RE LEMUÈL E LA DONNA IDEALE
A Lemuèl, re di Massa
Caro Lemuèl,
la Bibbia vi nomina come autore del celebre poema in lode
della donna ideale. Nient’altro si sa di Voi.
Posso dire, però, che fate da rimpettaio a Cornelia, madre
dei Gracchi. Questa infatti mostrava alle amiche i propri figli e
diceva: «Ecco i miei gioielli!». Voi rovesciate la posizione e mostrate
vostra madre, affermando: «Si levano i suoi figli a chiamarla
beata e suo marito ad encomiarla».
Un’altra cosa è certa: che il magnifico vostro carme alfabetico
viene opportunamente a proposito ai nostri giorni, in cui la
promozione della donna costituisce problema sentitissimo.
Volete sentirne una? L’altro giorno una fanciulla di quinta
elementare mi ha posto in imbarazzo, affermando: «È giusto che
Gesù abbia istituito sette sacramenti e poi solo sei di essi siano
messi a disposizione di noi donne?». Si riferiva, evidentemente,
all’ordine sacro, cui per prassi di sempre vengono ammessi solo
i maschi.
Che cosa potevo rispondere? Dopo essermi guardato attorno,
ho detto: «In questa classe vedo ragazzi e ragazze. Voi, ragazzi,
potete dire: “Uno fra tutti i maschi del mondo è padre di Gesù?».
Risposta dei ragazzi: “No, perché san Giuseppe era solo padre
putativo». Ma voi, ragazze – ripresi io – potete dire: “Una di noi
donne è madre di Gesù?». Risposta: “Sì”. Ed io: “Avete detto
bene, ma riflettete: se nessuna donna è papessa o vescovessa o
sacerdotessa, ciò è mille volte compensato dalla maternità divina,
che onora straordinariamente sia la donna sia la maternità”».
La piccola contestatrice parve persuasa.
* * *
Alle magnifiche lodi del vostro carme, oppongono alcuni la
«grettezza» di san Paolo, che comandò: «Le donne stiano zitte
nelle adunanze» (1Cor 14,34).
Io opìno che san Paolo quella proibizione di parlare l’abbia
data soltanto alle donne di Corinto e solo per quel dato momento.
Succedeva infatti a Corinto che ci fosse un fiorire straordinario
di carismi e di carismatici; molti, uomini e donne, durante
le riunioni si alzavano a parlare o a pregare investiti dallo
Spirito del Signore: qualche donna si alzava forse senza un vero
carisma, portando confusione e disagio. Perché l’inconveniente
non si ripetesse, Paolo giudicò – per quell’assemblea – di togliere
la parola a tutte. Poco sopra, nella stessa lettera ai Corinzi, egli
aveva riconosciuto che le donne possono «profetare», purché lo
facciano a capo coperto.
Una volta, trovandosi a Cesarea, era andato per più giorni
con san Luca in casa di Filippo, diacono e missionario, e non
aveva mosso difficoltà alcuna sul fatto che le quattro figlie di
Filippo «profetassero» (At 21,8-9). Negli ultimi suoi anni, infine,
egli raccomandava a Tito di istruire donne anziane, perché
«fossero maestre nel bene e... sapessero insegnare alle giovani»
(Tt 2,3-4).
D’altronde, non aveva il profeta Gioele annunciato solennemente
che nel tempo messianico avrebbero profetato sia i figli
che le figlie d’Israele? (Gl 2,28-29). E non aveva san Pietro, nel
giorno della Pentecoste, dichiarato che la profezia di Gioele stava
avverandosi e che il Signore spandeva il suo Spirito sui suoi servi
e sulle sue ancelle? (At 2,18).
Anche prima della venuta di Cristo non era mancato un
profetismo di donne: sacerdoti erano stati sempre ed esclusivamente
i maschi, ma il manto profetico s’era poggiato talvolta su
spalle femminili.
