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giovedì 4 maggio 2023

J.N.S.R. : + 21 - ottobre - 2022

LA MISTICA FRANCESE J.N.S.R.

LA MISTICA FRANCESE J.N.S.R.  

Il 21 ottobre 2022 è tornata alla casa del Padre la mistica francese Fernanda Navarro, conosciuta come J.N.S.R. ovvero l’acronimo di Je ne sui rien (Io non sono niente); nome che le era stato dato da Gesù.

Negli anni Fernanda ha ricevuto moltissime locuzioni da Gesù, Maria, gli angeli e i santi. Messaggi che sono stati raccolti in molti libri. 

Parte fondamentale della sua opera è stato ribadire quanto Gesù aveva chiesto a Madeleine Aumont a Dozulé: la costruzione e diffusione delle croci di Dozulé. 

Si è visto così realizzare un fiorente apostolato delle croci luminose in tutto il mondo. Una missione quella di Fernanda iniziata nel 1973 quando Dio le ottenne una miracolosa guarigione. 

J.N.S.R. ha ricevuto moltissimi messaggi negli anni, molti dal contenuto profetico. Vi riportiamo qua di seguito un messaggio di Gesù che ricevette un anno prima delle dimissioni di Benedetto XVI, il 16 giugno 2012:

<<  “[…] La Luce viene dalla ‘Cattedra di San Pietro’. Essa lampeggia in questi giorni, come se volesse spegnersi; ma la sua ‘chiarezza primitiva’ le impedisce di oscurarsi. ‘Sono così spregevoli, fino a dubitare del valore stesso che Io le ho dato?’ esclama il Signore. 

Da ogni parte, gli angeli Lo chiamano a venire vicino a questo ‘Figlio’ che si spegne come una candela senz’aria, al quale vogliono togliere ‘la Vita di DIO che vive in Lui’. 

Tuttavia, la lotta ambigua continua, e da ogni parte lo assaltano e lo perseguitano. È una corsa insensata! 

Hanno talmente rancore contro di lui, che i suoi piedi lo trascinano fuori da “quelle Mura”, ma lui non sa dove!

Mai si è vista una lotta così subdola che vuole prendere il sopravvento su colui che avanza verso DIO per dirGli: 

‘Che ho fatto contro di Te, Signore del mio povero cuore che si scioglie in lacrime davanti alla Tua Misericordia? 

Che ho fatto di male che il mio spirito non sappia? 

Ti ho forse abbandonato a ciò che dicono per potermi giudicare?

 Signore, davanti a Te, in ginocchio io T’imploro! 

Guarda la mia anima che non può mentirTi: Sono dunque colpevole? E senza sapere di che cosa! Possono dunque giudicarmi? 

Le mie mani sono forse come il mio cuore, che non possono più toccarTi, quando alla Santa Messa, s’innalzano con il Tuo Corpo Divino e il Tuo Sangue Prezioso verso il Padre Tuo che Ti benedice ancora, per il Tuo meraviglioso DONO d’AMORE verso tutti i suoi figli, Tuoi fratelli? 

E Tu, Signore, mi dici ancora: ‘Non temere, solo IO ti conosco! La tua debolezza sta nel tuo corpo stanco. Ma tu sei il ‘figlio Mio fedele’ che, da ogni parte, continuano a tormentare e assillare fino a che cada con te il Regno di DIO, nella Mia Chiesa, gettata a terra. Non temere! 

La Mia Chiesa, la Vera Chiesa, viene con ME, e con ME, il Suo Regno non avrà più FINE. Io SONO la CHIESA! È necessario che il chicco di grano cada in terra per dare molti buoni frutti. 

È dall’alto dei Cieli che, insieme al Padre Nostro, tu vedrai l’inizio del Rinnovamento della Chiesa. […]”.  >>

L’articolo continua su Il Segno del soprannaturale n. 416

Venite a scoprire i libri di J.N.S.R cliccando sulla categoria Dozulé e J.N.S.R. 


AMDG et DVM

martedì 2 maggio 2023

La missione della Chiesa: annunciare la Parola di Dio al mondo

VERBUM DOMINI 



La Parola dal Padre e verso il Padre

90. San Giovanni sottolinea con forza il paradosso fondamentale della fede cristiana: da una parte, egli afferma che «Dio, nessuno lo ha mai visto» (Gv 1,18; cfr 1Gv 4,12).

In nessun modo le nostre immagini, concetti o parole possono definire o misurare la realtà infinita dell’Altissimo. Egli rimane il Deus semper maior.

Dall’altra parte, egli afferma che il Verbo realmente «si fece carne» (Gv 1,14). Il Figlio unigenito, che è rivolto verso il seno del Padre, ha rivelato il Dio che «nessuno ha mai visto» (Gv 1,18).

Gesù Cristo viene a noi, «pieno di grazia e verità» (Gv 1,14), che per mezzo di Lui sono donate a noi (cfr Gv 1,17); infatti, «dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,16).

In tal modo l’evangelista Giovanni nel Prologo contempla il Verbo dal suo stare presso Dio al suo farsi carne, fino al suo ritornare nel seno del Padre portando con sé la nostra stessa umanità, che egli ha assunto per sempre.

In questo suo uscire dal Padre e tornare a Lui (cfr Gv 13,3; 16,28; 17,8.10) Egli si presenta a noi come il «Narratore» di Dio (cfr Gv 1,18).
Il Figlio, infatti, afferma sant’Ireneo di Lione, «è il Rivelatore del Padre».[310] Gesù di Nazareth è, per così dire, l’«esegeta» di Dio che «nessuno ha mai visto». «Egli è immagine del Dio invisibile» (Col 1,15).

Si compie qui la profezia di Isaia riguardo all’efficacia della Parola del Signore: come la pioggia e la neve scendono dal cielo per irrigare e far germogliare la terra, così la Parola di Dio «non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10s).

