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sabato 4 aprile 2015

4. "Come ortolana solerte veglierò




.....Maria bacia quest'appassionata che ha, finalmente, saputo trovare Chi merita tanta passione, e cede al suo pregare.
Le donne escono portando una lucerna. Nella stanza ne resta una sola. Ultima esce la Maddalena, dopo un ultimo bacio alla Madre che resta.
La casa è tutta buia e silenziosa. La strada è ancora oscura e solitaria.
Giovanni chiede: «Non mi volete proprio?».
«No. Puoi servire qui. Addio».


Giovanni torna da Maria. «Non mi hanno voluto...», dice piano.
«Non te ne mortificare. Esse da Gesù. Tu da me. Giovanni, preghiamo un poco insieme. Dove è Pietro?».
«Non so. Per la casa. Ma non lo vedo. È... Lo credevo più forte... Anche io ho pena, ma lui...».
«Lui ha due dolori. Tu uno solo. Vieni. Preghiamo anche per lui». E Maria dice lentamente il Pater noster.
Poi carezza Giovanni: «Va' da Pietro. Non lo lasciare solo. È stato tanto nelle tenebre, in queste ore, che non sopporta neppure la lieve luce del mondo. Sii l'apostolo del tuo fratello smarrito. Inizia da lui la tua predicazione. Sulla tua via, e lunga sarà, troverai sempre dei simili a lui. Col compagno comincia il lavoro...».
«Ma che devo dire?... Io non so... Tutto lo fa piangere...».
«Digli il Suo precetto d'amore. Digli che chi solamente teme non conosce ancora a sufficienza Dio, perché Dio è Amore. E se ti dice: "Io ho peccato", rispondigli che Dio ha tanto amato i peccatori che per essi ha mandato il suo Unigenito. Digli che a tanto amore va con amore risposto. E l'amore dà fiducia nel buonissimo Signore. Questa fiducia non ci fa temere il suo giudizio, perché con essa riconosciamo la Sapienza e Bontà divina, e diciamo: "Io sono una povera creatura. Ma Egli lo sa. E mi dà il Cristo come garanzia di perdono e colonna di sostegno. La mia miseria viene vinta dalla mia unione col Cristo". È nel nome di Gesù che tutto viene perdonato... Vai, Giovanni. Digli questo. Io resto qui, con Gesù mio...», e carezza il Sudario.




Giovanni esce, chiudendo la porta dietro di sé.
Maria si pone in ginocchio come la sera avanti, viso a Viso col velo della Veronica. E prega e parla col Figlio suo. Forte per dare forza agli altri, quando è sola piega sotto la sua schiacciante croce. Eppure ogni tanto, come una fiamma non più oppressa dal moggio, la sua anima si alza verso una speranza che in Lei non può morire. Che anzi cresce col passare delle ore. E dice la sua speranza anche al Padre. La sua speranza e la sua domanda.
[…]


«Gesù, Gesù! Non torni ancora? La tua povera Mamma non resiste più a saperti là morto. Tu l'hai detto e nessuno ti ha capito. Ma io ti ho capito! "Distruggete il Tempio di Dio ed Io lo riedificherò in tre giorni".
Questo è l'inizio del terzo giorno. Oh! mio Gesù! Non attendere che sia compiuto per tornare alla vita, alla tua Mamma che ha bisogno di vederti vivo per non morire ricordandoti morto, che ha bisogno di vederti bello, sano, trionfante, per non morire ricordandoti in quello stato come ti ha lasciato!
Oh! Padre! Padre! Rendimi il Figlio mio! Che io lo veda tornato Uomo e non cadavere, Re e non
condannato. Dopo, lo so, Egli tornerà a Te, al Cielo. Ma io l'avrò visto guarito da tanto male, l'avrò visto forte dopo tanto languore, l'avrò visto trionfante dopo tanta lotta, l'avrò visto Dio dopo tanta umanità patita per gli uomini. E mi sentirò felice anche perdendo la sua vicinanza. Lo saprò con Te, Padre santo, lo saprò fuori per sempre dal Dolore. Ora invece non posso, non posso dimenticare che è in un sepolcro, che è là ucciso per tanto dolore che gli hanno fatto, che Egli, il mio Figlio-Dio, è accomunato alla sorte degli uomini nel buio di un sepolcro, Egli, il tuo Vivente.

Padre, Padre, ascolta la tua serva. Per quel "sì"... Non ti ho mai chiesto nulla per la mia ubbidienza ai tuoi voleri; era la tua Volontà, e la tua Volontà era la mia; nulla dovevo esigere per il sacrificio della mia a Te, Padre santo. Ma ora, ma ora, per quel "sì" che ho detto all'Angelo messaggero, o Padre, ascoltami!

Egli è fuori dalle torture, perché tutto ha compiuto con l'agonia di tre ore dopo le sevizie del mattino. Ma io sono da tre giorni in questa agonia. Tu lo vedi il mio cuore e ne senti i palpiti. Il nostro Gesù l'ha detto che non cade piuma di uccello che Tu non la veda, che non muore fiore nel campo che Tu non ne consoli l'agonia col tuo sole e la tua rugiada. Oh, Padre, io muoio di questo dolore! Trattami come il passero che rivesti di nuova piuma e il fiore che scaldi e disseti nella tua pietà. Io muoio assiderata dal dolore. Non ho più sangue nelle vene. Una volta è divenuto tutto latte per nutrire il Figlio tuo e mio; ora è divenuto tutto pianto perché non ho più Figlio. Me l'hanno ucciso, ucciso, Padre, e Tu sai in che modo!
Non ho più sangue! L'ho sparso con Lui nella notte del Giovedì, nel Venerdì funesto. Ho freddo come chi è svenato. Non ho più sole, poiché Egli è morto, il Sole mio santo, il Sole mio benedetto, il Sole nato dal mio seno per la gioia della sua Mamma, per la salute del mondo. Non ho più refrigerio, perché non ho più Lui, la più dolce delle fonti per la sua Mamma che beveva la sua parola, che si dissetava della sua presenza. Sono come un fiore in una arena disseccata.

Muoio, muoio, Padre santo. E di morire non ne ho spavento, poiché anche Egli è morto. Ma come faranno questi piccoli, il piccolo gregge del Figlio mio, così debole, così pauroso, così volubile, se non c'è chi lo sorregge? Sono nulla, Padre. Ma per i desideri del Figlio mio sono come una schiera d'armati. Difendo, difenderò la sua Dottrina e la sua eredità così come una lupa difende i lupicini. Io, agnella, mi farò lupa per difendere ciò che è del Figlio mio e, perciò, ciò che è tuo.

Tu lo hai visto, Padre. Otto giorni or sono questa città ha spogliato i suoi ulivi, ha spogliato le sue case, ha spogliato i suoi giardini, ha spogliato i suoi abitanti e si è fatta roca per gridare: "Osanna al Figlio di Davide; benedetto Colui che viene nel nome del Signore". E mentre Egli passava sui tappeti di rami, di vesti, di stoffe, di fiori, se lo indicavano i cittadini dicendo: "È Gesù, il Profeta di Nazareth di Galilea. È il Re d'Israele". E mentre ancora non erano appassiti quei rami e la voce era ancor roca da tanto osannare, essi hanno mutato il loro grido in accuse e maledizioni ed in richieste di morte, e dei rami staccati per il trionfo hanno fatto randelli per percuotere il tuo Agnello che conducevano alla morte. Se tanto hanno fatto mentre Egli era fra loro e parlava loro, e sorrideva loro, e li guardava con quel suo occhio che stempra il cuore, e ne tremano persin le pietre se ne son guardate, e li beneficava e li ammaestrava, che faranno quando Egli sarà tornato a Te?

I suoi discepoli, lo hai visto. Uno lo ha tradito, gli altri sono fuggiti. È bastato che Egli fosse percosso perché fuggissero come pecore vili, e non hanno saputo stargli intorno mentre moriva. Uno solo, il più giovane, è rimasto. Ora viene l'anziano. Ma ha già saputo rinnegare una volta. Quando Gesù non sarà più qui a guardarlo, saprà permanere nella Fede?

Io sono un nulla, ma un po' del mio Figlio è in me, ed il mio amore mette il colmo alla mia manchevolezza e la annulla. Divengo così qualcosa di utile alla causa del tuo Figlio, alla sua Chiesa, che non troverà mai pace e che ha bisogno di mettere radici profonde per non essere divelta dai venti. Io sarò Colei che la cura. Come ortolana solerte veglierò perché cresca forte e diritta nel suo mattino. Poi non mi preoccuperà morire. Ma vivere non posso se resto più a lungo senza Gesù.

Oh! Padre, che hai abbandonato il Figlio per il bene degli uomini ma poi lo hai confortato, perché certo l'hai accolto sul tuo seno dopo la morte, non lasciarmi oltre nell'abbandono. Io lo patisco e lo offro per il bene degli uomini. Ma confortami, ora, Padre. Padre, pietà! Pietà, Figlio mio! Pietà, divino Spirito! Ricòrdati della tua Vergine!».



