sopra l'ingratitudine delle creature, e quanto gli dispiaccia questo peccato. E qui mi si dimostrò tutto appassionato, flagellato, coronato di spine, con viva, pesante croce in spalla. Così mi disse: "Mira e guarda bene questo luogo che non avrà mai fine. Vi sta, per tormento, la mia giustizia ed il rigoroso mio sdegno". In questo mentre, mi parve di sentire un gran rumore. Comparvero tanti demoni: tutti, con catene, tenevano bestie legate di diverse specie. Le dette bestie, in un subito, divennero creature(uomini), ma tanto spaventevoli e brutte, che mi davano più terrore che non erano gli stessi demoni. Io stavo tutta tremante, e mi volevo accostare dove stava il Signore. Ma, contuttoché vi fosse poco spazio, non potei mai avvicinarmi più. Il Signore grondava sangue, e sotto quel grave peso stava. O Dio! Io avrei voluto raccogliere il Sangue, e pigliare quella Croce, e con grand'ansia desideravo il significato di tutto. In un istante, quelle creature divennero, di nuovo, in figura di bestie, e poi, tutte furono precipitate in quel luogo oscurissimo, e maledicevano Iddio e i Santi. Qui mi si aggiunge un rapimento, e mi parve che il Signore mi facesse capire, che quel luogo era l'inferno, e quelle anime erano morte, e, per il peccato, erano divenute come bestie, e che, fra esse, vi erano anche dei religiosi [...]. Misanta veronica giuliani pareva di essere trasportata in un luogo deserto, oscuro e solitario, ove non sentivo altro che urli, stridi, fischi di serpenti, rumori di catene, di ruote, di ferri, botti così grandi, che, ad ogni colpo, pensavo sprofondasse tutto il mondo. E io non aveva sussidi ove rivolgermi; non potevo parlare; non potevo invitare il Signore. Mi pareva che fosse luogo di castigo e di sdegno di Dio verso di me, per le tante offese fatte a Sua Divina Maestà. E avevo davanti di me tutti i miei peccati [...]. Sentivo un incendio di fuoco, ma non vedevo fiamme; altro che colpi sopra di me; ma non vedevo nessuno. In un subito, sentivo come una fiamma di fuoco che si avvicinava a me, e sentivo percuotermi; ma niente vedevo. Oh! Che pena! Che tormento! Descriverlo non posso; e anche il sol ricordarmi di ciò, mi fà tremare. Alla fine, fra tante tenebre, mi parve di vedere un piccolo lume come per aria. A poco a poco, si dilatò tanto. Mi sembrava che mi sollevasse da tali pene; ma non vedevo altro». Un'altra visione dell'inferno è del 17 gennaio 1716. La Santa racconta che in detto giorno fu trasportata da alcuni angeli nell'inferno: «In un batter d'occhio mi ritrovai in una regione bassa, nera e fetida, piena di muggiti di tori, di urli di leoni, di fischi di serpenti [...]. Una grande montagna si alzava a picco davanti a me ed era tutta coperta di aspidi e basilischi legati assieme [...]. La montagna viva era un clamore di maledizioni orribili. Essa era l'inferno superiore, cioè l'inferno benigno. Infatti, la montagna si spalancò e nei suoi fianchi aperti vidi una moltitudine di anime e demoni intrecciati con catene di fuoco. I demoni, estremamente furiosi, molestavano le anime le quali urlavano disperate. A questa montagna seguivano altre montagne più orride, le cui viscere erano teatro di atroci e indescrivibili supplizi. Nel fondo dell'abisso vidi un trono mostruoso, fatto di demoni terrificanti. Al centro una sedia formata dai capi dell'abisso. Satana ci sedeva sopra nel suo indescrivibile orrore e da lì osservava tutti i dannati. Gli angeli mi spiegarono che la visione di Satana forma il tormento dell'inferno, come la visione di Dio forma la delizia del Paradiso. Nel frattempo, notai che il muto cuscino della sedia erano Giuda ed altre anime disperate come lui. Chiesi agli angeli di chi fossero quelle anime ed ebbi questa terribile risposta: "Essi furono dignitari della Chiesa e prelati religiosi». E in quell'abisso, ella vide precipitare una pioggia di anime... Ed ecco altre visioni della Santa: «Come Dante, anche la nostra Santa, appena su la soglia, ode urli, voci lamentevoli, bestemmie e maledizioni contro Dio. Vede mostri, serpenti, fiamme smisurate. È menata per tutto l'inferno. Precipitano giù, con la furia di densa grandine, le anime dei nuovi abitatori. E a quest'arrivo, si rinnovano pene sopra pene ai dannati. In un luogo ancora più profondo trova ammucchiate migliaia di anime (sono quelle degli assassini), sopra le quali incombe un torchio con una immensa ruota. La ruota gira e fà tremare tutto l'inferno. All'improvviso il torchio piomba su le anime, le riduce quasi a una sola; cosicché ciascuna partecipa alla pena dell'altra. Poi ritornano come prima. Ci sono parecchie anime con un libro in mano. I demoni le battono con verghe di fuoco nella bocca, con mazze di ferro sul capo, e con spuntoni acuti trapassano loro le orecchie. Sono le anime di quei religiosi bastardi, che adattarono la regola a uso e consumo proprio. Altre anime sono rinchiuse in sacchetti e infilzate dai diavoli nella bocca d'un orrendo dragone che in eterno le digruma. Sono le anime degli avari. Altre gorgogliano tuffate in un lago d'immondizie. Di tratto in tratto sgusciano fulmini. Le anime restano incenerite, ma dopo riacquistano lo stato primiero. I peccati che hanno commesso sono i più gravi che mai vivente può immaginare. Tutte le strade dell'inferno appaiono sparse di rasoi, di coltelli, di mannaie taglienti. E mostri, dovunque mostri. E una voce che grida: "Sarà sempre così. Sempre, sempre, sempre". Veronica è condotta alla presenza di Lucifero. Egli ha d'intorno le anime più graziate dal cielo, che nulla fecero per Iddio, per la sua gloria; e tiene sotto i piedi, a guisa di cuscino, e pesta continuamente le anime di quelli che mancarono ai loro voti. "Via l'intrusa che ci accresce i tormenti"!, urla furibondo ai suoi ministri. Levata dall'inferno, Veronica ripete esterrefatta: "O giustizia di Dio, quanto sei potente"»!

