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domenica 15 marzo 2015

15. INTERVISTA AD ALESSANDRO GNOCCHI



4- Il valore della Tradizione: molti preti, chiamiamoli modernisti, sembra non vogliano riconoscere adeguatamente il valore della Tradizione, ma il loro obiettivo,dicono, è quello di costruire una Chiesa, al passo coi tempi, e quindi di uscire dagli schemi, spesso ideologici, che portano la Chiesa a conservare il passato per difendersi dal presente…Qual è la sua risposta?
Basta vedere il risultato: quando si parla della crisi della chiesa facciamo riferimento a questa ideologia che rappresenta la cultura comune del sacerdote di oggi; cioè ordinariamente il sacerdote cattolico di oggi ha questa concezione della Chiesa.
Ma preti del genere non sono cattolici!
San Tommaso diceva che basta non credere in una delle verità cattoliche per non essere cattolico, cioè in un solo elemento della dottrina cattolica per non esserlo: immaginiamo come è conciata la Chiesa di oggi. Io ho un amico salesiano (costretto a migrare per tutto il nord Italia perché non si adegua ad una serie di “cose”) il quale mi confidava che a Venezia c’era il Superiore della sua casa che gli nascondeva il crocefisso per non farglielo usare durante la Messa, per impedirgli di porlo sull’altare; oppure che il Superiore usava le candele nere sull’altare…questi sono esempi di ciò che sta accadendo nella Chiesa.
Di alcuni accadimenti non abbiamo mai dato forma pubblica perché sono veramente gravi (alcuni addirittura demoniaci) e, se non è possibile intervenire per farli cessare, è bene non denunciarli in quanto si finirebbe soltanto per scandalizzare e inquietare inutilmente le persone… Io ho risposto a quell’amico salesiano: “noi e loro appartiamo a due religioni diverse”. Ormai non formalmente ma nella pratica io, con chi sostiene che “bisogna costruire una Chiesa al passo coi tempi, e quindi uscire dagli schemi, spesso ideologici, che portano la Chiesa a conservare il passato per difendersi dal presente”, non ho niente a che fare: apparteniamo a due religioni diverse, a due chiese diverse, a due dottrine diverse, a due punti di vista diversi.
”Lo sai” mi a detto quel frate “io ho sofferto per anni e anni perché non riuscivo a capire come mai i miei confratelli mi aggredissero…adesso che ho metabolizzato tali comportamenti ho capito e mi sono messo il cuore in pace. Ora capisco il  motivo per cui mi aggrediscono nonostante siamo tutti salesiani, nonostante siamo nella stessa casa, e dovremmo lavorare, pensavo, per la stessa causa: apparteniamo a due chiese diverse!”.
Il suo Superiore gli impediva persino di celebrare tutti i giorni la Messa all’oratorio estivo, salesiano! Cioè i salesiani, che hanno come scopo ultimo la formazione cattolica dei giovani, gli impedivano di celebrare la Messa!
Quando il suo Superiore ha visto nel volantino dell’oratorio estivo il programma delle messe, l’ha chiamato e l’ha redarguito. Irritato e in piena collera gli diceva:  “ma cosa vuoi fare, vuoi farli diventare santi?” …In realtà quello dovrebbe essere l’obiettivo!... Siamo a questi livelli, lo capite?
Vi assicuro di sacerdoti e vescovi che al solo nominare la messa tradizionale si trasformano, persino fisicamente: tutto ciò è veramente inquietante; ragion per cui io non credo di appartenere alla stessa Chiesa a cui appartengono loro.
Mons. Crepaldi, arcivescovo di Trieste, ha parlato espressamente dell’esistenza di due chiese, ed è proprio così. Ma questa cosa sembra non si possa dire perché in realtà comanda quella chiesa che c’è all’interno della Chiesa. I componenti di questa chiesa eretica, ed è un fatto unico, sono riusciti a mettere in pratica ciò a cui hanno mirato di realizzare la maggior parte delle eresie nascenti da quando esiste la Chiesa: fino a ora è successo che in qualche modo queste eresie avevano sempre dovuto creare delle chiese al di fuori della Chiesa (i protestanti, gli ariani, i vari scismi); per la prima volta ora ci troviamo di fronte qualcuno che ha fatto una chiesa all’interno della Chiesa, con l’idea di farne una più bella. Se andiamo a ritroso nel tempo e guardiamo quanto accaduto nel 900 e tutto quello che ha preparato la venuta del Vaticano II, emerge con chiarezza il tentativo di affossare in modo definitivo quella Chiesa ritenuta cattiva che era la Chiesa preconciliare.
Per cui è chiaro che il concetto di Tradizione è quanto di più gli possa essere alieno, perché loro nascono per cancellare il passato, così come è curioso notare che tutte le dittature nascono per cancellare il passato. Non possono vivere se c’è un legame col passato.
La crisi dentro al mondo cristiano nasce nel rinascimento, e tutto poi trova compimento in Lutero che è il paradigma della rivoluzione sebbene non sia riuscito a creare la chiesa dentro la Chiesa come invece è stato fatto adesso.
Ora, va detto che qui ci sono gradi diversi di consapevolezza e quindi gradi diversi di responsabilità: si trovano anche sacerdoti che pensano in siffatto modo perché sono stati formati in siffatto modo. Però quelli che hanno un minimo di vocazione vera, soprattutto quelli più giovani (perché la generazione tra i 50/55 in su è persa, completamente persa perché è quella che ha fatto il cambiamento), cominciano a riflettere e notare alcune cose…
Quando passerà tutto questo? Ci vorrà qualche generazione, se non c’è un intervento provvidenziale. Il problema va indirizzato nella formazione fatta in questo modo eretico nei seminari (per fortuna non in tutti). Ci sono persino seminaristi che vengono allontanati perché ritenuti non in linea con quanto si insegna in seminario. Una volta ho incontrato due ragazzi di Cagliari, usciti dal seminario, perché si era ritenuto segno che non avessero la vocazione il fatto che si inginocchiassero alla consacrazione! A Bergamo ci sono due giovani che sono andati al seminario di Albenga in quanto ritenuti dal seminario bergamasco non idonei (uno frequentava anche la messa tradizionale, immaginatevi!)…da quando è stata liberalizzata la Messa in rito antico, su 100 persone che frequentano la Messa tradizionale, ci sono state già tre vocazioni mentre quest’anno nel seminario di Bergamo sono entrate soltanto tre nuove persone. Quindi il rapporto è 3 a 3. Una diocesi intera contro 100 persone che vanno alla Messa tradizionale! 
Da questo si evince, e ne sono assolutamente convinto, che il calo di queste vocazioni sia un segno della Provvidenza perché quei seminaristi nascono, forse, anche buoni, ma vengono formati per autodistruggersi e per distruggere il sacerdozio. È chiaro che arriveremo anche al punto in cui ci sarà un sacerdote per 20 parrocchie, però sarà un sacerdote cattolico? Ebbene, piuttosto che avere 20 sacerdoti protestanti è meglio averne uno solo, ma cattolico. La situazione può ordinariamente soltanto peggiorare, ancora adesso, anche se, girando l’Italia, da quando è diventato Papa Benedetto XVI, qualche segno, anche timido, di risveglio c’è.


