Visualizzazione post con etichetta Matrimonio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Matrimonio. Mostra tutti i post

lunedì 11 settembre 2017

La crisi della Chiesa è in atto

La Chiesa è Dio in mezzo a noi

Tutti insieme dobbiamo ergerci a difesa di Dio, 
a difesa dei veri valori che Gesù ci ha insegnato
Difendiamo la sua Dottrina, esercitiamo le Virtù,
gridiamo al mondo che Dio è Vivo, Vero e Presente 
nella Santa Eucaristia 






AVE MARIA!

domenica 25 settembre 2016

Costanza Miriano: " permettete alle lavoratrici di essere madre "

https://www.youtube.com/watch?v=UKjhMe0nVBw
https://www.youtube.com/watch?v=bfAQ5x9eGEc

Volendo sfuggire a un'epidemia di infelicità

Costanza Miriano: Il matrimonio veramente cattolico è la decisione migliore



sabato 17 settembre 2016

SE NELLA CHIESA DA 60 ANNI FOSSERO RISUONATE QUESTE PAROLE NO STAREMMO AL PUNTO IN CUI STIAMO. - Ma questa pagina chi la comprenderà? ... E' dura ...ma ne vale la pena meditarla... - Ma lo pensate che somiglianza sublime vi ha dato Iddio? Quella di creare altre creature: creatori voi pure, o uomini e donne che vi sposate, creatori di uomini come Iddio eterno.


Il santo matrimonio 

nelle Rivelazioni a Maria Valtorta


Dice Gesù: … Dio non fece maschio e femmina perché raggiungessero stanchezza e nausea nei loro vizi. Li ha fatti per una altissima ragione. Quando ha detto: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza e diamogli un aiuto perché non sia solo, col Suo divino Pensiero ha sottinteso che oltre alla parte spirituale e intellettuale, che vi fa somiglianti a Dio, voi foste a Lui simili nel creare altre vite. 

Ma lo pensate che somiglianza sublime vi ha dato Iddio? Quella di creare altre creature: creatori voi pure, o uomini e donne che vi sposate, creatori di uomini come Iddio eterno

Ebbene, voi che avete fatto di tale missione? Inveite contro la colpa di Eva, voi, donne, quando soffrite; maledite la colpa di Adamo, voi, uomini, quando faticate. Ma il serpente non è ancora fra voi, nell'interno delle vostre case, e non vi insegna col suo bavoso abbraccio e sussurro l'immoralità che vi fa ripudiatori della vostra missione creativa? E non è vizio questo di aderire al senso sino alla nausea e di negarsi alla paternità e alla maternità?



Dice Gesù: Dio, Padre Creatore, aveva creato l'uomo e la donna con una legge d'amore tanto perfetta che voi non ne potete più nemmeno comprendere le perfezioni. E vi smarrite nel pensare a come sarebbe venuta la specie se l'uomo non l'avesse ottenuta con l'insegnamento di Satana. 



Guardate le piante da frutto e da seme. Ottengono seme e frutto mediante fornicazione, mediante una fecondazione su cento coniugi? No. Dal fiore maschio esce il polline e, guidato da un complesso di leggi meteoriche e magnetiche, va all'ovario del fiore femmina. Questo si apre e lo riceve e produce. Non si sporca e lo rifiuta poi, come voi fate, per gustare il giorno dopo la stessa sensazione. Produce, e sino alla nuova stagione non si infiora, e quando s'infiora è per riprodurre. 

Guardate gli animali. Tutti. Avete mai visto un animale maschio ed uno femmina andare l'uno verso l'altro per sterile abbraccio e lascivo commercio? No. Da vicino o da lontano, volando, strisciando, balzando o correndo, essi vanno, quando è l'ora, al rito fecondativo, né vi si sottraggono fermandosi al godimento, ma vanno oltre, alle conseguenze serie e sante della prole, unico scopo che nell'uomo, semidio per l'origine di Grazia che Io ho resa intera, dovrebbe fare accettare l'animalità dell'atto, necessario da quando siete discesi di un grado verso l'animale.

Voi non fate come le piante e gli animali. Voi avete avuto a maestro Satana, lo avete voluto a maestro e lo volete. E le opere che fate sono degne del maestro che avete voluto. Ma, se foste stati fedeli a Dio, avreste avuto la gioia dei figli, santamente, senza dolore, senza spossarvi in copule oscene, indegne, che ignorano anche le bestie, le bestie senz'anima ragionevole e spirituale. All'uomo e alla donna, depravati da Satana, Dio volle opporre l'Uomo nato da Donna soprasublimata da Dio, al punto di generare senza aver conosciuto uomo: Fiore che genera Fiore senza bisogno di seme, ma per unico bacio del Sole sul calice inviolato del Giglio-Maria.

Dice Gesù: Cosa è di male emanciparsi dai genitori, dal marito, essere indipendenti, farsi la propria vita come più ci piace? Cosa è fare del matrimonio un utile di avere una infermiera e una serva nella moglie o uno che fatica nel marito per i nostri bisogni e capricci, ma non una missione di procreazione e di allevamento? I figli è bene non vengano o vengano poco numerosi. Sono crucci, sono spese, sono ragioni di rancori fra i parenti A o B, fra i figli stessi che li hanno preceduti. Niente più figli dopo quell'uno o due che, non si sa come, hanno proprio voluto nascere. E nati che siano, niente logorarsi per essi. Nutrice, bambinaie, istitutrice, collegio. Dite così voi.


Siete degli assassini, o ipocriti. Sopprimete delle vite o delle anime. Perché, sappiatelo, per quanto un collegio sia buono e perfetta una istitutrice, non è mai la mamma, il padre, la famiglia. Quei figli, che sono stati di tutti fuorché vostri, come vi possono amare di quell'amore grande che continua a stare unito al vostro interno come avesse radici in voi? Come possono quei figli capirvi se voi siete degli estranei a loro e viceversa? Che società deve venire da popoli in cui la prima forma della società: la famiglia, è cosa arida, morta, scissa? Un'anarchia in cui ognuno pensa a sé, se pure non pensa a nuocere agli altri? E quelle monete che risparmiate negando ad un figlio di nascere, cosa credete che siano nel vostro portafoglio? Tarlo che distrugge la sostanza, perché ciò che non spendete per un figlio spendete tre volte aumentato per divertimenti e lussi nocivi. E PERCHÉ VI SPOSATE SE NON VOLETE AVERE DEI FIGLI? A COSA RIDUCETE IL TALAMO? Il rispetto per il mio "portavoce" mi fa tacere la risposta. Ditela da voi, indegni.