l L'inferno visto da Anna Katharina Emmerick

anna katharina emmerickAnna Caterina Emmerick nacque l'8 settembre 1774 a Flamske bei Coestfeld (Westfalia), ed entrò nel Monastero di Agnetenberg in Duelmen (Westfalia) delle Canonichesse Regolari di SantAgostino. Morì a Duelmen il 9 novembre 1824. La Emmerick tra i tanti doni ricevuti, è famosa soprattutto per le stimmate e le visioni avute. Ella ebbe una visione dell'inferno quando vide scendere il Salvatore negli inferi. «Vidi [...] il Salvatore avvicinarsi, severo, al centro dell'abisso. L'inferno mi apparve come un immenso antro tenebroso, illuminato appena da una scialba luce quasi metallica. Sulla sua entrata risaltavano enormi porte nere, con serrature e catenacci incandescenti. Urla di orrore si elevavano senza posa da quella voragine paurosa di cui, a un tratto, si sprofondarono le porte. Così potei vedere un orrido mondo di desolazione e di tenebre. L'inferno è un carcere di eterna ira, dove si dibattono esseri discordi e disperati. Mentre nel cielo si gode la gioia e si adora l'Altissimo dentro giardini ricchi di bellissimi fiori e di frutta squisite che comunicano la vita, all'inferno invece si sprofondano cavernose prigioni, si estendono orrendi deserti e si scorgono smisurati laghi rigurgitanti di mostri paurosi, orribili. Là dentro ferve l'eterna e terribile discordia dei dannati. Nel cielo invece regna l'unione dei Santi eternamente beati. L'inferno, al contrario, rinserra quanto il mondo produce di corruzione e di errore; là imperversa il dolore e si soffrono quindi supplizi in una indefinita varietà di manifestazioni e di pene. Ogni dannato ha sempre presente questo pensiero: che i tormenti, che egli soffre, sono il frutto naturale e giusto dei suoi misfatti. Quanto si sente e si vede di orribile all'inferno è l'essenza, la forma interiore del peccato scoperto. Di quel serpe velenoso, che divora quanti lo fomen­tarono in seno durante la prova mortale. Tutto questo si può comprendere quando si vede, ma riesce inesprimibile a parole. Quando gli Angeli, che scortavano Gesù, avevano abbattuto le porte infernali, si era sollevato come un subbisso d'imprecazioni, d'ingiurie, di urla e di lamenti. Alcuni Angeli avevano cacciato altrove sterminate torme di demoni, i quali avevano poi dovuto riconoscere e adorare il Redentore. Questo era stato il loro maggior supplizio. Molti di essi venivano quindi imprigionati dentro una sfera, che risultava di tanti settori concentrici. Al centro dell'inferno si sprofondava un abisso tenebroso, dov'era precipitato Lucifero in catene, il quale stava immerso tra cupi vapori. Tutto ciò era avvenuto secondo determinati arcani divini. Seppi che Lucifero dovrà essere scatenato per qualche tempo: cinquanta o sessant'anni prima dell'anno 2000 di Cristo, se non erro. Alcuni demoni invece devono essere sciolti prima di quell'epoca per castigare e sterminare i mondani. Alcuni di essi furono scatenati ai nostri giorni; altri lo saranno presto. Mentre tratto questo argomento, le scene infernali le vedo così orripilanti dinanzi ai miei occhi, che la loro vista potrebbe perfino farmi morire».