Dopo, prostrata fino a terra, Maria pare pregare col suo atto oltre che col suo cuore. È proprio una povera cosa abbattuta. Pare quel fiore morto di sete di cui Ella ha parlato. Non avverte neppure lo scuotìo di un breve ma violento terremoto che fa urlare e fuggire il padrone e la padrona di casa, mentre Pietro e Giovanni, pallidi come morti, si trascinano fin sulla soglia della stanza. Ma, vedendola così assorta nel suo orare, dimentica, lontana da tutto quello che non è Dio, si ritirano chiudendo la porta e tornano spauriti nel Cenacolo.

La tua destra, o Signora, è magnificata per la fortezza;
perché nella grandezza della tua misericordia hai stravinto i miei avversari.
Mi hai liberato, o Signora, dalla bocca del leone, e ti sei presa cura di me come una Madre verso il bambino da lei generato.

sabato 29 novembre 2014

IL PRIMATO DEL SUCCESSORE DI PIETRO NEL MISTERO DELLA CHIESA

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE  

IL PRIMATO DEL SUCCESSORE DI PIETRO
NEL MISTERO DELLA CHIESA



1. Nell'attuale momento della vita della Chiesa, la questione del Primato di Pietro e dei Suoi Successori presenta una singolare rilevanza, anche ecumenica. In questo senso si è espresso con frequenza Giovanni Paolo II, in modo particolare nella Lettera enciclica Ut unum sint, nella quale ha voluto rivolgere specialmente ai pastori ed ai teologi l'invito a « trovare una forma di esercizio del Primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova ». 1
La Congregazione per la Dottrina della Fede, accogliendo l'invito del Santo Padre, ha deciso di proseguire l'approfondimento della tematica convocando un simposio di natura prettamente dottrinale su Il Primato del Successore di Pietro, che si è svolto in Vaticano dal 2 al 4 dicembre 1996, e di cui sono stati pubblicati gli Atti. 2

2. Nel Messaggio rivolto ai partecipanti al simposio, il Santo Padre ha scritto: « La Chiesa Cattolica è consapevole di aver conservato, in fedeltà alla Tradizione Apostolica e alla fede dei Padri, il ministero del Successore di Pietro ».3 Esiste infatti una continuità lungo la storia della Chiesa nello sviluppo dottrinale sul Primato. Nel redigere il presente testo, che compare in appendice al suddetto volume degli Atti, 4 la Congregazione per la Dottrina della Fede si è avvalsa dei contributi degli studiosi, che hanno preso parte al simposio, senza però intendere offrirne una sintesi né addentrarsi in questioni aperte a nuovi studi. Queste “Considerazioni” — a margine del Simposio — vogliono solo ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato, grande dono di Cristo alla sua Chiesa in quanto servizio necessario all'unità e che è stato anche spesso, come dimostra la storia, una difesa della libertà dei Vescovi e delle Chiese particolari di fronte alle ingerenze del potere politico.

I
ORIGINE, FINALITÀ E NATURA DEL PRIMATO

3. « Primo Simone, chiamato Pietro ». 5 Con questa significativa accentuazione della primazia di Simon Pietro, San Matteo introduce nel suo Vangelo la lista dei Dodici Apostoli, che anche negli altri due Vangeli sinottici e negli Atti inizia con il nome di Simone 6 Questo elenco, dotato di grande forza testimoniale, ed altri passi evangelici 7 mostrano con chiarezza e semplicità che il canone neotestamentario ha recepito le parole di Cristo relative a Pietro ed al suo ruolo nel gruppo dei Dodici. 8 Perciò, già nelle prime comunità cristiane, come più tardi in tutta la Chiesa, l'immagine di Pietro è rimasta fissata come quella dell'Apostolo che, malgrado la sua debolezza umana, fu costituito espressamente da Cristo al primo posto fra i Dodici e chiamato a svolgere nella Chiesa una propria e specifica funzione. Egli è la roccia sulla quale Cristo edificherà la sua Chiesa;è colui che, una volta convertito, non verrà meno nella fede e confermerà i fratelli; 10 è, infine, il Pastore che guiderà l'intera comunità dei discepoli del Signore. 11
Nella figura, nella missione e nel ministero di Pietro, nella sua presenza e nella sua morte a Roma — attestate dalla più antica tradizione letteraria e archeologica — la Chiesa contempla una profonda realtà, che è in rapporto essenziale con il suo stesso mistero di comunione e di salvezza:« Ubi Petrus, ibi ergo Ecclesia ». 12 La Chiesa, fin dagli inizi e con crescente chiarezza, ha capito che come esiste la successione degli Apostoli nel ministero dei Vescovi, così anche il ministero dell'unità, affidato a Pietro, appartiene alla perenne struttura della Chiesa di Cristo e che questa successione è fissata nella sede del suo martirio.

4. Basandosi sulla testimonianza del Nuovo Testamento, la Chiesa Cattolica insegna, come dottrina di fede, che il Vescovo di Roma è Successore di Pietro nel suo servizio primaziale nella Chiesa universale; 13 questa successione spiega la preminenza della Chiesa di Roma, 14 arricchita anche dalla predicazione e dal martirio di San Paolo.
Nel disegno divino sul Primato come « ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli Apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori », 15 si manifesta già la finalità del carisma petrino, ovvero « l'unità di fede e di comunione » 16 di tutti i credenti. Il Romano Pontefice infatti, quale Successore di Pietro, è « perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli », 17 e perciò egli ha una grazia ministeriale specifica per servire quell'unità di fede e di comunione che è necessaria per il compimento della missione salvifica della Chiesa. 18

5. La Costituzione Pastor aeternus del Concilio Vaticano I indicò nel prologo la finalità del Primato, dedicando poi il corpo del testo a esporre il contenuto o ambito della sua potestà propria. Il Concilio Vaticano II, da parte sua, riaffermando e completando gli insegnamenti del Vaticano I,19 ha trattato principalmente il tema della finalità, con particolare attenzione al mistero della Chiesa come Corpus Ecclesiarum. 20 Tale considerazione permise di mettere in rilievo con maggiore chiarezza che la funzione primaziale del Vescovo di Roma e la funzione degli altri Vescovi non si trovano in contrasto ma in un'originaria ed essenziale armonia. 21
Perciò, « quando la Chiesa Cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi “vicari e legati di Cristo” » (Lumen gentium, n. 27). Il Vescovo di Roma appartiene al loro collegio ed essi sono i suoi fratelli nel ministero. 22 Si deve anche affermare, reciprocamente, che la collegialità episcopale non si contrappone all'esercizio personale del Primato né lo deve relativizzare.

6. Tutti i Vescovi sono soggetti della sollicitudo omnium Ecclesiarum 23 in quanto membri del Collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, di cui ha fatto parte anche la straordinaria figura di San Paolo. Questa dimensione universale della loro episkopè (sorveglianza) è inseparabile dalla dimensione particolare relativa agli uffici loro affidati. 24 Nel caso del Vescovo di Roma — Vicario di Cristo al modo proprio di Pietro come Capo del Collegio dei Vescovi —, 25 la sollicitudo omnium Ecclesiarum acquista una forza particolare perché è accompagnata dalla piena e suprema potestà nella Chiesa: una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena e universale, ma anche immediata, su tutti, sia pastori che altri fedeli. 26 Il ministero del Successore di Pietro, perciò, non è un servizio che raggiunge ogni Chiesa particolare dall'esterno, ma è iscritto nel cuore di ogni Chiesa particolare, nella quale « è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo »,27 e per questo porta in sé l'apertura al ministero dell'unità. Questa interiorità del ministero del Vescovo di Roma a ogni Chiesa particolare è anche espressione della mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare. 28
L'Episcopato e il Primato, reciprocamente connessi e inseparabili, sono d'istituzione divina. Storicamente sono sorte, per istituzione della Chiesa, forme di organizzazione ecclesiastica nelle quali si esercita pure un principio di primazia. In particolare, la Chiesa Cattolica è ben consapevole della funzione delle sedi apostoliche nella Chiesa antica, specialmente di quelle considerate Petrine — Antiochia ed Alessandria — quali punti di riferimento
della Tradizione apostolica, intorno a cui si è sviluppato il sistema patriarcale; questo sistema appartiene alla guida della Provvidenza ordinaria di Dio sulla Chiesa, e reca in sé, dagli inizi, il nesso con la tradizione petrina.  29

II
L'ESERCIZIO DEL PRIMATO E LE SUE MODALITÀ

7. L'esercizio del ministero petrino deve essere inteso — perché « nulla perda della sua autenticità e trasparenza » 30 — a partire dal Vangelo, ovvero dal suo essenziale inserimento nel mistero salvifico di Cristo e nell'edificazione della Chiesa. Il Primato differisce nella propria essenza e nel proprio esercizio dagli uffici di governo vigenti nelle società umane: 31 non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d'onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico.
Il Romano Pontefice è — come tutti i fedeli — sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall'inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione. 32 Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l'arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato.