Gesù Cristo è questa Parola definitiva ed efficace che è uscita dal Padre ed è ritornata a Lui, realizzando perfettamente nel mondo la sua volontà.

https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20100930_verbum-domini.html

AMDG et DVM

mercoledì 29 marzo 2023

IL SEGRETO DELLA POPOLARITA' DI PAPA BENEDETTO

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Pur tempestato dalle critiche, questo papa continuava a riscuotere la fiducia delle grandi masse. Il viaggio in Africa e un’inchiesta in Italia lo provano. Il motivo è che parla di Dio a un’umanità in cerca d’orientamento

ROMA, 27 marzo 2009 – Sull’aereo di ritorno dal Camerun e dall’Angola, Benedetto XVI ha detto ai giornalisti che, del viaggio, gli sono rimaste impresse nella memoria queste due cose:

“Da una parte la cordialità quasi esuberante, la gioia, di un’Africa in festa. Nel papa hanno visto la personificazione del fatto che siamo tutti figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi, con tutti i nostri limiti, siamo in questa famiglia e Dio è con noi.

“Dall’altra parte lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’era autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma la presenza del sacro, di Dio stesso. Anche i movimenti, le danze, erano sempre di rispetto e di consapevolezza della presenza divina”.

Popolarità e presenza di Dio. L’intreccio tra questi due elementi è il segreto del pontificato di Joseph Ratzinger.

 

Che Benedetto XVI sia un papa popolare sembrerebbe contraddetto dalla tempesta di critiche ostili che si abbattono quotidianamente su di lui, dai media di tutto il mondo. Nell’ultimo mese queste critiche hanno registrato un crescendo senza precedenti. Anche rappresentanti ufficiali di governi, ormai, non hanno remore a mettere sotto accusa il papa.

Ma se si guarda ai grandi numeri l’impressione che si ricava è diversa. Nei suoi viaggi, Benedetto XVI ha sempre registrato indici di popolarità superiori alle attese. Non solo in Africa ma anche su piazze difficili come gli Stati Uniti o la Francia. A Roma, all’Angelus della domenica mezzogiorno, piazza San Pietro è ogni volta gremita più che negli anni di Giovanni Paolo II.

Ciò non significa che queste medesime folle accettino e pratichino all’unisono gli insegnamenti del papa e della Chiesa. Innumerevoli indagini mettono in luce che sul matrimonio, la sessualità, l’aborto, l’eutanasia, la contraccezione i giudizi di un largo numero di persone sono più o meno distanti dal magistero cattolico.

Nello stesso tempo, tuttavia, molte di queste stesse persone manifestano un profondo rispetto per la figura del papa e per l’autorità della Chiesa.

Il caso dell’Italia è esemplare. Il 25 marzo su “la Repubblica” – cioè sul quotidiano progressista leader, molto caustico nel criticare Benedetto XVI – il sociologo Ilvo Diamanti ha fornito un’ennesima conferma dell’alto tasso di fiducia che gli italiani continuano a riporre nella Chiesa e nel papa, nonostante il diffuso dissenso su vari punti del suo insegnamento.

Ad esempio, richiesti di dire se fossero pro o contro l’affermazione del papa sul preservativo “che non risolve il problema dell’AIDS ma lo aggrava”, ben tre su quattro si sono detti contrari.

Ma i medesimi intervistati, alla domanda se riponessero fiducia nella Chiesa, hanno risposto “molto” o “moltissimo” nella misura del 58,1 per cento. Ed è risultata ampia anche la fiducia riposta in Benedetto XVI, col 54,9 per cento.

Non solo. Dalla stessa indagine si ricava che la fiducia nella Chiesa e in Benedetto XVI non è in calo ma è in aumento rispetto a un anno fa.

Il professor Diamanti spiega così questo apparente contrasto:

“La Chiesa e il papa intervengono sui temi sensibili dell’etica pubblica e privata in modo aperto e diretto. Offrono risposte discutibili e spesso discusse, contestate da sinistra o da destra. Tuttavia, offrono certezze a una società insicura, alla ricerca di riferimenti e valori. Per questo 8 italiani su 10, tra i non praticanti, considerano importante dare ai figli una educazione cattolica e li iscrivono all’ora di religione. Per questo una larghissima maggioranza delle famiglie, vicina al 90 per cento, destina l’8 per mille della propria imposta sul reddito alla Chiesa cattolica”.

E per questo stesso motivo – si può aggiungere – il capo del governo italiano Silvio Berlusconi non si è unito nei giorni scorsi al coro di critiche al papa dei rappresentanti di Francia, Germania, Belgio, Spagna, eccetera. Anzi, si è espresso in direzione opposta.

Il 21 marzo ha detto che è doveroso rispettare la Chiesa e difendere la sua libertà di parola e di azione “anche quando si trova a proclamare principi e concetti difficili e impopolari, lontani da quelle che sono le opinioni di moda”. Con ciò Berlusconi ha semplicemente espresso quello che è il sentire comune di tantissimi italiani.

***

I dati sopra richiamati fanno quindi già intravvedere la sostanza della questione: che cioè la popolarità di Benedetto XVI ha la sua sorgente proprio nel modo in cui egli svolge la sua missione di successore di Pietro.

Questo papa è rispettato e ammirato per una ragione fondamentale. Perché ha posto in cima a tutto questa priorità, da lui formulata così nella lettera ai vescovi dello scorso 10 marzo, documento capitale del suo pontificato:

“Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Giovanni 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più”.

Domenica 15 marzo, due giorni prima di partire per l’Africa, Benedetto XVI non disse niente di diverso nello spiegare la finalità del suo viaggio, alla folla convenuta per l’Angelus in piazza San Pietro:

“Parto per l’Africa con la consapevolezza di non avere altro da proporre e donare a quanti incontrerò se non Cristo e la buona novella della sua Croce, mistero di amore supremo, di amore divino che vince ogni umana resistenza e rende possibile persino il perdono e l’amore per i nemici. Questa è la grazia del Vangelo capace di trasformare il mondo; questa è la grazia che può rinnovare anche l’Africa, perché genera una irresistibile forza di pace e di riconciliazione profonda e radicale. La Chiesa non persegue obiettivi economici, sociali e politici; la Chiesa annuncia Cristo, certa che il Vangelo può toccare i cuori di tutti e trasformarli, rinnovando in tal modo dal di dentro le persona e le società”.