Maria, sorella di Mosè e Aronne, timpano in mano, durante
una funzione religiosa dirige con il titolo di profetessa i cantici
delle donne (Es 15,20) e, più tardi, chiama a testimone il popolo
che «Dio aveva parlato con lei» (Nm 12,2). Debora, al tempo del
Giudice Barak, è una specie di Giovanna d’Arco o, meglio, un
Pierre l’Ermite in sottana, che predica la guerra santa e predice
l’immancabile vittoria; essa dà udienza sul monte Efraim, sotto
la «palma di Debora», e vengono a lei «i figlioli d’Israele per
tutte le loro liti» (Gdc 4,4-5). Il sommo sacerdote Helkia, 621
anni prima di Cristo, per ordine del re Giosia, va, con altri insigni
personaggi, a consultare «la profetessa Hulda... che abitava
a Gerusalemme nel quartiere nuovo». E la profetessa apre bocca
proprio alla maniera dei profeti: «Così dice il Signore!» (2Re
22,14-20). Anche Anna, la vedova di ottantaquattro anni, che si
fa incontro a Gesù portato al tempio, e dappertutto va parlando
di lui, è chiamata profetessa (Lc 2,36-39).
* * *
La vostra donna ideale è laboriosa, un’ape instancabile, una
vera Marta: «Si cinge i fianchi con energia e si rafforza le braccia...
Si leva ch’è ancor notte... e non si spegne neppur di notte
la sua lucerna».
E il suo lavoro lo intride di letizia: «Si procura lino e lana e
li lavora volentieri..., vede con gusto che va bene il suo traffico...
ridente va incontro all’avvenire». Rivela così un’altra qualità: la
gaiezza, data come sorella alla bontà, alla tenerezza, al lavoro e
all’amore.
Suo marito ha bisogno di quella gaia serenità, quando torna
stanco dal lavoro; anche i figli ne hanno bisogno, essendo la
letizia il clima necessario di ogni sistema efficace di educazione.
Mantenere questa gaiezza a ogni costo, anche nelle giornate critiche;
mostrarla anche quando le fatiche materiali ininterrotte,
minute, monotone, sembrano rompere la schiena, svegliando
rimpianti e richiamando agli occhi lacrime, è grande virtù; è fortezza
cristiana; è penitenza che – a certe condizioni – può equivalere
alle rinunce e alle preghiere prolungate di suore e monache.
Essa però non impedisce di vedere acuto e lontano: «Adocchiato
un podere lo compra, col frutto del suo lavoro pianta una
vigna..., lavora una bella camicia e la vende e dà una fascia al
mercante». Davvero non si può dire della sua casa: «casa senza
amministrazione, nave senza timone»! E si capisce come suo marito
le abbia messo fiduciosamente in mano le chiavi della cantina,
degli armadi, sicuro che tutto sarebbe andato bene! Marito
simile a re Malcom di Scozia, che, illetterato, baciava il libro di
preghiere della sposa santa Margherita: il libro, diceva, in grazia
del quale Margherita è tanto saggia e tanto brava!
* * *
La vostra donna ideale è anche socialmente aperta: «Allarga
il pugno all’infelice e stende la mano al povero»; fa lavorare servi
e ancelle, ma li precede nella fatica e non lascia loro mancare
niente; anche in caso di rigido inverno, tira fuori dalle casse vesti
calde, perché «tutti i suoi di casa hanno doppio vestito».
Oggi, illustre re Lemuèl, la giustizia e la carità sociale vanno
coltivate in altra maniera: le nostre donne sono più spesso impiegate
e lavoratrici dipendenti che padrone. Per esse, lanciate
ormai a tutti i posti della politica, dell’amministrazione e del
lavoro, non è più elogio il domi mansit, lanam fecit.
Ai tempi vostri i figli e la famiglia venivano difesi dalla donna
sulla porta di casa; oggi vengono difesi anche lontano da casa:
nella cabina elettorale, nei sindacati, nelle organizzazioni. Le
suore stesse devono saper sfruttare fino all’ultimo le nuove libertà
civiche, e le signore che occupano posti pubblici devono saper
assolvere il loro compito come gli uomini, mettendo in più la
diligenza, il tatto, la finezza, la finitezza, che son proprie della
donna.
Se il piccolo generale Bonaparte risentenziasse oggi – come
allora, in pieno Terrore – che non gli piace sentir le donne parlare
di politica, si troverebbe non una, ma mille donne che lo rimbeccherebbero con le parole di Madama de Staël:
«Generale! La
Repubblica oggi taglia la testa anche alle donne; è dunque giusto
che le donne si chiedano almeno il perché di quel taglio!».
* * *
Il vostro carme – è stato osservato – concede appena un’allusione
all’amore coniugale. Certi scrittori cattolici odierni, parlando
di donna ideale, darebbero spazio ben più largo a questo
discorso! È da preferirsi, però, il vostro metodo, che è quello della
prudenza cristiana, di cui ci ha dato bell’esempio il Manzoni.