5- Molti fedeli, per semplice ignoranza o perché assuefatti dalla mentalità progressista, contestano il valore della messa col rito antico, poiché il latino, ad esempio,  impedirebbe di comprendere quanto accade in quella celebrazione. Qual è quella specialità che in realtà contraddistingue proprio la messa in latino?
Intanto, punto primo,  basterebbe andare in una Messa qualsiasi col rito nuovo, prendere una persona qualsiasi e chiederle: adesso cosa sta succedendo? Non saprebbe rispondere.
Secondo, la Messa non è una conferenza, bensì un atto di adorazione. Per quanto riguarda la lingua quindi, se non si comprende tutto, non è un problema (ci sono anche i libretti con la traduzione, quindi anche in questo caso il problema non sussiste). 
Terzo, l’utilizzo della lingua latina realizza un senso sacrale e immutabile a quello che viene fatto, cosa che la lingua vernacolare non offre;  prova ne è che le traduzioni in lingua vernacolare continuano ad essere cambiate: se fosse vero che la traduzione in lingua vernacolare è la panacea di tutti i mali, dovremmo avere le chiese piene, in realtà le chiese si sono svuotate.
Quarto, ed è l’altra obiezione che mi manda su tutte le furie, è l’ammonimento di non recitare il rosario durante la celebrazione. Mia nonna andava alla Messa in latino e invece di seguirla recitava il rosario; io personalmente durante la Messa dico una corona del rosario, e purtroppo non ho la fede di mia nonna e di quelle nonnine del suo tempo. Sputare sulla fede di quelle donne che andavano a Messa alle 4 di mattina, in genere tutti i giorni, che recitavano il latino storpiato, che tornavano a casa e forse le prendevano persino dal marito, significa sputare sulla fede, perché tutto ciò che facevano in quella vita dura e di sacrificio era sorretto dalla fede… nella - Mediator Dei- c’è un punto (90) dove PIO XII spiega che non solo è possibile ma è bene dire il rosario durante la Messa: “…chi dunque potrà dire spinto da tale preconcetto -(cioè il fatto che non si deve pregare durante la messa)- che tanti cristiani non possano partecipare al principio eucaristico e goderne i benefici? Questi possono certamente farlo in altra maniera che ad alcuni riesce più facile; come, per esempio, meditando piamente i misteri di Gesù Cristo, o compiendo esercizi di pietà e facendo altre preghiere che, pur differenti nella forma dai sacri riti, ad essi tuttavia corrispondono per la loro natura”. Io seguo anche le preghiere del sacerdote, le cosiddette segrete, che sono di una bellezza straordinaria e assoluta: la Messa antica è tutto un salmo! E se recito poi il rosario partecipo di più alla Messa.