In Camerun e in Angola, il cuore del messaggio del papa fu effettivamente questo. Non le denunce – pur da lui fatte con parole forti – dei mali del continente e delle responsabilità di chi li genera. Ma per prima cosa quello che fu l’annuncio di Pietro allo storpio, nel capitolo 3 degli Atti degli Apostoli: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!”.

Tra i diciannove discorsi, messaggi, interviste, omelie pronunciati da Benedetto XVI nei sette giorni del suo viaggio in Camerun e in Angola sarebbe interessante ricavare un’antologia dei passi più significativi.

Ma per capire il senso profondo della sua missione basta riportare qui un solo testo emblematico: l’omelia pronunciata da Benedetto XVI nella messa di sabato 21 marzo, a Luanda, nella chiesa di San Paolo.

Lo spirito di raccoglimento, il forte senso della presenza di Dio, rimasti impressi nella memoria del papa alla vista delle folle che seguivano la liturgia, come pure l’esuberante festosità con cui lo hanno accolto ed avvolto, hanno una loro spiegazione anche in questa omelia di papa Ratzinger in una remota chiesa dell’Africa:

"Affrettiamoci a conoscere il Signore"

di Benedetto XVI

<<Carissimi fratelli e sorelle, amati lavoratori della vigna del Signore, come abbiamo sentito, i figli d’Israele si dicevano l’un l’altro: “Affrettiamoci a conoscere il Signore” (Osea 6, 3). Essi si rincuoravano con queste parole, mentre si vedevano sommersi dalle tribolazioni. Queste erano cadute su di loro – spiega il profeta – perché vivevano nell’ignoranza di Dio; il loro cuore era povero d’amore. E il solo medico in grado di guarirlo era il Signore. Anzi, è stato proprio Lui, come buon medico, ad aprire la ferita, affinché la piaga guarisse. E il popolo si decide: “Venite, ritorniamo al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà” (Osea 6, 1). In questo modo hanno potuto incrociarsi la miseria umana e la misericordia divina, la quale null’altro desidera se non accogliere i miseri.

Lo vediamo nella pagina del Vangelo proclamata: “Due uomini salirono al tempio a pregare”; di là, uno “tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro” (Luca 18, 10.14). Quest’ultimo aveva esposto tutti i suoi meriti davanti a Dio, quasi facendo di Lui un suo debitore. In fondo, egli non sentiva il bisogno di Dio, anche se Lo ringraziava per avergli concesso di essere così perfetto e “non come questo pubblicano”. Eppure sarà proprio il pubblicano a scendere a casa sua giustificato. Consapevole dei suoi peccati, che lo fanno rimanere a testa bassa – in realtà però egli è tutto proteso verso il Cielo –, egli aspetta ogni cosa dal Signore: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Luca 18, 13). Egli bussa alla porta della Misericordia, la quale si apre e lo giustifica, “perché – conclude Gesù – chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Luca 18, 14).

Di questo Dio, ricco di misericordia, ci parla per esperienza personale san Paolo, patrono della città di Luanda e di questa stupenda chiesa, edificata quasi cinquant’anni fa. Ho voluto sottolineare il bimillenario della nascita di san Paolo con il giubileo paolino in corso, allo scopo di imparare da lui a conoscere meglio Gesù Cristo. 

Ecco la testimonianza che egli ci ha lasciato: “Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo io ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, affinché io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in Lui per avere la vita eterna” (1 Timoteo 1, 15-16). 

E, con il passare dei secoli, il numero dei raggiunti dalla grazia non ha cessato di aumentare. Tu ed io siamo di loro. Rendiamo grazie a Dio perché ci ha chiamati ad entrare in questa processione dei tempi per farci avanzare verso il futuro. Seguendo coloro che hanno seguito Gesù, con loro seguiamo lo stesso Cristo e così entriamo nella Luce. […]

Fondamentale nella vita di Paolo è stato il suo incontro con Gesù, quando camminava per la strada verso Damasco: Cristo gli appare come luce abbagliante, gli parla, lo conquista. L’apostolo ha visto Gesù risorto, ossia l’uomo nella sua statura perfetta. Quindi si verifica in lui un’inversione di prospettiva, ed egli giunge a vedere ogni cosa a partire da questa statura finale dell’uomo in Gesù: ciò che prima gli sembrava essenziale e fondamentale, adesso per lui non vale più della “spazzatura”; non è più “guadagno” ma perdita, perché ora conta soltanto la vita in Cristo (cfr. Filippesi 3, 7-8). Non si tratta di semplice maturazione dell’io di Paolo, ma di morte a se stesso e di risurrezione in Cristo: è morta in lui una forma di esistenza; una forma nuova è nata in lui con Gesù risorto.

Miei fratelli e amici, “affrettiamoci a conoscere il Signore” risorto! Come sapete, Gesù, uomo perfetto, è anche il nostro vero Dio. In Lui, Dio è diventato visibile ai nostri occhi, per farci partecipi della sua vita divina. In questo modo, viene inaugurata con Lui una nuova dimensione dell’essere, della vita, nella quale viene integrata anche la materia e mediante la quale sorge un mondo nuovo. Ma questo salto di qualità della storia universale che Gesù ha compiuto al nostro posto e per noi, in concreto come raggiunge l’essere umano, permeando la sua vita e trascinandola verso l’alto? Raggiunge ciascuno di noi attraverso la fede e il Battesimo. Infatti, questo sacramento è morte e risurrezione, trasformazione in una vita nuova, a tal punto che la persona battezzata può affermare con Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Galati 2, 20). Vivo io, ma già non più io. In certo modo, mi viene tolto il mio io, e viene integrato in un Io più grande; ho ancora il mio io, ma trasformato e aperto agli altri mediante il mio inserimento nell’Altro: in Cristo, acquisto il mio nuovo spazio di vita. Che cosa è dunque avvenuto di noi? Risponde Paolo: Voi siete diventati uno in Cristo Gesù (cfr Galati 3, 28).

