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sabato 4 aprile 2015

4. "Come ortolana solerte veglierò




.....Maria bacia quest'appassionata che ha, finalmente, saputo trovare Chi merita tanta passione, e cede al suo pregare.
Le donne escono portando una lucerna. Nella stanza ne resta una sola. Ultima esce la Maddalena, dopo un ultimo bacio alla Madre che resta.
La casa è tutta buia e silenziosa. La strada è ancora oscura e solitaria.
Giovanni chiede: «Non mi volete proprio?».
«No. Puoi servire qui. Addio».


Giovanni torna da Maria. «Non mi hanno voluto...», dice piano.
«Non te ne mortificare. Esse da Gesù. Tu da me. Giovanni, preghiamo un poco insieme. Dove è Pietro?».
«Non so. Per la casa. Ma non lo vedo. È... Lo credevo più forte... Anche io ho pena, ma lui...».
«Lui ha due dolori. Tu uno solo. Vieni. Preghiamo anche per lui». E Maria dice lentamente il Pater noster.
Poi carezza Giovanni: «Va' da Pietro. Non lo lasciare solo. È stato tanto nelle tenebre, in queste ore, che non sopporta neppure la lieve luce del mondo. Sii l'apostolo del tuo fratello smarrito. Inizia da lui la tua predicazione. Sulla tua via, e lunga sarà, troverai sempre dei simili a lui. Col compagno comincia il lavoro...».
«Ma che devo dire?... Io non so... Tutto lo fa piangere...».
«Digli il Suo precetto d'amore. Digli che chi solamente teme non conosce ancora a sufficienza Dio, perché Dio è Amore. E se ti dice: "Io ho peccato", rispondigli che Dio ha tanto amato i peccatori che per essi ha mandato il suo Unigenito. Digli che a tanto amore va con amore risposto. E l'amore dà fiducia nel buonissimo Signore. Questa fiducia non ci fa temere il suo giudizio, perché con essa riconosciamo la Sapienza e Bontà divina, e diciamo: "Io sono una povera creatura. Ma Egli lo sa. E mi dà il Cristo come garanzia di perdono e colonna di sostegno. La mia miseria viene vinta dalla mia unione col Cristo". È nel nome di Gesù che tutto viene perdonato... Vai, Giovanni. Digli questo. Io resto qui, con Gesù mio...», e carezza il Sudario.




Giovanni esce, chiudendo la porta dietro di sé.
Maria si pone in ginocchio come la sera avanti, viso a Viso col velo della Veronica. E prega e parla col Figlio suo. Forte per dare forza agli altri, quando è sola piega sotto la sua schiacciante croce. Eppure ogni tanto, come una fiamma non più oppressa dal moggio, la sua anima si alza verso una speranza che in Lei non può morire. Che anzi cresce col passare delle ore. E dice la sua speranza anche al Padre. La sua speranza e la sua domanda.
[…]


«Gesù, Gesù! Non torni ancora? La tua povera Mamma non resiste più a saperti là morto. Tu l'hai detto e nessuno ti ha capito. Ma io ti ho capito! "Distruggete il Tempio di Dio ed Io lo riedificherò in tre giorni".
Questo è l'inizio del terzo giorno. Oh! mio Gesù! Non attendere che sia compiuto per tornare alla vita, alla tua Mamma che ha bisogno di vederti vivo per non morire ricordandoti morto, che ha bisogno di vederti bello, sano, trionfante, per non morire ricordandoti in quello stato come ti ha lasciato!
Oh! Padre! Padre! Rendimi il Figlio mio! Che io lo veda tornato Uomo e non cadavere, Re e non
condannato. Dopo, lo so, Egli tornerà a Te, al Cielo. Ma io l'avrò visto guarito da tanto male, l'avrò visto forte dopo tanto languore, l'avrò visto trionfante dopo tanta lotta, l'avrò visto Dio dopo tanta umanità patita per gli uomini. E mi sentirò felice anche perdendo la sua vicinanza. Lo saprò con Te, Padre santo, lo saprò fuori per sempre dal Dolore. Ora invece non posso, non posso dimenticare che è in un sepolcro, che è là ucciso per tanto dolore che gli hanno fatto, che Egli, il mio Figlio-Dio, è accomunato alla sorte degli uomini nel buio di un sepolcro, Egli, il tuo Vivente.

Padre, Padre, ascolta la tua serva. Per quel "sì"... Non ti ho mai chiesto nulla per la mia ubbidienza ai tuoi voleri; era la tua Volontà, e la tua Volontà era la mia; nulla dovevo esigere per il sacrificio della mia a Te, Padre santo. Ma ora, ma ora, per quel "sì" che ho detto all'Angelo messaggero, o Padre, ascoltami!

Egli è fuori dalle torture, perché tutto ha compiuto con l'agonia di tre ore dopo le sevizie del mattino. Ma io sono da tre giorni in questa agonia. Tu lo vedi il mio cuore e ne senti i palpiti. Il nostro Gesù l'ha detto che non cade piuma di uccello che Tu non la veda, che non muore fiore nel campo che Tu non ne consoli l'agonia col tuo sole e la tua rugiada. Oh, Padre, io muoio di questo dolore! Trattami come il passero che rivesti di nuova piuma e il fiore che scaldi e disseti nella tua pietà. Io muoio assiderata dal dolore. Non ho più sangue nelle vene. Una volta è divenuto tutto latte per nutrire il Figlio tuo e mio; ora è divenuto tutto pianto perché non ho più Figlio. Me l'hanno ucciso, ucciso, Padre, e Tu sai in che modo!
Non ho più sangue! L'ho sparso con Lui nella notte del Giovedì, nel Venerdì funesto. Ho freddo come chi è svenato. Non ho più sole, poiché Egli è morto, il Sole mio santo, il Sole mio benedetto, il Sole nato dal mio seno per la gioia della sua Mamma, per la salute del mondo. Non ho più refrigerio, perché non ho più Lui, la più dolce delle fonti per la sua Mamma che beveva la sua parola, che si dissetava della sua presenza. Sono come un fiore in una arena disseccata.

Muoio, muoio, Padre santo. E di morire non ne ho spavento, poiché anche Egli è morto. Ma come faranno questi piccoli, il piccolo gregge del Figlio mio, così debole, così pauroso, così volubile, se non c'è chi lo sorregge? Sono nulla, Padre. Ma per i desideri del Figlio mio sono come una schiera d'armati. Difendo, difenderò la sua Dottrina e la sua eredità così come una lupa difende i lupicini. Io, agnella, mi farò lupa per difendere ciò che è del Figlio mio e, perciò, ciò che è tuo.

Tu lo hai visto, Padre. Otto giorni or sono questa città ha spogliato i suoi ulivi, ha spogliato le sue case, ha spogliato i suoi giardini, ha spogliato i suoi abitanti e si è fatta roca per gridare: "Osanna al Figlio di Davide; benedetto Colui che viene nel nome del Signore". E mentre Egli passava sui tappeti di rami, di vesti, di stoffe, di fiori, se lo indicavano i cittadini dicendo: "È Gesù, il Profeta di Nazareth di Galilea. È il Re d'Israele". E mentre ancora non erano appassiti quei rami e la voce era ancor roca da tanto osannare, essi hanno mutato il loro grido in accuse e maledizioni ed in richieste di morte, e dei rami staccati per il trionfo hanno fatto randelli per percuotere il tuo Agnello che conducevano alla morte. Se tanto hanno fatto mentre Egli era fra loro e parlava loro, e sorrideva loro, e li guardava con quel suo occhio che stempra il cuore, e ne tremano persin le pietre se ne son guardate, e li beneficava e li ammaestrava, che faranno quando Egli sarà tornato a Te?

I suoi discepoli, lo hai visto. Uno lo ha tradito, gli altri sono fuggiti. È bastato che Egli fosse percosso perché fuggissero come pecore vili, e non hanno saputo stargli intorno mentre moriva. Uno solo, il più giovane, è rimasto. Ora viene l'anziano. Ma ha già saputo rinnegare una volta. Quando Gesù non sarà più qui a guardarlo, saprà permanere nella Fede?

Io sono un nulla, ma un po' del mio Figlio è in me, ed il mio amore mette il colmo alla mia manchevolezza e la annulla. Divengo così qualcosa di utile alla causa del tuo Figlio, alla sua Chiesa, che non troverà mai pace e che ha bisogno di mettere radici profonde per non essere divelta dai venti. Io sarò Colei che la cura. Come ortolana solerte veglierò perché cresca forte e diritta nel suo mattino. Poi non mi preoccuperà morire. Ma vivere non posso se resto più a lungo senza Gesù.

Oh! Padre, che hai abbandonato il Figlio per il bene degli uomini ma poi lo hai confortato, perché certo l'hai accolto sul tuo seno dopo la morte, non lasciarmi oltre nell'abbandono. Io lo patisco e lo offro per il bene degli uomini. Ma confortami, ora, Padre. Padre, pietà! Pietà, Figlio mio! Pietà, divino Spirito! Ricòrdati della tua Vergine!».