AMDG et BVM

giovedì 5 marzo 2015

ALLA RADICE

L’ultima puntata della rubrica “Fuori moda” ha suscitato un buon numero di interventi sul tema della Messa, solo accennato nella risposta al signor Astolfi. Questo è un buon segno perché dimostra che i lettori hanno colto il problema dei problemi, la radice alla quale chiunque affronti sinceramente la crisi della Chiesa deve arrivare.
di Alessandro Gnocchi
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zzsmvoA questo proposito vorrei prendere un po’ di spazio, e molta della vostra pazienza, perché ritengo necessario fornire gli elementi fondamentali a una riflessione compiuta, che non possono essere lasciati a una semplice osservazione inserita in uno scritto colloquiale.
L’osservazione, che riporto dalla mia risposta al signor Astolfi, è la seguente: “la  rinascita della fede cattolica passa solo attraverso la restaurazione della liturgia cattolica, che non è quella inventata a tavolino da Annibale Bugnini e promulgata da papa Paolo VI, ma quella che ci è stata consegnata da secoli e secoli di tradizione. Mi rendo conto che non è sempre facile trovare una Messa in rito antico, ma, quando è possibile, conviene sforzarsi di farlo anche a costo di macinare chilometri a fatica: ne va della gloria che dobbiamo tributare a Dio e della salvezza della nostra anima”.
A questo punto, procederei in modo schematico precisando “quello che non ho detto”, “quello che ho detto”, “quello che un semplice laico può dire a chi chiede un parere”. Poi, per dare sostanza a queste precisazioni, riporto una lunga sezione del capitolo sulla riforma liturgica di Paolo VI che avevo scritto per “La Bella addormentata”, il libro sulla crisi generata dal Vaticano II, pubblicato con Mario Palmaro.
Quello che non ho detto. Non ho detto che la Messa Novus Ordo, la Messa nuova, non è valida. Non ho detto che chi partecipa alla Messa Novus Ordo non assolve il precetto festivo. Non ho suggerito se e come surrogare la mancata partecipazione alla Messa Vetus Ordo, la Messa tradizionale. La frase della risposta al signor Astolfi mi pare chiara e non ha bisogno di modifiche, dunque la riporto così com’è: “Mi rendo conto che non è sempre facile trovare una Messa in rito antico, ma, quando è possibile, conviene sforzarsi di farlo anche a costo di macinare chilometri e fatica”.
Quello che ho detto. Parto dalla frase che, nella risposta ad Astolfi, segue quella appena riportata: “ne va della gloria che dobbiamo tributare a Dio e della salvezza della nostra anima”. Perché, salvo la consacrazione, deve essere ben chiaro che la Messa Novus Ordo non è la stessa cosa della Messa in Vetus Ordo. Tutto ciò che viene prima e dopo la consacrazione è radicalmente diverso. Perciò ho anche detto: “la liturgia cattolica, che non è quella inventata a tavolino da Annibale Bugnini e promulgata da papa Paolo VI, ma quella che ci è stata consegnata da secoli e secoli di tradizione”.
 Le ragioni di questa affermazioni le trovate nel capitolo della “Bella addormentata” che trovate di seguito.
Quello che un semplice laico può dire a chi chiede un parere. La Messa è il cuore della fede: la Lex orandi si accompagna alla Lex credendi, perché si prega come si crede. Osservando onestamente i due riti è difficile immaginare che esprimano la stessa fede. E non mi riferisco al confronto tra il rito antico e le degenerazioni di quello nuovo che vanno sempre più diffondendosi, ma mi riferisco al confronto tra i due messali.  È vero che ci sono buoni sacerdoti che tentano di “cattolicizzare” la Messa nuova, ma questo tentativo dimostra un deficit evidente di cattolicità. Non si può affermare che il Novus Ordo celebrato bene valga quanto il Vetus Ordo poiché si tratta di riti diversi: portando alle estreme conseguenze il ragionamento allo scopo di farsi capire, il Vetus Ordo celebrato male è sempre meglio del Novus Ordo celebrato bene. Altro errore da non commettere è quello di valutare una Messa in base all’omelia: una Messa Novus Ordo con una buona omelia è sicuramente edificante per chi vi assiste, ma, a causa della impostazione antropocentrica, perde di vista l’atto essenziale: tributare a Dio il culto che Lui chiede agli uomini. L’eventuale coesistenza dei due riti, laddove quello antico non viene negato, può essere una necessità di fatto, ma è deleterio come scelta di principio: non può esserci travaso da uno all’altro perché il Novus Ordo è stato concepito per cancellare dalla memoria il Vetus Ordo.
Per quanto riguarda i fedeli che non hanno materiale possibilità di partecipare al rito antico, rimane il fatto che, attraverso quello nuovo, possono accedere alla Comunione sacramentale e questo è un fatto importante. Ma bisogna tenere presente che la Messa è, prima di tutto, un atto di culto dovuto dall’uomo a Dio, un diritto di Dio di essere adorato come Lui stesso chiede, e non un diritto dell’uomo.
Infine, per quanto riguarda l’esito ultimo della riforma liturgica, non ho dubbi nell’affermare che sia la distruzione della fede cattolica. Per comprenderlo suggerisco la lettura di un libro di Michael Davies, “La riforma liturgica anglicana”, di cui Cristina Siccardi ha scritto una splendida recensione per “Riscossa Cristiana”. Questo lavoro mostra come, mutando la liturgia, nell’Inghilterra anglicana si sia mutata la fede. Ma ciò che inquieta il lettore di oggi è che la riforma liturgica promulgata d Paolo VI somiglia tragicamente da vicino a quella inglese e, dunque, può portare solo a esiti simili, come dimostrano i fatti e non le teorie.
I fedeli che partecipano alla nuova liturgia e mantengono la fede cattolica ci riescono nonostante quella liturgia e non in virtù di essa, come invece dovrebbero essere. Sono destinatari di una grazia particolare di cui devono essere particolarmente grati al Signore e che sono chiamati a far fruttare nel luogo e nel tempo in cui si trovano.
Qui mi fermo perché non intendo, così come non intende “Riscossa Cristiana”, prendere le parti della guida spirituale che indica pubblicamente al prossimo come comportarsi in una materia tanto grave e in una situazione tanto confusa. In ogni caso mi metto a disposizione per parlarne individualmente in amicizia e spiegare, per esempio, come mi regolo personalmente. Chi voglia contattarmi può farlo scrivendo a “Riscossa Cristiana”, info@riscossacristiana.it, oppure, se lo ha già, al mio indirizzo e-mail personale o, ancora, telefonandomi se ha il mio numero.