8. Le caratteristiche dell'esercizio del Primato devono essere comprese soprattutto a partire da due premesse fondamentali: l'unità dell'Episcopato e il carattere episcopale del Primato stesso. Essendo l'Episcopato una realtà « una e indivisa », 33 il Primato del Papa comporta la facoltà di servire effettivamente l'unità di tutti i Vescovi e di tutti i fedeli, e « si esercita a svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della Parola, sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla missione, sulla disciplina e sulla vita cristiana »; 34 a questi livelli, per volontà di Cristo, tutti nella Chiesa — i Vescovi e gli altri fedeli — debbono obbedienza al Successore di Pietro, il quale è anche garante della legittima diversità di riti, discipline e strutture ecclesiastiche tra Oriente ed Occidente.


9. Il Primato del Vescovo di Roma, considerato il suo carattere episcopale, si esplica, in primo luogo, nella trasmissione della Parola di Dio; quindi esso include una specifica e particolare responsabilità nella missione evangelizzatrice, 35 dato che la comunione ecclesiale è una realtà essenzialmente destinata ad espandersi: « Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda ». 36
Il compito episcopale che il Romano Pontefice ha nei confronti della trasmissione della Parola di Dio si estende anche all'interno di tutta la Chiesa. Come tale, esso è un ufficio magisteriale supremo e universale; 37 è una funzione che implica un carisma: una speciale assistenza dello Spirito Santo al Successore di Pietro, che implica anche, in certi casi, la prerogativa dell'infallibilità.  38 Come « tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i pastori sono in comunione con Pietro, e così nell'unità di Cristo », 39 allo stesso modo i Vescovi sono testimoni della verità divina e cattolica quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice.  40

10. Insieme alla funzione magisteriale del Primato, la missione del Successore di Pietro su tutta la Chiesa comporta la facoltà di porre gli atti di governo ecclesiastico necessari o convenienti per promuovere e difendere l'unità di fede e di comunione; tra questi si consideri, ad esempio: dare il mandato per l'ordinazione di nuovi Vescovi, esigere da loro la professione di fede cattolica; aiutare tutti a mantenersi nella fede professata. Come è ovvio, vi sono molti altri possibili modi, più o meno contingenti, di svolgere questo servizio all'unità: emanare leggi per tutta la Chiesa, stabilire strutture pastorali a servizio di diverse Chiese particolari, dotare di forza vincolante le decisioni dei Concili particolari, approvare istituti religiosi sopradiocesani, ecc. Per il carattere supremo della potestà del Primato, non v'è alcuna istanza cui il Romano Pontefice debba rispondere giuridicamente dell'esercizio del dono ricevuto: « prima sedes a nemine iudicatur ». 41 Tuttavia, ciò non significa che il Papa abbia un potere assoluto. Ascoltare la voce delle Chiese è, infatti, un contrassegno del ministero dell'unità, una conseguenza anche dell'unità del Corpo episcopale e delsensus fidei dell'intero Popolo di Dio; e questo vincolo appare sostanzialmente dotato di maggior forza e sicurezza delle istanze giuridiche — ipotesi peraltro improponibile, perché priva di fondamento — alle quali il Romano Pontefice dovrebbe rispondere. L'ultima ed inderogabile responsabilità del Papa trova la migliore garanzia, da una parte, nel suo inserimento nella Tradizione e nella comunione fraterna e, dall'altra, nella fiducia nell'assistenza dello Spirito Santo che governa la Chiesa.

11. L'unità della Chiesa, al servizio della quale si pone in modo singolare il ministero del Successore di Pietro, raggiunge la più alta espressione nel Sacrificio Eucaristico, il quale è centro e radice della comunione ecclesiale; comunione che si fonda anche necessariamente sull'unità dell'Episcopato. Perciò, « ogni celebrazione dell'Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l'ordine episcopale, con tutto il clero e con l'intero popolo. Ogni valida celebrazione dell'Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l'intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama », 42 come nel caso delle Chiese che non sono in piena comunione con la Sede Apostolica.

12. « La Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di questo mondo ». 43 Anche per questo, l'immutabile natura del Primato del Successore di Pietro si è espressa storicamente attraverso modalità di esercizio adeguate alle circostanze di una Chiesa pellegrinante in questo mondo mutevole.

I contenuti concreti del suo esercizio caratterizzano il ministero petrino nella misura in cui esprimono fedelmente l'applicazione alle circostanze di luogo e di tempo delle esigenze della finalità ultima che gli è propria (l'unità della Chiesa). La maggiore o minore estensione di tali contenuti concreti dipenderà in ogni epoca storica dalla necessitas Ecclesiae. Lo Spirito Santo aiuta la Chiesa a conoscere questa necessitas ed il Romano Pontefice, ascoltando la voce dello Spirito nelle Chiese, cerca la risposta e la offre quando e come lo ritiene opportuno.

Di conseguenza, non è cercando il minimo di attribuzioni esercitate nella storia che si può determinare il nucleo della dottrina di fede sulle competenze del Primato. Perciò, il fatto che un determinato compito sia stato svolto dal Primato in una certa epoca non significa da solo che tale compito debba necessariamente essere sempre riservato al Romano Pontefice; e, viceversa, il solofatto che una determinata funzione non sia stata esercitata in precedenza dal Papa non autorizza a concludere che tale funzione non possa in alcun modo esercitarsi in futuro come competenza del Primato.

13. In ogni caso, è fondamentale affermare che il discernimento circa la congruenza tra la natura del ministero petrino e le eventuali modalità del suo esercizio è un discernimento da compiersi in Ecclesia, ossia sotto l'assistenza dello Spirito Santo e in dialogo fraterno del Romano Pontefice con gli altri Vescovi, secondo le esigenze concrete della Chiesa. Ma, allo stesso tempo, è chiaro che solo il Papa (o il Papa con il Concilio ecumenico) ha, come Successore di Pietro, l'autorità e la competenza per dire l'ultima parola sulle modalità di esercizio del proprio ministero pastorale nella Chiesa universale.

* * *
14. Nel ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato del Successore di Pietro, la Congregazione per la Dottrina della Fede è certa che la riaffermazione autorevole di tali acquisizioni dottrinali offre maggior chiarezza sulla via da proseguire. Tale richiamo è utile, infatti, anche per evitare le ricadute sempre nuovamente possibili nelle parzialità e nelle unilateralità già respinte dalla Chiesa nel passato (febronianesimo, gallicanesimo, ultramontanismo, conciliarismo, ecc). E, soprattutto, vedendo il ministero del Servo dei servi di Dio come un grande dono della misericordia divina alla Chiesa, troveremo tutti — con la grazia dello Spirito Santo — lo slancio per vivere e custodire fedelmente l'effettiva e piena unione con il Romano Pontefice nel quotidiano camminare della Chiesa, secondo il modo voluto da Cristo.  44

15. La piena comunione voluta dal Signore tra coloro che si confessano suoi discepoli richiede il riconoscimento comune di un ministero ecclesiale universale « nel quale tutti i Vescovi si riconoscano uniti in Cristo e tutti i fedeli trovino la conferma della propria fede ». 45 La Chiesa Cattolica professa che questo ministero è il ministero primaziale del Romano Pontefice, successore di Pietro, e sostiene con umiltà e con fermezza « che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e dei loro Vescovi con il Vescovo di Roma, è un requisito essenziale — nel disegno di Dio — della comunione piena e visibile ». 46 Non sono mancati nella storia del Papato errori umani e mancanze anche gravi: Pietro stesso, infatti, riconosceva di essere peccatore. 47 Pietro, uomo debole, fu eletto come roccia, proprio perché fosse palese che la vittoria è soltanto di Cristo e non risultato delle forze umane. Il Signore volle portare in vasi fragili48 il proprio tesoro attraverso i tempi: così la fragilità umana è diventata segno della verità delle promesse divine e della misericordia di Dio. 49
Quando e come si raggiungerà la tanto desiderata mèta dell'unità di tutti i cristiani? « Come ottenerlo? Con la speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della separazione; Egli sa concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in modo che il nostro impegno sia sempre più autentico ». 50 Siamo tutti invitati ad affidarci allo Spirito Santo, ad affidarci a Cristo, affidandoci a Pietro.