l L'inferno visto da San Giovanni Bosco

San Giovanni Bosco nacque a Castelnuovo d'Asti il 16 agosto 1815, e morì il 31 gennaio 1888. È da tutti conosciuto il suo straordinario carisma di educatore dei giovani per i quali istituì pure l'Ordine dei Salesiani. Anch'egli ebbe una visione dell'inferno che egli stesso raccontò ai giovani. «Mi trovai con la mia guida (l'Angelo Custode), infondo ad un precipizio che finiva in una valle oscura. Ed ecco comparire un edificio immenso, avente una porta altissima, serrata. Toccammo il fondo del precipizio; un caldo soffocante mi opprimeva, un fumo grasso, quasi verde, s'innalzava sui muraglioni dell'edificio e guizze di fiamme sanguigne. Domandaisan giovanni bosco: "Dove ci troviamo"? "Leggi - mi rispose la guida - l'iscrizione che è sulla porta"! C'era scritto: "Ubi non est redemptio"!, cioè: "Dove non c'è redenzione". Intanto vidi precipitare dentro quel baratro [...] prima un giovane, poi un altro, ed in seguito altri ancora; tutti avevano scritto in fronte il proprio peccato. Esclamò la guida: "Ecco la causa precipua di queste dannazioni: i compagni, i libri cattivi e le perverse abitudini". Gli infelici erano giovani da me conosciuti. Domandai: "Ma dunque è inutile che si lavori tra i giovani, se tanti fanno questa fine? Come impedire tanta rovina"? "Coloro che hai visto, sono ancora in vita; questo però è il loro stato attuale e se morissero, verrebbero senz'altro qui"! Dopo entrammo nell'edificio; si correva con la rapidità del baleno. Lessi questa iscrizione: "Ibunt impii in ignem æternum"!, vale a dire "Gli empi andranno nel fuoco eterno"! "Vieni con me"!, soggiunse la guida. Mi prese per una mano e mi condusse davanti ad uno sportello, che aperse. Mi si presentò allo sguardo una specie d'immensa caverna, piena di fuoco. Certamente quel fuoco sorpassava mille e mille gradi di calore. Io questa spelonca non ve la posso descrivere in tutta la sua spaventosa realtà. Intanto, all'improvviso, vedevo cadere dei giovani nella caverna ardente. La guida disse: "La trasgressione del sesto comandamento è la causa della rovina eterna di tanti giovani". "Ma se hanno peccato, si sono però confessati". "Si sono confessati, ma le colpe contro la virtù della purezza le hanno confessate male o taciute affatto". Ad esempio, uno aveva commesso quattro o cinque di questi peccati, ma ne disse solo due o tre. Vi sono di quelli, che ne hanno commesso uno nella fanciullezza ed ebbero sempre vergogna di confessarlo, oppure l'hanno confessato male e non hanno detto tutto. Altri non ebbero il dolore e il proponimento; anzi, taluni, invece di fare l'esame di coscienza, studiavano il modo di ingannare il confessore. E chi muore con tale risoluzione, risolve di essere nel numero dei reprobi e così sarà per tutta l'eternità [...]. "E ora vuoi vedere perché la misericordia di Dio qui ti ha condotto"? La guida sollevò un velo e vidi un gruppo di giovani di questo Oratorio, che io tutti conoscevo, condannati per questa colpa. Fra essi vi erano di quelli che in apparenza tengono buona condotta. Continuò la guida: "Predica dappertutto contro l'immodestia"! Poi parlammo per circa mezz'ora sulle condizioni necessarie per fare una buona confessione e si concluse: "Mutare vita! [...] Mutare vita"! "Ora - soggiunse l'amico - che hai visto i tormenti dei dannati, bisogna che provi anche tu un poco di inferno"! Usciti dall'orribile edificio, la guida afferrò la mia mano e toccò l'ultimo muro esterno; io emisi un grido [...]. Cessata la visione, osservai che la mia mano era realmente gonfia e per una settimana portai la fasciatura».