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Da “La Bella addormentata. Perché dopo il Vaticano II la 
Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà”
(…)
Per uscire da tale cortocircuito teoretico, bisogna compiere un banale ragionamento da storici. Basta considerare i fatti con mente sgombra e porsi una semplice domanda: se si pensa a una Messa qualsiasi di una chiesa qualsiasi degli Anni Cinquanta e poi la si confronta con una Messa qualsiasi di una chiesa qualsiasi dell’anno di Grazia 2011, si può onestamente dire che nulla sia cambiato? (…)
La Croce e il mistero pasquale
(…) Questo fenomeno è dovuto a una teologia che ha assorbito il concetto classico di Redenzione in quello di mistero pasquale. In tal modo, nella nozione di Redenzione passano in secondo piano la necessità di soddisfare la giustizia divina, la Passione di Gesù e la cooperazione dell’uomo, mentre vengono esaltati l’amore, l’iniziativa di Dio e la nuova vita della Resurrezione. Una delle sintesi più efficaci di questa impostazione si trova nel saggio Qu’est-ce le mystère pascal (Cos’è il mistero pasquale) pubblicato nel 1961 da Aimon-Marie Roguet, che poi sarà membro del Consilium per l’attuazione della riforma: “Come un’offesa infinita può essere può essere soddisfatta? Come l’innocente può pagare per il colpevole? È da deplorare che per molti dei nostri contemporanei, la Redenzione si presenti in questi termini. Certi, infatti, ne sono scandalizzati nel loro senso di giustizia e trovano nella Redenzione così presentata un’obiezione insuperabile contro la bontà di Dio. Se fosse veramente Padre, sarebbe un Dio contabile così esigente e trasferirebbe la sua collera sul suo Figlio diletto? Nella presentazione del mistero pasquale, invece, non si incontrano questi scogli. Infatti, in esso la nostra salvezza appare operata da un atto vitale e gratuito, una libera iniziativa di Dio, uscita totalmente dal suo amore misericordioso”.
Una nuova concezione di peccato
In questa luce, non avendo più lo scopo di soddisfare la giustizia divina, la Passione e la Croce di Nostro Signore sbiadiscono fino a perdere di senso. Perché soffrire, se è inutile? Ma se la Redenzione è opera di un amore che ignora la giustizia, se è Dio ad andare in cerca dell’uomo senza che l’uomo vada in cerca di Dio, è evidente che cambia la nozione di peccato.
Il ragionamento che sostiene questa tesi parte da una premessa formalmente giusta, ma non sufficiente: come l’omaggio di una creatura nulla aggiunge a Dio, così l’offesa nulla Gli toglie. A corollario di tale teorema si pone in evidenza che il peccato porta pregiudizio solo all’uomo peccatore. La premessa, vera sul piano formale, veicola una volontaria ambiguità perché omette di spiegare che, se il peccato non lede la natura di Dio, lede il suo diritto a essere adorato e obbedito. La teologia classica ha sempre spiegato che il peccato è un’ingiuria all’onore di Dio misurata in base alle esigenze della maestà divina piuttosto che in base ai danni causati al peccatore stesso. Siccome Dio ha creato tutto per la propria gloria, l’uomo deve ordinare ogni sua azione a tale fine e, ove non lo faccia, si costituisce peccatore e contrae un debito di giustizia.
Secondo la nuova visione teologica, invece, il peccatore porta pregiudizio solo a se stesso e alla società, ma solo indirettamente a Dio. In quest’ottica, come scrisse Emile Mersch in Cristo, l’uomo e l’universo. Prolegomeni alla teologia del Corpo mistico, la redenzione “non ha lo scopo di restituire qualcosa a Dio, ma di restituire Dio all’uomo”.
L’evidente natura antropocentrica di tale prospettiva va contro l’insegnamento di San Paolo, secondo cui il peccato comporta la collera di Dio, che si esprime già su questa terra con delle pene, ma si manifesterà soprattutto nell’ultimo giudizio.
Fenomenologia di un capovolgimento
Dall’affermazione che l’opera redentrice di Cristo ha come scopo la sola rivelazione dell’amore del Padre, conseguono due cambiamenti radicali nella teologia della Redenzione. Il primo consiste nell’attribuire quest’opera più a Dio Padre che a Cristo come uomo. Quest’ultimo diverrebbe solo il “luogo” nel quale Dio salva l’umanità manifestando il proprio amore. Il secondo cambiamento consiste nel trasferimento dell’atto principale della Redenzione dalla morte di Cristo alla sua Resurrezione e Ascensione. “Chi parla di Redenzione” dice Roguet nel suo saggio sul mistero pasquale “pensa anzi tutto alla Passione e poi alla Resurrezione come ad un completamento. Chi parla di Pasqua pensa anzi tutto a Cristo resuscitato. La Resurrezione non appare più come un epilogo, ma come un termine e il fine nel quale si riassume il mistero della salvezza”.
La sintesi mostra il capovolgimento di orizzonte. La teologia classica, secondo l’insegnamento di San Paolo, non eclissava il ruolo della Resurrezione, ma come spiega Roguet, la subordinava alla Passione e alla Croce. Pochi anni prima del Concilio, nel 1956, Papa Pio XII la sintetizzava nell’enciclica Haurietis Aquas: “Il Mistero della Divina Redenzione, infatti, è propriamente e naturalmente un mistero di amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della Croce, offerto con animo amante ed obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante ed infinita per le colpe del genere umano (…). Pertanto il Divin Redentore — nella sua qualità di legittimo e perfetto Mediatore nostro — avendo, sotto lo stimolo di una accesissima carità per noi, conciliato perfettamente i doveri e gli impegni del genere umano con i diritti di Dio, è stato indubbiamente l’autore di quella meravigliosa conciliazione tra la divina giustizia e la divina misericordia, che costituisce appunto l’assoluta trascendenza del mistero della nostra salvezza, così sapientemente espressa dall’Angelico Dottore in queste parole: ‘Giova osservare che la liberazione dell’uomo, mediante la passione di Cristo, fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, poiché, non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna soddisfazione. Perciò sta scritto: Dio, ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava pur essendo noi morti per le nostre colpe, ci richiamò a vita in Cristo’”.