Dopo, prostrata fino a terra, Maria pare pregare col suo atto oltre che col suo cuore. È proprio una povera cosa abbattuta. Pare quel fiore morto di sete di cui Ella ha parlato. Non avverte neppure lo scuotìo di un breve ma violento terremoto che fa urlare e fuggire il padrone e la padrona di casa, mentre Pietro e Giovanni, pallidi come morti, si trascinano fin sulla soglia della stanza. Ma, vedendola così assorta nel suo orare, dimentica, lontana da tutto quello che non è Dio, si ritirano chiudendo la porta e tornano spauriti nel Cenacolo.

La tua destra, o Signora, è magnificata per la fortezza;
perché nella grandezza della tua misericordia hai stravinto i miei avversari.
Mi hai liberato, o Signora, dalla bocca del leone, e ti sei presa cura di me come una Madre verso il bambino da lei generato.

sabato 14 febbraio 2015

Sessualità e castità prematrimoniale

Laetifica nos dulcifluo sono oris tui,

Et liquore tuo roseo perfunde corda nostra.
Allietaci con il dolce suono della tua voce,

E con la tua rosea limpidezza colma i nostri cuori.

La purezza


Per capire cosa è la purezza partiamo da un brano paolino (Colossesi 3)

“Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi.” 

La purezza è “cercare le cose di lassù”. La purezza è ciò che rende l’uomo davvero uomo, è il segno che il suo essere non è solo il suo corpo, bensì che questo (il corpo) ha avuto il grande dono di accogliere lo spirito e di essere governato dallo spirito. L’uomo è uno “spirito incarnato”. 

La grandezza del corpo (che il Cristianesimo tiene a sottolineare) è proprio nel suo essere “tempio dello Spirito Santo”: altra espressione paolina, precisamente è nella Prima Lettera ai Corinti. 
A riguardo va detto che l’attenzione al corpo che ha sempre contraddistinto la civiltà occidentale non si deve solo al fatto che il corpo è dall’antropologia cristiana considerato come elemento costitutivo della persona umana, ma anche perché questo è chiamato ad essere “tempio dello Spirito Santo”.
Ebbene, la purezza è l’unica possibilità affinché il corpo umano possa essere se stesso, possa essere grande … appunto: “tempio dello Spirito Santo”! 

La purezza è il segno distintivo, ontologico (perché interiore ed essenziale) e formale (perché riscontrabile esteriormente), dell’uomo come creatura che è stata chiamata alla vita soprannaturale della Grazia, che è stata chiamata a rendersi “capace di Dio”, cioè a contenere Colui che nemmeno l’universo intero può contenere.    

La concezione errata della sessualità
C’è una grande questione che è la diffusione della sessualità pre ed extra coniugale. Questione su cui i cattolici non sempre sanno argomentare. 
Prima di affrontare il discorso in merito alla sessualità prematrimoniale, è necessario spiegare cosa è la sessualità secondo il Cristianesimo. Per il Cristianesimo la sessualità è un valore, perché creata e quindi voluta da Dio. Per il Cristianesimo non è valore ciò che è conseguito dal peccato, ma ciò che Dio ha iscritto nella natura, in questo caso nella natura dell’uomo. 

L’essere umano non è stato voluto da Dio come una sorta di angelo, cioè con una natura esclusivamente spirituale, bensì come unione di spirito e di corpo. Ora, la sessualità altro non è che la dimensione corporea della reciproca donazione di quell’uomo verso quella donna e di quella donna verso quell’uomo, che si sono uniti nel vincolo indissolubile del matrimonio-sacramento. 

Da ciò si capisce l’illegittimità della sessualità prematrimoniale (e ovviamente anche di quella extra-coniugale). Infatti, tale sessualità non può essere vissuta nella dinamica della donazione. La donazione, infatti, ha bisogno della definitività. Non è definitivo ciò che è ancora temporaneo e provvisorio. Nessuno può negare il fatto che il fidanzamento non sia definitivo … se è fidanzamento è proprio perché non c’è alcuna definitività.

 Né ha senso fare un’obiezione di questo tipo: Ma chi ci dice che il matrimonio sarà definitivo? Obiezione che non regge: ci sarebbe contraddizione in ciò che afferma la Chiesa se essa ammettesse la solubilità del matrimonio, cosa che invece non è. 

La castità prematrimoniale è la capacità di rimaner fedeli al proprio marito e alla propria moglie ancor prima di conoscerli. Chi si sente di negare quanto sia importante rimaner fedele al proprio marito e alla propria moglie, al proprio fidanzato e alla propria fidanzata? E allora perché negare quanto sia importante la fedeltà anche nella prospettiva del futuro? Perché ritenere che la fedeltà sia un valore solo nella contemporaneità –conoscendo il marito o la moglie- e non anche nella prospettiva del futuro, cioè quando ancora non si sa chi sarà il compagno di vita che la Provvidenza vorrà? 


In merito alla questione dei rapporti prematrimoniali un’altra obiezione che solitamente vien fuori è questa: Ma perché privarsi del piacere della sessualità? Non è Dio stesso che l’ha inserita nella natura umana? La risposta non è difficile. Certamente Dio ha inscritto il piacere nella sessualità così come ha iscritto il piacere in ogni bisogno importante della natura umana. Ha iscritto il piacere anche nel mangiare. Si immagini cosa accadrebbe se non provassimo piacere a mangiare. Faremmo questo ragionamento: Adesso devo muovere le mandibole … chi me lo fa fare. Mangerò stasera … e poi anche la sera posticiperemmo al giorno dopo e così via … e intanto moriremmo di inedia. E così anche per la sessualità: se non ci fosse la dimensione del piacere, l’umanità si sarebbe già estinta. 

Ma –e qui sta il punto- un conto è apprezzare la dimensione del piacere, altro è fare del piacere la componente e il criterio fondamentali. Per ritornare all’esempio del mangiare: se devo mangiare per alimentarmi, va bene apprezzare il piacere del mangiare; ma se in quel momento non è bene che mangi per non danneggiare l’organismo, non posso e non devo mangiare solo per soddisfare un piacere che poi si trasformerà in un danno per la mia salute. 


Ma oltre a tale motivo, i rapporti prematrimoniali sono illeciti anche perché sono sempre irresponsabili. Il ragionamento è molto facile: il metodo contraccettivo più sicuro è la pillola antifecondativa, la quale ha una percentuale di “successo” (rattrista utilizzare questa terminologia, ma lo facciamo per farci capire) non superiore al 90%. Il che significa che i metodi anticoncezionali occasionali (quelli che solitamente si usano tra i giovani) hanno una percentuale di “successo” ben al di sotto del 90%. Ciò vuol dire che la sessualità fuori del matrimonio è sempre comunque irresponsabile: si “gioca” con una terza vita che non solo ha il diritto di nascere qualora venisse concepita, ma che ha anche il diritto di trovare un nucleo familiare stabile, un papà e una mamma. 

Dunque, la sessualità pre ed extra matrimoniale è, oltre ad un grave peccato (e già questo dovrebbe bastare per capire), un atto sempre e comunque irresponsabile. 

Un errore diffuso tra i cattolici: trascurare il valore della purezza 

Anche negli ambienti cattolici si incontra una diffidenza verso una reazione a questo problema. Tant’è che per coloro che insistono sull’importanza del rispetto integrale della Legge di Dio è stata coniata la definizione di “cattolici eticisti”. Una definizione, questa, che ovviamente non ha senso. 
Chiediamoci: che cosa è la morale nell’ambito della teologia cattolica? Il Dio Logos è un Dio che non è al di là del bene e del male, ma che è costitutivamente buono; per cui la legge morale non è una decisione arbitraria di Dio ma la sua stessa natura.
I Comandamenti, per esempio, altro non sono che la natura stessa di Dio codificata per la vita quotidiana dell’uomo. Dunque, rispettare la legge di Dio vuol dire aderire alla Sua natura, abbracciare Dio; per cui, di converso, non è possibile scegliere e convivere con Dio se non si rispetta la Sua Legge. 
In questo non c’è nulla di moralistico, perché il moralismo è un’accettazione senza motivi persuasivi della legge morale, convincendosi tutto sommato che la morale è una pura astrazione e decisione intellettuale che è in un modo, ma poteva anche essere in tutt’altro modo. 

I Santi invece hanno capito che non c’è Dio senza Legge morale e non c’è Legge morale senza Dio. Definire eticista il comportamento di chi è attento alla Legge morale e invita tutti a fare altrettanto significa contraddire il comportamento dei Santi. Che dire, per esempio, di un San Pio da Pietrelcina (1887-1968) e della sua risaputa intransigenza. Gesù parla chiaro: Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. (Matteo 5,19)

Ecco perché Benedetto XVI insiste molto sui cosiddetti principi non-negoziabili, perché dal giudizio concreto sulla vita, da come ci si rapporta a quelle grandi questioni che danno il tono del tempo attuale (per esempio Benedetto XVI definì l’ideologia del gender come la più grave sfida a cui la Chiesa di oggi deve fare fronte) si esprime la testimonianza e l’amore del cristiano a Colui che è l’unica Via, l’unica Verità, l’unica Vita. 