+ Joseph Card. Ratzinger, 
Prefetto

+ Tarcisio Bertone, Arcivescovo emerito di Vercelli, 
Segretario

   
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Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, 25-V-1995, n. 95.
Il Primato del Successore di Pietro, Atti del Simposio teologico, Roma 2-4 dicembre 1996, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.
Giovanni Paolo II, Lettera al Cardinale Joseph Ratzinger, in Ibid, p. 20.
Il Primato del Successore di Pietro nel mistero della Chiesa, Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, in Ibid, Appendice, pp. 493-503. Il testo è pubblicato anche in un apposito fascicolo, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.
Mt 10,2.
Cf. Mc 3,16; Lc 6,14; At 1,13.
Cf. Mt 14,28-31; 16,16-23 e par.; 19,27-29 e par.; 26,33-35 e par.; Lc 22,32; Gv 1,42; 6,67-70; 13,36-38; 21,15-19.
La testimonianza per il ministero petrino si trova in tutte le espressioni, pur differenti, della tradizione neotestamentaria, sia nei Sinottici — qui con tratti diversi in Matteo e in Luca, come anche in San Marco —, sia nel corpo Paolino e nella tradizione Giovannea, sempre con elementi originali, differenti quanto agli aspetti narrativi ma profondamente concordanti nel significato essenziale. Questo è un segno che la realtà petrina fu considerata come un dato costitutivo della Chiesa.
Cf. Mt 16,18.
10 Cf. Lc 22,32.
11 Cf. Gv 21,15-17. Sulla testimonianza neotestamentaria sul Primato cf. anche Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, nn. 90ss.
12 S. Ambrogio di Milano, Enarr. in Ps., 40, 30: PL 14, 1134.
13 Cf. ad esempio S. Siricio I, Lett. Directa ad decessorem, 10-11-385: Denz-Hün, n. 181; Conc. di Lione II, Professio fidei di Michele Paleologo, 6-VII-1274: Denz-Hün, n. 861; Clemente VI, Lett. Super quibusdam, 29-IX-1351: Denz-Hün, n. 1053; Conc. di Firenze, Bolla Laetentur caeli,6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307; Pio IX, Lett. Enc. Qui pluribus, 9-XI-1846: Denz-Hün, n. 2781; Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 2: Denz-Hün, nn. 3056-3058; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, cap. IlI, nn. 21-23; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 882; ecc.
14 Cf. S. Ignazio d'Antiochia, Epist. ad Romanos, Intr.: SChr 10, 106-107; S. Ireneo di Antiochia,Adversus haereses, III, 3, 2: SChr 211, 32-33.
15 Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 20.
16 Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051. Cf.. S. Leone I Magno, Tract. in Natale eiusdem, IV, 2: CCL 138, p. 19.
17 Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23. Cf.. Conc. Vaticano I, Cost. dogm.Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051; Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, n. 88. Pio IX, Lett. del S. Uffizio ai Vescovi d'Inghilterra, 16-IX-1864: Denz-Hün, n. 2888; Leone XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, nn. 3305-3310.
18 Cf.. Gv 17,21-23; Conc. Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 1; Paolo VI, Esort. ap.Evangelii nuntiandi, 8-XII-1975, n. 77: AAS 68 (1976) 69; Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 98.
19 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 18.
20  Cf. ibidem, n. 23.
21 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3061; cf.Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.-febbr. 1875: Denz-Hün, nn. 3112-3113; Leone XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, n. 3310; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 27. Come spiegò Pio IX nell’'Allocuzione dopo la promulgazione della Costituzione Pastor aeternus: « Summa ista Romani Pontificis auctoritas, Venerabiles Fratres, non opprimit sed adiuvat, non destruit sed aedificat, et saepissime confirmat in dignitate, unit in caritate, et Fratrum, scilicet Episcoporum, jura firmat atque tuetur » (Mansi 52, 1336 A/B).
22 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 95.
23 2 Cor 11,28.
24 La priorità ontologica che la Chiesa universale, nel suo essenziale mistero, ha rispetto ad ogni singola Chiesa particolare (cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communìonis notio, 28-V-1992, n. 9) sottolinea anche l'importanza della dimensione universale del ministero di ogni Vescovo.
25 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, 3059; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22; cf. Conc. Di Firenze, Bolla Laetentur caeli, 6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307.
26 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, nn. 3060.3064.
Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22.
27 Conc. Vaticano II, Decr. Christus Dominus, n. 11.
28Cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis Notio,n. 13.
29 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Decr. Orientalium Ecclesiarum, nn. 7 e 9.
30 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 93.
31 Cf. ibidem, n. 94.
32 Cf. Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.-febbr. 1875: Denz-Hün, n. 3114.
33 Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051.
34 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.
35 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Leone XIII, Lett. Enc. Grande munus, 30-IX-1880: ASS 13 (1880) 145; CIC can. 782 § 1.
36 Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, n. 14. Cf. CIC can. 781.
37 Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aetemus, cap. 4: Denz-Hün, nn. 3065-3068.
38 Cf. ibidem: Denz-Hün, nn. 3073-3074; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25; CIC can. 749 § 1; CCEO can. 597 § 1.
39 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.
40 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25.
41 CIC, can. 1404; CCEO, can. 1058. Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3063.
42 Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio, n. 14. Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1369.
43 Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.
44 Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 15.
45Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 97.
46 Ibidem.
47 Cf. Lc 5,8.
48 Cf. 2 Cor 4,7.
49 Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, nn. 91-94.
50 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 102.


giovedì 18 settembre 2014

Come pietre miliari le seguenti parole del Sommo Pontefice Benedetto XVI



Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici. Nella Chiesa, la Sacra Scrittura, la cui comprensione cresce sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e il ministero dell’interpretazione autentica, conferito agli apostoli, appartengono l’una all’altro in modo indissolubile. Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti. 

Certamente, tutto ciò che essi hanno da dirci è importante e prezioso; il lavoro dei sapienti ci è di notevole aiuto per poter comprendere quel processo vivente con cui è cresciuta la Scrittura e capire così la sua ricchezza storica. 
Ma la scienza da sola non può fornirci una interpretazione definitiva e vincolante; non è in grado di darci, nell’interpretazione, quella certezza con cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire. Per questo occorre un mandato più grande, che non può scaturire dalle sole capacità umane. Per questo occorre la voce della Chiesa viva, di quella Chiesa affidata a Pietro e al collegio degli apostoli fino alla fine dei tempi.


Questa potestà di insegnamento spaventa tanti uomini dentro e fuori della Chiesa. Si chiedono se essa non minacci la libertà di coscienza, se non sia una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero. Non è così. Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire. 

La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. 

Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. 

Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. 

Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. 

Lo fece Papa Giovanni Paolo II, quando, davanti a tutti i tentativi, apparentemente benevoli verso l’uomo, di fronte alle errate interpretazioni della libertà, sottolineò in modo inequivocabile l’inviolabilità dell’essere umano, l’inviolabilità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. La libertà di uccidere non è una vera libertà, ma è una tirannia che riduce l’essere umano in schiavitù. 

Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode.

CUORE IMMACOLATO DI MARIA
 fiducia, salvezza, vittoria
e gioia mia!
Dacci il Tuo Cuore Mamma
per amare Gesù come L'ami Tu!"

AMDG et DVM

sabato 23 agosto 2014

Domenica 24 Agosto 2014, XXI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 16,13-20.

"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta






Domenica 24 Agosto 2014, XXI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 16,13-20.

In quel tempo, essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?».
Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 
Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». 
Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 
E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 
E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. 
A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo. 

Traduzione liturgica della Bibbia 

Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 5 Capitolo 343 pagina 309.


1La pianura fiancheggia il Giordano prima che questo si getti nel lago di Merom. Una bella pianura su cui di giorno in giorno crescono più rigogliosi i cereali e s’infiorano gli alberi da frutto. I colli oltre i quali è Cedes sono ora alle spalle dei pellegrini, che infreddoliti camminano lesti nelle prime luci del giorno, guardando con desiderio il sole che ascende e cercandolo non appena il suo raggio tocca i prati e carezza le fronde. Devono aver dormito all’aperto, al massimo in un pagliaio, perché le vesti sono sgualcite e conservano festuche di paglia e foglie secche che essi si vanno levando man mano che le scoprono nella luce più forte.
Il fiume si annuncia per il suo fruscio, che pare forte nel silenzio mattutino della campagna e per una folta riga di alberi delle foglie novelle, che tremolano alla lieve brezza del mattino. Ma ancora non si vede, sprofondato come è nella pianura piatta. Quando le acque azzurre, ingrossate da numerosi torrentelli che scendono dai colli occidentali, si vedono luccicare fra il verde novello delle sponde, si è quasi sulla riva.
«Facciamo la riva fino al ponte, oppure passiamo il fiume qui?» chiedono a Gesù che era solo, meditabondo, e che si è fermato ad attenderli.
«Vedete se c’è barca per passare. È meglio andare di qui...».
«Sì. Al ponte che è proprio sulla via di Cesarea Paneade potremmo incontrare da capo qualcuno messo sulle tracce» osserva Bartolomeo accigliato, guardando Giuda.
«No. Non mi guardare male. Io non sapevo di venire qui e non ho detto nulla. Era facile capire che da Safet Gesù sarebbe andato alle tombe dei rabbi e a Cédès. Ma mai avrei pensato volesse spingersi fino alla capitale di Filippo. Perciò essi lo ignorano. E non li troveremo per mia colpa né per loro volontà. A meno che non abbiano Belzebù che li conduce» dice calmo e umile l’Iscariota.
«Questo è bene. Perché con certa gente… Bisogna avere occhio e misurare le parole, non lasciare indizi dei nostri progetti. Stare attenti a tutto si deve. Altrimenti la nostra evangelizzazione si tramuterà in perpetua fuga» ribatte Bartolomeo.
Tornano Giovanni e Andrea. Dicono: «Abbiamo trovato due barche. Ci passano per una dramma a barca. Scendiamo sull’argine».
E nelle due barchette, in due riprese, passano sull’altra sponda. La pianura piatta e fertile, li accoglie anche qui. Una pianura fertile, ma poco popolata. Solo i contadini che la coltivano hanno casa in essa.