Dice Gesù: Le famiglie che non sono famiglie, e che sono origine di gravi sciagure che dall'interno della cellula familiare si irradiano a rovinare le compagini nazionali e da queste la pace mondiale, sono quelle famiglie nelle quali non domina Dio, ma bensì dominano il senso e l'interesse e perciò le figliazioni di Satana. Create su una base di senso e di interesse, non si elevano verso ciò che è santo, ma, come erbe malsane nate nel fango, strisciano sempre verso terra.

Dice l'angelo a Tobia: "Ti insegnerò chi sono coloro su cui ha potere il demonio".Oh! che in verità vi sono coniugi che dalla prima ora del loro coniugio sono sotto il potere demoniaco! Vi sono, anzi, sin da prima di esser coniugi. Vi sono da quando prendono la decisione di cercarsi un compagno o una compagna e non lo fanno con retto fine, ma con subdoli calcoli nei quali l'egoismo e la sensualità imperano sovrani. Nulla di più sano e di più santo di due che si amano onestamente e si uniscono per perpetuare la razza umana e dare anime al Cielo.

La dignità dell'uomo e della donna divenuti genitori è la seconda dopo quella di Dio. Neppure la dignità regale è simile a questa. Perché il re, anche il più saggio, non fa che amministrare dei sudditi. Essi genitori attirano invece su loro lo sguardo di Dio e rapiscono a quello sguardo una nuova anima che chiudono nell'involucro della carne nata da loro.Direi quasi che hanno a suddito Dio, in quel momento, perché Dio, al loro retto amore che si unisce per dare alla Terra e al Cielo un nuovo cittadino, crea immediatamente una nuova anima. Se vi pensassero, a questo loro potere al quale Dio subito annuisce! Gli angeli non possono tanto. Anzi gli angeli, come Dio, sono subito pronti ad aderire all'atto degli sposi fecondi ed a divenire custodi della nuova creatura. Ma molti sono quelli che, come dice Raffaele, abbracciano lo stato coniugale in modo da scacciare Dio da sé e dalla loro mente, e da abbandonarsi alla libidine. E sopra questi ha potere il demonio. CHE DIFFERENZA C'È FRA IL LETTO DEL PECCATO E IL LETTO DI DUE CONIUGI CHE NON SI RIFIUTANO AL GODIMENTO MA SI RIFIUTANO ALLA PROLE? Non facciamo dei funambolismi di parole e di ragionamenti bugiardi. LA DIFFERENZA È BEN POCA. Ché, se per malattie o imperfezioni è consigliabile o concesso non concedersi figli, allora occorre saper essere continenti ed interdirsi quelle soddisfazioni sterili che altro non sono che appagamento del senso. Se invece nessun ostacolo si frappone alla procreazione, perché fate di una legge naturale e soprannaturale un atto immorale svisandola nel suo scopo?Quando qualsiasi riflessione onesta vi consiglia di non aumentare la prole, sappiate vivere da sposi casti e non da scimmie lussuriose. Come volete che l'angelo di Dio vegli sulla vostra casa quando fate di essa un covo di peccato? Come volete che Dio vi protegga quando lo obbligate a torcere disgustato lo sguardo dal vostro nido insozzato?

Oh! misere le famiglie che si formano senza preparazione soprannaturale, le famiglie dalle quali è stata sbandita, a priori, ogni ricerca di Verità e dove anzi si deride la Parola della Verità che insegna cosa e perché è il Matrimonio. Misere le famiglie che si formano senza nessun pensiero all'alto, ma unicamente sotto l'aculeo di un appetito sensuale e di una riflessione finanziaria! Quanti coniugi che, dopo l'inevitabile consuetudine della cerimonia religiosa - consuetudine ho detto, e lo ripeto, perché per la maggioranza non è altro che consuetudine e non aspirazione dell'anima ad avere Dio con sé in tal momento - non hanno più un pensiero a Dio e fanno del Sacramento, che non finisce con la cerimonia religiosa ma si inizia allora e dura quanto dura la vita dei coniugi, secondo il mio pensiero - così come la monacazione non dura quanto la cerimonia religiosa, ma dura quanto la vita del religioso o della religiosa - e fanno del Sacramento un festino e del festino uno sfogo di bestialità!

L'angelo insegna a Tobia che, facendo precedere con la preghiera l'atto, l'atto diviene santo e benedetto e fecondo di gioie vere e di prole.

Questo occorrerebbe fare. ANDARE AL MATRIMONIO MOSSI DA DESIDERIO DI PROLE, POICHÉ TALE È LO SCOPO DELL'UNIONE UMANA, e ogni altro scopo è colpa disonorante l'uomo come essere ragionevole e ferente lo spirito, tempio di Dio, che fugge sdegnato, E' AVER PRESENTE DIO IN OGNI ORA. Dio non è carceriere oppressivo. Ma Dio è Padre buono, che giubila delle oneste gioie dei figli e che ai loro santi amplessi risponde con benedizioni celesti e con l'approvazione di cui è prova la creazione di un'anima nuova. 



Ma questa pagina chi la comprenderà? Come avessi parlato la lingua di un pianeta sconosciuto, voi la leggerete senza sentirne il sapore santo. Vi parrà paglia trita, ed è dottrina celeste. La deriderete, voi, i sapienti dell'ora. E non sapete che sulla vostra stoltezza ride Satana che è riuscito, per merito della vostra incontinenza, della vostra bestialità, a volgervi in condanna ciò che Dio aveva creato per vostro bene: il matrimonio come unione umana e come Sacramento. 