Il culto del pubblicano e il culto del fariseo
In opposizione a un magistero limpidissimo, nel periodo preconciliare la nuova teologia del mistero pasquale, che ebbe nel benedettino Odon Casel uno dei più efficaci propagandisti, trovò sostenitori tra teologi e liturgisti come  Henry Pinard de La Boullaye, Emile Mersch, Yves de Montcheuil, Adalbert Hamman, Edouard Schillebeeckx, Annibale Bugnini, Jean Gaillard, Cipriano Vagaggini: quasi tutti nomi che, a vario titolo, portarono il loro decisivo contributo nei lavori per la riforma liturgica.
Il risultato più evidente fu l’oscuramento dell’aspetto sacrificale nel messale promulgato da Papa Paolo VI, vieppiù smarrito nel corso del tempo a causa della creatività dei celebranti. L’attiva partecipazione auspicata dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, in realtà, si è tradotta nel protagonismo dell’uomo che è andato a sostituire la centralità di Dio.
Così, mentre nella Messa preconciliare centrata sulla rinnovazione incruenta del Sacrificio del Calvario, l’uomo è chiamato a partecipare alla Passione di Cristo per meritare, anche se indegno, di essere glorificato con Lui, in quella postconciliare diviene commensale di Dio al banchetto in cui celebra la propria gloria fondata sulla libertà. Nel primo caso il cristiano è chiamato a compatire con Cristo, nel secondo è invitato a collaborare con Dio. Se prima adorava, chiedeva perdono e offriva il proprio nulla davanti al Figlio di Dio sacrificato, ora si limita a rendere grazie della libertà che lo rende somigliante a Dio.
Non è un caso se tra le molte parti della Messa antica eliminate nel nuovo messale c’è quella in cui, prima di salire all’altare, il sacerdote si inchina a chiedere perdono come il pubblicano della parabola del Vangelo di San Luca. Alla luce del cambiamento non ve n’è più ragione. Qualsiasi uomo raggiunga la consapevolezza di non dover scontare pena alcuna per i suoi peccati può stare ritto come il fariseo e rendere grazie: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano”.
Ci vuole un seme
L’abbandono dell’atteggiamento del pubblicano davanti a Dio ha prodotto indifferenza alla Croce, all’eucaristia e alla Presenza Reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino. Pochi anni orsono, per citare solo un esempio, la diocesi di Bergamo consegnò ai giovani inviati in missione tra i loro coetanei un Crocifisso alla base del quale era stato aggiunto un seme come segno di speranza: la Croce, evidentemente, non lo è più. Oggi si arriva anche a costruire tabernacoli a due posti per la conservazione dell’eucaristia, scritta in minuscolo, e della Parola, scritta in maiuscolo. Nei ritiri per sacerdoti sta diventando pratica comune l’ora di adorazione della Bibbia invece che del Santissimo Sacramento. Oppure capita pure che, se durante la distribuzione della comunione non bastano le particole, il sacerdote ne mandi a prendere altre in sacrestia e le metta nella pisside continuando tranquillamente il suo lavoro: come se la consacrazione avvenisse per contatto, o come se, c’è da temere, il sacerdote abbia più di qualche dubbio sulla Presenza Reale.
A proposito di queste deragliamenti, nel suo saggio Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, monsignor Brunero Gherardini riporta con comprensibile scandalo un brano della relazione tenuta a Madrid nel 2004 da padre Timothy Radcliffe durante le “Giornate nazionali di pastorale giovanile vocazionale” della Conferenza dei religiosi spagnoli. La relazione di padre Racliffe, che è stato maestro generale dell’ordine domenicano dal 1992 al 2001, ha come titolo “Sessualità ed eucaristia: il dono del corpo” e comincia così: “Voglio parlare di Ultima Cena e sessualità. Può sembrare un po’ strano, ma pensateci un momento. Le parole centrali dell’Ultima Cena sono state: ‘Questo è il mio corpo, offerto per voi’. L’eucaristia, come il sesso, è centrata sul dono del corpo. Vi rendete conto che la prima lettera di san Paolo ai Corinzi si muove fra due temi, la sessualità e l’eucaristia? Ed è così perché Paolo sa che abbiamo bisogno di capire l’una alla luce dell’altra. Comprendiamo l’eucaristia alla luce della sessualità e la sessualità alla luce dell’eucaristia”.
Non sarebbe stato necessario citare questo brano già riportato da monsignor Gherardini se non vi fosse da aggiungere una notazione: un testo capace di scandalizzare un teologo di lungo corso ha incontrato invece l’entusiasmo e l’approvazione dei prenovizi domenicani di Bergamo, che lo hanno riportato con grande enfasi nel loro blog vitaefratrum.blogspot.com.
Evidentemente, aveva ragione Marshall McLuhan quando mostrava le conseguenze della celebrazione con il sacerdote rivolto verso il popolo. Lo faceva nel 1974 con il saggio “La liturgia e il microfono”, tradotto in italiano nel 2003 nella raccolta La luce e il mezzo. Un “(…) nuovo e intenso impulso visivo” scrive lo studioso canadese “favorì il posizionamento dell’officiante di fronte alla congregazione, separata da una tavola/altare. Questa pratica fu accettata dalle chiese della Riforma e respinta da Roma. L’esperienza visiva, naturalmente, esclude la metamorfosi e la transustanziazione, perché lo spazio visivo o euclideo è il solo canale sensoriale statico conosciuto dall’uomo”.
In altri termini, lo sguardo diretto sulla tavola/altare induce i fedeli a dubitare della transustanziazione poiché le specie del pane e del vino non mutano visibilmente sotto i loro occhi nell’atto della consacrazione. Vale la pena di notare che, nel 1974, McLuhan parlava di un tale effetto attribuendolo alla rivoluzione protestante. E’ inquietante notare che, solo qualche decennio dopo l’introduzione della riforma liturgica, lo stesso ragionamento vale per la grande maggioranza delle celebrazioni cattoliche. →
25 Responses to Alla radice del problema. Messa Vetus Ordo e Novus Ordo – di Alessandro Gnocchi