2«Uhm! Come faremo per il pane? Io ho fame… E qui… non ci sono neppure le spighe filistee… Erba e foglie, foglie e fiori. Non sono una pecorella né un’ape» mormora Pietro ai compagni, che sorridono all’osservazione.
Giuda Taddeo si volta - era un poco più avanti - e dice: «Compreremo pane al primo paese».
«Sempre che non ci facciano fuggire» termina Giacomo di Zebedeo.
«Guardatevi, voi che dite di stare attenti a tutto, dal prendere il lievito dei farisei e dei sadducei. Mi sembra che lo stiate facendo, senza riflettere a ciò che fate di male. State attenti! Guardatevi!» dice Gesù.
Gli apostoli si guardano l’un l’altro e bisbigliano: «Ma che dice? Il pane ce lo ha dato quella donna del sordomuto e l’oste di Cedes. E questo è ancora qui. L’unico che abbiamo. Né sappiamo se potremo trovarne da prendere per la nostra fame. Come dunque dice che comperiamo da sadducei e farisei pane col loro lievito? Forse non vuole che si comperi in questi paesi...».
Gesù, che era di nuovo avanti tutto solo, torna a voltarsi.
«Perché avete paura di rimanere senza pane per la vostra fame? Anche se tutti qui fossero sadducei e farisei, non rimarreste senza cibo per il mio consiglio. Non è di quel lievito che è nel pane che Io parlo. Perciò potrete comperare dove vi pare il pane per i vostri ventri. E se nessuno ve lo volesse vendere, non rimarreste senza pane lo stesso. Non vi ricordate dei cinque pani con cui si sfamarono cinquemila persone? Non vi ricordate che ne raccoglieste dodici panieri colmi di avanzi? Potrei fare per voi, che siete dodici e avete un pane, ciò che feci per cinquemila con cinque pani. Non capite a quale lievito alludo? A quello che gonfia nel cuore dei farisei, sadducei e dottori, contro di Me. È odio, quello. Ed è eresia. Ora voi state andando verso l’odio come fosse entrato in voi parte del lievito farisaico. Non si deve odiare neppure chi ci è nemico. Non aprite neppure uno spiraglio a ciò che non è Dio. Dietro al primo entrerebbero altri elementi contrari a Dio. Talora, per troppo volere combattere con armi uguali i nemici, si finisce a perire o a essere vinti. E, vinti che siate, potreste per contatto assorbire le loro dottrine. No. Abbiate carità e riservatezza. Voi non avete in voi ancora tanto da poterle combattere, queste dottrine, senza esserne infettati. Perché alcuni elementi di esse li avete pure voi. E l’astio per loro ne è uno. Ancora vi dico che essi potrebbero cambiare metodo per sedurvi e levarvi a Me, usandovi mille gentilezze, mostrandosi pentiti, desiderosi di fare la pace. Non dovete sfuggirli. Ma quando essi cercheranno di darvi le loro dottrine, sappiate non accoglierle. Ecco quale è il lievito di cui parlo. Il malanimo che è contro l’amore e le false dottrine. Vi dico: siate prudenti».

3«Quel segno che i farisei chiedevano ieri era “lievito”, Maestro?» chiede Tommaso.
«Era lievito e veleno».
«Hai fatto bene a non darglielo».
«Ma glielo darò un giorno».
«Quando? Quando?» chiedono curiosi.
«Un giorno...».
«E che segno è? Non lo dici nemmeno a noi, tuoi apostoli? Perché lo si possa riconoscere subito» chiede voglioso Pietro.
«Voi non dovreste avere bisogno di un segno».
«Oh! non per poter credere in Te! Non siamo la gente che ha molti pensieri, noi. Noi ne abbiamo uno solo: amare Te» dice veementemente Giacomo di Zebedeo.

4«Ma la gente, voi che l’avvicinate, così alla buona, più di Me, e senza la soggezione che Io posso incutere, chi dice che Io sia? E come definisce il Figlio dell’uomo?».
«Chi dice che Tu sei Gesù, ossia il Cristo, e sono i migliori. Gli altri ti dicono Profeta, altri solo Rabbi, e altri, Tu la sai, ti dicono pazzo e indemoniato».
«Qualcuno però usa per Te il nome stesso che Tu ti dai, e ti dice “Figlio dell’uomo”».
«E alcuni anche dicono che ciò non può essere, perché il Figlio dell’uomo è ben altra cosa. Né è sempre negazione, questa. Perché in fondo essi ammettono che Tu sei da più del Figlio dell’uomo: sei il Figlio di Dio. Altri invece dicono che non sei neppure il Figlio dell’uomo, ma un povero uomo che Satana agita o che sconvolge la demenza. Tu vedi che i pareri sono molti e tutti diversi» dice Bartolomeo.

«Ma per la gente chi è dunque il Figlio dell’uomo?».
«È un uomo nel quale siano tutte le virtù più belle dell’uomo, un uomo che raduni in sé tutti i requisiti di intelligenza, sapienza, grazia che pensiamo fossero in Adamo, e taluni a questi requisiti aggiungono quello del non morire. Tu sai che già circola la voce che Giovanni Battista non sia morto. Ma solo trasportato altrove dagli angeli, e che Erode, per non dirsi vinto da Dio, e più ancora Erodiade, abbiano ucciso un servo e, sottratto il capo di lui, abbiano mostrato come cadavere del Battista il corpo mutilato del servo. Tante ne dice la gente! Perciò pensano in molti che il Figlio dell’uomo sia o Geremia, o Elia, o qualcuno dei Profeti e anche lo stesso Battista, nel quale era grazia e sapienza, e si diceva il Precursore del Cristo. Cristo: l’Unto di Dio. Il Figlio dell’uomo: un grande uomo nato dall’uomo. Non possono ammettere in molti, o non lo vogliono ammettere, che Dio abbia potuto mandare suo Figlio sulla terra. Tu lo hai detto ieri: “Crederanno solo coloro che sono convinti dell’infinita bontà di Dio”. Israele crede nel rigore di Dio più che nella sua bontà...» dice ancora Bartolomeo.
«Già. Si sentono infatti tanto indegni che giudicano impossibile che Dio sia tanto buono da mandare il suo Verbo per salvarli. Fa ostacolo al loro credere in ciò lo stato degradato della loro anima» conferma lo Zelote. E aggiunge: «Tu lo dici che sei il Figlio di Dio e dell’uomo. Infatti in Te è ogni grazia e sapienza come uomo. Ed io credo che realmente chi fosse nato da un Adamo in grazia ti avrebbe somigliato per bellezza e intelligenza ed ogni altra dote. E in Te brilla Dio per la potenza. Ma chi lo può credere fra coloro che si credono dèi e misurano Dio su se stessi, nella loro superbia infinita? Essi, i crudeli, gli odiatori, i rapaci, gli impuri, non possono certo pensare che Dio abbia spinto la sua dolcezza a dare Se stesso per redimerli, il suo amore a salvarli, la sua generosità a darsi in balìa dell’uomo, la sua purezza a sacrificarsi fra noi. Non lo possono, no, essi che sono così inesorabili e cavillosi nel cercare e punire le colpe».

E voi chi dite che Io sia? Ditelo proprio per vostro giudizio, senza tenere conto delle mie parole o di quelle altrui. Se foste obbligati a giudicarmi, che direste che Io sia?».

«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» grida Pietro inginocchiandosi a braccia tese verso l’alto, verso Gesù, che lo guarda con un volto tutto luce e che si curva a rialzarlo per abbracciarlo dicendo:

«Te beato, o Simone, figlio di Giona! Perché non la carne né il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei Cieli. Dal primo giorno che venisti da Me ti sei fatto questa domanda, e poiché eri semplice e onesto hai saputo comprendere ed accettare la risposta che ti veniva dai Cieli. Tu non vedesti manifestazioni soprannaturali come tuo fratello e Giovanni e Giacomo. Tu non conoscevi la mia santità di figlio, di operaio, di cittadino come Giuda e Giacomo, miei fratelli. Tu non ricevesti miracolo né vedesti farne, né ti diedi segno di potenza come feci e come videro Filippo, Natanaele, Simon Cananeo, Tommaso, Giuda. Tu non fosti soggiogato dal mio volere come Levi il pubblicano. Eppure tu hai esclamato: “Egli è il Cristo!” Dalla prima ora che mi hai visto, hai creduto, né mai la tua fede fu scossa. Per questo Io ti ho chiamato Cefa. E per questo su te, Pietra, Io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Inferno non prevarranno contro di lei. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli. E qualunque cosa avrai legata sulla terra sarà legata anche nei Cieli. E qualunque cosa avrai sciolta sulla terra sarà sciolta anche nei Cieli, o uomo fedele e prudente di cui ho potuto provare il cuore. E qui, da questo momento, tu sei il capo, al quale va data ubbidienza e rispetto come ad un altro Me stesso. E tale lo proclamo davanti a tutti voi».

6 Se Gesù avesse schiacciato Pietro sotto una grandine di rimproveri, il pianto di Pietro non sarebbe stato così alto. Piange tutto scosso dai singhiozzi, col volto sul petto di Gesù. Un pianto che avrà solo riscontro in quello infrenabile del suo dolore di rinnegatore di Gesù. Ora è pianto fatto di mille sentimenti umili e buoni… Un altro poco dell’antico Simone - il pescatore di Betsaida che al primo annuncio del fratello aveva riso dicendo: «Il Messia appare a te!.. Proprio!», incredulo e ridanciano - un poco tanto dell’antico Simone si sgretola sotto quel pianto per far apparire, sotto la crosta assottigliata della sua umanità, sempre più nettamente il Pietro, pontefice della Chiesa di Cristo.