Vi ricordo, perché le ricordiate e vi regoliate su esse - se ancor lo potete fare per un resto di dignità umana sopravvivente in voi - le parole di Tobia alla moglie: "Noi siamo figli di santi, e non possiamo unirci come i gentili che non conoscono Dio". Siano la vostra norma. Ché, se anche siete nati là dove la santità era già morta, il Battesimo ha sempre fatto di voi dei figli di Dio, del Santo dei santi, e perciò potete sempre dire che siete figli di santi: del Santo, e regolarvi su questo. Avrete allora una discendenza nella quale si benedirà il nome del Signore" e si vivrà nella sua Legge. E quando i figli vivono nella Legge divina, ne godono i genitori, perché essa insegna virtù, rispetto, amore, ed i primi a goderne dopo Dio sono i fortunati genitori, i coniugi santi che hanno saputo fare del coniugio un rito perpetuo e non un obbrobrioso vizio.


Dice Gesù: Il matrimonio deve essere non scuola di corruzione ma di elevazione.Non siate inferiori ai bruti, i quali non corrompono con inutili lussurie l'azione del generare. Il matrimonio è un sacramento. Come tale è, e deve rimanere, santo per non divenire sacrilego. Ma anche non fosse sacramento, è sempre l'atto più solenne della vita umana i cui frutti vi equiparano quasi al Creatore delle vite, e come tale va almeno contenuto in una sana morale cristiana. Se così non è, diviene delitto e lussuria. Due che si amino santamente, dall'inizio, sono rari, perché troppo corrotta è la società. Ma il matrimonio è elevazione reciproca. Deve esser tale. Il coniuge migliore deve essere fonte di elevazione, né limitarsi ad esser buono, ma adoperarsi perché alla bontà giunga l'altro.
Vi è una frase nel Cantico dei cantici che spiega il potere soave delle virtù: "Attirami a te! Dietro a te correremo all'odore dei tuoi profumi"(Ct 1,3 Volg.)

Spes et laetitia cordis nostri
miserere nobis
AVE MARIA PURISSIMA!

venerdì 12 giugno 2015

ATTENTI ALLA CUNFUSIONE, io direi all'eresia



SINODO/CARD. ANTONELLI: ATTENTI ALLA CONFUSIONE TRA I FEDELI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 11 giugno 2015

Un breve saggio del presidente emerito del Pontificio Consiglio per la famiglia sull’ammissione dei divorziati risposati all’Eucaristia. Chiarezza espositiva, nettezza di concetti su uno dei temi principali del dibattito sinodale. Maggiore accoglienza sì, ma molte controindicazioni a riguardo dell’accesso ai sacramenti senza una penitenza che si incarni in un cambiamento di vita. Il pericolo di banalizzare l’Eucaristia e di indebolire gravemente l’indissolubilità del matrimonio. 