E, mediante questo nostro essere cristificato per opera e grazia dello Spirito di Dio, pian piano si va completando la gestazione del Corpo di Cristo lungo la storia. In questo momento, mi piace andare col pensiero indietro di cinquecento anni, ossia agli anni 1506 e seguenti, quando in queste terre, allora visitate dai portoghesi, venne costituito il primo regno cristiano sub-sahariano, grazie alla fede e alla determinazione del re Dom Afonso I Mbemba-a-Nzinga, che regnò dal menzionato anno 1506 fino al 1543, anno in cui morì; il regno rimase ufficialmente cattolico dal secolo XVI fino al XVIII, con un proprio ambasciatore in Roma. Vedete come due etnie tanto diverse – quella banta e quella lusiade – hanno potuto trovare nella religione cristiana una piattaforma d’intesa, e si sono impegnate poi perché quest’intesa durasse a lungo e le divergenze – ce ne sono state, e di gravi – non separassero i due regni! Di fatto, il Battesimo fa sì che tutti i credenti siano uno in Cristo.

Oggi spetta a voi, fratelli e sorelle, sulla scia di quegli eroici e santi messaggeri di Dio, offrire Cristo risorto ai vostri concittadini. Tanti di loro vivono nella paura degli spiriti, dei poteri nefasti da cui si credono minacciati; disorientati, arrivano al punto di condannare bambini della strada e anche i più anziani, perché – dicono – sono stregoni. Chi può recarsi da loro ad annunziare che Cristo ha vinto la morte e tutti quegli oscuri poteri (cfr. Efesini 1, 19-23; 6, 10-12)? Qualcuno obietta: “Perché non li lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com’è, perché realizzi nel modo migliore la propria autenticità”. Ma, se noi siamo convinti e abbiamo fatto l’esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna.

Venerati e amati fratelli e sorelle, diciamo loro come il popolo israelita: “Venite, ritorniamo al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà”. Aiutiamo la miseria umana ad incontrarsi con la misericordia divina. Il Signore fa di noi i suoi amici, Egli si affida a noi, ci consegna il suo corpo nell’Eucaristia, ci affida la sua Chiesa. E allora dobbiamo essere davvero suoi amici, avere un solo sentire con Lui, volere ciò che Egli vuole e non volere ciò che Egli non vuole. Gesù stesso ha detto: “Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando” (Giovanni 15, 14). Sia questo il nostro impegno comune: fare, tutti insieme, la sua santa volontà: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Marco 16, 15). Abbracciamo la sua volontà, come ha fatto san Paolo: “Predicare il Vangelo è un dovere per me: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1 Corinzi 9, 16). >>

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TRATTO DA WWW,CHIESA.ESPRESS ONLINE

DI  SANDRO MAGISTER

La prima guerra mondiale secondo Benedetto XVI

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Pubblichiamo la relazione, dal titolo “La Prima guerra mondiale nel Magistero di Benedetto XVI”, che Massimo Introvigne tenne al convegno «Il Beato Carlo d’Asburgo e l’Europa», organizzato al Sacro Monte di Crea per il 65° anniversario dell’incontro fra il presidente del Consiglio italiano Alcide de Gasperi e il Ministro degli Esteri francese Georges Bidault e presieduto dal vescovo di Casale Monferrato mons. Alceste Catella.

Benedetto XVI ha messo al centro del suo Magistero un’interpretazione teologica della storia. Come ha spiegato nell’omelia del 16 ottobre 2011 nel corso della Santa Messa per la nuova evangelizzazione, «la teologia della storia è un aspetto importante, essenziale della nuova evangelizzazione, perché gli uomini del nostro tempo, dopo la nefasta stagione degli imperi totalitari del XX secolo, hanno bisogno di ritrovare uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero».

La teologia della storia permette anche d’identificare le cause della drammatica crisi dell’Europa, un altro tema caro a Papa Ratzinger.
Queste cause sono molteplici, ma Benedetto XVI è spesso tornato su un evento fondamentale, la Prima guerra mondiale. Certamente anche in precedenza c’erano state guerre tremende, ma la Grande Guerra del 1914-1918 rappresenta una sinistra novità non solo per il primo uso massiccio di armi di distruzione di massa – tali sono considerati, ancora oggi, i gas asfissianti –, ma anche perché si teorizza e si pratica la separazione fra la guerra e la morale.
Questa separazione si evidenzia anche nell’attacco – che aveva solo pochi precedenti – ai monumenti storici, chiese comprese, particolarmente alla cattedrale di Reims, un evento senza precedenti che suscitò enorme emozione in tutto il mondo.

Nel primo dei suoi messaggi per le Giornate mondiali della Pace, quello per la XXXIX Giornata celebrata il 1° gennaio 2006, Joseph Ratzinger lega al dramma della Prima guerra mondiale la stessa scelta del nome Benedetto XVI.
«Il nome stesso di Benedetto, che ho scelto il giorno dell’elezione alla Cattedra di Pietro, sta a indicare il mio convinto impegno in favore della pace. Ho inteso, infatti, riferirmi sia al Santo Patrono d’Europa, ispiratore di una civilizzazione pacificatrice nell’intero Continente, sia al Papa Benedetto XV [1854-1922], che condannò la Prima Guerra Mondiale come “inutile strage” e si adoperò perché da tutti venissero riconosciute le superiori ragioni della pace».

Il riferimento a Benedetto XV è rilevante per il giudizio sulla Prima guerra mondiale. L’Europa è cambiata, e quando le sue due massime autorità tradizionali, il Papa di Roma e l’Imperatore di quanto sopravvive del Sacro Romano Impero, il beato Carlo I d’Asburgo (1887-1922), cercano di fermare il conflitto facendo notare che tutto quanto le nazioni vogliono con la guerra lo potranno ottenere con la pace, a stento sono trattati con cortesia e comunque non sono presi sul serio. Naturalmente il Papa, il cui padre ha combattuto nella Prima guerra mondiale, non intende certo mancare di rispetto a quello che chiama «il sacrificio degli uomini caduti sul campo di battaglia per amore della loro patria»: ai tanti che in quella guerra, da una parte e dall’altra, hanno fiducia nella bontà della loro causa e si battono con valore.