L’amore di Renzo e Lucia, fidanzati, è puro, legittimo, virtuoso,
ma di quale delicatezza intessuto! Lucia, in casa di donna
Prassede, rifugge dal parlare dei propri guai, perché in essi
«c’era mescolato per tutto un sentimento, una parola, che non
le pareva possibile di proferire parlando di sé; e alla quale non
avrebbe mai trovato da sostituire una perifrasi che non le paresse
sfacciata: l’amore!». La stessa Lucia «stupisce e arrossisce» e prova
un «confuso spavento» davanti alle domande investigatrici della
monaca Gertrude; arrossisce in altri casi e il suo fidanzato nella
capanna del lazzaretto cerca invano i suoi occhi.
Lo stesso Renzo, la notte della fuga, nello scendere a terra
dalla barca, dà bensì la mano ad Agnese, ma, per pudore, non la
dà a Lucia. Poco prima, camminando fuor di strada, aveva offerto,
nei passi malagevoli, aiuto alla fidanzata, ma questa l’aveva
scansato «dolcemente e con destrezza..., vergognosa in sé, anche
in tal turbamento d’essere stato già tanto sola con lui, e tanto
familiarmente, quando s’aspettava di diventar sua moglie, tra
pochi momenti».
Simile delicata prudenza si riscontra anche nei romanzi del
protestante Walter Scott. Il fidanzato di Caterina di Perth, ad
esempio, lamenta col futuro suocero l’estremo riserbo dell’amata.
«Quella lì – dice – si figura che tutto il mondo sia un gran
monastero e che tutti gli abitanti del mondo debbano stare come
se assistessero ad una eterna messa cantata!».
La «bella fanciulla di Perth» esagerava forse un pochino. Ma
la nostra «società permissiva» esagera dall’altra parte. E quanto!
* * *
La vostra donna ideale è tutta dedita alla famiglia, respira e
diffonde bontà: «Saggezza apre la bocca a lei e nella sua lingua
sotto i dettami della bontà; a lei si affida il cuore del suo consorte
»; in grazia sua «bella figura fa suo marito alle porte, quando
siede con gli anziani del luogo».
Mi viene in mente Sisto V papa, che avrebbe detto: «Datemi
una donna, di cui il marito non si è mai lamentato in nessuna
cosa, e io ve la canonizzo subito!». Tale donna non solo si santifica
nella famiglia, ma insieme alla famiglia, elevando con sé il
marito e i figli.
Quando ho sentito ch’era introdotta la causa di beatificazione
dei genitori di santa Teresa del Bambino Gesù, ho detto:
«Finalmente una causa a due! San Luigi IX è santo senza la sua
Margherita, santa Monica senza il suo Patrizio; Zelia Guérin,
invece, sarà santa con Luigi Martin suo sposo e con Teresa sua
figliola!».
* * *
La donna ideale – Voi lo dite – tiene all’eleganza, alla grazia e
alle comodità: «Ella si fa coperte; bisso e porpora è il suo vestire...
di vigore e decoro si abbiglia». Ma soggiungete subito: “...è un
soffio la bellezza; la donna timorata di Dio, quella è da lodare».
La bellezza è un dono di Dio anch’essa; l’arte di vestire con
buon gusto ed eleganza è lodevole, specialmente nella donna;
la stessa cosmesi in molti casi non è riprovevole. Ma si tratta di
cose passeggere; trovarsi amici di Dio, legati a lui con vita buona
e sincera pietà, è cosa più sicura e duratura; da coltivare quindi
insieme alle altre sopra ricordate e più delle altre.
Lo diceva Maria Cristina di Savoia, giovane, graziosa e colta
regina di Napoli, in una sua poesiola:
«Bench’io sia sana, ricca e bella... E poi?
E che possegga oro e argento... E poi?
E sia da fortuna in alto posta... E poi?
Unica quasi per spirito e sapere... E poi?
Se pur godessi il mondo per mill’anni... E poi?
Presto si muore e nulla resta poi.
Servi il tuo Dio e tutto avrai dappoi!».
Potrà sembrare, quello della giovane regina, pensiero un po’
mesto. Ma è invincibilmente vero, re Lemuèl!
Febbraio 1973
Papa Luciani/ P.P.Giovanni Paolo I
AMDG ET DVM