Bisogna proclamare la Verità tutt’intera; in questo caso proclamare la gravità dei peccati della carne. La Madonna alla piccola Giacinta di Fatima lo disse chiaramente: I peccati che fanno andare più all’inferno sono i peccati della carne. 

Certamente i peccati della carne, tra i peccati mortali, non sono quelli più gravi; ma sono quelli che non solo possono essere commessi più facilmente, ma anche quelli che più pervertono il pensiero. Bestializzando il comportamento, bestializzano anche il ragionamento. Si può dire: Non si agisce come si pensa, ma si finisce sempre col pensare come si agisce, parafrasando la famosa frase con cui Paul Bouget conclude il suo romanzo Il demone meridiano: “Bisogna vivere come si pensa, se non si vuole finire col pensare come si vive.” Insomma, una volta fatta fuori la Legge di Dio dal comportamento, si farà fuori Dio stesso dalle proprie convinzioni e dal proprio giudizio di vita. 

Bisogna combattere per la Verità e testimoniare la verità costi quel che costi. A riguardo non deve esserci alcuna moderazione. Non c’è sequela di Cristo senza dimensione eroica; e l’eroismo non è legato alla singola disposizione al coraggio o alla singola capacità di essere naturalmente forti. Se così fosse, solo gli adulti potrebbero essere martiri. No. L’eroismo è legato alla volontà che corrisponde alla Grazia. Ed ecco perché anche i bambini possono essere martiri.

Santa Faustina Kowalska ebbe questa visione che testimonia quanto sia importante la conservazione della purezza nei bambini: “(…) all’improvviso ho visto un gruppo di bambini, la cui età si aggirava dai cinque agli undici anni. Appena mi videro, mi circondarono e cominciarono a gridare ad alta voce: ‘Difendici dal male’ e mi fecero entrare nella cappella che c’era in quel convento. Quando entrai nella cappella, vidi Gesù martoriato. Gesù guardò benevolmente verso di me e mi disse che veniva ‘offeso gravemente dai fanciulli, Tu difendili dal male!’” (Santa Faustina Kowalska, Diario, 765)

E un’altra volta Gesù disse a santa Faustina Kowalska: “Ho una sofferenza ancora maggiore di quella che vedi.” 
Poi racconta la Santa: “E Gesù mi fece conoscere per quali peccati si sottopose alla flagellazione: sono i peccati impuri. Oh, che tremende sofferenze morali patì Gesù, quando si sottomise alla flagellazione! Improvvisamente Gesù mi disse: ‘Guarda e osserva il genere umano nella situazione attuale’. E in un attimo vidi cose tremende: i carnefici si allontanarono da Gesù, e si avvicinarono per flagellarLo altri uomini, che presero la sferza e sferzarono il Signore senza misericordia. Erano sacerdoti, religiosi e religiose ed i massimi dignitari della Chiesa, cosa che mi stupì molto; laici di diversa età e condizione; tutti scaricarono il loro veleno sull’innocente Gesù. Vedendo ciò il mio cuore precipitò in una specie di agonia. Quando lo flagellarono le anime che ho menzionato sopra, Gesù chiuse gli occhi e dal Suo Cuore uscì un gemito represso, ma tremendamente doloroso. Ed il Signore mi fece conoscere nei particolari l’enorme malvagità di quelle anime ingrate: ‘Vedi, questo è un supplizio peggiore della morte.’” (Santa Faustina Kowalska, Diario, 445).

Nel brano con cui abbiamo aperto questo articolo, San Paolo afferma che l’impurità, insieme ad altro, attira l’ira di Dio: “Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono.”

La bellezza della purezza

Il XX secolo, il secolo che sarebbe stato segnato fortemente dalla degradazione morale, si apre con due bambini-giganti: due bambini-eroi. Due martiri della purezza. Quasi contemporaneamente (a due anni di stanza) due bambine, una nell’emisfero boreale, l’altra in quello australe, offriranno alla loro vita per la purezza.   

Nell’emisfero boreale santa Maria Goretti (1890-1902), assassinata da colui che voleva farla cadere in peccato. 

Nell’emisfero australe la beata Laura Vicuna (1891-1904), che offrirà la sua vita per ottenere dal Signore la grazia di poter rivedere sua madre, ch’era vedova ed era andata a convivere con uomo, riaccostarsi all’Eucaristia. 

Nella bellissima Chiesa di San Paolo Maggiore a Napoli, tenuta dai Padri Teatini, vi è un dipinto dello spagnolo Louis de Morales (1509-1586), chiamato Madonna della Purità. Il dipinto fu donato all’Ordine dei Teatini nel 1641 da padre Diego di Bernardo y Mendoza. Attualmente nella Cappella che ospitava la tela (Cappella chiamata ovviamente “della Madonna della Purità”) è esposta una copia mentre l’originale è custodito nel convento. 


L’immagine non mostra alcun particolare che possa ricondurre direttamente alla virtù della purezza, se non lo sguardo umile e rivolto in basso della Vergine. Ci sono però tre particolari che indirettamente riconducono alla bellezza di questa virtù:
La mela che Gesù Bambino ha nella mano sinistra
Lo sguardo di Gesù Bambino
La simmetria del disegno

Iniziamo con la mela che Gesù Bambino ha nella mano sinistra. Ovviamente si tratta del frutto che ricorda simbolicamente il peccato originale. Sappiamo che questo peccato è il Peccato in quanto tale; ebbene, il Divino Bambino sembra porre il frutto proibito nel Cuore della Sua Santissima Madre per far capire come ogni peccato trovi la sua soluzione e la sua purificazione nel Cuore Immacolato di Maria, cioè nell’Immacolatezza in quanto tale.

Il secondo elemento è lo sguardo di Gesù Bambino. Se si fa attenzione, si nota che è uno sguardo fiero, uno sguardo che non è tanto di stupore e meraviglia come solitamente sono gli sguardi dei piccoli, bensì uno sguardo che indica e che spiega. Indica la Madre e spiega quanto Ella sia quella “soluzione” di cui abbiamo parlato prima, la soluzione di ogni peccato nel Cuore Immacolato della Vergine. Il tutto nella santa fierezza del Bambino che sembra dire: quanto sono felice di avere una Madre così!

Il terzo elemento è la simmetria del disegno. La purezza è ordine, è il Logos che produce il kosmos. Il peccato è disordine, è la disobbedienza che produce il khaos. Il dipinto, al di là della cornice esterna, presenta una cornice nel dipinto stesso. Tutto è simmetrico e tutto è ordinato anche nei più piccoli particolari; ai quattro angoli tutto si ripete simmetricamente.

Il dipinto del de Morales ci parla chiaramente della bellezza della purezza … anzi ci dice che non può esserci Bellezza senza il Bene, perché il Bello è sempre estetica del Vero e del Bene.  

La purezza si traduce in bellezza. Scrive santa Faustina Kowalska: “Ora comprendo, tutte le vergini si distinguono per una bellezza particolare; da loro irradia una bellezza speciale.” (Santa Faustina Kowalska, Diario, 1251).


Corrado Gnerre



martedì 3 giugno 2014

Considerazioni sulla Risurrezione



620. Considerazioni sulla Risurrezione 

Dice Gesù: 

«Le preghiere ardenti di Maria hanno anticipato di qualche tempo la mia Risurrezione. 
Io avevo detto: "Il Figlio dell'uomo sta per essere ucciso, ma il terzo giorno risorgerà". Ero morto alle tre del 
pomeriggio di venerdì. Sia che calcoliate i giorni come nome, sia li calcoliate come ore, non era l'alba 
domenicale quella che doveva vedermi sorgere. Come ore, erano unicamente trentotto ore invece di 
settantadue quelle che il mio Corpo era rimasto senza vita. Come giorni, doveva almeno giungere la sera di 
questo terzo giorno per dire che ero stato tre giorni nella tomba. 
Ma Maria ha anticipato il miracolo. Come quando col suo orare ha schiuso i Cieli con anticipo di qualche 
anno sull'epoca prefissa, per dare al mondo la sua Salvezza, così ora Ella ottiene l'anticipo di qualche ora per dar conforto al suo cuore morente. 

Ed Io, alla prima alba del terzo giorno, sono sceso come sole che scende e del mio fulgore ho sciolto i sigilli 
umani così inutili davanti alla potenza di un Dio, della mia forza ho fatto leva per ribaltare l'inutilmente 
vegliata pietra, del mio apparire ho fatto folgore che ha atterrato le tre volte inutili guardie messe a custodia 
di una Morte che era Vita, che nessuna forza umana poteva impedire d'esser tale. 
Ben più potente della vostra corrente elettrica, il mio Spirito è entrato come spada di Fuoco divino a 
riscaldare le fredde spoglie del mio Cadavere, e al nuovo Adamo lo Spirito di Dio ha alitato la vita, dicendo a Se stesso: "Vivi. Lo voglio". 
Io che avevo risuscitato i morti quando non ero che il Figlio dell'uomo, la Vittima designata a portare le 
colpe del mondo, non dovevo potere risuscitare Me stesso ora che ero il Figlio di Dio, il Primo e l'Ultimo, il 
Vivente eterno, Colui che ha nelle sue mani le chiavi della Vita e della Morte? Ed il mio Cadavere ha sentito 
la Vita tornare in Lui. 