l L'inferno visto dai tre veggenti di Fatima

I bambini, ai quali apparve la Madonna a Fatima dal 13 maggio al 13 ottobre 1917, sono Lùcia dos Santos (nata il 22 marzo 1907 e morta il 2005), Francisco (nato l'11 giugno 1908 e morto il 4 aprile 1919) e Jacinta Marto (nata l' 11 marzo 1910 e morta il 20 febbraio 1920). Tra l'altro, la Madonna fece vedere loro l'inferno. Vedemmo, racconta Lucia, «come un grande mare di fuoco e immersi in questo fuoco i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o abbronzate, di forma umana, che ondeggiavano nell'incendio, sollevate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti - simili al cadere delle scintille nei grandi incendi - senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e di disperazione, che terrorizzavano e facevano tremare di paura. I demoni si distinguevano per la forma orribile e ributtante di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni di bracia». Ai piccoli terrorizzati dalla paura, la Madonna disse: «Avete visto l'inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Se farete quello che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace». La Madonna disse pure: «Quando recitate il rosario, dopo ogni mistero dite: "O Gesù mio, perdonate­ci, liberateci dall'inferno, portate in cielo tutte le anime, soprattutto quelle più bisognose"»Da notare che al tempo delle apparizioni della Madonna, Lucia dos Santos aveva dieci anni, Francisco e Jacinta Marto rispettivamente nove e sette anni.

nostra signora di fatima


l L'inferno visto da Suor Maria Josefa Menendez

suor maria josefa menendezSuor Maria Josefa Menendez, religiosa del Sacro Cuore, nacque a Madrid il 4 febbraio 1890 e morì il 29 dicembre 1923. Suor Maria Josefa Menendez fece varie visite all'inferno. Ecco quanto vede e narra in una di queste: «In un istante mi trovai nell'inferno, ma senza esservi trascinata come le altre volte, e proprio come vi devono cadere i dannati. L'anima vi si precipita da sè stessa, vi si getta come se desiderasse sparire dalla vista di Dio, per poterlo odiare e maledire. L'anima mia si lasciò cadere in un abisso, in cui non si poteva vedere il fondo, perché immenso [...]. Ho visto l'inferno come sempre: antri e fuoco. Benché non si vedono forme corporali, i tormenti straziano i dannati come se i corpi fossero presenti e le anime si riconoscono. Fui spinta in una nicchia di fuoco e schiacciata come tra piastre scottanti e come se dei ferri e delle punte aguzze arroventate s'infiggessero nel mio corpo. Ho sentito come se si volesse, senza riuscirvi, strapparmi la lingua, cosa che mi riduceva agli estremi, con un atroce dolore. Gli occhi mi sembrava che uscissero dall'orbita, credo a causa del fuoco che li bruciava orrendamente. Non si può né muovere un dito per cercare sollievo, né cambiare posizione; il corpo è come compresso. Le orecchie sono stordite dalle grida confuse, che non cessano un solo istante. Un odore nauseabondo e ripugnante asfissia ed invade tutti, come se si bruciasse carne in putrefazione con pece e zolfo. Tutto questo l'ho provato come le altre volte e, sebbene questi tormenti siano terribili, sarebbero un nulla se l'anima non soffrisse. Ma essa soffre in un modo indicibile. Ho visto alcune di queste anime dannate ruggire per l'eterno supplizio che sanno dover sostenere, specialmente alle mani. Penso che abbiano rubato, poiché dicevano: "Dov'è ora quello che hai preso? Maledette mani"! Altre anime accusavano la propria lingua, gli occhi... Ciascuna ciò che è stato causa del suo peccato: "Ben pagate sono adesso le delizie che ti concedevi, o mio corpo! [...] "E sei tu, o corpo, che l'hai voluto"! [...] Per un istante di piacere un'eternità di dolore! Mi pare che nell'inferno le anime si accusino specialmente di peccati d'impurità. Mentre ero in quell'abisso, ho visto precipitare dei mondani e non si può dire né comprendere le grida che emettevano e i ruggiti spaventosi che mandavano: "Maledizione eterna! Mi sono ingannata! Mi sono perduta! Sono qui per sempre, per sempre e non c'è più rimedio!... Maledizione a me"! Una fanciulla urlava disperatamente, imprecando contro le cattive soddisfazioni concesse al corpo e maledicendo i genitori, che le avevano data troppa libertà a seguire la moda e i divertimenti mondani. Da tre mesi era dannata. Tutto questo che ho scritto - conclude la Menendez - non è che un'ombra in paragone a ciò che si soffre nell'inferno».