Il problema non riguarda i combattenti, ma la guerra in sé, in cui viene a scadenza una cambiale secolare emessa all’epoca della Rivoluzione francese, quando cominciano a diffondersi in Europa nazionalismi senza nazione, ideologie in cui ciascuno vuole più potere per la sua nazione perché, appunto, è la sua e non perché la ritiene portatrice di valori moralmente apprezzabili. Perché, se si trattasse di valori, scendendo in profondità – e certo incontrando nel corso della discesa la frattura della Riforma protestante – ogni nazione europea li troverebbe nelle sue radici e queste radici sono comuni, sono cristiane.

Invece, la Prima guerra mondiale è la conseguenza della separazione dell’idea di patria e di nazione dalle sue radici religiose: con il Kulturkampf in Germania, con la laïcité in Francia, con le campagne laiciste e anticlericali dell’Ottocento in Italia, con l’affermarsi pressoché ovunque d’ideologie che emarginano il cristianesimo.
Benedetto XVI, che è stato un Papa molto affezionato alle ricorrenze, ha proposto la sua analisi della Prima guerra mondiale soprattutto in due testi relativi al novantesimo anniversario rispettivamente della battaglia di Verdun e della Nota del 1° agosto 1917 di Papa Benedetto XV.
La battaglia di Verdun, che nel 1916 provoca 250.000 morti e 500.000 feriti, rappresenta un orrore per molti versi senza precedenti nella storia d’Europa. «Verdun – scrive Benedetto XVI in una lettera a mons. François Maupu, vescovo della città francese teatro della battaglia, in occasione dell’anniversario –, momento oscuro della storia del Continente, deve restare nella memoria dei popoli come un evento da non dimenticare mai e da non rivivere mai».

A Verdun si sono manifestate le «potenze oscure della storia», in relazione alle quali Papa Ratzinger ricorda ancora una volta che «in una nota del 1° agosto 1917, inviata ai capi dei popoli belligeranti, il mio predecessore Papa Benedetto XV proponeva una pace duratura e, allo stesso tempo, lanciava un appello pressante a cessare quella che egli chiamava una “inutile strage”». Nello stesso tempo, Verdun è stata teatro di gesti di riconciliazione, come la costruzione di un ossario comune per i caduti di tutte le parti.
«Le spoglie di tutti i morti, senza distinzione di nazionalità, riposano ora nell’ossario di Douaumont, grazie al suo [di mons. Maupu] predecessore, Monsignor [Charles] Ginisty [1864-1946], che prese l’iniziativa, facendo inscrivere sul frontone dell’edificio la parola che riassume tutto, Pace».

continua: https://benedettoxviblog.wordpress.com/2017/09/23/la-prima-guerra-mondiale-secondo-benedetto-xvi/


TRATTO DA  LA BUSSOLA QUOTIDIANA

ECCLESIAE 31 05 2013

domenica 12 febbraio 2023

STIAMO CRESCENDO? COME? "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre Mio?"

 «Cresceva in sapienza, età e grazia»: 

Gesù vero uomo e vero Dio


È importante anche ciò che Luca dice sulla crescita di Gesù non solo in età, ma anche in sapienza. Da una parte, nella risposta del dodicenne si è reso evidente che Egli conosce il Padre – Dio – dal di dentro. Egli solo conosce Dio, non soltanto attraverso persone umane che lo testimoniano, ma Egli lo riconosce in se stesso. 

Come Figlio, Egli sta a tu per tu con il Padre. 

Vive alla sua presenza. Lo vede. Giovanni dice che Egli è l’Unico che «è nel seno del Padre» e perciò può rivelarlo (Gv 1,18). 
È proprio ciò che diventa evidente nella risposta del dodicenne: Egli è presso il Padre, vede le cose e gli uomini nella sua luce. Tuttavia è anche vero che la sua sapienza cresce. 

In quanto uomo, Egli non vive in un’astratta onniscienza, ma è radicato in una storia concreta, in un luogo e in un tempo, nelle varie fasi della vita umana, e da ciò riceve la forma concreta del suo sapere. 

Così appare qui, in modo molto chiaro, che Egli ha pensato ed imparato in maniera umana. 
Diventa realmente chiaro che Egli è vero uomo e vero Dio, come s’esprime la fede della Chiesa. Il profondo intreccio tra l’una e l’altra dimensione, in ultima analisi, non lo possiamo definire. Rimane un mistero e, tuttavia, appare in modo molto concreto nella breve narrazione sul dodicenne – una narrazione che così apre al tempo stesso la porta verso il tutto della sua figura, che poi ci viene raccontato dai Vangeli. 


Epilogo: Gesù dodicenne nel Tempio, pp. 146-147


Da L’infanzia di Gesù, di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Rizzoli – LEV, 2012







AVE MARIA PURISSIMA!

mercoledì 8 febbraio 2023

IL RITRATTO DI PAPA BENEDETTO XVI...

 

Il ritratto di Benedetto XVI, ovvero, come si scrive in Codice Ratzinger, la spiegazione

di Andrea Cionci
Il Codice Ratzinger, illustrato nel volume omonimo, è semplicemente uno stile di comunicazione per chi ha "orecchie per intendere”

Ritratto di Benedetto XVI
Ritratto di Benedetto XVI
Qualche giorno fa, ho pubblicato su Libero una recensione del ritratto di famiglia pontificia, che l’artista russa Natalia Tsarkova ha dedicato al Santo Padre Benedetto XVI. La pittrice è del tutto inconsapevole della Magna Quaestio, eppure ha inserito degli elementi simbolici che ben si prestano a un’interpretazione plasticamente sovrapponibile con la realtà della sede impedita. (Il potere profetico dell’arte…).