Guarda: come uomo che si sveglia dopo il sonno dato da una enorme fatica, Io ho un profondo respiro. Né 
ancora apro gli occhi. Il sangue torna a circolare nelle vene poco rapido ancora, riporta il pensiero alla mente. 
Ma vengo da tanto lontano! Guarda: come uomo ferito che una potenza miracolosa risana, il sangue torna 
nelle vene vuote, empie il Cuore, scalda le membra, le ferite si rimarginano, spariscono lividi e piaghe, la 
forza torna. Ma ero tanto ferito! Ecco, la Forza opera. Io sono guarito. Io sono svegliato. Io sono ritornato 
alla Vita. Fui morto. Ora vivo! Ora sorgo! 

Scuoto i lini di morte, getto l'involucro degli unguenti. Non ho bisogno di essi per apparire Bellezza eterna, 
eterna Integrità. Io mi rivesto di veste che non è di questa Terra, ma tessuta da Colui che mi è Padre e che 
tesse la seta dei gigli verginali. Sono vestito di splendore. Mi orno delle mie Piaghe che non gemono più 
sangue ma sprigionano luce. Quella luce che sarà la gioia di mia Madre e dei beati e il terrore, la vista 
insostenibile dei maledetti e dei demoni sulla Terra e nell'ultimo giorno. 

L'angelo della mia vita d'uomo e l'angelo del mio dolore sono prostrati davanti a Me e adorano la mia Gloria. 
Ci sono tutti e due i miei angeli. L'uno per bearsi della vista del suo Custodito, che ora non ha più bisogno 
d'angelica difesa. L'altro, che ha visto le mie lacrime, per vedere il mio sorriso; che ha visto la mia battaglia, 
per vedere la mia vittoria; che ha visto il mio dolore, per vedere la mia gioia. 
Ed esco nell'ortaglia piena di bocci di fiori e di rugiada. E i meli aprono le corolle per fare arco fiorito sul 
mio capo di Re, e le erbe fanno tappeto di gemme e di corolle al mio piede che torna a calpestare la Terra 
redenta dopo esser stato innalzato su essa per redimerla. E mi saluta il primo sole, e il vento dolce d'aprile, e 
la lieve nuvola che passa, rosea come guancia di bambino, e gli uccelli fra le fronde. Sono il loro Dio. Mi 
adorano. 

Passo fra le guardie tramortite, simbolo delle anime in colpa mortale che non sentono il passaggio di Dio. 
È Pasqua, Maria! Questo è bene il "Passaggio dell'Angelo di Dio"! Il suo Passaggio da morte a vita. Il suo 
Passaggio per dare Vita ai credenti nel suo Nome. È Pasqua! È la Pace che passa nel mondo. La Pace non più velata dalla condizione di uomo. Ma libera, completa nella sua tornata efficienza di Dio. 

E vado dalla Madre. È ben giusto che ci vada. Lo è stato per i miei angeli. Ben di più lo è per quella che, 
oltre che mia custode e conforto, mi è stata datrice di vita. Prima ancora di tornare al Padre nella mia veste 
d'Uomo glorificata, vado dalla Madre. Vado nel fulgore della mia veste paradisiaca e delle mie Gemme vive. 
Ella mi può toccare, Ella le può baciare, perché Ella è la Pura, la Bella, l'Amata, la Benedetta, la Santa di 
Dio. 

Il nuovo Adamo va all'Eva nuova. Il male è entrato nel mondo per la donna, e dalla Donna fu vinto. Il Frutto 
della Donna ha disintossicato gli uomini dalla bava di Lucifero. Ora, se essi vogliono, possono esser salvi. 
Ha salvato la donna rimasta così fragile dopo la ferita mortale. 
E dopo che alla Pura, alla quale per diritto di santità e di maternità è giusto vada il Figlio-Dio, mi presento 
alla donna redenta, alla capostipite, alla rappresentante di tutte le creature femminee che sono venuto a 
liberare dal morso della lussuria. Perché dica ad esse che si accostino a Me per guarire, che abbiano fede in 
Me, che credano nella mia Misericordia che comprende e perdona, che per vincere Satana, che fruga loro le carni, guardino la mia Carne ornata dalle cinque ferite. 
Non mi faccio toccare da lei. Ella non è la Pura che può toccare, senza contaminarlo, il Figlio che torna al 
Padre. Molto ha ancora da purificare con la penitenza. Ma il suo amore merita questo premio. Ella ha saputo risorgere per sua volontà dal sepolcro del suo vizio, strozzare Satana che la teneva, sfidare il mondo per amore del suo Salvatore, ha saputo spogliarsi di tutto che non fosse amore, ha saputo non essere più che amore che si consuma per il suo Dio. 

E Dio la chiama: "Maria". Odila rispondere: "Rabboni!". Vi è il suo cuore in quel grido. A lei, che l'ha 
meritato, do l'incarico di esser messaggera della Risurrezione. E ancora una volta sarà un poco schernita 
come avesse vaneggiato. Ma non le importa nulla, a Maria di Magdala, a Maria di Gesù, del giudizio degli 
uomini. Mi ha visto risorto, e ciò le dà una gioia che attutisce ogni altro sentimento. 
Vedi come amo anche chi fu colpevole, ma volle uscire dalla colpa? Neppure a Giovanni Io mi mostro per 
primo. Ma alla Maddalena. Giovanni aveva già avuto il grado di figlio da Me. Lo poteva avere perché era 
puro e poteva essere figlio non solo spirituale, ma anche dante e ricevente, alla e dalla Pura di Dio, quei 
bisogni e quelle cure che sono connesse alla carne. 

Maddalena, la risorta alla Grazia, ha la prima visione della Grazia Risorta. 
Quando mi amate sino a vincere tutto per Me, Io vi prendo il capo ed il cuore malato fra le mie mani trafitte 
e vi alito in volto il mio Potere. E vi salvo, vi salvo, figli che amo. Voi tornate belli, sani, liberi, felici. Voi 
tornate i figli cari del Signore. Faccio di voi i portatori della mia Bontà fra i poveri uomini, coloro che 
testimoniate della mia Bontà ad essi per farli persuasi di essa e di Me. 
Abbiate, abbiate, abbiate fede in Me. Abbiate amore. Non temete. Vi faccia sicuri del Cuore del vostro Dio 
tutto quanto ho patito per salvarvi. 
E tu, piccolo Giovanni, sorridi dopo aver pianto. Il tuo Gesù non soffre più. Non ci sono più né sangue né 
ferite. Ma luce, luce, luce e gioia e gloria. La mia luce e la mia gioia siano in te sinché verrà l'ora del Cielo».

http://www.potenzadellacroce.net/contenuti/materiali/Maria_Valtorta_-_Evangelo_completo.pdf

martedì 18 giugno 2013

Apparuit

Riprendo su questo blog - circa sei mesi prima del prossimo Natale! - la bellissima omelia di Papa Benedetto XVI del Natale 2011 nella quale si colgono stupende affermazioni teologiche, intuite e vissute alla perfezione, dal Serafico d'Assisi.



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SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Sabato, 24 dicembre 2011

Cari fratelli e sorelle,

La lettura tratta dalla Lettera di san Paolo Apostolo a Tito, che abbiamo appena ascoltato, inizia solennemente con la parola “apparuit”, che ritorna poi di nuovo anche nella lettura della Messa dell’aurora: apparuit – “è apparso”. È questa una parola programmatica con cui la Chiesa, in modo riassuntivo, vuole esprimere l’essenza del Natale. 

Prima, gli uomini avevano parlato e creato immagini umane di Dio in molteplici modi. Dio stesso aveva parlato in diversi modi agli uomini (cfr Eb 1,1: lettura nella Messa del giorno). Ma ora è avvenuto qualcosa di più: Egli è apparso. Si è mostrato. È uscito dalla luce inaccessibile in cui dimora. Egli stesso è venuto in mezzo a noi. 

Questa era per la Chiesa antica la grande gioia del Natale: Dio è apparso. Non è più soltanto un’idea, non soltanto qualcosa da intuire a partire dalle parole. Egli è “apparso”. 

Ma ora ci domandiamo: Come è apparso? Chi è Lui veramente? La lettura della Messa dell’aurora dice al riguardo: “apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini” (Tt3,4). Per gli uomini del tempo precristiano, che di fronte agli orrori e alle contraddizioni del mondo temevano che anche Dio non fosse del tutto buono, ma potesse senz’altro essere anche crudele ed arbitrario, questa era una vera “epifania”, la grande luce che ci è apparsa: Dio è pura bontà. 