Se il matrimonio cristiano può essere paragonato ad una montagna molto alta che pone gli sposi nell’immediata vicinanza di Dio, bisogna riconoscere che la sua salita richiede molto tempo e molta fatica. Ma sarà questa una ragione per sopprimere o abbassare tale vetta?”: è una riflessione che san Giovanni Paolo II ha offerto alle famiglie africane riunite a Kinshasa il 3 maggio 1980. Una “immagine suggestiva” che il cardinale Ennio Antonelli riprende nel breve saggio “Crisi del Matrimonio& Eucaristia” pubblicato dalle edizioni Ares e in uscita in questi giorni: “Il Papa era solito raccomandare ai pastori della Chiesa di non abbassare la montagna, ma di aiutare i credenti a salirla con il loro passo. Da parte loro i fedeli non devono rinunciare a salire verso la vetta; devono sinceramente cercare il bene e la volontà di Dio”.
L’immagine evocata già sintetizza il messaggio che il porporato umbro vuole proporre non solo ai padri sinodali ma all’intero mondo cattolico: in una società in cui la secolarizzazione “sta mettendo in crisi l’appartenenza di massa alla Chiesa, sarebbe fuorviante inseguire l’appartenenza numerica, mediante il disimpegno formativo e l’apertura indifferenziata, provocando un appiattimento generalizzato verso il basso”.
Il settantanovenne Ennio Antonelli, consacrato vescovo nel 1982 (prima Gubbio, poi Perugia), è stato pastore di Firenze dal 2001 per sette anni; creato cardinale da papa Wojtyla nel 2003, è stato incaricato poi da Benedetto XVI di presiedere il Pontificio Consiglio per la Famiglia dal 2008 al 2012, fino alle dimissioni per ragioni di età. E’ stato segretario generale della Cei dal 1995 al 2001. La sua odierna proposta è scritta – come osserva il cardinale Elio Sgreccia nella prefazione – “con spirito di umiltà e parresia e con uno stile semplice e trasparente”: dunque nessuna verbosità, nessuna fumisteria, nessun contorsionismo nel breve saggio, ma una riflessione sul matrimonio cristiano che, frutto anche dello spessore culturale dell’autore, si dipana senza fronzoli e senza possibili equivoci. Di questi tempi non è poca cosa. Ognuno poi deciderà se accogliere totalmente o parzialmente o non accogliere per nulla le suggestioni dell’autore.
Nove i capitoli in cui si suddivide il testo, incentrato su un argomento preciso, come “contributo di riflessione personale” per il Sinodo di ottobre: “la possibilità di ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati e i conviventi”. Dopo la premessa metodologica Ennio Antonelli ricorda quel che dicono oggi dottrina e disciplina della Chiesa cattolica in materia, un ‘no’ per motivi teologici e pastorali; affronta poi il tema della “perfettibilità della prassi vigente” (“Si potrebbero affidare con maggiore larghezza ai divorziati risposati alcuni compiti ecclesiali finora vietati, almeno quando non lo sconsiglino inderogabili esigenze di esemplarità”); rievoca nel quarto capitolo “le proposte innovative”.
NEL QUINTO CAPITOLO SEI OBIEZIONI CONTRO LA COMUNIONE AI CONVIVENTI IRREGOLARI
Il capitolo successivo è intitolato “Obiezioni contro l’ammissione dei conviventi irregolari all’Eucaristia”. Il cardinale Antonelli riporta in questo che è il capitolo centrale del breve saggio le ragioni che – anche secondo “autorevoli pastori e qualificati esperti” - obstano all’ammissione alla Comunione dei conviventi irregolari. Vediamole da vicino.
La prima è tutta da citare: “Non va sottovalutato il rischio di compromettere la credibilità del Magistero del Papa, che anche recentemente con san Giovanni Paolo II e il suo successore Benedetto XVI ha escluso ripetutamente e fermamente la possibilità di ammettere ai sacramenti i risposati e i conviventi. Con quella del papa, viene indebolita anche l’autorità di tutto l’episcopato cattolico, che per secoli ha condiviso la stessa posizione”. Seconda ragione: “Accoglienza ecclesiale verso i divorziati risposati e più in generale verso i conviventi irregolari non significa necessariamente accoglienza eucaristica”. Del resto “nell’odierno contesto culturale di relativismo c’è il rischio di banalizzare l’Eucaristia e ridurla a un rito di socializzazione. Tanto è vero che “è già successo che persone neppure battezzate si siano accostate alla mensa, pensando di fare un gesto di cortesia, o che persone non credenti abbiano reclamato il diritto di comunicarsi in occasione di nozze e funerali, semplicemente in segno di solidarietà con gli amici”.
Terza ragione: “Si vorrebbe poi concedere l’eucaristia ai divorziati risposati affermando l’indissolubilità del primo matrimonio e non riconoscendo la seconda unione come un vero e proprio matrimonio (in modo da evitare la bigamia)”. Posizione “pericolosa”, osserva l’autore, poiché “conduce logicamente ad ammettere il lecito esercizio della sessualità genitale fuori del matrimonio, anche perché i conviventi sono molto più numerosi dei divorziati risposati”. Quarta ragione: se è vero che “anche le unioni illegittime contengono autentici valori umani (“per esempio l’affetto, l’aiuto reciproco, l’impegno condiviso verso i figli”), è necessario però “evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini”. Qui il cardinale Antonelli cita non a caso un passo famoso della prima Lettera di san Paolo ai Corinzi: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio”. Evidenzia  l’autore che la Chiesa, che pur “si astiene dal giudicare le coscienze, che solo Dio vede”, tuttavia “non deve cessare di insegnare la verità oggettiva del bene e del male”.
Quinta ragione: “L’ammissione dei divorziati risposati e dei conviventi alla mensa eucaristica comporta una separazione tra misericordia e conversione, che non sembra in sintonia con il Vangelo”. In effetti, “questo sarebbe l’unico caso di misericordia senza conversione”. Certo Dio “concede sempre il perdono: ma lo riceve solo chi è umile, si riconosce peccatore e si impegna a cambiar vita”. Al contrario oggi, “il clima di relativismo e soggettivismo etico-religioso (…) favorisce l’autogiustificazione, particolarmente in ambito affettivo e sessuale”, perché “il bene è ciò che si sente come gratificante e rispondente ai propri desideri istintivi”. Certo “è facile attribuire la colpa del fallimento all’altro coniuge e proclamare la propria innocenza”. Ma “non si deve tacere però il fatto che, se la colpa del fallimento può qualche volta essere di uno solo, almeno la responsabilità della nuova unione (illegittima) è di ambedue i conviventi ed è questa soprattutto che, finché perdura, impedisce l’accesso all’Eucaristia”. Insomma: “Non ha fondamento teologico la tendenza a considerare positivamente la seconda unione e a circoscrivere il peccato alla sola precedente separazione. Non basta fare penitenza per questa soltanto. Occorre cambiare vita”.
Sesta e ultima ragione: “Di solito i favorevoli alla comunione eucaristica dei divorziati risposati e dei conviventi affermano che non si mette in discussione l’indissolubilità del matrimonio”. Eppure, “al di là delle loro intenzioni” e “stante l’incoerenza dottrinale tra l’ammissione di queste persone all’Eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio, si finirà per negare nella prassi concreta ciò che si continuerà ad affermare teoricamente in linea di principio”.
CIO’ CHE E’ MALE NON PUO’ DIVENTARE IL BENE ATTUALMENTE POSSIBILE
Nel sesto capitolo il cardinale Antonelli ricorda che per la Chiesa sono distinte “la verità oggettiva del bene morale e la responsabilità soggettiva delle persone”, cioè tra la legge e la coscienza. La Chiesa “riconosce che nella responsabilità personale esiste una legge della gradualità, mentre nella verità del bene e del male non esiste una gradualità della legge”. Ovvero: “Non è graduale l’obbligo di fare il bene, ma è graduale la capacità di farlo”. Evidenzia qui l’autore che “le unioni illegittime sono fatti pubblici e manifesti” e la Chiesa “non può trincerarsi nel silenzio e nella tolleranza”, perché “è costretta a intervenire per disapprovare apertamente tali situazioni oggettive di peccato”. Se la Chiesa “le approvasse quasi fossero il bene che al momento è possibile” per le persone implicate, “devierebbe dalla legge della gradualità alla gradualità della legge, condannata da san Giovanni Paolo II”. In sintesi: “Ciò che è male non può diventare il bene attualmente possibile”.
Nel capitolo seguente, il settimo, il porporato umbro ripercorre la storia dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale, dai Vangeli ai Concili ecumenici ai pronunciamenti più recenti, in particolare di papa Wojtyla nel discorso del 21 gennaio 2000 al Tribunale della Rota Romana. La conclusione è una sola: “L’indissolubilità assoluta del matrimonio sacramentale rato e consumato, sebbene non sia stata proclamata con una formale definizione dogmatica, tuttavia è insegnata dal Magistero ordinario, anch’esso infallibile, appartiene alla fede della Chiesa e perciò i cattolici non possono metterla in discussione”.
Nell’ottavo capitolo il cardinale Antonelli annota che nella visione del Concilio ecumenico vaticano II  (Gaudium et Spes, 48) “il matrimonio non è riconducibile a un contratto giuridico; ma non è riconducibile neppure a una sintonia affettiva, spontanea e senza legami”. Esso è invece “chiaramente delineato come una forma di vita comune plasmata dall’amore coniugale, che per natura sua è ordinato alla procreazione e all’educazione della prole e perciò comporta l’intimità sessuale, la donazione reciproca totalizzante, fedele e indissolubile”. Sono proprio “l’apertura ai figli e l’intimità sessuale che caratterizzano l’amore coniugale rispetto a ogni altro amore”.
Giungiamo quindi al capitolo finale, con le cui citazioni abbiamo aperto la recensione di un testo chiaro, ben argomentato, che merita tanti lettori, pur se non tutti condivideranno la tesi dell’autore. Il saggio appare in traduzione spagnola e inglese sul sito del Pontificio Consiglio per la famiglia (www.familia.va

mercoledì 10 giugno 2015

FEDE E CULTURA DI FRONTE AL MATRIMONIO





FEDE E CULTURA DI FRONTE AL MATRIMONIO

di Carlo Caffarra


Credo necessario fare una chiarificazione dei termini, così da poter indicare con rigore concettuale qual è esattamente il tema della mia riflessione.