Il “Codice Ratzinger”

Tutto l’articolo era, però, un piccolo esercizio di scrittura in Codice Ratzinger, una dimostrazione “di scuola” dei sistemi retorici con cui papa Benedetto riesce a comunicare e a dire sempre la verità dalla sua sede impedita: anfibologie, “non detti”, riferimenti alle fonti, giochi logico-sintattici, allusioni storiche e simboliche. Come capirete, non si tratta affatto di “gnosi” come ha contestato chi non ha i mezzi intellettivi per comprenderlo o sufficiente malafede per negarlo, o irriderlo come fanno alcuni intellettuali tradizionalisti che si vogliono spartire le vesti del Vic

Il Codice Ratzinger, illustrato nel volume omonimo edito da Byoblu nel maggio 2022, è semplicemente uno stile di comunicazione per chi ha “orecchie per intendere” e ha già compreso la questione canonica della sede impedita: Benedetto non ha mai abdicato, ma, costretto a togliersi di mezzo dai poteri forti che sponsorizzavano Bergoglio, si è rifugiato in uno status canonico dove egli è prigioniero, ma resta l’unico papa. Non ha lasciato la sede vacante, ma impedita. Pertanto Bergoglio è antipapa. Qui è illustrata, “for dummies”, la vicenda canonica.

Un consiglio: leggete prima l’articolo originale sul ritratto, tutto di seguito. Poi confrontate qui sotto l’ ”esegesi” dell’articolo.

Finalmente la tela è caduta: un’opera realizzata in due anni ha mostrato papa Benedetto tale e quale, per come è oggi. Attorno a lui, nella clausura del monastero Mater Ecclesiae, si raccoglie ciò che resta della Famiglia Pontificia: non più protonotari, cappellani, elemosinieri, ma il fedelissimo Mons. Gaenswein, che, con una penna sottile, si appunta, diligente, le parole di Benedetto XVI – come Baruc, segretario del profeta Geremia – per riferirle al mondo esterno. Poi ci sono le Memores Domini, le pie donne che curano la persona del papa. Mons. Georg Ratzinger, appena in secondo piano, “dietro al velo” della morte, veglia sul fratello Benedetto XVI, il pontefice più longevo della storia, come ha ricordato il suo biografo Peter Seewald durante il convegno del 30 ottobre a Madrid”.

Papa Benedetto in sede impedita

Fateci caso: non è specificato che si sta parlando del quadro. Il riferimento al dipinto è solo un’illusione del lettore, ma l’opera in questione, realizzata in due anni, potrebbe essere anche “Codice Ratzinger”, il libro inchiesta realizzato in due anni che svela papa Benedetto in sede impedita, l’opera che ha fatto cadere la tela sulla Magna Quaestio. Il riferimento a Geremia è a uno dei più clamorosi e recenti codici.

“Così, Natalia Tsarkova, famosa pittrice russa, interprete ispirata di una commissione pontificia, ha fatto vedere al pubblico, il 3 ottobre, una grande composizione artistica, ricca di luci inaspettate, ombre trasparenti, velature cangianti e simbolismi allegorici”.

La Tsarkova, attraverso il suo quadro, ha messo in luce per pura ispirazione quello che ha fatto papa Benedetto. La grande composizione artistica è quella di papa Benedetto, il suo piano di auto esilio in sede impedita, il suo codice Ratzinger denso di anfibologie, allusioni, metafore velate (anfibologia col termine pittorico “velatura”) e riferimenti allegorici e simbolici.

Nel monastero, l’atmosfera generale è corrusca, drammatica, ma carica di un’intima serenità e di amore per un papa ancora lucidissimo e coraggioso nella sua fortezza. In effetti, si intravede la luce dell’alba: pare quel mondo nuovo di cui parla Benedetto al quale lui sente di appartenere già, ma che ancora non è iniziato”.

Monastero Mater Ecclesiae

Sembra che si stia parlando dello scenario nel quadro, ma non è specificato: quella che si descrive è l’atmosfera reale dentro al Monastero Mater Ecclesiae, della famiglia pontificia rimasta intorno a papa Benedetto. Anfibologia su “fortezza”, sia come virtù che come “luogo di detenzione”.

«Brillerà sempre in mezzo a noi la stella del suo pontificato» spiegò il card. Sodano subito dopo la Declaratio del 2013 QUI e, come una stella, sebbene defilato, brilla lo stemma di papa Ratzinger. Il simbolo – araldicamente elegante e originale – del suo pontificato rimasto in vigore fin dal 2005: anche non essendo più il “pontefice sommo” come lui disse a Castelgandolfo nel 2013, papa Benedetto lo ha comunque mantenuto”.

Si ricorda come il card. Sodano, subito dopo la Declaratio, non parlò mai di fine del pontificato, ma, anzi, lo assimilò a una stella, che per definizione resta fissa nel cielo. La citazione dello stemma è funzionale alla costruzione di un gioco anfibologico: è solo lo stemma ad essere rimasto in vigore dal 2005 o è lo stesso pontificato? Entrambi, naturalmente, ma il lettore bergogliano può accontentarsi anche del solo stemma. Il riferimento a “pontefice sommo”, poi rimanda alla nota questione.

La talare bianca di Benedetto XVI

Nel quadro, realizzato dalla Tsarkova di propria iniziativa, la suora a destra cuce un bottone sulla talare bianca di Benedetto, con le 33 asole, tante quanti gli anni di Cristo. Quella talare che papa Ratzinger ha conservato perché, come scrisse nel 2016 al vaticanista Tornielli, era “la cosa più pratica e non aveva altri vestiti disponibili”. Sopra, un’altra Memores che spiega una tovaglia, con lo stesso gesto di una Veronica”.

Qui il riferimento è a uno dei più gustosi codici Ratzinger, quando papa Benedetto spiegò che era rimasto vestito di bianco perché non aveva altri abiti disponibili. La citazione della Veronica allude al sacrificio cristico di papa Benedetto.

“Colpisce l’angelo custode in armatura: iconograficamente pare l’arcangelo Michele, figura escatologica, (nel quale non è difficile riconoscere la pittrice), inginocchiato e con uno sguardo adorante verso il Santo Padre, mentre gli porge carte, documenti e un grosso libro chiuso. Spiega la Tsarkova che l’angelo indica gli altri libri ammonticchiati dicendo: “Santo Padre, guarda questi libri che hai scritto. C’è molto altro da pubblicare per dare luce ai tuoi scritti”. Ed è proprio così, vista la potenza dell’errore e l’incomprensione che gravano su questo grande papa”.

Incredibile l’intuizione dell’artista. C’è infatti molto altro da pubblicare, per spiegare il senso reale degli scritti di papa Benedetto, in particolare, di tutti i suoi messaggi che non sono stati compresi.