Quando alza il viso, timido, confuso, non sa che fare un atto per dire tutto, per promettere tutto, per rinforzarsi tutto al nuovo ministero: quello di gettare le sue braccia corte e muscolose al collo di Gesù e obbligarlo a chinarsi per baciarlo, mescolando i suoi capelli, la sua barba, un poco ispidi e brizzolati, ai capelli e alla barba morbidi e dorati di Gesù, guardandolo poi con uno sguardo adorante, amoroso, supplichevole, degli occhi un poco bovini, lucidi e rossi delle lacrime sparse, tenendo nelle sue mani callose, larghe, tozze, il viso ascetico del Maestro curvo sul suo, come fosse un vaso da cui fluisse liquore vitale… e beve, beve, beve dolcezza e grazia, sicurezza e forza, da quel viso, da quegli occhi, da quel sorriso…

7 Si sciolgono infine, tornando ad andare verso Cesarea di Filippo, e Gesù dice a tutti: «Pietro ha detto la verità. Molti l’intuiscono, voi la sapete. Ma voi, per ora, non dite ad alcuno ciò che è il Cristo nella verità completa di ciò che sapete. Lasciate che Dio parli nei cuori come parla nel vostro. In verità vi dico che quelli che alle mie asserzioni o alle vostre aggiungono la fede perfetta e il perfetto amore, giungono a sapere il vero significato delle parole “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio dell’uomo e di Dio”».


Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 






sabato 28 giugno 2014

A Roma il natale dei santi Apostoli Piétro e Pàolo




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A Roma il natale dei santi Apostoli Piétro e Pàolo, i quali patirono
nello stesso anno e nello stesso giorno, sotto Nerone
Imperatore. Il primo di questi, nella medesima Città, crocifisso col
capo rivolto verso la terra, e sepolto nel Vaticàno presso la via Trionfale,
è celebrato con venerazione di tutto il mondo; l'altro decapitato
e sepolto sulla via Ostiènse, è venerato con pari onore.

In Cipro santa Maria, madre di Giovanni, soprannominato Marco.
Nel castello d'Argenton, in Frància, san Marcéllo Martire, il
quale, per la fede di Cristo, fu decapitato insieme con Anastàsio,
uomo militare.

A Génova il natale di san Siro Vescovo.

A Narni san Cassio, Vescovo di quella città, del quale racconta
san Gregorio Papa, che non passava quasi alcun giorno della sua
vita, nel quale non offrisse a Dio onnipotente ostie propiziatorie.
A questo conformava anche la sua vita, perchè, distribuendo in
elemosine tutto quello che aveva, nel tempo del sacrificio si profondeva
tutto in lacrime. Finalmente, nel giorno natalizio degli
Apostoli, in cui ogni anno era solito recarsi a Roma, nella stessa
città di Narni, dopo aver celebrato la Messa e dato a tutti il corpo
del Signore e la pace, passò a Dio.

Nel territorio di Sens santa Benedétta Vergine.

domenica 30 giugno 2013

FESTA DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO


PER LA FESTA DEI SS. APOSTOLI 
PIETRO E PAOLO

Nella festa dei principi degli Apostoli Pietro e Paolo, mentre a Mattutino si cantava il Responsorio: Si diligitis me, Geltrude chiese al Signore quali pecorelle avrebbe potuto pascere per provargli con le opere l'amor suo. 

Rispose Gesù: « Nutri per me cinque agnelli scelti e teneramente amati. Pasci il tuo cuore con meditazioni divine, la tua bocca con parole salutari, i tuoi occhi con sante letture, i tuoi orecchi con l'audizione di buoni consigli, le tue mani con lavoro perseverante. Ogni volta che ti applicherai a uno di questi esercizi mi darai grande prova di amore».

Nelle meditazioni divine, la Santa comprese doversi includere tutti i progetti concepiti per la gloria di Dio ed il profitto personale del prossimo. Le parole salutari e le sante letture comprendevano tutto quanto si accoglie con merito cioè, le sofferenze, i buoni esempi, lo sguardo al Crocifisso. Riguardo ai santi consigli, ella comprese che le orecchie sono nutrite anche quando si riceve con pazienza un rimprovero. Il lavoro costante delle mani, non potendosi praticare simultaneamente con la lettura, va inteso con una certa larghezza, cioè più come intenzione che come azione, giacché l'amabile Salvatore accetta come lavoro anche il semplice desiderio di leggere e persino l'atto di tenere fra mano il libro.

Durante la S. Messa, mentre Geltrude lodava S. Pietro dei privilegi da Dio ricevuti e soprattutto delle taumaturghe parole: Tutto ciò che legherai in terra ecc. (Matt. XVIII, 18) l'Apostolo le apparve adorno di abiti pontificali. Egli stese la mano e la benedisse, per consumare in essa l'opera di salvezza che compie nelle anime in virtù delle suddette parole. 

Mentre si avvicinava alla balaustra per ricevere il Corpo di Cristo, sentiva la sua profonda indegnità. Allora i due Apostoli si posero uno a destra, l'altro alla sua sinistra per condurla con grande onore alla Mensa divina. Al suo arrivo il Figlio di Dio si alzò e, recingendola affettuosamente, le disse: « Sappi, figlia mia, che queste braccia che ti recingono ti hanno realmente guidata verso di me; volli però servirmi del ministero de' miei Apostoli, per aumentare la tua divozione a loro riguardo ». 

Geltrude si rimproverò amaramente di avere dimenticato di onorare S. Paolo con qualche pratica particolare e pregò Gesù stesso di supplire alla sua negligenza.
Mentre faceva il ringraziamento dopo la S. Comunione, Geltrude si vide assisa ai fianchi del Signore, quale regina che se ne sta vicina al re. I principi degli Apostoli piegavano il ginocchio davanti al trono, come cavalieri che si presentano per ricevere i premi distribuiti dal sovrano e dalla loro dama. 

La Santa si chiese con stupore se gli Apostoli non avessero acquistato in terra meriti sufficienti, offrendo così spesso il S. Sacrificio. Gesù la illuminò con questo paragone: « Quantunque sia grande onore per una regina essere Sposa del Re, tuttavia ella gusta una gioia speciale nel giorno delle nozze della sua figlia. Così i Santi, felici nel loro gaudio, si rallegrano però grandemente con l'anima che riceve il S. Sacramento ».

CAP. XLIV, Lib. IV: Rivelazioni di s. Gertrude


venerdì 28 giugno 2013

'LECTIO DIVINA' DEL SANTO PADRE

VISITA AL SEMINARIO ROMANO MAGGIORE IN OCCASIONE DELLA FESTA DELLA MADONNA DELLA FIDUCIA, 08.02.2013

Questo pomeriggio, alle ore 18.15, il Santo Padre Benedetto XVI si è recato in visita al Seminario Romano Maggiore, alla vigilia della Festa della Madonna della Fiducia, che ricorre domani. Al Suo arrivo è stato accolto dal Cardinale Vicario Agostino Vallini e dal Rettore, don Concetto Occhipinti.
Alle 18.30, nella Cappella Maggiore del Seminario, dopo l’indirizzo di omaggio del Rettore, il Santo Padre ha tenuto una lectio divina sul testo della Prima Lettera di San Pietro Apostolo (1 Pt. 1,3-5), per i Seminaristi del Seminario Romano Maggiore, del Seminario Romano Minore, dell’Almo Collegio Capranica, del Collegio diocesano "Redemptoris Mater" e del Seminario della Madonna del Divino Amore.
Pubblichiamo di seguito il testo della lectio divina del Santo Padre:

'LECTIO DIVINA'  DEL SANTO PADRE 

Eminenza,
cari Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
cari amici!

E’ per me ogni anno una grande gioia essere qui con voi, vedere tanti giovani che camminano verso il sacerdozio, che sono attenti alla voce del Signore, vogliono seguire questa voce e cercano la strada per servire il Signore in questo nostro tempo.
Abbiamo ascoltato tre versetti dalla Prima Lettera di San Pietro (cfr 1,3-5). Prima di entrare in questo testo, mi sembra importante proprio essere attenti al fatto che è Pietro che parla. Le prime due parole della Lettera sono “Petrus apostolus” (cfr v. 1): lui parla, e parla alle Chiese in Asia e chiama i fedeli “eletti e stranieri dispersi” (ibidem). Riflettiamo un po’ su questo. Pietro parla, e parla - come si sente alla fine della Lettera - da Roma, che ha chiamato “Babilonia” (cfr 5,13). Pietro parla: quasi una prima enciclica, con la quale il primo apostolo, vicario di Cristo, parla alla Chiesa di tutti i tempi.

Pietro, apostolo. Parla quindi colui che ha trovato in Cristo Gesù il Messia di Dio, che ha parlato come primo in nome della Chiesa futura: “Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo” (cfr Mt 16,16). Parla colui che ci ha introdotto in questa fede. Parla colui al quale il Signore ha detto: “Ti trasmetto le chiavi del regno dei cieli” (cfr Mt 16,19), al quale ha affidato il suo gregge dopo la Risurrezione, dicendogli tre volte: “Pascola il mio gregge, le mie pecore” (cfr Gv 21,15-17). 