domenica 1 febbraio 2015

Dottor Alessandro Gnocchi su Riscossa Cristiana

Il viaggio del VdR
in Sri Lanka e nelle Filippine

di Alessandro Gnocchi

Il viaggio di F in Sri Lanka e nelle Filippine ha lasciato segni profondi nelle coscienze di molti cattolici. Il Vescovo di Roma che indossa paramenti altrui e le profanazioni dell’Eucaristia. C’è una logica nella successione degli eventi…


Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana
nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi
 
  27 gennaio 2015

Titolo, impaginazione e neretti sono nostri



Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it, con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.

martedì 27 gennaio 2015

Sono pervenute in Redazione:

Gentilissimo dottor Gnocchi,
magari esagero, ma vorrei parlare ancora dell’ultimo viaggio del Papa per chiederle un chiarimento. Nelle immagini che abbiamo visto tutti, specialmente in quelle che mostrano il Vicario di Cristo con rappresentanti di altre religioni, c’è qualcosa che istintivamente mi turba, ma non riesco a mettere a fuoco di che cosa si tratta. Sarei persino tentato di pensare che sono io a vedere il male dove non c’è, ma poi mi dico che tutto quanto vedo ha poco a che fare con il cattolicesimo.
Mi può aiutare a capire se c’è qualcosa che non va in queste manifestazioni e, in tal caso, di che cosa di tratta?
Grazie per l’attenzione

Piergiorgio Tomassoni


Caro Alessandro Gnocchi,
a Manila, durante la Messa celebrata dal Papa, abbiamo visto cos’è successo al momento della Comunione: le ostie passate di mano in mano tra i fedeli (alcune pare siano anche finite in terra), senza il minimo rispetto per il Corpo di Cristo. E tutto questo è accaduto in mezzo a una gran gazzarra. Uno spettacolo che mi ha fatto venir da piangere.
Ricordo la domenica 3 giugno del 2012, quando Benedetto XVI celebrò la Messa all’aeroporto di Bresso, vicino a Milano. Era la giornata mondiale della famiglia, c’ero anch’io. Eravamo circa un milione, eppure al momento della Comunione tutto si era svolto in ordine, con tantissimi sacerdoti che si erano portati verso i settori in cui erano stati suddivisi i fedeli. Ogni sacerdote era assistito da un chierichetto col piattino e la Comunione veniva data in bocca.
Mi viene da chiedermi: dei preti, e tra questi addirittura il Papa, che lasciano succedere quel che è successo a Manila, credono ancora che l’ostia consacrata è corpo di Cristo, o sono lì a sbrigare una faccenda che non li interessa più di tanto?
E qui vorrei anche parlare della Comunione data in mano, di tanti ministri “straordinari” che non si capisce a cosa servano, ma non vorrei dilungarmi.
Le sarò davvero grato se mi dirà il suo parere. Grazie

Costanzo Scalvi





Caro Tomassoni, caro Scalvi,

il viaggio di F in Sri Lanka e nelle Filippine ha lasciato segni profondi nelle coscienze di molti cattolici. Ne sono prova le tante lettere che ancora arrivano in redazione e a questa rubrica. Ho scelto le vostre due tra le molte che acutamente puntano l’indice su temi passati in secondo in piano rispetto a quelli rilanciati con clamore dai media.
Non che giornali e televisioni abbiano fatto male il loro mestiere o abbiano strumentalizzato dichiarazioni innocue del povero Santo Padre che cade per troppa ingenuità nella trappola di giornalisti brutti, sporchi e cattivi.
Un P che esibisce pugni a chi offende la mamma e che invita i cattolici a non figliare come conigli è una notizia: e che notizia.

Ma c’è anche altro: e che altro.
Giornali e televisioni, per loro natura, non lo colgono perché, se anche lo cogliessero, non sarebbe di rilevanza mediatica. Ma è tutt’altro che secondario, anzi è ciò che spiega le terribili uscite che poi fanno il giro del mondo provocando in pochi nanosecondi i danni che le care vecchie eresie di una volta producevano in decenni o in secoli.