Il gatto rosso di Benedetto

“E le rose, portate da una Memores, appena colte nel roseto, simbolo della Madonna, ma anche del martirio. Poi i dettagli, il gatto rosso di papa Benedetto fuori San Pietro: la bestiola, dal noto significato spirituale cristiano, si lecca lo zampino perché – credono i russi – aspetta un ospite che sta per uscire dal Vaticano: Francesco”.

La pittrice intendeva solo dipingere un simbolo mariano, la rosa, che, però, anche simbolo di quel martirio al quale si è sottoposto papa Benedetto. Straordinaria l’intuizione – inconsapevole – della pittrice sul gatto: aspetta un ospite, Francesco. Eppure, specifichiamo noi, il gatto nell’iconografia cristiana è simbolo del diavolo.

“In alto, evanescente, la colomba dello Spirito Santo che, grazie all’investitura divina, assiste il successore di San Pietro la cui basilica, tempio del Signore , come per Geremia, è irraggiungibile per il 95enne Benedetto XVI. Sullo sfondo a sinistra, l’altare della messa antica, ricorda il Summorum Pontificum, il motu proprio con cui il papa, in vero, ha ripristinato la messa in latino”.

Il papa, “in vero”, anfibologicamente si intende il vero papa, non è un modo di dire. Il riferimento è a quel Summorum Pontificum abrogato da Bergoglio.

Le mani di Papa Ratzinger

“Le mani di papa Ratzinger sono unite dal rosario, catena d’amore per Cristo e Maria, alla quale lui è legatissimo”.

E’ legatissimo alla catena, o a Maria? Come vedete non è specificato: anfibologia.

Al collo, più grande e pesante di quanto si percepisca, la croce, d’oro; all’anulare, quello che non è l’anello piscatorio, (come hanno scritto) che fu graffiato e non spezzato, messo da parte, ma l’anello conciliare che riporta – realmente – San Pietro. Il dettaglio più significativo, in primo piano, è l’acqua, simbolo di quella purificazione della Chiesa portata avanti da Ratzinger, sul quale si riflette lo stesso papa mentre suona il pianoforte. Sembra di sentire quella sua musica dove anche le pause sono espressive: «Dum tacet clamat», commentò Mons. Gaenswein”.

La croce è più “pesante di quanto si percepisca” perché papa Benedetto ha fatto un enorme sacrificio per salvare la Chiesa, compreso solo da pochi. C’è poi il riferimento all’articolo sull’”anello impedito” graffiato, ma non annullato. Quel “realmente” è un tipico uso anfibologico che papa Benedetto fa dell’avverbio: realmente, ovvero in senso regale. L’anello conciliare quindi, riportando ancora San Pietro come nell’anello piscatorio ribadisce la regalità di papa Benedetto, cioè la sua legittimità di pontefice.

“Incredibile come le intuizioni dell’artista, spontanee e pochissimo concordate, abbiano incontrato il pieno favore di papa Benedetto che ha commentato, con la sua voce da tempo sottilissima, che in pochi comprendono: «E’ perfetto: se l’artista l’ha voluto così, l’ha voluto il Signore».
Insomma, finalmente un codice espressivo, un linguaggio che possono capire tutti, per una grande opera da donare alla Chiesa, destinata “a chi ha occhi per vedere” e che resterà nei secoli”.

Il codice è quello di Benedetto

Il codice espressivo non è quello della pittrice, ma quello – ovviamente – di papa Benedetto, scritto in un linguaggio che tutti possono capire, che descrive il suo gesto grandioso per salvare la Chiesa dalla prova finale dell’apostasia. Una grande opera di cui si parlerà nei prossimi secoli.

Naturalmente, si tratta di una pallida imitazione dello stile del Santo Padre, ma speriamo di avervi fornito, con questo esempio, una chiave interpretativa che vi possa consentire di decodificare da soli quanto scrive e dichiara il Vicario di Cristo.

In merito alle sue dichiarazioni sulla vicenda dimissioni, potrete esaminare in questo articolo, un altro “esercizio in Codice Ratzinger” che attinge esattamente alle sue stesse parole.

(Il volume “Codice Ratzinger” sarà presentato dall’autore il 27 novembre a Catania, il 3 dicembre a Pordenone, il 4 a Bologna, il 18 a Pisa, il 23 a Grosseto. Per info @CionciAndrea)

mercoledì 25 gennaio 2023

È ragionevole credere

 Benedetto XVI: credere è ragionevole

È ragionevole credere, perché il mistero di Dio "non è irrazionale, ma sovrabbonda di senso, di significato, di verità". Intelletto e fede, "dinanzi alla divina Rivelazione non sono estranei o antagonisti", ma entrambi "condizioni per comprendere il senso" e recepirne "il messaggio autentico". Tra l'altro, giungere alla conoscenza di Dio richiede una esperienza di fede che è al tempo stesso "un cammino intellettuale e morale" perché fa superare "i nostri egoismi" ed apre "ai valori veri dell'esistenza".

Benedetto XVI, continuando le sue catechesi sull'Anno della fede durante le Udienze del mercoledì, questa mattina si è soffermato sulla ragionevolezza della fede in Dio, spiegando come la stessa fede cattolica "nutre fiducia anche nella ragione umana".



"Nell'irresistibile desiderio di verità, solo un armonico rapporto tra fede e ragione è la strada giusta che conduce a Dio e al pieno compimento di sé", ha aggiunto il Papa, raccontando le esperienze dei tanti protagonisti e autori cristiani che hanno testimoniato l'esistenza di una fede "che si esercita con la ragione, che pensa e invita a pensare". È il caso, ad esempio, di Sant'Agostino, Sant'Anselmo, San Tommaso.

La fede, che permette "un sapere autentico su Dio", coinvolge tutta la persona umana e quindi "dona sapore alla vita, un gusto nuovo d'esistere, un modo gioioso di stare al mondo". Contemporaneamente favorisce anche l'accesso al "vero bene dell'umanità", indicando "l'orizzonte nel quale si deve muovere il suo cammino di scoperta". 