l L'inferno visto da  Suor Faustina Kowalska

Kowalska Elena (Maria Faustina) nacque il 25 marzo 1955 a Glogowiec, in Polonia. Entrò nella Congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia. Per ordinesuor faustina kowalska
 del suo Direttore spirituale scrisse il diario personale, che intitolò La Divina Misericordia nell'anima mia. Morì a trentatré anni il 5 ottobre 1938. Anche Suor Faustina Kowalska fece l'esperienza dell'inferno. Ecco come lei racconta l'evento: «Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno. È un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho visto: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri e il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di Satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie. Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità». E aggiunge: «Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina Kowalska, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno».


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Note

1 Estratto dall'opera di P. Antonio Di Monda o.f.m.conv. intitolata L'inferno visto dai SantiAssociazione Cattolica Gesù e Maria, Palermo

AVE MARIA PURISSIMA!

sabato 19 novembre 2011

"... la porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l'orazione".




S.Teresa di Gesù (1515-1582) ha detto:

L'orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente tratteni-mento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo d'essere amati. (Vita 8,5)

... la porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l'orazione. Se Dio vuole entrare in un'anima per prendervi le sue delizie e ricolmarla di beni, non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, pura e desiderosa di riceverlo. (Vita 8,9)

Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando.
...nel cominciare il cammino dell'orazione si deve prendere una risoluzione ferma e decisa di non fermarsi mai, né mai abbandonarla. Avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succede-re, mormori chi vuole mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare, ma piuttosto di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presen-tano, si tenda sempre alla méta, ne vada il mondo intero. (Cammino di perfezione 21,4)

Pensate di trovarvi innanzi a Gesù Cristo, conversate con Lui e cercate di innamorarvi di Lui, tenendolo sempre presente. (Vita 12,2)
La continua conversazione con Cristo aumenta l'amore e la fiducia. (Vita 37,5)

Buon mezzo per mantenersi alla presenza di Dio è di procurarvi una sua immagine o pittura che vi faccia devozione, non già per portarla sul petto senza mai guardarla, ma per servirsene ad intrattenervi spesso con Lui ed Egli vi suggerirà quello che gli dovete dire.
Se parlando con le creature le parole non vi mancano mai, perché vi devono esse mancare parlando con il Creatore? Non temetene: io almeno non lo credo! (Cammino di perfezione 26,9)

Non siate così semplici da non domandargli nulla! (Cammino di perfezione 28,3)
Chiedetegli aiuto nel bisogno, sfogatevi con Lui e non lo dimenticate quando siete nella gioia, parlandogli non con formule complicate ma con spontaneità e secondo il bisogno. (Vita 12,2)

Cercate di comprendere quali siano le risposte di Dio alle vostre domande.Credete forse che Egli non parli perché non ne udiamo la voce? Quando è il cuore che prega, Egli risponde. (Cammino di perfezione 24,5)
A chi batte il cammino della preghiera giova molto un buon libro.

Per me bastava anche la vista dei campi, dell'acqua, dei fiori: cose che mi ricordavano il Creatore, mi scuotevano, mi raccoglievano, mi servivano da libri. (Vita 9,5)
Per molti anni, a meno che non fosse dopo la Comunione, io non osavo cominciare a pregare senza libro. (Vita 4,9)
E' troppo bella la compagnia del buon Gesù per dovercene separare! E altrettanto si dica di quella della sua Santissima Madre. (Seste Mansioni 7,13)
File:Livio Mehus con San Pietro d’Alcantara che comunica santa Teresa d’Avila (1683).jpg
San Pietro d'Alcantara e Santa Teresa d'Avila