Anche oggi, persone che non riescono più a riconoscere Dio nella fede si domandano se l’ultima potenza che fonda e sorregge il mondo sia veramente buona, o se il male non sia altrettanto potente ed originario quanto il bene e il bello, che in attimi luminosi incontriamo nel nostro cosmo. “Apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini”: questa è una nuova e consolante certezza che ci viene donata a Natale.


In tutte e tre le Messe del Natale la liturgia cita un brano tratto dal Libro del Profeta Isaia, che descrive ancora più concretamente l’epifania avvenuta a Natale: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine” (Is 9,5s). Non sappiamo se il profeta con questa parola abbia pensato a un qualche bambino nato nel suo periodo storico. Sembra però impossibile. 

Questo è l’unico testo nell’Antico Testamento in cui di un bambino, di un essere umano si dice: il suo nome sarà Dio potente, Padre per sempre. Siamo di fronte ad una visione che va di gran lunga al di là del momento storico verso ciò che è misterioso, collocato nel futuro. Un bambino, in tutta la sua debolezza, è Dio potente. Un bambino, in tutta la sua indigenza e dipendenza, è Padre per sempre. “E la pace non avrà fine”. Il profeta ne aveva prima parlato come di “una grande luce” e a proposito della pace proveniente da Lui aveva affermato che il bastone dell’aguzzino, ogni calzatura di soldato che marcia rimbombando, ogni mantello intriso di sangue sarebbero stati bruciati (cfr Is 9,1.3-4).

Dio è apparso – come bambino. Proprio così Egli si contrappone ad ogni violenza e porta un messaggio che è pace. In questo momento, in cui il mondo è continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi e in molteplici modi; in cui ci sono sempre di nuovo bastoni dell’aguzzino e mantelli intrisi di sangue, gridiamo al Signore: Tu, il Dio potente, sei apparso come bambino e ti sei mostrato a noi come Colui che ci ama e mediante il quale l’amore vincerà. E ci hai fatto capire che, insieme con Te, dobbiamo essere operatori di pace. 

Amiamo il Tuo essere bambino, la Tua non violenza, ma soffriamo per il fatto che la violenza perdura nel mondo, e così Ti preghiamo anche: dimostra la Tua potenza, o Dio. In questo nostro tempo, in questo nostro mondo, fa’ che i bastoni dell’aguzzino, i mantelli intrisi di sangue e gli stivali rimbombanti dei soldati vengano bruciati, così che la Tua pace vinca in questo nostro mondo.


Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re. Quando, nel 1223, San Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale “la festa delle feste” – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con “ineffabile premura” (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). 

Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi). Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. 

La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. “Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini”: questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto, una festa del cuore.


Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio. Dio è diventato povero. Il suo Figlio è nato nella povertà della stalla. Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore. Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce.


Sulla mangiatoia, che stava tra il bue e l’asino, Francesco faceva celebrare la santissima Eucaristia (cfr 1 Celano, 85: Fonti, 469). Successivamente, sopra questa mangiatoia venne costruito un altare, affinché là dove un tempo gli animali avevano mangiato il fieno, ora gli uomini potessero ricevere, per la salvezza dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato Gesù Cristo, come racconta il Celano (cfr 1 Celano, 87: Fonti, 471). 


Nella Notte santa di Greccio, Francesco quale diacono aveva personalmente cantato con voce sonora il Vangelo del Natale. Grazie agli splendidi canti natalizi dei frati, la celebrazione sembrava tutta un sussulto di gioia (cfr 1 Celano, 85 e 86: Fonti, 469 e 470). Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa.


Chi oggi vuole entrare nella chiesa della Natività di Gesù a Betlemme, scopre che il portale, che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato. È rimasta soltanto una bassa apertura di un metro e mezzo. L’intenzione era probabilmente di proteggere meglio la chiesa contro eventuali assalti, ma soprattutto di evitare che si entrasse a cavallo nella casa di Dio. Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. 

Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”. Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere. 


Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato. Celebriamo così la liturgia di questa Notte santa e rinunciamo a fissarci su ciò che è materiale, misurabile e toccabile. Lasciamoci rendere semplici da quel Dio che si manifesta al cuore diventato semplice. E preghiamo in quest’ora anzitutto anche per tutti coloro che devono vivere il Natale in povertà, nel dolore, nella condizione di migranti, affinché appaia loro un raggio della bontà di Dio; affinché tocchi loro e noi quella bontà che Dio, con la nascita del suo Figlio nella stalla, ha voluto portare nel mondo. Amen.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

PUER NATUS EST NOBIS!
APPARUIT!

venerdì 26 aprile 2013

Risorgerà trionfante proprio quando tutti la crederanno sconfitta


....E ci chiediamo, retoricamente: chi è il testardostolto e lento di cuore

Caifa considerava una bestemmia il fatto che Nostro Signore si fosse proclamato Dio, e per quella bestemmia scidit vestimenta sua. Anche la Chiesa, che ripercorre le orme del suo Capo sulla via dolorosa del Calvario conciliare, afferma la propria divinità, e un altro Caifa si straccia le vesti: Quid adhuc egemus testibus? Ecce nunc audistis blasphemiam: quid vobis videtur? E il Sinedrio modernista decreta la morte della Chiesa Cattolica, che ha osato ergersi al di sopra delle eresie e degli errori, proclamandosi Domina gentium. Quella Chiesa merita la morte, verrà mandata davanti a Pilato perché sia l'autorità civile, in nome della libertà di religione, a decretarne prima la flagellazione e poi la crocifissione. Quella Chiesa che nella storia ha perpetuato i miracoli del Salvatore facendo solo del bene, verrà spogliata della sua tunica che sarà giocata ai dadi dalle sette; sarà abbeverata col fiele della collegialità, che rifiuterà con sdegno, e finalmente le sarà trapassato il costato con la lancia del pauperismo e della demagogia, lasciandola agonizzante. E quando la natura stessa - qui legit intelligat - tremerà per la morte della Sposa di Cristo, sarà un centurione a riconoscere: Vere filia Dei erat ista, mentre chi l'ha tradita e consegnata ai gran sacerdoti conciliari andrà ad impiccarsi per la disperazione. 

Certamente qualche zelante di Curia manderà le proprie guardie a sorvegliarne il sepolcro, ne forte veniant discipuli ejus per trafugarne il cadavere e poi raccontare al popolo: è risorta dai morti, come risorse il suo Signore. Ma essa risorgerà trionfante proprio quando tutti la crederanno sconfitta, e scopriranno il suo sepolcro vuoto le pie donne e i pochi discepoli rimastile fedeli. Essa si mostrerà ai pochi sacerdoti asserragliati nelle loro chiese clandestine a celebrare la Messa cattolica a porte chiuse propter metum modernistarum. 

E davvero si compirà quel che dice il profeta Osea: O mors ero mors tua, morsus tuus ero, inferne. O morte, io ti ucciderò; sarò la tua rovina, o inferno. 

  1. Rev.mo Baronio

    credo che il pensiero recondito (di inconsapevole autocondanna, mentre accusa gli eventuali "lenti di cuore" collocandoli forse contro se stesso), che ha mosso il Bergoglio a quel discorso equivoco, sia proprio come Lei sta evidenziando, con una profonda conoscenza delle anime, della psiche umana, della storia, oltre che della trasparenza delle S. Scritture, che si avverano in ogni tempo, e massimamente convergono con le loro profezie in questo travagliatissimo inizio di 3. millennio.
    Ora davanti a Caifa si trova il Corpo Mistico di Nostro Signore, e il "caifa" del momento sta decretando la sua condanna, avviando la Chiesa alla sua Crocifissione (mistica), con la resa davanti ai poteri luciferi del mondo nella sua parte visibile, trascinando gran parte del Gregge, clero e fedeli ad una grande apostasia che li porterà all'asservimento del principe di questo mondo, mediante il grande antagonista di Cristo che tra poco si manifesterà grazie al suo profeta così "persuasivo" da ingannare milioni di spettatori del palcoscenico mondial-mediatico, facendo loro credere che TUTTO SIA COME PRIMA: anzi leggo certi sacerdoti che dicono "costui è molto più sensibile al soprannaturale, [molto più tradizionale quindi] di papa BXVI...."(!) e simili valutazioni sconcertanti, che mi pare mostrino grave offuscamento di coscienza, tale da lasciare stupefatte le povere pecore che cercano invano nelle parrocchie e nel web qualche esponente del clero che faccia un po' di luce (vera Luce) sulla situazione sempre più tenebrosa, dove un ASSEDIO luciferino stritola ora le anime in una vera tenaglia tra i due rischi: 1-perdita della Fede (per scoraggiamento e raffreddamento) e 2- sua ADULTERAZIONE per obbedienza coatta e cieca ad un clero ingannato o addormentato su false sicurezze, indi asservito a falsi profeti che parlano suadenti dall'alto di somme cattedre, senza averne peraltro l'aria, con falsa modestia, e uso di potere ambiguo ma efficace nel plagio delle masse ignare, ovvero coi fatti dice:
    "lo rifiuto per ciò che era sempre giusto in un Vicario di Cristo, MA lo uso per ciò che ben serve a soggiogare molti ingenui al padrone del mondo".
    La Crocifissione della Chiesa, così come indicata anche nel Catechismo Cattolico, in quella pagina già riletta e spiegata da molti fedeli vigilanti sul web (leggevo a tal proposito la pagina illuminante sull'impostura religiosa profetizzata da secoli, che predicherà un Vangelo falsificato, di cui si fa cenno al n. 676 del CCC circa l'abominio della desolazione annunciato direttamente da Gesù.), evidentemente è evento già scritto ab aeterno nei Disegni del Nostro Dio Onnipotente e Provvidente che ci ha donato nella pienezza dei tempi Suo Figlio Unigenito per essere immolato come Vittima Perfetta in espiazione dei peccati del mondo.
    Ora la Passione si ripete, passo dopo passo, per la Santa Chiesa. E questo personaggio devastante, con l'aria di apparire il "sommo sacerdote" della grande tribolazione della Chiesa, decreta appunto la condanna della Sposa di Cristo alla morte mistica, che avvera la grande tribolazione predetta da S. Giovanni e S. Paolo.
    Ma -tragedia nella tragedia- si ha l'impressione che ben pochi se ne avvedano. Preghiamo ilSignore che aumenti nel mondo la vigilanza delle anime, che siano come vergini prudenti che tengono la lampada accesa in attesa del ritorno dello Sposo.
    Sarà inevitabile che i seguaci dell'Agnello lavino le loro vesti nel Suo Sangue Preziosissimo; resta da vedere in quanti modi antichi e nuovi ciò accadrà. Ci assista la SS.ma Vergine, Regina dei Santi, dei Martiri e degli Apostoli.