E qui si inseriscono anche tutte quelle indagini che mirano ad assicurare un futuro migliore all'umanità, ad esempio attraverso la sconfitta delle malattie. In questo contesto, non c'è affatto conflitto con la scienza, ma una evidente cooperazione, "offrendo criteri basilari" affinché sia sempre promosso il bene di tutti. 

Aprirsi alla fede è dunque "decisivo per l'uomo", se si vuole veramente ritrovare "il senso dell'esistenza e il fondamento della vera libertà".

Giovanni Tridente

venerdì 20 gennaio 2023

Benedetto XVI e il Motu Proprio "Traditionis Custodes"

 

Stanno facendo il giro del web le dichiarazioni di Mons. Georg Gänswein, l’ultimo segretario particolare di Benedetto XVI, rese note questa mattina, circa la reazione di Benedetto XVI al Motu Proprio Traditionis Custodes, con cui il suo successore ha cercato di vanificare la grande liberalizzazione della liturgia tradizionale realizzata dal Motu Proprio Summorum Pontificum (ved. anche qui).

Le parole di Mons. Gänswein sono così eclatanti e dirompenti, che quasi ci sentiamo in colpa a dare loro il pur dovuto e necessario risalto in questi momenti di lutto. Ma, nello stesso tempo, ci sembra doveroso rendere giustizia già in queste prime ore alla memoria di Benedetto XVI, e riconoscere la sofferenza che Egli ha dovuto affrontare di fronte al sistematico tentativo di smantellare gli atti più importanti e fecondi del suo difficile pontificato. Tentativo che, come dimostra la grande manifestazione di affetto e devozione che gli viene tributata proprio in queste ore, la Provvidenza non ha permesso andasse a buon fine.

Tornando a Mons. Gänswein, egli ha parlato di Traditionis Custodes nell’intervista rilasciata – probabilmente prima della scomparsa di Benedetto XVI – a Guido Horst, Editore Capo di German Catholic weekly Die Tagespost, che è stata diffusa oggi, e il cui video è reperibile qui (con sottotitoli in inglese).

Il brano che ci interessa si trova circa al minuto 23’; ve ne proponiamo qui di seguito la nostra (artigianale) traduzione:

Guido Horst: La revoca da parte di Papa Benedetto delle restrizioni alla celebrazione della forma straordinaria del rito romano secondo il messale del 1962 non è durata come intendeva: come Papa emerito, ha assistito alla promulgazione del Motu Proprio Traditionis Custodes di Papa Francesco. È rimasto deluso?

Mons. Gänswein: lo ha colpito in modo molto forte. Credo che abbia spezzato il cuore di Papa Benedetto leggere il nuovo Motu Proprio, perché la sua intenzione era quella di far trovare la pace interiore, la pace liturgica, a coloro che avevano semplicemente trovato una casa nella vecchia Messa, per allontanarli da Lefebvre. E se si pensa per quanti secoli l’antica Messa è stata fonte di vita spirituale e di nutrimento per molte persone, tra cui molti santi, è impossibile immaginare che non abbia più nulla da offrire. E non dimentichiamo che molti giovani che sono nati dopo il Vaticano II e che non capiscono bene tutto il dramma del Concilio – che questi giovani, pur conoscendo la nuova Messa, hanno comunque trovato una casa spirituale, un tesoro spirituale anche nella vecchia Messa. Portar via questo tesoro alle persone… beh, non posso dire di sentirmi a mio agio con questo.

Si tratta di una dichiarazione totalmente attendibile, non solo per l’autorevolezza e la certezza della fonte, ma anche perché conferma – aggiungendovi il triste riferimento a Traditionis Custodes – ciò che già si sapeva sin dal 2016, dalla nota risposta a Peter Seewald in Ultime conversazioni (Milano, Garzanti, 2016, spec. pagg. 189-190): 

Peter Seewald: La riabilitazione dell’antica messa viene spesso interpretata come una concessione alla Fraternità sacerdotale san Pio X.

Benedetto XVI: Questo è assolutamente falso! Per me era importante che la Chiesa preservasse la continuità interna con il suo passato. Che ciò che prima era sacro non divenisse da un momento all’altro una cosa sbagliata. Il rito si deve evolvere. Per questo è stata annunciata la riforma. Ma l’identità non deve spezzarsi. La Fraternità sacerdotale san Pio X si fonda sulla sensazione che la Chiesa abbia rinnegato se stessa. Questo non deve succedere. Il mio intento, tuttavia, come ho detto, non era di natura tattica: m’importava la cosa in sé. Naturalmente conta anche che il papa, nel momento in cui vede profilarsi uno scisma, è tenuto a fare il possibile per impedirlo, compreso il tentativo di ricondurre queste persone all’unità della Chiesa.

Si coglie bene, così, anche il riferimento al lefebvrismo: la preoccupazione che una giusta esigenza – garantire che la Chiesa non abbia mai a rinnegare se stessa – non venga soddisfatta allontanandosi in qualche modo dalla Chiesa stessa, dove, come Benedetto XVI insegnò in un’altra occasione, nessuno è di troppo. E ciò si realizza facendo in modo che l’identità non abbia a rompersi, che quanto prima era sacro non divenga da un momento all’altro una cosa sbagliata: un obiettivo che è importante in se, anche a prescindere dal pur ineludibile dovere di un Papa di fare quanto gli è possibile per impedire un potenziale scisma.

Alla luce di tutto ciò, è agevole comprendere come il carattere intrinsecamente divisivo e rotturista di Traditionis Custodes e, soprattutto, il suo portato ideologicamente antitradizionale, abbiano davvero spezzato il cuore di Benedetto XVI. E si spezza anche il nostro, considerando con quale e quanta amarezza Egli avrà vissuto le ultime stagioni della sua vita terrena, pur sapendo e volendo offrire efficacemente le sue sofferenze perché la Chiesa possa uscire presto, trionfante, dalla crisi che la attanaglia. Anche per queste ragioni ciò che abbiamo appreso oggi da Mons. Gänswein accresce ulteriormente la nostra gratitudine per il Papa emerito.

Enrico Roccagiachini

CREDO CHE TRADITIONIS CUSTODES ABBIA SPEZZATO IL CUORE DI BENEDETTO XVI…