Parla anche l’uomo che è caduto, che ha negato Gesù e che ha avuto la grazia di vedere lo sguardo di Gesù, di essere toccato nel suo cuore e di avere trovato il perdono e un rinnovamento della sua missione. Ma è soprattutto importante che questo uomo, pieno di passione, di desiderio di Dio, di desiderio del regno di Dio, del Messia, che quest’uomo che ha trovato Gesù, il Signore e il Messia, è anche l’uomo che ha peccato, che è caduto, e tuttavia è rimasto sotto gli occhi del Signore e così rimane responsabile per la Chiesa di Dio, rimane incaricato da Cristo, rimane portatore del suo amore.
Parla Pietro l’apostolo, ma gli esegeti ci dicono: non è possibile che questa Lettera sia di Pietro, perché il greco è talmente buono che non può essere il greco di un pescatore del Lago di Galilea. E non solo il linguaggio, la struttura della lingua è ottima, ma anche il pensiero è già abbastanza maturo, ci sono già formule concrete nelle quali si condensa la fede e la riflessione della Chiesa. Quindi essi dicono: è già uno stato di sviluppo che non può essere quello di Pietro. 
Come rispondere? Vi sono due posizioni importanti: primo, Pietro stesso – cioè la Lettera – ci dà una chiave perché alla fine dello Scritto dice: “Vi scrivo tramite Silvano – dia Silvano”. Questo tramite [dia] può significare diverse cose: può significare che lui [Silvano] trasporta, trasmette; può voler dire che lui ha aiutato nella redazione; può dire che lui realmente era lo scrittore pratico. In ogni caso, possiamo concludere che la Lettera stessa ci indica che Pietro non è stato solo nello scrivere questa Lettera, ma esprime la fede di una Chiesa che è già in cammino di fede, in una fede sempre più matura. Non scrive da solo, individuo isolato, scrive con l’aiuto della Chiesa, delle persone che aiutano ad approfondire la fede, ad entrare nella profondità del suo pensiero, della sua ragionevolezza, della sua profondità. E questo è molto importante: non parla Pietro come individuo, parla ex persona Ecclesiae, parla come uomo della Chiesa, certamente come persona, con la sua responsabilità personale, ma anche come persona che parla in nome della Chiesa: non solo idee private, non come un genio del secolo XIX che voleva esprimere solo idee personali, originali, che nessuno avrebbe potuto dire prima. No. Non parla come genio individualistico, ma parla proprio nella comunione della Chiesa. 

Nell’Apocalisse, nella visione iniziale di Cristo è detto che la voce di Cristo è la voce di molte acque (cfr Ap 1,15). Questo vuol dire: la voce di Cristo riunisce tutte le acque del mondo, porta in sé tutte le acque vive che danno vita al mondo; è Persona, ma proprio questa è la grandezza del Signore, che porta in sé tutto il fiume dell’Antico Testamento, anzi, della saggezza dei popoli. E quanto qui è detto sul Signore vale, in altro modo, anche per l’apostolo, che non vuole dire una parola solo sua, ma porta in sé realmente le acque della fede, le acque di tutta la Chiesa, e proprio così dà fertilità, dà fecondità e proprio così è un testimone personale che si apre al Signore, e così diventa aperto e largo. Quindi, questo è importante.

Poi mi sembra anche importante che in questa conclusione della Lettera vengono nominati Silvano e Marco, due persone che appartengono anche alle amicizie di san Paolo. 
Così, tramite questa conclusione, i mondi di san Pietro e di san Paolo vanno insieme: non è una teologia esclusivamente petrina contro una teologia paolina, ma è una teologia della Chiesa, della fede della Chiesa, nella quale c’è diversità – certamente – di temperamento, di pensiero, di stile nel parlare tra Paolo e Pietro. E’ bene che ci siano queste diversità, anche oggi, di diversi carismi, di diversi temperamenti, ma tuttavia non sono contrastanti e si uniscono nella comune fede.
Vorrei dire ancora una cosa: san Pietro scrive da Roma. E’ importante: qui abbiamo già il Vescovo di Roma, abbiamo l’inizio della successione, abbiamo già l’inizio del primato concreto collocato a Roma, non solo consegnato dal Signore, ma collocato qui, in questa città, in questa capitale del mondo. Come è venuto Pietro a Roma? Questa è una domanda seria. 
Gli Atti degli Apostoli ci raccontano che, dopo la sua fuga dal carcere di Erode, è andato in un altro luogo (cfr 12,17) – eis eteron topon –, non si sa in quale altro luogo; alcuni dicono Antiochia, alcuni dicono Roma. In ogni caso, in questo capitolo, va detto anche che, prima di fuggire, ha affidato la Chiesa giudeo-cristiana, la Chiesa di Gerusalemme, a Giacomo e, affidandola a Giacomo, egli tuttavia rimane Primate della Chiesa universale, della Chiesa dei pagani, ma anche della Chiesa giudeo-cristiana. E qui a Roma ha trovato una grande comunità giudeo-cristiana. I liturgisti ci dicono che nel Canone romano ci sono tracce di un linguaggio tipicamente giudeo-cristiano; così vediamo che in Roma si trovano ambedue le parti della Chiesa: quella giudeo cristiana e quella pagano-cristiana, unite, espressione della Chiesa universale. E per Pietro certamente il passaggio da Gerusalemme a Roma è il passaggio all’universalità della Chiesa, il passaggio alla Chiesa dei pagani e di tutti i tempi, alla Chiesa anche sempre degli ebrei. E penso che, andando a Roma, san Pietro non solo ha pensato a questo passaggio: Gerusalemme/Roma, Chiesa giudeo-cristiana/Chiesa universale. Certamente si è ricordato anche delle ultime parole di Gesù a lui rivolte, riportate da san Giovanni: “Alla fine, tu andrai dove non vuoi andare. Ti cingeranno, estenderanno le tue mani” (cfr Gv 21,18). E’ una profezia della crocifissione. I filologi ci mostrano che è un’espressione precisa, tecnica, questo “estendere le mani”, per la crocifissione. San Pietro sapeva che la sua fine sarebbe stato il martirio, sarebbe stata la croce. E così, sarà nella completa sequela di Cristo. Quindi, andando a Roma certamente è andato anche al martirio: in Babilonia lo aspettava il martirio. Quindi, il primato ha questo contenuto della universalità, ma anche un contenuto martirologico. Dall’inizio, Roma è anche luogo del martirio. 
Andando a Roma, Pietro accetta di nuovo questa parola del Signore: va verso la Croce, e ci invita ad accettare anche noi l’aspetto martirologico del cristianesimo, che può avere forme molto diverse. E la croce può avere forme molto diverse, ma nessuno può essere cristiano senza seguire il Crocifisso, senza accettare anche il momento martirologico.
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Dopo queste parole sul mittente, una breve parola anche sulle persone alle quali è scritto. Ho già detto che san Pietro definisce quelli ai quali scrive con le parole “eklektois parepidemois”, “agli eletti che sono stranieri dispersi” (cfr 1 Pt 1,1). Abbiamo di nuovo questo paradosso di gloria e croce: eletti, ma dispersi e stranieri. Eletti: questo era il titolo di gloria di Israele: noi siamo gli eletti, Dio ha eletto questo piccolo popolo non perché noi siamo grandi - dice il Deuteronomio - ma perché lui ci ama (cfr 7,7-8). Siamo eletti: questo, adesso san Pietro lo trasferisce a tutti i battezzati, e il contenuto proprio dei primi capitoli della sua Prima Lettera è che i battezzati entrano nei privilegi di Israele, sono il nuovo Israele. Eletti: mi sembra valga la pena di riflettere su questa parola. 
Siamo eletti. Dio ci ha conosciuto da sempre, prima della nostra nascita, del nostro concepimento; Dio mi ha voluto come cristiano, come cattolico, mi ha voluto come sacerdote. Dio ha pensato a me, ha cercato me tra milioni, tra tanti, ha visto me e mi ha eletto, non per i miei meriti che non c’erano, ma per la sua bontà; ha voluto che io sia portatore della sua elezione, che è anche sempre missione, soprattutto missione, e responsabilità per gli altri. Eletti: dobbiamo essere grati e gioiosi per questo fatto. Dio ha pensato a me, ha eletto me come cattolico, me come portatore del suo Vangelo, come sacerdote. Mi sembra che valga la pena di riflettere diverse volte su questo, e rientrare di nuovo in questo fatto della sua elezione: mi ha eletto, mi ha voluto; adesso io rispondo.
Forse oggi siamo tentati di dire: non vogliamo essere gioiosi di essere eletti, sarebbe trionfalismo. Trionfalismo sarebbe se noi pensassimo che Dio mi ha eletto perché io sono così grande. Questo sarebbe realmente trionfalismo sbagliato. Ma essere lieti perché Dio mi ha voluto non è trionfalismo, ma è gratitudine, e penso che dobbiamo re-imparare questa gioia: Dio ha voluto che io sia nato così, in una famiglia cattolica, che abbia conosciuto dall’inizio Gesù. Che dono essere voluto da Dio, così che ho potuto conoscere il suo volto, che ho potuto conoscere Gesù Cristo, il volto umano di Dio, la storia umana di Dio in questo mondo! Essere gioiosi perché mi ha eletto per essere cattolico, per essere in questa Chiesa sua, dove subsistit Ecclesia unica; dobbiamo essere gioiosi perché Dio mi ha dato questa grazia, questa bellezza di conoscere la pienezza della verità di Dio, la gioia del suo amore.