    JESUS! MARIA!

sabato 30 marzo 2013

Il mattino della Risurrezione. Preghiera di Maria


SURREXIT CHRISTUS SPES MEA
SANTA PASQUA A VOI TUTTI! ALLELUIA!

616. Il mattino della Risurrezione. 
Preghiera di Maria


Le donne riprendono i loro lavori agli oli, che nella notte, al fresco del cortile, si sono solidificati in una manteca pesante.

Giovanni e Pietro pensano che è bene mettere a posto il Cenacolo, pulendo le stoviglie, ma poi rimettendo tutto come fosse appena finita la Cena.
«Egli lo ha detto», dice Giovanni.
«Aveva anche detto: "Non dormite"! Aveva detto: "Non essere superbo, Pietro. Non sai che l'ora della prova  sta per venire?". E... e ha detto: "Tu mi rinnegherai... "». Pietro piange di nuovo mentre dice con cupo dolore: 
«e io l'ho rinnegato!».
«Basta, Pietro! Ora sei tornato tu. Basta di questo tormento!».
«Mai, mai basta. Divenissi vecchio come i primi patriarchi, vivessi i settecento o i novecento anni di Adamo e dei suoi primi nipoti, io non cesserò mai di avere questo tormento».
«Non speri nella sua misericordia?».
«Sì. Se non credessi a questo, sarei come l'Iscariota: un disperato. Ma, e anche Lui mi perdona dal seno del Padre dove è tornato, io non mi perdono. Io! Io! Io che ho detto: "Non lo conosco", perché in quel momento era pericoloso conoscerlo, perché ho avuto vergogna d'essergli discepolo, perché ho avuto paura della tortura... Lui andava a morire e io... io ho pensato a salvarmi la vita. E per salvarla l'ho respinto, come una donna in peccato, dopo averlo partorito, respinge il frutto del suo seno, che è pericoloso avere presso, prima che torni il marito ignaro. Peggio di un'adultera sono... peggio di...».

Entra, attirata dalle grida, Maria Maddalena. «Non urlare così. Maria ti sente. È tanto sfinita! Non ha più forza di nulla, e tutto le fa male. I tuoi gridi inutili e scomposti le tornano a dare il tormento di ciò che voi 
foste...».
«Vedi? Vedi, Giovanni? Una femmina può impormi di tacere. E ha ragione. Perché noi, i maschi sacri al Signore, abbiamo saputo solo mentire o scappare. Le donne sono state brave. Tu, poco più di una donna, tanto sei giovane e puro, hai saputo rimanere. Noi, noi, i forti, i maschi, siamo fuggiti. Oh! che disprezzo deve avere il mondo di me! Dimmelo, dimmelo, donna! Hai ragione! Mettimi il tuo piede sulla bocca che ha mentito. Sulla suola del sandalo c'è forse un poco del suo Sangue. E solo quel Sangue, mescolato al fango della via, può dare un poco di perdono, un poco di pace al rinnegato. Devo pure abituarmi al disprezzo del mondo! Che sono io? Ma ditelo: che sono?».


«Sei una grande superbia», risponde calma la Maddalena. «Dolore? Anche quello. Ma credi pure che, su dieci parti del tuo dolore, cinque, per non offenderti col dire sei, sono del dolore di essere uno che può essere 
disprezzato. Ma che davvero io ti disprezzerò se continui solo a gemere e a dare in smanie, giusto come fa una femmina stolta! Il fatto è fatto. E non sono i gridi scomposti che lo riparano e annullano. Non fanno che 
attirare l'attenzione e mendicare una compassione che non si merita. Sii virile nel tuo pentimento. Non strillare. Fai. Io... tu lo sai chi ero... Ma, quando ho capito che ero più sprezzabile di un vomito, non sono 
andata in convulsioni. Ho fatto. Pubblicamente. Senza indulgere con me e senza chiedere indulgenza. Il mondo mi sprezzava? Aveva ragione. Lo avevo meritato. Il mondo diceva: "Un nuovo capriccio della 
prostituta" e dava un nome di bestemmia al mio andare a Gesù? Aveva ragione. La mia condotta di prima il mondo la ricordava, ed essa giustificava ogni pensiero. Ebbene? Il mondo si è dovuto persuadere che Maria peccatrice non era più. Ho, coi fatti, persuaso il mondo. Fa' tu altrettanto, e taci».


«Sei severa, Maria», obbietta Giovanni.
«Più con me che cogli altri. Ma lo riconosco. Non ho la mano leggera della Madre. Lei è l'Amore. Io... oh! io! Ho spezzato il mio senso con la sferza del mio volere. E più lo farò. Credi che mi sia perdonata, io, di 
essere stata la Lussuria? No. Ma non lo dico altro che alla mia persona. E sempre me lo dirò. Consumata morirò in questo segreto rimpianto di essere stata la corruttrice di me stessa, in questo inconsolabile dolore di 
essermi profanata e di non avere potuto dare a Lui che un cuore calpestato... Vedi... io ho lavorato più di tutte ai balsami... E con più coraggio delle altre io lo scoprirò... Oh! Dio! come sarà ormai! (Maria di Magdala impallidisce solo a pensarlo). E lo coprirò di nuovi balsami, levando quelli che saranno certo tutti corrotti sulle sue piaghe senza numero.... Lo farò, perché le altre sembreranno convolvoli dopo un'acquata... Ma ho dolore di farlo con queste mie mani che hanno dato tante carezze lascive, di accostarmi con questa mia carne macchiata alla sua santità... Vorrei... vorrei avere la mano della Madre Vergine per compiere l'ultima unzione...».

Maria ora piange piano, senza sussulti. Come diversa dalla Maddalena teatrale che sempre ci presentano! È lo stesso pianto senza rumore che aveva il giorno del suo perdono nella casa del Fariseo. (Vol 4 Cap 236).

«Tu dici che... le donne avranno paura?», le chiede Pietro.
«Non paura... Ma si turberanno davanti al suo Corpo, certo già corrotto... gonfio... nero. E poi, questo è certo, avranno paura delle guardie».
«Vuoi che venga io? Io con Giovanni?».
«Ah! questo no! Noi si esce tutte. Perché, come fummo tutte lassù, così è giusto che tutte si sia intorno al suo letto di morte. Tu e Giovanni rimanete qui. Lei non può restare sola!...».




«Non viene Lei?».
«Non la lasciamo venire!».
«Lei è convinta che risorga... E tu?».
«Io, dopo Maria, sono quella che più credo. Ho creduto sempre che così potesse essere. Lui lo diceva. E Lui non mente mai... Lui!... Oh! prima lo chiamavo Gesù, Maestro, Salvatore, Signore... Ora, ora lo sento tanto grande che non so, non oso più dargli un nome... Che gli dirò quando lo vedrò?...»

«Ma credi proprio che risorga?..»
«Un altro! Oh! A suon di dirvi che credo e di sentirvi dire che non credete, finirò col non credere più neppure io! Ho creduto e credo. Ho creduto e gli ho da tempo preparato la veste. E per domani, perché domani è il terzo giorno, la porterò qui, pronta...».
«Ma se dici che sarà nero, gonfio, brutto?».