Fede: intendo la "fides quae" circa il matrimonio. È sinonimo di “Vangelo del matrimonio” sia nel senso oggettivo: ciò che il Vangelo propone circa il matrimonio; sia nel senso soggettivo: il Vangelo, la buona notizia che è il matrimonio. È da sottolineare che non rifletterò sulla dottrina di fede circa il matrimonio considerata in sé per sé, ma in quanto è comunicata in un preciso ambito culturale, quello occidentale. In breve: rifletterò sulla comunicazione della proposta cristiana circa il matrimonio dentro alla cultura occidentale.

E passo al secondo termine: cultura. Con esso intendo la visione condivisa del matrimonio oggi in Occidente. Per visione intendo il modo di pensare il matrimonio, che soprattutto si esprime negli ordinamenti giuridici degli Stati e nelle dichiarazione degli organismi internazionali.

Ed entro in argomento, scandendo la mia riflessione in tre tempi.

Nel primo cercherò di disegnare uno schizzo della condizione culturale in cui oggi versa il matrimonio in Occidente.

Nel secondo cercherò di individuare i problemi fondamentali che questa condizione culturale pone alla proposta cristiana riguardante il matrimonio.

Nel terzo indicherò alcune modalità fondamentali con cui il Vangelo del matrimonio oggi deve proporsi.


1. Condizione del matrimonio


"Rari nantes in gurgite vasto". Il famoso verso di Virgilio fotografa perfettamente la condizione del matrimonio in Occidente. L’edificio del matrimonio non è stato distrutto; è stato decostruito, smontato prezzo per pezzo. Alla fine abbiamo tutti i pezzi, ma non c’è più l’edificio.

Esistono ancora tutte le categorie che costituiscono l’istituzione matrimoniale: coniugalità; paternità-maternità; filiazione-fraternità. Ma esse non hanno più un significato univoco.

Perché e come è potuta accadere questa decostruzione? Cominciando a scendere in profondità, constatiamo che è in opera una istituzionalizzazione del matrimonio che prescinde dalla determinazione biosessuale della persona. Diventa sempre più pensabile il matrimonio separandolo totalmente dalla sessualità propria di ciascuno dei due coniugi. Questa separazione è giunta perfino a coinvolgere anche la categoria della paternità-maternità.

La conseguenza più importante di questa debiologizzazione del matrimonio è la sua riduzione a mera emozione privata, senza una rilevanza pubblica fondamentale.

Il processo che ha portato alla separazione dell’istituto matrimoniale dall’identità sessuale dei coniugi, è stato lungo e complesso.


- Il primo momento è costituito dal modo di pensare il rapporto della persona col proprio corpo, un tema che ha sempre accompagnato il pensiero cristiano. Mi sia consentito descrivere come sono andate le cose attraverso una metafora.

Ci sono dei cibi che ingeriti possono essere metabolizzati senza creare problemi né immediati, né remoti; né causano indigestioni, né aumentano il colesterolo. Ci sono cibi che ingeriti sono di difficile digestione. Ci so no infine cibi che per l’organismo sono dannosi, anche a lungo termine.

Il pensiero cristiano ha ingerito la visione platonica e neoplatonica dell’uomo, ed una tale decisione ha creato gravi problemi di “metabolismo”. Come amavano esprimersi i teologi medievali, il vino della fede rischiava di trasformarsi nell’acqua di Platone, anziché l’acqua di Platone nel vino della fede.

Agostino vide molto chiaramente e profondamente che la difficoltà stava nella "humanitas-humilitas Verbi", nel suo essersi fatto carne, corpo.

La difficoltà propriamente teologica non poteva non divenire anche difficoltà antropologica riguardante precisamente i l rapporto persona-corpo. La grande tesi di san Tommaso che affermava l’unità sostanziale della persona non è risultata vincente.


- Secondo momento. La separazione del corpo dalla persona trova un nuovo impulso nella metodologia propria della scienza moderna, la quale bandisce dal suo oggetto di studio ogni riferimento alla soggettività, in quanto grandezza non misurabile. Il percorso della separazione del corpo dalla persona può dirsi sostanzialmente concluso: la riduzione, la trasformazione del corpo in puro oggetto.

Da una parte il dato biologico viene progressivamente espulso dalla definizione di matrimonio, dall’altra, e di conseguenza in ordine alla definizione di matrimonio, le categorie di una soggettività ridotta a pura emotività diventano centrali.

Mi fermo un poco su questo. Prima della svolta debiologizzante, in sostanza il “genoma” del matrimonio e famiglia era costituito dalla relazione fra due relazioni: la relazione di reciprocità (la coniugalità) e la relazione intergenerazionale (la genitorialità). Tutte e tre le relazioni erano intrapersonali: erano pensate come relazioni radicate nella persona. Esse non si riducevano certamente al dato biologico, ma il dato biologico veniva assunto ed integrato dentro la totalità della persona. Il corpo è un corpo-persona e la persona è una persona-corpo.

Ora la coniugalità può essere sia etero che omosessuale; la genitorialità può essere ottenuta da un procedimento tecnico. Come giustamente ha dimostrato Pier Paolo Donati, stiamo assistendo non ad un cambiamento morfologico, ma ad un cambiamento del genoma della famiglia e del matrimonio.


2. Problemi posti al Vangelo del matrimonio


In questo secondo punto vorrei individuare i problemi fondamentali che questa condizione culturale pone alla proposta cristiana del matrimonio.

Penso che non si tratti in primo luogo di un problema etico, di condotte umane. La condizione in cui versa oggi il matrimonio e la famiglia non può essere affrontata in primo luogo con esortazioni morali. È una questione radicalmente antropologica quella che viene posta all’annuncio del Vangelo del matrimonio. Vorrei ora precisare in che senso.