Eletti: una parola di privilegio e di umiltà nello stesso momento. Ma “eletti” è – come dicevo – accompagnato da “parapidemois”, dispersi, stranieri. Da cristiani siamo dispersi e siamo stranieri: vediamo che oggi nel mondo i cristiani sono il gruppo più perseguitato perché non conforme, perché è uno stimolo, perché contro le tendenze dell’egoismo, del materialismo, di tutte queste cose.
Certamente i cristiani sono non solo stranieri; siamo anche nazioni cristiane, siamo fieri di aver contribuito alla formazione della cultura; c’è un sano patriottismo, una sana gioia di appartenere ad una nazione che ha una grande storia di cultura, di fede. Ma, tuttavia, come cristiani, siamo sempre anche stranieri - la sorte di Abramo, descritta nella Lettera agli Ebrei. Siamo, come cristiani, proprio oggi, anche sempre stranieri. Nei posti di lavoro i cristiani sono una minoranza, si trovano in una situazione di estraneità; meraviglia che uno oggi possa ancora credere e vivere così. 
Questo appartiene anche alla nostra vita: è la forma di essere con Cristo Crocifisso; questo essere stranieri, non vivendo secondo il modo in cui vivono tutti, ma vivendo – o cercando almeno di vivere – secondo la sua Parola, in una grande diversità rispetto a quanto dicono tutti. E proprio questo per i cristiani è caratteristico. Tutti dicono: “Ma tutti fanno così, perché non io?” No, io no, perché voglio vivere secondo Dio. Sant’Agostino una volta ha detto: “I cristiani sono quelli che non hanno le radici in giù come gli alberi, ma hanno le radici in su, e vivono questa gravitazione non nella gravitazione naturale verso il basso”. Preghiamo il Signore perché ci aiuti ad accettare questa missione di vivere come dispersi, come minoranza, in un certo senso; di vivere come stranieri e tuttavia di essere responsabili per gli altri e, proprio così, dando forza al bene nel nostro mondo.
Arriviamo finalmente ai tre versetti di oggi. Vorrei solo sottolineare, o diciamo un po’ interpretare, per quanto posso, tre parole: la parola rigenerati, la parola eredità e la parola custoditi dalla fede. Rigenerati - anaghennesas, dice il testo greco - vuol dire: essere cristiano non è semplicemente una decisione della mia volontà, un’idea mia; io vedo che è un gruppo che mi piace, mi faccio membro di questo gruppo, condivido i loro obiettivi eccetera. No: essere cristiano non è entrare in un gruppo per fare qualcosa, non è un atto solo della mia volontà, non primariamente della mia volontà, della mia ragione: è un atto di Dio. Rigenerato non concerne solo la sfera della volontà, del pensare, ma la sfera dell’essere. Sono rinato: questo vuol dire che divenire cristiano è innanzitutto passivo; io non posso farmi cristiano, ma vengo fatto rinascere, vengo rifatto dal Signore nella profondità del mio essere. Ed io entro in questo processo del rinascere, mi lascio trasformare, rinnovare, rigenerare. 
Questo mi sembra molto importante: da cristiano non mi faccio solo un’idea mia che condivido con alcuni altri, e se non mi piacciono più posso uscire. No: concerne proprio la profondità dell’essere, cioè il divenire cristiano comincia con un’azione di Dio, soprattutto un’azione sua, ed io mi lascio formare e trasformare.
Mi sembra sia materia di riflessione, proprio in un anno in cui riflettiamo sui Sacramenti dell’Iniziazione cristiana, meditare questo: questo passivo e attivo profondo dell’essere rigenerato, del divenire di tutta una vita cristiana, del lasciarmi trasformare dalla sua Parola, per la comunione della Chiesa, per la vita della Chiesa, per i segni con i quali il Signore lavora in me, lavora con me e per me. E rinascere, essere rigenerati, indica anche che entro così in una nuova famiglia: Dio, il Padre mio, la Chiesa, mia Madre, gli altri cristiani, miei fratelli e sorelle. Essere rigenerati, lasciarsi rigenerare implica, quindi, anche questo lasciarsi volutamente inserire in questa famiglia, vivere per Dio Padre e da Dio Padre, vivere dalla comunione con Cristo suo Figlio, che mi rigenera per la  sua Risurrezione, come dice la Lettera (cfr 1 Pt 1,3), vivere con la Chiesa lasciandomi formare dalla Chiesa in tanti sensi, in tanti cammini, ed essere aperto ai miei fratelli, riconoscere negli altri realmente i miei fratelli, che con me vengono rigenerati, trasformati, rinnovati; uno porta responsabilità per l’altro. Una responsabilità quindi del Battesimo che è un processo di tutta una vita.

Seconda parola: eredità. E’ una parola molto importante nell’Antico Testamento, dove è detto ad Abramo che il suo seme sarà erede della terra, e questa è stata sempre la promessa per i suoi: Voi avrete la terra, sarete eredi della terra. 
Nel Nuovo Testamento, questa parola diventa parola per noi: noi siamo eredi, non di un determinato Paese, ma della terra di Dio, del futuro di Dio. Eredità è una cosa del futuro, e così questa parola dice soprattutto che da cristiani abbiamo il futuro: il futuro è nostro, il futuro è di Dio. E così, essendo cristiani, sappiamo che nostro è il futuro e l’albero della Chiesa non è un albero morente, ma l’albero che cresce sempre di nuovo. Quindi, abbiamo motivo di non lasciarci impressionare - come ha detto Papa Giovanni - dai profeti di sventura, che dicono: la Chiesa, bene, è un albero venuto dal grano di senape, cresciuto in due millenni, adesso ha il tempo dietro di sé, adesso è il tempo in cui muore”. No. La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre. Il futuro è nostro. Naturalmente, c’è un falso ottimismo e un falso pessimismo. Un falso pessimismo che dice: il tempo del cristianesimo è finito. No: comincia di nuovo! Il falso ottimismo era quello dopo il Concilio, quando i conventi chiudevano, i seminari chiudevano, e dicevano: ma … niente, va tutto bene … No! Non va tutto bene. Ci sono anche cadute gravi, pericolose, e dobbiamo riconoscere con sano realismo che così non va, non va dove si fanno cose sbagliate. Ma anche essere sicuri, allo stesso tempo, che se qua e là la Chiesa muore a causa dei peccati degli uomini, a causa della loro non credenza, nello stesso tempo, nasce di nuovo. Il futuro è realmente di Dio: questa è la grande certezza della nostra vita, il grande, vero ottimismo che sappiamo. La Chiesa è l’albero di Dio che vive in eterno e porta in sé l’eternità e la vera eredità: la vita eterna.
E, infine, custoditi dalla fede. Il testo del Nuovo Testamento, della Lettera di San Pietro, usa qui una parola rara, phrouroumenoi, che vuol dire: ci sono “i vigili”, e la fede è come “il vigile” che custodisce l’integrità del mio essere, della mia fede. Questa parola interpreta soprattutto i “vigili” delle porte di una città, dove essi stanno e custodiscono la città, affinché non sia invasa da poteri di distruzione. 

Così la fede è “vigile” del mio essere, della mia vita, della mia eredità. Dobbiamo essere grati per questa vigilanza della fede che ci protegge, ci aiuta, ci guida, ci da la sicurezza: Dio non mi lascia cadere dalle sue mani. Custoditi dalla fede: così concludo. Parlando della fede devo sempre pensare a quella donna siro-fenicia malata, che, in mezzo alla folla, trova accesso a Gesù, lo tocca per essere guarita, ed è guarita. Il Signore dice: “Chi mi ha toccato?”. Gli dicono: “Ma Signore, tutti ti toccano, come puoi chiedere: chi mi ha toccato?” (cfr Mc 7,24-30). Ma il Signore sa: c’è un modo di toccarlo, superficiale, esteriore, che non ha realmente nulla a che fare con un vero incontro con Lui. E c’è un modo di toccarlo profondamente. E questa donna lo ha toccato veramente: toccato non solo con la mano, ma con il suo cuore e così ha ricevuto la forza sanatrice di Cristo, toccandolo realmente dall’interno, dalla fede. Questa è la fede: toccare con la mano della fede, con il nostro cuore Cristo e così entrare nella forza della sua vita, nella forza risanante del Signore. E preghiamo il Signore che sempre più possiamo toccarlo così da essere risanati. Preghiamo che non ci lasci cadere, che sempre anche essa ci tenga per mano e così ci custodisca per la vera vita. Grazie.


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Al termine il Santo Padre si è fermato al Seminario per la cena. Quindi è rientrato in Vaticano.