... fate il possibile di stargli sempre accanto. Se vi abituerete a tenervelo vicino ed Egli vedrà che lo fate con amore e che cercate ogni mezzo per contentarlo, non solo non vi mancherà mai, ma, come suol dirsi, non ve lo potrete togliere d'attorno.
L'avrete con voi dappertutto e vi aiuterà in ogni vostro travaglio. Credete forse che sia poca cosa aver sempre vicino un così buon amico? (Cammino di perfezione 26,1)

Poiché Gesù vi ha dato un Padre così buono, procurate di essere tali da gettarvi fra le sue braccia e godere della sua compagnia.
E chi non farebbe di tutto per non perdere un tal Padre? Quanti motivi di consolazione! Li lascio alla vostra intuizione! In effetti, se la vostra mente si mantiene sempre tra il Padre e il Figlio, interverrà lo Spirito Santo ad innamorare la vostra volontà col suo ardentissimo amore. (Cammino di perfezione 27, 6-7)
Quelli che sanno rinchiudersi nel piccolo cielo della loro anima, ove abita Colui che la creò e che creò pure tutto il mondo, e si abituano a togliere lo sguardo e a fuggire da quanto distrae i loro sensi, vanno per buona strada e non mancheranno di arrivare all'acqua della fonte.

Essendo vicinissimi al focolare, basta un minimo soffio dell'intelletto perché si infiammino d'amore, già disposti come sono a ciò, trovandosi soli con il Signore, lontani da ogni oggetto esteriore. (Cammino di perfezione 28,5.8)
Per cominciare a raccogliersi e perseverare nel raccoglimento, si deve agire non a forza di braccia ma con dolcezza. Quando il raccoglimento è sincero, l'anima sembra che d'improvviso s'innalzi sopra tutto e se ne vada, simile a colui che per sottrarsi ai colpi di un nemico, si rifugia in una fortezza.
Dovete saper che questo raccoglimento non è una cosa soprannaturale, ma un fatto dipendente dalla nostra volontà e che noi possiamo realizzare con l'aiuto di Dio. (Cammino di perfezione 28,6; 29,4)

Sapevo benissimo di avere un'anima, ma non ne capivo il valore, né chi l'abitava, perché le vanità della vita mi avevano bendati gli occhi per non lasciarmi vedere.
Se avessi inteso, come ora, che nel piccolo albergo dell'anima mia abita un Re così grande, mi sembra che non l'avrei lasciato tanto solo...e sarei stata più diligente per conservami senza macchia. (Cammino di perfezione 28,11)
Non si creda che nuoccia al raccoglimento il disbrigo delle occupazioni necessarie.
Dobbiamo ritirarci in noi stessi, anche in mezzo al nostro lavoro, e ricordarci di tanto in tanto, sia pure di sfuggita, dell'Ospite che abbiamo in noi, per-suadendoci che per parlare con Lui non occorre alzare la voce. (Cammino di perfezione 29,5)
Il Signore ci conceda di non perdere mai di vista la sua divina presenza! (Cammino di perfezione 29,8)

Quando un'anima... non esce dall'orazione fermamente decisa a sopportare ogni cosa, tema che la sua orazione non venga da Dio. (Cammino di perfezione 36,11)
Quando un'anima si unisce così intimamente alla stessa misericordia, alla cui luce si riconosce il suo nulla e vede quanto ne sia stata perdonata, non posso credere che non sappia anch'essa perdonare a chi l'ha offesa.
Siccome le grazie ed i favori di cui si vede inon-data le appariscono come pegni dell'amore di Dio per lei, è felicissima di avere almeno qualche cosa per testimoniare l'amore che anch'ella nutre per lui. (Cammino di perfezione 36,12)
La preghiera non è qualcosa di statico, è un'amicizia che implica uno sviluppo e spinge a una trasformazione, a una somiglianza sempre più forte con l'amico. (da L'amicizia con Cristo, cap VII)


Detti dei Padri del deserto:

L'importanza della preghiera del mattino
Non appena ti levi dopo il sonno, subito, in primo luogo, la tua bocca renda gloria a Dio e intoni cantici e salmi, poiché la prima preoccupazione, alla quale lo Spirito si apprende fin dall'aurora, esso continua a macinarla, come una mola, per tutto il giorno, sia grano sia zizzania. Perciò sii sempre il primo a gettar grano, prima che il nemico getti la zizzania.
Pregare prima di ogni cosa
Un anziano diceva: "Non far nulla senza pregare e non avrai rimpianti".

AMDG et BVM