- La prima dimensione della questione antropologica è la seguente. È noto che secondo la dottrina cattolica il matrimonio sacramento coincide col matrimonio naturale . La coincidenza fra i due penso che non si possa più oggi mettere teologicamente in dubbio, anche se con e dopo Duns Scoto – il primo a negarla – si è lungamente discusso nella Chiesa latina al riguardo.

Ora ciò che la Chiesa intendeva ed intende per “matrimonio naturale” è stato demolito nella cultura contemporanea. È stata tolta la “materia”, mi sia consentito dire, al sacramento del matrimonio.

Giustamente teologi, canonisti, e pastori si stanno interrogando sul rapporto fede-sacramento del matrimonio. Ma esiste un problema più radicale. Chi chiede di sposarsi sacramentalmente, è capace di sposarsi naturalmente? Oppure: non la sua fede, ma la sua umanità è così devastata da non essere più in grado di sposarsi? Sono certamente da tenere presenti i canoni 1096 ("È necessario che i contraenti non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tra l'uomo e la donna, ordinata alla procreazione") e 1099. Tuttavia la "praesumptio iuris" del § 2 del canone 1096 ("Tale ignoranza non si presume dopo la pubertà") non deve essere un’occasione di disimpegno nei confronti della condizione spirituale in cui molti versano in ordine al matrimonio naturale.


- La questione antropologica ha una seconda dimensione. Essa consiste nell’incapacità di percepire la verità e quindi la preziosità della sessualità umana. Mi sembra che Agostino abbia descritto nel modo più preciso questa condizione: "Sommerso ed accecato come ero, non ero capace di pensare alla luce della verità e ad una bellezza che meritasse di essere amata per se stessa che non fosse visibile agli occhi della carne, ma nell’interiorità" (Confessioni VI 16, 26).

La Chiesa deve chiedersi perché ha di fatto ignorato il magistero di san Giovanni Paolo II sulla sessualità e l’amore umano. Dobbiamo chiederci anche: la Chiesa possiede una grande scuola in cui impara la profonda verità del corpo-persona: la liturgia. Come e perché non ha saputo farne tesoro anche in ordine alla domanda antropologica di cui stiamo parlando? Fino a che punto la Chiesa ha coscienza del fatto che la teoria del "gender" è un vero tsunami, che non ha di mira principalmente il comportamento degli individui, ma la distruzione totale del matrimonio e della famiglia?

In sintesi: il secondo problema fondamentale che si pone oggi alla proposta cristiana del matrimonio è la ricostruzione di una teologia e filosofia del corpo e della sessualità, che generino un nuovo impegno educativo in tutta la Chiesa.


- La questione antropologica posta dalla condizione in cui versa il matrimonio alla proposta cristiana dello stesso ha una terza dimensione: la più grave.

Il collasso della ragione nella sua tensione verso la verità di cui parla l'enciclica "Fides et ratio" (81-83) ha trascinato con sé anche la volontà e la libertà della persona. L’impoverimento della ragione ha generato l’impoverimento della libertà. In conseguenza del fatto che disperiamo della nostra capacità di conoscere una verità totale e definitiva, noi abbiamo difficoltà a credere che la persona umana possa realmente donare se stessa in modo totale e definitivo, e ricevere l’autodonazione totale e definitiva di un altro.

L’annuncio del Vangelo del matrimonio ha a che fare con una persona la cui volontà e libertà è privata dalla sua consistenza ontologica. Nasce da questa inconsistenza l’incapacità oggi della persona di pensare l’indissolubilità del matrimonio se non in termini di una legge "exterius data": una grandezza inversamente proporzionale alla grandezza della libertà. È questa una questione molto seria anche nella Chiesa.

Il passaggio negli ordinamenti giuridici civili dal divorzio per colpa al divorzio per consenso, istituzionalizza la condizione in cui oggi versa la persona nell’esercizio della sua libertà.


- Con quest'ultima constatazione siamo entrati nella quarta ed ultima dimensione della questione antropologica posta all’annuncio del Vangelo del matrimonio: la logica interna propria de gli ordinamenti giuridici degli Stati riguardo a matrimonio e famiglia. Non tanto il "quid juris", ma il "quid jus", direbbe Kant. Sulla questione in generale, Benedetto XVI ha espresso il magistero della Chiesa in uno dei suoi discorsi fondamentali, quello tenuto davanti al parlamento della repubblica federale tedesca a Berlino il 22 settembre 2011.

Gli ordinamenti giuridici sono andati progressivamente sradicando il diritto di famiglia dalla natura della persona umana. È una sorta di tirannia dell’artificialità che si va imponendo, riducendo la legittimità alla procedura.

Ho parlato di “tirannia dell’artificialità”. Prendiamo il caso del la attribuzione della coniugalità alla convivenza omosessuale. Mentre gli ordinamenti giuridici, fino ad ora, partendo dal presupposto della naturale capacità di contrarre matrimonio fra uomo e donna, si limitavano a determinare gli impedimenti all’esercizio di questa naturale capacità o la forma in cui doveva esercitarsi, le leggi attuali di equiparazione si attribuiscono l’autorità di creare la capacità di esercitare il diritto di sposarsi. La legge si arroga l’autorità di rendere artificialmente possibile ciò che naturalmente non lo è.

Sarebbe un grave errore il pensare – e agire di conseguenza – che il matrimonio civile non interessi il Vangelo del matrimonio, al quale interesserebbe solo il sacramento del matrimonio. Abbandonare il matrimonio civile alle derive delle società liberali.


3. Modalità dell’annuncio 


Vorrei ora in questo terzo ed ultimo punto indicare alcune modalità in cui la proposta cristiana del matrimonio non deve essere fatta, ed alcune modalità in cui può essere fatta.

Vi sono tre modalità che vanno evitate.

La modalità tradizionalista, la quale confonde una particolare forma di essere famiglia con la famiglia ed il matrimonio come tale.

La modalità catacombale, la quale sceglie di ritornare o rimanere nelle catacombe. Concretamente: bastano le virtù “private degli sposi”; è meglio lasciare che il matrimonio, dal punto di vista istituzionale, sia definito da ciò che la società liberale decide.

La modalità buonista, la quale ritiene che la cultura di cui ho parlato sopra sia un processo storico inarrestabile. Propone di venire, quindi, a compromessi con esso, salvando ciò che in esso sembra essere riconoscibile come buono.

Non ho ora il tempo per riflettere più a lungo su ciascuna di queste tre modalità, e passo quindi all’indicazione di alcune modalità positive.

Parto da una constatazione. La ricostruzione della visione cristiana del matrimonio nella coscienza dei singoli e nella cultura dell’Occidente è da pensarsi come un processo lungo e difficile. Quando una pandemia si abbatte su un popolo, la prima urgenza è sicuramente curare chi è stato colpito, ma è anche necessario eliminare le cause.

La prima necessità è la riscoperta delle evidenze originarie riguardanti il matrimonio e la famiglia. Togliere dagli occhi del cuore la cataratta delle ideologie, le quali ci impediscono di vedere la realtà. È la pedagogia socratico-agostiniana del maestro interiore, non semplicemente del consenso. Cioè: recuperare quel “conosci te stesso” che ha accompagnato il cammino spirituale dell’Occidente.

Le evidenze originarie sono inscritte nella stessa natura della persona umana. La verità del matrimonio non è una "lex exterius data", ma una "veritas indita".

La seconda necessità è la riscoperta della coincidenza del matrimonio naturale col matrimonio-sacramento. La separazione fra i due finisce da una parte col pensare la sacramentalità come qualcosa di aggiunto, di estrinseco, e dall’altra parte rischia di abbandonare l’istituto matrimoniale a quella tirannia dell’artificiale di cui parlavo.

La terza necessità è la ripresa della “teologia del corpo” presente nel magistero del Beato Giovanni Paolo II. Il pedagogo cristiano si trova oggi ad aver bisogno di un lavoro teologico e filosofico che non può più essere rimandato, o limitato ad una particolare istituzione.

Ho indicato tre processi più che tre interventi di urgenza.

Sono anch’io, alla fine, del parere di George Weigel che alla base delle discussioni del sinodo è il rapporto che la Chiesa vuole avere con la postmodernità, nella quale i relitti della decostruzione del matrimonio sono la realtà più drammatica ed inequivocabile.

__________


Nel citare George Weigel, il cardinale Caffarra si è riferito in particolare al seguente saggio, pubblicato lo scorso gennaio su "First Things":

> Between Two Synods. An Analysis of the Challenge of This Particular Catholic Moment

> Traduzione italiana

venerdì 29 maggio 2015

venerdì 30 gennaio 2015

Matrimonio e magistero perenne della Chiesa



Pio XI, Enciclica Casti Connubi del 31 dicembre 1930.




“Non vi può esser ragione alcuna, sia pur gravissima, che valga a rendere conforme a natura ed onesto ciò che è intrinsecamente contro natura. E poiché l’atto del coniugio è, di sua propria natura, diretto alla generazione della prole, coloro che nell’usarne lo rendono studiosamente incapace di questo effetto, operano contro natura, e compiono un’azione turpe e intrinsecamente disonesta”.

“La Chiesa Cattolica, cui lo stesso Dio affidò il mandato di insegnare e difendere la purità e la onestà dei costumi, considerando l’esistenza di tanta corruttela di costumi, al fine di preservare la castità del consorzio nuziale da tanta turpitudine, proclama altamente, per mezzo della Nostra parola, in segno della sua divina missione, e nuovamente sentenzia che qualsivoglia uso del matrimonio, in cui per la umana malizia l’atto sia destituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura, e che coloro che osino commettere tali azioni, si rendono rei di colpa grave”.

“Se qualche confessore o pastore delle anime, che Dio non lo permetta, inducesse egli stesso in simili errori i fedeli a lui commessi, o, se non altro, ve li confermasse, sia con approvarli, sia colpevolmente tacendo, sappia di dovere rendere severo conto a Dio, Giudice Supremo, del tradito suo ufficio, e stimi a sé rivolte le parole di Cristo: « Sono ciechi, e guide di ciechi: e se il cieco al cieco fa da guida, l’uno e l’altro cadranno nella fossa ».




Paolo VI, Humanae Vitae, 25 luglio 1968

“Un atto di amore reciproco, che pregiudichi la disponibilità a trasmettere la vita che Dio creatore di tutte le cose secondo particolari leggi vi ha immesso, è in contraddizione sia con il disegno divino, a norma del quale è costituito il coniugio, sia con il volere dell’Autore della vita umana. Usare di questo dono divino distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità è contraddire alla natura dell’uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua santa volontà”.

“In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato,e soprattutto l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. 


È parimenti da condannare, come il magistero della chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. 




Né, a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente infecondi, si possono invocare, come valide ragioni: che bisogna scegliere quel male che sembri meno grave o il fatto che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale. 


In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale al fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali. È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda”.

domenica 14 dicembre 2014

Divagazioni evangeliche su dottrina e pastorale


Abbiamo già accennato altrove [qui] alla presunta divisione fra dottrina e pastorale in nome della quale si sono giustificati ovunque i peggiori abusi. L’occasione di parlare di questo argomento ci è stata fornita dal recente sinodo dei Vescovi, in cui alcuni “pastori”, in nome di questo mantra post conciliare, pretendevano introdurre novità pratiche di una certa rilevanza, a loro dire “senza mutare la dottrina”.

La cosa, grazie a Dio, almeno per ora, s’è infranta sugli scogli di una opposizione trasversale di numerosi altri pastori più attenti dei primi al dettato evangelico. Tuttavia, il pericolo non è affatto scampato, ma solo rimandato di un anno, al prossimo sinodo. Per questo crediamo importante continuare l’approfondimento del tema, onde offrire a tutti i fedeli alcuni sicuri punti fermi cui aggrapparsi in giorni di grande confusione come quelli che stiamo vivendo, punti fermi oseremmo dire “irremovibili” perché posti sullo stesso fondamento che è Cristo e, come ci ricorda san Paolo, nessuno può porre un fondamento diverso (Cf 1Cor 3, 11).