«Brutto mai. Brutto è il peccato. Ma... ma sì! Sarà nero. Ebbene? Lazzaro non era già marcio? Eppure risorse. Ed ebbe la carne risarcita. Ma, ma se lo dico!... Tacete, miscredenti! Anche in me la ragione umana mi dice: "È morto e non sorgerà". Ma il mio spirito, il "suo" spirito, perché io ho avuto un nuovo spirito da Lui, grida, e sembrano squilli di argentee tube: "Sorge! Sorge! Sorge!". Perché mi sbattete come una navicella contro la scogliera del vostro dubitare? Io credo! Credo, mio Signore! Lazzaro ha ubbidito con strazio al Maestro ed è rimasto a Betania... Io, che so chi è Lazzaro di Teofilo, un forte, non un leprotto pavido, posso misurare il suo sacrificio di rimanere nell'ombra e non presso il Maestro. Ma ha ubbidito. Più eroico in questa ubbidienza che se l'avesse strappato con le armi agli armati. Io ho creduto e credo. E qui sto. In attesa come Lei. Ma lasciatemi andare. Il giorno sorge. Appena ci si vedrà a sufficienza, noi andremo al 
Sepolcro...».

E la Maddalena se ne va, col suo viso bruciato dal pianto, ma sempre forte. Rientra da Maria.
«Che aveva Pietro?».
«Una crisi di nervi. Ma gli è passata».
«Non essere dura, Maria. Soffre».
«Anche io. Ma vedi che non ti ho chiesto neppure una carezza. Lui è stato già medicato da te... E io invece penso che solo tu, Madre mia, hai bisogno di balsamo. Madre mia, santa, amata! Ma fa' cuore... Domani è il terzo giorno. Ci chiuderemo qui dentro noi due: le sue innamorate. Tu, l'Innamorata santa; io, la povera innamorata... Ma come posso lo sono, con tutta me stessa. E lo aspetteremo... Loro, quelli che non credono, 
li chiuderemo di là, coi loro dubbi. E qui metterò tante rose... Oggi farò portare il cofano... Ora passerò dal palazzo e darò ordine a Levi. Via tutte queste orribili cose! Non le deve vedere il nostro Risorto... Tante 
rose... E tu ti metterai una veste nuova... Non deve vederti così. Io ti pettinerò, ti laverò questo povero volto che il pianto ha sfigurato. Eterna fanciulla, io ti farò da madre... Avrò, infine, la beatitudine di avere cure materne per una creatura più innocente di un neonato! Cara!», e con la sua esuberanza affettiva la Maddalena si stringe al petto il capo di Maria, che è seduta, la bacia, la carezza, le ravvia le lievi ciocche dei capelli scomposti dietro le orecchie, le asciuga le nuove lacrime che scendono ancora, ancora, sempre, col lino della sua veste...

Entrano le donne con lumi e anfore e vasi dalle ampie bocche. Maria d'Alfeo porta un pesante mortaio. «Non si può stare fuori. C'è un poco di vento e spegne le lampade», spiega.
Si pongono in un lato. Su un tavolo, stretto ma lungo, pongono tutte le loro cose, e poi dànno un ultimo tocco ai loro balsami, mescendo nel mortaio, su una polvere bianca che estraggono a manciate da un sacchetto, la già pesante manteca delle essenze. Mescolano lavorando di lena e poi empiono un vaso dall'ampia bocca. Lo pongono al suolo. Ripetono con un altro la stessa operazione. Profumi e lacrime cadono sulle resine.

Maria Maddalena dice: «Non era questa l'unzione che speravo poterti preparare». Perché è la Maddalena che, più esperta di tutte, ha sempre regolato e diretto la composizione del profumo, tanto acuto che pensano di aprire la porta e di socchiudere la finestra sul giardino, che appena inalba.
Tutte piangono più forte dopo l'osservazione sommessa della Maddalena. Hanno finito. Tutti i vasi sono pieni.

Escono con le anfore vuote, il mortaio ormai inutile, e molte lucerne. Ne restano due sole nella stanzetta e tremano, pare singhiozzino anche esse col palpitare della loro luce...
Rientrano le donne e chiudono di nuovo la finestra, perché l'alba è freddina. Si pongono i mantelli e prendono delle ampie sacche in cui collocano i vasi del balsamo.

Maria si alza e cerca il suo mantello. Ma tutte le si affollano intorno persuadendola a non venire.
«Non ti reggi, Maria. Sono due giorni che non prendi cibo. Un poco d'acqua soltanto».
«Sì, Madre. Faremo presto e bene. E torneremo subito».
«Non temere. Lo imbalsameremo come un re. Vedi che balsamo prezioso componemmo! E quanto!...».
«Non trascureremo membro o ferita, e lo metteremo con le nostre mani a posto. Siamo forti e siamo madri. Lo metteremo come un bambino nella cuna. E agli altri non resterà che da chiudere il suo posto».

Ma Maria insiste: «È il mio dovere», dice. «L'ho curato sempre io. Solo, in questi tre anni che fu del mondo, ho ceduto ad altri la cura di Lui quando Egli mi era lontano. Ora che il mondo lo ha respinto e rinnegato, è di nuovo mio. E io torno la sua serva».

Pietro, che con Giovanni si era avvicinato all'uscio, non visto dalle donne, fugge sentendo queste parole. 
Fugge in qualche angolo nascosto per piangere sul suo peccato. Giovanni resta presso lo stipite. Ma non dice niente. Vorrebbe andare anche lui. Ma fa il sacrificio di rimanere presso la Madre.
Maria Maddalena riconduce Maria al suo sedile. Le si inginocchia davanti, l'abbraccia ai ginocchi alzando verso Lei il suo volto doloroso e innamorato, e le promette: 

«Egli, col suo Spirito, tutto sa e vede. Ma al suo Corpo, coi baci, io dirò il tuo amore, il tuo desiderio. Io so cosa è l'amore. So che pungolo, che fame è amare. 
Che nostalgia di esser con chi è l'amore per noi. E questo è anche nei vili amori che sembrano oro, e fango sono. Quando poi la peccatrice può sapere ciò che è l'amore santo per la Misericordia vivente, che gli uomini 
non hanno saputo amare, allora meglio può comprendere cosa è il tuo amore, Madre. Tu lo sai che io so amare. E tu sai che Egli lo ha detto (Vol 4 Cap 239 e lo ha ripetuto al Vol 8 Cap 550, dove ha parlato del 
vero balsamo, quello dell’amore, “che Egli gradirà infinitamente”), in quella sera del mio vero natale, là, sulle rive del nostro lago sereno, che Maria sa molto amare. Ora, questo mio esuberante amore, come acqua 
che trabocca da un bacino piegato, come roseto in fiore che si rovescia giù da una muraglia, come fiamma che, trovando esca, più si apprende e cresce, si è tutto riversato su Lui, e da Lui-Amore ha tratto nuova 
potenza... Oh! che la mia potenza d'amare non ha potuto sostituirsi a Lui sulla Croce!... Ma quello che per Lui fare non ho potuto - e patire, e sanguinare, e morire al suo posto, fra gli schemi di tutto il mondo, felice, 
felice, felice di soffrire al suo posto, e, ne sono certa, arso ne sarebbe stato lo stame della mia povera vita più dall'amore trionfale che dal patibolo infame, e sarebbe dalle ceneri sbocciato il nuovo, candido fiore della nuova vita pura, vergine, ignorante di tutto ciò che non è Dio - tutto questo che non ho potuto fare per Lui, per te lo posso fare ancora..., Madre che amo con tutto il mio cuore. Fidati di me. Io che ho saputo, in casa di Simone il fariseo, così dolcemente accarezzare i suoi piedi santi, ora, con l'anima che sempre più sboccia alla Grazia, saprò ancora più dolcemente accarezzare le sue membra sante, medicare le ferite, imbalsamarle più col mio amore, più col balsamo tratto dal mio cuore spremuto dall'amore e dal dolore, che non coll'unguento. 
E la morte non intaccherà quelle carni che tanto amore hanno dato e tanto ne ricevono. Fuggirà la Morte. Perché l'Amore è più forte di essa. È invincibile l'Amore. E io, Madre, col tuo perfetto, col mio totale, di 
amore imbalsamerò il mio Re d'Amore».

Maria bacia quest'appassionata che ha, finalmente, saputo trovare Chi merita tanta passione, e cede al suo pregare.
Le donne escono portando una lucerna. Nella stanza ne resta una sola. Ultima esce la Maddalena, dopo un ultimo bacio alla Madre che resta.
La casa è tutta buia e silenziosa. La strada è ancora oscura e solitaria.
Giovanni chiede: «Non mi volete proprio?».
«No. Puoi servire qui. Addio».
Giovanni torna da Maria. «Non mi hanno voluto...», dice piano.
«Non te ne mortificare. Esse da Gesù. Tu da me. Giovanni, preghiamo un poco insieme. Dove è Pietro?».
«Non so. Per la casa. Ma non lo vedo. È... Lo credevo più forte... Anche io ho pena, ma lui...».
«Lui ha due dolori. Tu uno solo. Vieni. Preghiamo anche per lui». E Maria dice lentamente il Pater noster.