Caro Tomassoni, fa onore alla sua intelligenza e alla sua onestà cattolica il dubbio di pensare a essere lei nell’errore quando si sente turbato da certe immagini. Ma fa ancora più onore alla sua intelligenza e alla sua onestà cattolica concludere che quanto devia dalla retta fede non è giustificato o giustificabile solo perché “lo fa” o “lo dice” il Papa. In una Chiesa dove la quasi totalità dei cattolici ha buttato il cervello all’ammasso, ed è passato dalla razionalità bavarese all’irrazionalità della Pampa nello spazio di un “Buonasera”, mantenere un corretto uso dell’intelligenza è un atto quasi eroico.

Arrivando al dunque, caro Tomassoni, il suo istinto, che chiamerei “sensus fidei”, le dice il vero e non è strano che la metta in guardia dalle immagini che la turbano.

Se guarda con un po’ di attenzione foto e video che mostrano Francesco assieme ai rappresentanti di altre religioni, noterà che spesso il Papa è rivestito con abiti o simboli altrui, ma non vedrà mai il rappresentante di un’altra religione portare anche il più piccolo simbolo cristiano. Lo stesso schema vale quando Bergoglio, da “vescovo di Roma”, incontra ortodossi e protestanti. In questo caso, avendo in comune la croce, il “vescovo di Roma” si spoglia del primato di Pietro e indossa simbolicamente i paramenti altrui attraverso gesti di umiliazione che non toccano, anzi esaltano, la sua persona, ma ledono la dignità della Chiesa cattolica, Corpo Mistico di Nostro Signore.

È questo che la disturba, caro Tomassoni, così come disturba qualsiasi cattolico che vede la Chiesa fondata da Cristo ridotta all’irrilevanza nei confronti di coloro che dovrebbe conquistare all’unico vero Dio. Con simili gesti viene detto che Cristo non è più Via, Verità e Vita, ma solo un’opzione tra tante: evidentemente la più fastidiosa sulla strada che porterà all’Onu delle religioni, visto che deve essere tolta di mezzo in presenza delle altre.



I simboli trasmettono con più potenza e più efficacia il contenuto di tanti discorsi. L’elemento simbolico e quello razionale lavorano su piani diversi, ma sempre in perfetta consonanza. Il salto di livello avviene quando compare sulla scena chi ha la forza e il consenso per condensare in formule ciò che il linguaggio simbolico e quello razionale hanno diffuso per i loro canali. Lo slogan, che è un simbolo capace di usare la forma razionale della parola, per avere presa sociale ha sempre bisogno di un testimonial. Se è il capo visibile della Chiesa cattolica a dire che “L’interreligiosità è una grazia”, tutto è compiuto. Quando lo slogan incontra una faccia, è nato qualcosa di nuovo: in questo caso la “religione dell’interreligiosità”.

Non è un caso, quindi se ciò che scandalizza il signor Scalvi, tocca così poche coscienze. Le profanazioni dell’Eucaristia, cioè le violenze sul corpo reale di Nostro Signore avvenute durante la Messa record di Manila, pare non abbiano turbato più di tanto il corpaccione della Chiesa cattolica tirato su con le vitamine dell’interreligiosità e dell’apertura al mondo. Neanche i vescovi filippini si sono dati tanta pena. Forse erano impegnati a farsi qualche selfie mentre salutavano con le corna.

Eppure, caro Scalvi, lei dice che ci sono stati eventi di simili proporzioni in cui tali profanazioni sono state evitate. E si chiede se questa deriva dimostri che molti cattolici non credono più nella presenza reale di Gesù nell’Eucaristia.

Questo mi pare evidente. Se lei si mettesse in fila per la Comunione in una qualsiasi chiesa dell’orbe cattolico e ponesse la precisa domanda sulla Presenza Reale rischierebbe di contare sulle dita di una mano, forse due, coloro che le diranno convintamene di sì. Recentemente, un amico sacerdote che ha trascorso un anno in un celebre monastero del centro Italia, mi ha detto che la sua attenzione per l’Eucaristia è subito saltata agli occhi. Allora, i maggiorenti del luogo, monaci e sacerdoti, lo hanno preso da parte e gli hanno chiesto, sorridendo con compassione, se per caso non credesse ancora nella storiella della presenza di Gesù nell’ostia consacrata. Pensi a ciò che avviene quasi ovunque appena termina la Messa: una fuga generale da parte di una mandria che volta senza ritegno le spalle a Gesù nel tabernacolo.

Non le dà l’idea di qualcosa che ha a che fare con i disegni del Demonio?

Caro Scalvi, in proposito mi sto facendo un’idea inquietante che penso di poter abbozzare. Fino a un po’ di tempo fa, immaginavo che lo scopo finale del deragliamento dottrinale fosse quello di produrre la caduta della fede nella presenza reale nell’ostia consacrata. Ora mi vado convincendo che questo, pur essendo un risultato già grande per il Demonio, sia solo un mezzo. Lo scopo del Nemico non è quello di oscurare una verità della quale lui non dubita, ma quello di accanirsi sul Corpo di Cristo e farne strazio. Siccome, per farlo, ha bisogno di agire senza ostacoli, la condizione migliore è quella di attaccare la cittadella di Cristo senza che vi siano sentinelle poiché nessuno pensa che vi sia Qualcuno da difendere.

In proposito, caro Scalvi, ho anche qualche altra idea, ma, per ora, penso che basti questo.

Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo

giovedì 16 ottobre 2014

Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori.