E dove lo troviamo Cristo? Lo troviamo nella Sacra Scrittura: l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo (san Girolamo). Ma la Scrittura, come dice san Pietro, «non è soggetta a privata interpretazione» (2Pt 1, 20), bensì deve essere letta nello Spirito in cui è stata scritta. Dunque, la Scrittura va letta nel modo in cui è stata letta dai Santi e dal costante Magistero della Chiesa in 2000 anni di storia. Impariamo dai Santi: in ogni tempo essi hanno accolto la Scrittura con semplicità e Fede, come i bambini che semplicemente credono a quel che viene detto loro dai genitori. Il dubbio metodico e il metodo storico-critico saranno anche “scientifici”, ma fanno perdere lo spirito evangelico e spesso la fede stessa. Lo stesso Gesù sembra metterci in guardia da troppa “scientificità” quando dice: «chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino non entrerà in esso» (Mc 10, 15). 

Per comprendere quanto sia realmente importante rimanere ancorati fedelmente al dettato evangelico è utile meditare quei famosi versi del Vangelo di Giovanni in cui Gesù dice: «se rimanete fedeli alla mia parola sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32). 

Siamo qui in presenza di un interessante collegamento posto da Gesù stesso tra la “verità”, che è su un livello speculativo, e “libertà”, che è su un livello pratico. È la “verità” che ci rende liberi: non può esserci vera libertà senza verità e san Paolo specifica che bisogna vivere «secondo la verità, nella carità» (Ef 4, 15). Un agire al di fuori della verità, non è un agire libero, bensì costretto: vuoi dal peccato, vuoi dalle convenzioni sociali, vuoi dalle pressioni ambientali.

Dobbiamo quindi acquisire la “libertà dei figli di Dio”, e per farlo Gesù stesso ci dice che dobbiamo rimanere fedeli alla sua parola, per conoscere la verità che ci renderà liberi. L’effetto pratico che ricerchiamo, la libertà, ha una causa speculativa, ossia la conoscenza della verità. A sua volta, la conoscenza della verità è originata dalla fedeltà alla parola di Gesù. Lineare e semplice, forse troppo per alcuni che «sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4, 14) preferiscono seguire le idee contorte dei falsi dottori dei nostri tempi, piuttosto che le parole semplici del Salvatore.
Questa citazione paolina ci offre lo spunto per approfondire un poco il concetto di "dottrina", che secondo alcuni [qui] potrebbe addirittura essere percepita come "una clava che giudica".

Il termine dottrina è in sé neutro, ossia può essere caricato di significato sia negativo che positivo. Infatti, tale termine indica genericamente un insegnamento organico, un insieme di principi e/o nozioni tra loro collegate, senza per questo darne un giudizio di valore. In tal senso, quando parliamo di dottrina cattolica, ci riferiamo all’insegnamento che Cristo ha trasmesso ai suoi apostoli e consegnato alla sua Chiesa nei Vangeli, creduto dai Santi Padri e trasmesso sino a noi dalla Santa Chiesa: insegnamento che dobbiamo seguire fedelmente se vogliamo conoscere la verità e se vogliamo essere liberi e salvi. Infatti, la verità donataci da Cristo è una verità salvifica, presupposto della libertà e della vita eterna: «chi crederà sarà salvo» (Mc 16, 16). Dunque, si può ben capire come la fedele trasmissione di questo insegnamento, di questa dottrina, sia letteralmente di “vitale” importanza. Per gli appassionati del Concilio Vaticano II, esso insegna autorevolmente nella Costituzione DogmaticaDei Verbum, che «i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture» (n. 11).

Quanto sopra premesso, dobbiamo affermare che è semplicemente falso e capzioso creare una presunta contrapposizione o separazione fra dottrina e pastorale, pretendendo di operare una prassi dissociata dalla verità: in nome di una finta misericordia si finisce per mettere tra parentesi o accantonare l’insegnamento di Cristo. Dico che è finta misericordia perché quelle verità che vengono taciute o accantonate, in nome della misericordia stessa, sono verità liberatorie e salvifiche, verità da cui dipende la libertà e la salvezza delle anime che hanno tutto il diritto di sentirsele predicare, così come d'altro canto i pastori hanno il dovere di predicarle. Tutto ciò è semplicemente diabolico.

Una pastorale che non sia ancorata saldamente nella verità rivelata non conduce alla libertà e non porta alla salvezza. 
Inoltre, un’azione umana, proprio in quanto umana, è per ciò stesso razionale. Tanto più un “piano pastorale” non può non avere a monte idee e dei principi che, se non sono quelli della dottrina cattolica divinamente rivelata, saranno inevitabilmente altri.
Per comprender meglio quanto l’agire umano dipenda effettivamente da una dottrina che lo precede, ricorriamo ancora una volta al Vangelo.

Poco dopo la seconda moltiplicazione dei pani, Gesù ammonisce i suoi apostoli dicendo loro: «fate bene attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei» (Mt 16, 6). Questi non capirono subito cosa volesse dire il Maestro, ma infine compresero che il lievito dai farisei, da cui si dovevano guardare era la loro dottrina. (Mt 16, 12).
Questo passo è particolarmente importante perché Gesù parla di una dottrina come di un lievito. Il lievito è il principio attivo della fermentazione della pasta. L’azione della fermentazione dipende dal lievito che, in un certo senso, "anima" la pasta.

Inoltre, quando il lievito è amalgamato alla pasta e questa è fermentata, umanamente è impossibile separarlo. Per questo Gesù dice di “fare bene attenzione e di guardarsi” da dalla dottrina farisaica, che è un insegnamento umano e che, se accolto senza discernimento, diviene principio di un agire non secondo Dio, ma secondo gli uomini. Questa ammonizione di Gesù, deve farci ancora di più comprendere, quanto sia vitale non lasciarsi inquinare l’anima da ogni vento di dottrina umana. 

San Paolo dice che «verrà il giorno – e dico io che sembra che sia arrivato – in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole» (2Tm 4, 4-5). 

E ancora altrove, in modo altrettanto profetico quanto categorico scrive che: «lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti dall’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza. Costoro vieteranno il matrimonio» (1Tm 4, 1-3). 

Io non so se adesso sono gli ultimi tempi, quello che so è che questo brano della prima lettera a Timoteo mette i brividi per quanto è attuale: parla di ipocriti “impostori” che come prima cosa attaccheranno il matrimonio vietandolo. Non siamo arrivati a tanto, grazie a Dio, ma ciascuno può giudicare da sé quanto queste parole di san Paolo risultino drammaticamente vere soprattutto in questi giorni in cui il matrimonio è attaccato come mai prima d’ora.
Chi ha orecchi per intendere.

AMDG