lunedì 13 giugno 2022

E se a preoccuparsi è un generale...

 

  • IL LIBRO

L'Occidente in crisi visto da un generale "militarmente scorretto"

I “camuffamenti semantici” di sovranità, libertà, dignità, valori cristiani e identità italiana che si trovano in una profonda crisi maturata a partire dal ’68. Il libro-intervista al generale Marco Bertolini. 

Un uomo di armi e un uomo di fede il Generale Marco Bertolini, classe 1953, una delle figure di comandanti dell’Esercito più significative degli ultimi anni, fino al suo recente congedo per limiti di età. “Militarmente scorretto” è il titolo del suo libro-intervista appena uscito, curato dal giornalista Andrea Pannocchia.

Paracadutista incursore, come comandante del Centro Operativo Interforze negli ultimi anni di servizio il generale ha gestito tutte le missioni italiane all’estero e oggi, con l’esperienza di 45 anni di servizio sul campo, fa il punto sul piano militare, politico e culturale nel nostro Paese con quella schiettezza che ha contraddistinto la sua brillante carriera.

Si spiega, così, il titolo di un libro che parla senza “camuffamenti semantici” di sovranità, libertà, dignità, anche di valori cristiani e identità italiana che, secondo il Generale, si trovano in una profonda crisi maturata a partire dal ’68: all’epoca, piuttosto che vivere una rivoluzione radicale, con l’imposizione di nuove leggi, vennero invece molto più pericolosamente generati processi che hanno continuato nel tempo a lavorare, a scavare nel corpo sano della società.

“Erano gli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II – risponde il generale al suo intervistatore - che aveva introdotto nel corpo della Chiesa il virus di un relativismo contro il quale lo stesso Papa Benedetto XVI si è più volte espresso. Soprattutto, cominciò con esso a venir meno un’idea di papato che rappresentava nell’immaginario italiano l’autorità nazionale di ultima istanza, non solamente morale, fermissima, alla quale rivolgersi nei momenti di crisi; in linea con una tradizione bimillenaria che aveva fatto dell’Italia la patria della Chiesa Cattolica, prima che un semplice componente del continente europeo”.

Il ruolo stesso della religione cominciò ad essere relativizzato, cosicché si è arrivati al punto in cui il credo nell’esistenza di Dio viene derubricato a superstizione, “anche a causa di una Chiesa che anziché «in uscita» sembra essere «in ritirata». Una Chiesa che ha smesso i paramenti e i gesti simbolici di sempre, apparentemente macerata da dubbi sulla stessa divinità di Cristo e tentata di sostituire il culto per la Madonna con quello della Madre Terra, la Pachamama: nuova icona gnostica ed ecologista di una moderna religione mondiale, sintesi di tutte le precedenti”.

Nel ’68 iniziava dunque, insieme al declino della Chiesa il regresso culturale dell’Italia dato che, secondo il Generale Bertolini, il primato del nostro Paese nel campo scientifico e in quello umanistico e artistico era strettamente legato all’influsso della Chiesa nei nostri confronti.

I germi di questo disfacimento condussero la generazione del Baby Boom sempre più distante da quell’etica del dovere che aveva consentito ai nostri padri, lasciate le armi, di ricostruire un Paese distrutto dalla guerra. In ambito familiare, la rivoluzione sessuale rimescolò i ruoli facendo venir meno l’autorità genitoriale nei confronti dei figli. Anche in ambito culturale, venne relativizzato e irriso il primato della cultura classica, della quale eravamo la patria indiscussa, imponendo un modello di scuola nuova, nella quale lo studente si sentiva incoraggiato a criticare l’insegnamento e l’insegnante, come se fosse titolare di conoscenze che questo non poteva avere.

Insomma,  il risultato ad ora è rappresentato dalla crisi dei nostri valori “fondamentali”, portando la società nazionale che su di essi si dovrebbe basare a uscirne estremamente indebolita e delegittimata.

Ciò che è più grave è che lo scontro tra le varie parti politiche non verte più sul modo di perseguire un bene unanimemente riconosciuto come unità, indipendenza, famiglia; al contrario, ci si scontra sull’esistenza stessa di tale bene comune, assegnando a tali termini significati diversi, non condivisi, che autorizzano a scontri senza quartiere tra avversari che ora sono veri e propri nemici.

L’unità e la sovranità dello Stato, ad esempio, valori di riferimento assoluti delle generazioni passate, sono intaccate da pulsioni separatiste da un lato e da velleità internazionaliste, o globaliste, dall’altro; entrambe trasformano in un vaniloquio ogni appello all’unità, al dovere di difendere un patrimonio comune, frutto dei sacrifici e del sangue delle generazioni passate. Addirittura, il termine sovranità - al centro dei doveri di ogni funzionario dello Stato a partire dal più alto rappresentante dell’unità nazionale - è diventato espressione di parte, al centro dello scontro politico. Il tradimento che ne consegue riduce l’Italia a un insieme di prodotti in cerca di acquirenti, esposti su un banchetto di mercato nel quale il venditore si trova costretto a rivedere sempre più al ribasso i prezzi, a causa della pubblicità negativa che viene fatta nei confronti del nostro patrimonio da parte di moltissimi bottegai nostrani.

Peraltro, i toni utilizzati nello scontro politico non promettono nulla di buono: “Se qualcuno, ad esempio, afferma impunemente che chi non la pensa come te non ha il diritto di essere ascoltato, non c’è da stare tranquilli, né da confidare nella nostra democrazia”.

E se a preoccuparsi è un generale, davvero è ora di alzare la soglia di attenzione.

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