Poi carezza Giovanni: «Va' da Pietro. Non lo lasciare solo. È stato tanto nelle tenebre, in queste ore, che non sopporta neppure la lieve luce del mondo. Sii l'apostolo del tuo fratello smarrito. Inizia da lui la tua 
predicazione. Sulla tua via, e lunga sarà, troverai sempre dei simili a lui. Col compagno comincia il lavoro...».

«Ma che devo dire?... Io non so... Tutto lo fa piangere...».
«Digli il Suo precetto d'amore. Digli che chi solamente teme non conosce ancora a sufficienza Dio, perché Dio è Amore. E se ti dice: "Io ho peccato", rispondigli che Dio ha tanto amato i peccatori che per essi ha mandato il suo Unigenito. Digli che a tanto amore va con amore risposto. E l'amore dà fiducia nel buonissimo Signore. Questa fiducia non ci fa temere il suo giudizio, perché con essa riconosciamo la Sapienza e Bontà divina, e diciamo: "Io sono una povera creatura. Ma Egli lo sa. E mi dà il Cristo come garanzia di perdono e colonna di sostegno. La mia miseria viene vinta dalla mia unione col Cristo". È nel nome di Gesù che tutto viene perdonato... Vai, Giovanni. Digli questo. Io resto qui, con Gesù mio...», e carezza il Sudario. Giovanni esce, chiudendo la porta dietro di sé.



Maria si pone in ginocchio come la sera avanti, viso a Viso col velo della Veronica. E prega e parla col Figlio suo. Forte per dare forza agli altri, quando è sola piega sotto la sua schiacciante croce. Eppure ogni 
tanto, come una fiamma non più oppressa dal moggio, la sua anima si alza verso una speranza che in Lei non può morire. Che anzi cresce col passare delle ore. E dice la sua speranza anche al Padre. La sua speranza e la 
sua domanda.
[…]

«Gesù, Gesù! Non torni ancora? La tua povera Mamma non resiste più a saperti là morto. Tu l'hai detto e nessuno ti ha capito. Ma io ti ho capito! "Distruggete il Tempio di Dio ed Io lo riedificherò in tre giorni"
Questo è l'inizio del terzo giorno. Oh! mio Gesù! Non attendere che sia compiuto per tornare alla vita, alla tua Mamma che ha bisogno di vederti vivo per non morire ricordandoti morto, che ha bisogno di vederti bello, sano, trionfante, per non morire ricordandoti in quello stato come ti ha lasciato!

Oh! Padre! Padre! Rendimi il Figlio mio! Che io lo veda tornato Uomo e non cadavere, Re e non condannato. Dopo, lo so, Egli tornerà a Te, al Cielo. Ma io l'avrò visto guarito da tanto male, l'avrò visto forte dopo tanto languore, l'avrò visto trionfante dopo tanta lotta, l'avrò visto Dio dopo tanta umanità patita per gli uomini. E mi sentirò felice anche perdendo la sua vicinanza. Lo saprò con Te, Padre santo, lo saprò fuori per sempre dal Dolore. Ora invece non posso, non posso dimenticare che è in un sepolcro, che è là ucciso per tanto dolore che gli hanno fatto, che Egli, il mio Figlio-Dio, è accomunato alla sorte degli uomini nel buio di un sepolcro, Egli, il tuo Vivente.

Padre, Padre, ascolta la tua serva. Per quel "sì"... Non ti ho mai chiesto nulla per la mia ubbidienza ai tuoi voleri; era la tua Volontà, e la tua Volontà era la mia; nulla dovevo esigere per il sacrificio della mia a Te, Padre santo. Ma ora, ma ora, per quel "sì" che ho detto all'Angelo messaggero, o Padre, ascoltami!

Egli è fuori dalle torture, perché tutto ha compiuto con l'agonia di tre ore dopo le sevizie del mattino. Ma io sono da tre giorni in questa agonia. Tu lo vedi il mio cuore e ne senti i palpiti. 
Il nostro Gesù l'ha detto che non cade piuma di uccello che Tu non la veda, che non muore fiore nel campo che Tu non ne consoli l'agonia col tuo sole e la tua rugiada. Oh, Padre, io muoio di questo dolore! Trattami come il passero che rivesti di nuova piuma e il fiore che scaldi e disseti nella tua pietà. Io muoio assiderata dal dolore. Non ho più sangue nelle vene. Una volta è divenuto tutto latte per nutrire il Figlio tuo e mio; ora è divenuto tutto pianto perché non ho più Figlio. Me l'hanno ucciso, ucciso, Padre, e Tu sai in che modo! 
Non ho più sangue! L'ho sparso con Lui nella notte del Giovedì, nel Venerdì funesto. Ho freddo come chi è svenato. Non ho più sole, poiché Egli è morto, il Sole mio santo, il Sole mio benedetto, il Sole nato dal mio seno per la gioia della sua Mamma, per la salute del mondo. Non ho più refrigerio, perché non ho più Lui, la più dolce delle fonti per la sua Mamma che beveva la sua parola, che si dissetava della sua presenza. Sono come un fiore in una arena disseccata. 
Muoio, muoio, Padre santo. E di morire non ne ho spavento, poiché anche Egli è morto. Ma come faranno questi piccoli, il piccolo gregge del Figlio mio, così debole, così pauroso, così volubile, se non c'è chi lo sorregge? Sono nulla, Padre. Ma per i desideri del Figlio mio sono come una schiera d'armati. Difendo, difenderò la sua Dottrina e la sua eredità così come una lupa difende i lupicini. Io, agnella, mi farò lupa per difendere ciò che è del Figlio mio e, perciò, ciò che è tuo.
Tu lo hai visto, Padre. Otto giorni or sono questa città ha spogliato i suoi ulivi, ha spogliato le sue case, ha spogliato i suoi giardini, ha spogliato i suoi abitanti e si è fatta roca per gridare: "Osanna al Figlio di Davide; benedetto Colui che viene nel nome del Signore". E mentre Egli passava sui tappeti di rami, di vesti, di stoffe, di fiori, se lo indicavano i cittadini dicendo: "È Gesù, il Profeta di Nazareth di Galilea. È il Re d'Israele". E mentre ancora non erano appassiti quei rami e la voce era ancor roca da tanto osannare, essi hanno mutato il loro grido in accuse e maledizioni ed in richieste di morte, e dei rami staccati per il trionfo hanno fatto randelli per percuotere il tuo Agnello che conducevano alla morte. Se tanto hanno fatto mentre Egli era fra loro e parlava loro, e sorrideva loro, e li guardava con quel suo occhio che stempra il cuore, e ne tremano persin le pietre se ne son guardate, e li beneficava e li ammaestrava, che faranno quando Egli sarà tornato a Te?

I suoi discepoli, lo hai visto. Uno lo ha tradito, gli altri sono fuggiti. È bastato che Egli fosse percosso perché fuggissero come pecore vili, e non hanno saputo stargli intorno mentre moriva. Uno solo, il più giovane, è rimasto. Ora viene l'anziano. Ma ha già saputo rinnegare una volta. Quando Gesù non sarà più qui a guardarlo, saprà permanere nella Fede?
Io sono un nulla, ma un po' del mio Figlio è in me, ed il mio amore mette il colmo alla mia manchevolezza e la annulla. Divengo così qualcosa di utile alla causa del tuo Figlio, alla sua Chiesa, che non troverà mai pace e che ha bisogno di mettere radici profonde per non essere divelta dai venti. Io sarò Colei che la cura. Come ortolana solerte veglierò perché cresca forte e diritta nel suo mattino. Poi non mi preoccuperà morire. Ma 
vivere non posso se resto più a lungo senza Gesù.

Oh! Padre, che hai abbandonato il Figlio per il bene degli uomini ma poi lo hai confortato, perché certo l'hai accolto sul tuo seno dopo la morte, non lasciarmi oltre nell'abbandono. Io lo patisco e lo offro per il bene degli uomini. Ma confortami, ora, Padre. Padre, pietà! Pietà, Figlio mio! Pietà, divino Spirito! Ricòrdati della tua Vergine!».


Dopo, prostrata fino a terra, Maria pare pregare col suo atto oltre che col suo cuore. È proprio una povera cosa abbattuta. Pare quel fiore morto di sete di cui Ella ha parlato. Non avverte neppure lo scuotìo di un breve 
ma violento terremoto che fa urlare e fuggire il padrone e la padrona di casa, mentre Pietro e Giovanni, pallidi come morti, si trascinano fin sulla soglia della stanza. Ma, vedendola così assorta nel suo orare, dimentica, 
lontana da tutto quello che non è Dio, siritirano chiudendo la porta e tornano spauriti nel Cenacolo. 



AVE MARIA!
REGINA COELI LAETARE! 
ALLELUIA!