…le scelte che vanno delineandosi in questo Sinodo non hanno proprio nulla di coraggioso. Rappresentano la resa senza condizioni alle voglie pazze del mondo e non sono frutto di coraggio: sono frutto della vigliaccheria più turpe, una vigliaccheria che non porta a tradire qualcosa di proprio, ma a tradire qualcosa che si è avuto in custodia da altri e da un Altro.
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Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it , con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.
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martedì 14 ottobre 2014
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È pervenuta in Redazione:
Caro Gnocchi,
sarò breve perché il punto a cui è arrivata la crisi della Chiesa non ha bisogno di tanti discorsi. Ho letto la nota del direttore di Riscossa Cristiana sulla “Relatio post disceptationem” del Sinodo sulla famiglia e sono d’accordo con lui. Peggio di così non poteva essere. Ora anch’io mi pongo la stessa domanda che si pone il direttore (a questo punto dov’è la Chiesa cattolica?) e la giro a lei.
Cordiali saluti
Giuseppe Paltrinieri
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zrbrpsCaro Paltrinieri,
sapevo benissimo che la domanda che si pone Paolo Deotto mi avrebbe inguaiato. Sapevo che sarebbe arrivata subito qualche lettera per riprendere e rilanciare quella che, a questo punto, è la domanda delle domande. Quando si dice gli amici…
Immagino che lei, caro Paltrinieri, ponendo la domanda delle domande, pensi di poter avere la risposta delle risposte. Ma temo che, per il momento, ci si debba accontentare di qualche considerazione e di una, sia pur sommaria, indicazione.
Salto a piedi uniti il riassunto di tutte le tesi aperturiste che hanno come grande regista non smentito la persona del P. Sarebbe, diciamo, da sciocchini fingere che il misericordioso F. si stia facendo turlupinare da quattro manigoldi mentre lui sta in tutt’altre faccende affaccendato: il tempo per castigare misericordiosamente i dissidenti lo trova comunque, dicono che dorma poco. Per rispondere a tutte queste incursioni che devastano la fede fino alla radice, mi permetto di rinviare all’intervista del cardinale Raymond Leo Burke, che si trova in questo stesso sito (clicca qui).
Dell’orribile “Relatio post disceptationem” di metà Sinodo prendo in considerazione solo un’affermazione che può apparire marginale, ma non lo è. Mi riferisco alla “necessità di scelte pastorali coraggiose”, che sarebbero il toccasana per sanare i problemi e le ferite della famiglia di oggi.
Ma le scelte che vanno delineandosi in questo Sinodo non hanno proprio nulla di coraggioso. Rappresentano la resa senza condizioni alle voglie pazze del mondo e non sono frutto di coraggio: sono frutto della vigliaccheria più turpe, una vigliaccheria che non porta a tradire qualcosa di proprio, ma a tradire qualcosa che si è avuto in custodia da altri e da un Altro.
Qui si tradisce quanto Nostro Signore ci ha invitato a conservare gelosamente, a costo della nostra stessa vita. Si tradisce ciò che generazioni e generazioni di santi, ma anche di peccatori che cercavano di fare del loro meglio per togliersi dal fango, ci hanno trasmesso lungo i secoli come ragione ultima e più vera della loro vita.
Non c’è proprio nulla di coraggioso in tutto questo. Non c’è nulla di coraggioso nel trovare un posto al sole sulle prime pagine di Repubblica, del Corriere o della Stampa, nella conquista delle aperture dei telegiornali di qualsivoglia rete, nell’intasamento di accessi dei siti dediti a ogni tipo di rivoluzione e di perversione. C’è solo il compiacimento vigliacco di aver finalmente messo da parte Gesù Cristo e i suoi faticosi  insegnamenti.
E non vengano a raccontarci, caro Paltrinieri, che muterà la pastorale, ma non verrà toccata una virgola della dottrina. Questa favoletta non reggeva prima e regge ancor meno adesso, alla luce del sentore di cloaca che emana all’aprirsi di certe bocche e di certi cuori.
Le confesso, caro Paltrinieri, che tremo all’idea di cosa possano celare quei cuori, perché, sicuramente, non hanno ancora mostrato tutto ciò che nascondono. Siamo solo all’inizio e dovremo vedere anche di peggio.
Tornando alla domanda delle domande, lei si chiede e mi chiede, a questo punto, dove sia la Chiesa cattolica. Penso che sia là dove ci sono pastori che continuano a dire ciò che Nostro Signore ha insegnato. E penso che non stia, e sottolineo il “non”, là dove pastori e presunti pastori insegnano dottrine contrarie al deposito della fede e inducono a pratiche contrarie alla morale custodita dalla Chiesa cattolica per duemila anni. E non sta neanche dove si trovano pastori che illustrano in modo perfetto la dottrina e poi dicono che, se il P. dovesse mutarla, obbedirebbero senza opporre la minima resistenza.
Anche se il Sinodo non dovesse concludersi con un documento sul genere di quello che abbiamo ora sotto gli occhi, la situazione non muterebbe affatto. Perché è inconcepibile che, dentro la Chiesa, si possa anche pensare di trattare di questi temi in questi termini Questo significa che qualcosa è già cambiato. Se si ipotizza che la pastorale possa mutare, significa che la dottrina è già mutata. Si sta avvicinando il momento in cui bisognerà una volta per tutte scegliere da che parte stare. Forse è un bene, caro Paltrinieri, perché l’incertezza logora la verità e fortifica l’errore.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo