"QUESTA
MESSA NON S’HA DA FARE"
In questa pagina
vogliamo dare una lista delle principali obiezioni sollevate contro il motu
proprio e la Messa
tradizionale, con le repliche a tali argomenti. In appendice, invece, riportiamo
alcuni degli interventi più critici (e a tratti acidi...) contro il Papa e il
motu proprio; questi i link a tali brani:
P. Rinaldo
Falsini, intervista a Adista
il motu proprio “... una mossa offensiva
e disonesta, che può essere dettata solo da ignoranza o
follia...”
“...perché
alcuni giovani che non sono nati nell'epoca post-tridentina e non hanno mai
praticato come loro messa "nativa" quella pre-conciliare, vogliono un messale
sconosciuto ? ...”
“...Giovanni
Paolo II? I1 70% o 1'80% del Motu proprio risale a lui...”
In effetti, è una
dolorosa e sconcertante verità il fatto che il motu proprio abbia sollevato
moltissime obiezioni nel clero, che in buona parte nutre una profonda avversione
per i riti tradizionali. Se non ci credete, sappiate che il Vicepresidente della
Pontificia Commissione Ecclesia Dei lo ha dichiarato pubblicamente il 16
settembre 2008 (“In Italia, salvo poche
lodevoli eccezioni, i vescovi e i superiori degli Ordini religiosi si sono
opposti all’applicazione del motu proprio”). Qui cercheremo di capire il
perché di questo rifiuto della propria tradizione, anche se esso ha ben poco di
razionale, e molto di emotivo: chi è cresciuto col mito che solo grazie al
Concilio la Chiesa ha trovato
coscienza di se stessa (questa incredibile affermazione è addirittura di Paolo
VI!), che i cattolici sono diventati adulti uscendo da uno stato intellettuale
di minorità e che la Chiesa ha
ritrovato la purezza delle origini... ebbene, fa un’enorme fatica a superare
questi pregiudizi intrisi, a ben vedere, di grande superbia nei confronti delle
generazioni di credenti che ci hanno preceduto.
I laici sono più
pragmatici: il motu proprio non dà alcun fastidio, una volta chiarito che
la Messa antica non è
imposta a nessuno ma solo consentita a chi la vuole (be’, c’è qualche rara
eccezione di laici incattiviti, come i liturgisti diplomati che temono col
vecchio rito di non poter più fare il bello e il cattivo tempo, o la suora
settantenne senza velo “ministra dell’Eucarestia”).
Ma nel clero,
dicevamo, le posizioni sono più radicali. Bisogna distinguere tra i chierici
grosso modo 4 generazioni (con tutta l’approssimazione di questo genere di
discorsi sociologici, che hanno solo valore tendenziale):
1)
Gli antichi: quelli sopra i 78-80 anni. All’epoca
del Concilio erano già adulti, quindi non hanno vissuto quella temperie con
l’entusiasmo e l’ingenuità della generazione che segue, ma con la (relativa)
pacatezza dei quarantenni. In genere hanno accettato la riforma liturgica, ma
senza l’accecamento ideologico di considerare tutta la loro vita di Chiesa,
vissuta fino a quel momento, come qualcosa da esecrare. Questa è, si noti, la
generazione cui appartiene il Papa. La loro posizione rispetto al motu proprio
sarà quindi o di moderata disapprovazione, o di distaccata benevolenza (o di
totale disinteresse quando l’età ha purtroppo portato anche l’indolenza mentale
o fisica). In breve: nessun fanatismo.
2)
Quelli che il
Concilio.... E’ la
generazione che va dai 55 anni ai 78-80 anni. I giovani pasdaran di quegli “anni
formidabili” (è l’espressione usata dal leader di Democrazia Proletaria, Mario
Capanna, in riferimento al Sessantotto e agli anni di piombo) formano la
generazione del clero più numerosa (anche perché dopo di loro, e per causa loro,
le vocazioni si sono assottigliate) e sono oggi nei posti chiave: mentre la
società ha espulso o convertito i vecchi sessantottini, nella Chiesa, data la
sua gerontocrazia, ce li ritroviamo ancora come vescovi (la cui fascia d’età è
precisamente quella), o vicari generali, o parroci delle chiese principali. La
loro frase tipica è: “Prima del
Concilio... [smorfia di disgusto], oggi invece... [sorriso compiaciuto]”.
Pur soggettivamente animati dalle migliori intenzioni, sono coloro che hanno
portato la Chiesa alla crisi
di cui vediamo tanti segni. Con molti di loro, è impossibile ragionare, un po’
come con i comunisti “trinariciuti” degli anni ’50, perché per quaranta e più
anni hanno sia subìto, sia inflitto agli altri il lavaggio del cervello sulle
“magnifiche sorti e progressive” del Concilio, “nuova Pentecoste e primavera
della Chiesa”. E come i comunisti impauriti allorché il muro di Berlino iniziava
a scricchiolare, così si sentono questi figli di un’idea di Concilio tanto
esaltata quanto falsa (alla luce dei documenti conciliari) e questo li rende
ancor meno elastici. Ne incontrerete molti, sfavorevoli al motu proprio. Ma
nemmeno uno sarà in grado di darvi una spiegazione della loro opposizione, che
sia basata su motivazioni ragionevoli e non ideologicamente fondata su slogan
tanto vuoti quanto perentori come “Non si torna indietro!”, “E’ un tradimento
del Concilio!”, “Si dividono i fedeli” (che invece se ne fregano se in un’altra
ora si dice una Messa in latino, o in turco, o in cinese). Per i vescovi, poi,
c’è una ragione ulteriore di opposizione, più comprensibile, ma inconfessabile:
il motu proprio sottrae loro potere decisionale e lo attribuisce ai
parroci.
3)
I figli del post-concilio: sono i sacerdoti che hanno da
40-42 a 55 anni circa.
Bambini o nemmeno nati all’epoca del Concilio, quindi non animati da quell’ansia
rivoluzionaria e palingenetica che affligge la generazione che ha vissuto il
Concilio con l’entusiasmo della gioventù, ma nondimeno cresciuti ed educati con
tutte le parole d’ordine e le deficienze liturgiche e teologiche dei seminari
degli anni Settanta e primi anni Ottanta, quando il testo di riferimento era il
famigerato Catechismo Olandese o, in Francia, l’esecrato – dal card. Ratzinger –
Pierres vivantes. Sono quindi spesso
indifferenti al rinnovamento liturgico di Papa Benedetto e magari comodamente
abituati ai vecchi slogan di “aggiornamento” e ad una liturgia mediocre. In
questa fascia d’età potrete perciò trovare o disinteresse, che perlomeno non è
venato di fanatismo (ma di un più ragionevole “vivi e lascia vivere”), o una
certa, pur comprensibile, pavidità (“potrei celebrare la Messa di S. Pio V
che questo gruppo mi richiede, ma chi me lo fa fare di mettermi contro il
vescovo e/o il vicario generale e/o i miei colleghi parroci?”), o infine anche
felici sorprese di persone che scoprono con interesse, e per la prima volta, il
tesoro liturgico che era nascosto nel campo, per dire come S. Matteo (13, 44); e
vi diranno magari (non è raro): celebrando col messale antico ho veramente
compreso che cosa significhi essere prete.
4)
I giovani. Sotto i 40 anni, sono i figli dell’era
Giovanni Paolo II e quindi mediamente più classici, più ortodossi, più attenti
alla liturgia di quanto non volessero i loro mentori. E probabilmente sono così
proprio per reazione agli sbandamenti degli ultimi quarant’anni. Sono in
profonda sintonia con la riforma liturgica del Papa; purtroppo però il loro
numero (per via del crollo delle vocazioni) è relativamente esiguo; spesso
inoltre non hanno ancora lo status di parroci ma di semplici vicari
parrocchiali. In termini di “potere”, contano davvero poco e, se non sono
parroci, non sono nemmeno legittimati ad accogliere la richiesta di un gruppo
stabile per celebrare la Messa tridentina;
cosa che, tra l’altro, li potrebbe esporre a ritorsioni episcopali quando si
tratterà di assegnare loro una parrocchia. Ma sono la speranza del futuro: in
questo campo, ogni giorno è migliore del precedente e tra vent’anni
sperabilmente la Chiesa avrà fatto
pace con la sua storia.
Vediamo allora
quali sono le principali obiezioni contro la Messa tradizionale
e, quindi, contro il motu proprio che l’ha liberalizzata.
Si torna indietro e si nega il Concilio
Vaticano II, che ha voluto la riforma liturgica
Visitate la
nostra pagina su quel che il Concilio ha detto sulla liturgia, e poi diteci se
corrisponde di più alle idee dei Padri conciliari la Messa tradizionale
o quella riformata! Già solo il fatto che latino e canto gregoriano siano stati
tanto raccomandati dal Concilio, che per di più non ha mai chiesto che il prete
si girasse verso il popolo, dà una risposta chiara. OK, anche nella nuova Messa
ci possono essere il latino e il canto gregoriano... ma quante mai ne avete
viste, di messe moderne così, a parte quelle in TV del Papa? Non dimentichiamo
che i Padri del Concilio celebravano ogni giorno con la Messa tradizionale
e che, se è vero (come appare dal testo della Sacrosanctum Concilium) che il
Concilio voleva una (moderata) riforma, la vera Messa riformata secondo il
Concilio è quella del 1965, che è molto simile a quella del 1962 cui si
riferisce il motu proprio, ma con alcune semplificazioni e con la possibilità di
usare in molte parti le lingue nazionali.
In altri termini,
e non è una battuta: sappiate che siete molto più “conciliari” voi che chiedete
una Messa tridentina, che questi progressisti che la vedono come il fumo negli
occhi e spacciano per un prodotto del Concilio quello che ben pochi dei Padri
conciliari avrebbero non solo voluto, ma anche solo
immaginato.
E poi: che cosa
c’è di più conforme al Concilio, che ha promosso il ruolo dei laici, il
pluralismo, la tolleranza, che un gruppo di persone che si danno da fare per
aggiungere, tra le molte celebrazioni esistenti (in tutte le lingue e, spesso,
con modalità diverse l’una dall’altra, pur se formalmente in base allo stesso
Messale), la voce ulteriore di una Messa in latino per chi la
vuole?
Gesù non ha mai celebrato in latino.
No,
ma si rivolgeva al Padre nella sinagoga pregandolo in ebraico, una lingua che ai
suoi tempi era morta (perché tutti parlavano l’aramaico). E pur criticando
spesso il modo in cui veniva interpretata l’antica Legge, mai se la prese col
fatto che nelle preghiere si continuasse a usare una lingua incomprensibile ai
più.
Il latino lo capiscono in pochi, i fedeli
non capiscono niente della Messa
Se quasi tutte le
religioni del mondo usano una lingua morta, forse un motivo c’è (i musulmani
l’arabo classico; gli ebrei l’ebraico, che era lingua morta fino a 60 anni fa,
quando è stato riesumato come lingua ufficiale dello Stato di Israele; gli indù
il sanscrito; i greco-ortodossi il greco antico; i copti etiopi il gehez; e
potremmo continuare). L’uso di una lingua sacra risponde ad un’esigenza precisa
dell’animo umano: nei rapporti col divino, abbiamo bisogno di entrare in
un’atmosfera diversa dalle nostre occupazioni quotidiane. E’ per questo che
esistono le chiese, i templi, i recinti sacri, con tutte le loro opere d’arte,
che sono diverse dalle case e dagli uffici dove si svolge la nostra vita
mondana. E’ anche per questo che i nostri cuori sono più “rivolti al Signore” se
ci rivolgiamo a lui con parole che non sono di tutti i giorni, e quindi esposte
al rischio fortissimo di banalizzazione. E’ lo stesso principio per cui la
poesia usa spesso vocaboli rari o ricercati: per elevare il nostro
spirito.
Col rito in
latino, poi, ci sentiamo uniti con le generazioni innumerevoli dei nostri
antenati che in chiesa hanno sentito e ripetuto quelle medesime
parole.
Il latino non si
capisce? Forse è anche meglio: a volte la comprensione solo verbale è
ingannevole e superficiale (crediamo di aver capito, e non indaghiamo oltre, ma
in realtà non abbiamo compreso niente), mentre il suono, i gesti, l’atmosfera,
agiscono molto più profondamente in noi; non solo: la consapevolezza di avere
inteso poco ci sprona ad accrescere la nostra conoscenza del mistero. A
giudicare dalla diffusa miscredenza (tra i praticanti!) nella Presenza reale di
Cristo nell’Eucarestia, viene naturale pensare che per l’istruzione religiosa
valesse molto di più inginocchiarsi per ricevere la comunione (come un tempo),
che sentire tutti gli spiegoni e le monizioni delle Messe
attuali.
E d’altronde:
accendete la radio e troverete che i due terzi delle canzoni sono in inglese. Ma
quanti in Italia capiscono l’inglese (specie parlato, anzi cantato?).
Evidentemente, per apprezzare una bella canzone dei Rem, dei Beatles o dei
Police, non è necessario capire bene il testo (anzi: pensate che orrore se
cantassero in italiano).
La Messa in latino è possibile anche col nuovo
Messale; a che serve allora riesumare il vecchio Messale?
Messe di Paolo VI
in latino se ne celebrano pochissime (noi cerchiamo di farne una lista, nella
pagina con l’elenco delle Messe, ma fuori Roma è come cercare un lago nel
Sahara). Tuttavia, appena inizierete a darvi da fare per ottenere una Messa
gregoriana, qualche solerte ecclesiastico vi offrirà - obtorto collo e ritenendola un male
minore rispetto all’odiata Messa antica (ma pur sempre un male, rispetto alla wonderful
Messa-moderna-in-italiano-con-chitarre) - una Messa in latino col nuovo messale.
Declinerete con cortesia e garbo ma con molta fermezza, spiegando che non è solo
questione di lingua ma anche, ad esempio (tra le molte differenze, che trovate
dettagliate nella nostra pagina sul raffronto tra le due Messe), di celebrazione
rivolta al Signore (traducetegli: “spalle al popolo”, o fingerà di non capire),
in cui finalmente il Prete sta discretamente al suo posto e non è più il
protagonista che deve interagire coi
fedeli.
E poi, scusate, il
Papa si aspetta che il suo motu proprio venga applicato, grazie
all’intraprendenza dei gruppi stabili. Far tante storie per spuntare solo un po’
di latino, non è quello che aveva in mente. Insistete, quindi, anche pensando a
lui.
Gesù all’ultima cena non dava le spalle
agli Apostoli
Potremmo dire che,
essendo Egli stesso Dio, non aveva bisogno di rivolgersi a
Dio...
Ma a parte ciò, nel
banchetto antico tutti i convitati erano seduti dallo stesso lato, non gli uni
di fronte agli altri: tutti, quindi, erano rivolti verso la medesima direzione e
non si fronteggiavano. L’Ultima Cena di Leonardo rappresenta bene tale usanza, e
non per mero espediente pittorico: Gesù e gli Apostoli sono seduti da un lato
solo del tavolo: un po’ come il sacerdote all’altare con i fedeli dietro a
lui.
Sull’opportunità, poi, di questo modo di celebrazione verso Dio (eliminando quel cerchio tra assemblea e celebrante che rende
Ammettere due messali significa
incoraggiare scelte soggettive e rompere l’unità
liturgica
E non
dimentichiamo il fatto che già attualmente c’è enorme differenza tra le varie
celebrazioni liturgiche, pur facenti capo allo stesso Messale, senza che nessuno
si scandalizzi troppo di queste concretissime rotture “dell’unità
liturgica”.
I tradizionalisti vogliono il rito antico
solo per folklore o perché nostalgici, o per ragioni
politiche
Non c’è nessun
legame sociologico o politico tra l’amore per la Messa in latino e
in gregoriano e tendenze reazionarie; l’amore per la Tradizione
della Chiesa non implica necessariamente un conservatismo politico: si può amare
la Messa dei propri
avi senza essere per il resto un laudator
temporis acti. Ciò detto, è vero che, specie in passato, in alcuni gruppi,
ma più folkloristici che politici, si sono celebrate Messe per Luigi XVI o
similia. Il che può apparire ad alcuni sconveniente e discutibile. Ma a parte
che tali manifestazioni non fanno del male a nessuno, il dato essenziale è che,
proprio grazie al motu proprio, si avvicinano alla Messa antica una maggioranza
di persone assolutamente “normali”, cioè ordinarie (benché amanti del rito
straordinario), che non hanno alcuna intenzione di mescolare alla Santa Messa
aspetti anche solo lontanamente politici.
Ammettere la Messa produrrebbe
divisioni e contrasti nelle parrocchie
Come abbiamo
accennato sopra, i fedeli laici, rispetto alla Messa antica, assumono una di
queste due posizioni: o sono interessati, non foss’altro che per curiosità e per
cambiare un po’, oppure se ne infischiano del tutto: magari trovano insensato
che qualcuno possa avere interesse per un rito così arcaico, ma una volta
chiarito che il motu proprio non li riguarda perché non abolisce le Messe in
italiano, ma consente una Messa in latino a chi la vuole... contenti voi,
fatevela!
Quindi, contrasti e
divisioni tra i fedeli laici sono sostanzialmente impossibili. Problemi possono
sorgere solo per colpa di un Parroco malevolo che, frustrando le legittime
aspettative dei fedeli tradizionalisti, crei risentimento e li costringa a
posizioni di contrasto che, con l’accoglienza giusta e benevola (raccomandata
dal Papa!), si evitano alla radice.
La vecchia Messa è per pochi nostalgici,
allontana i giovani e fa diminuire le vocazioni
Questa è
un’obiezione che raramente oseranno farvi, e solo persone veramente ignare dello
stato della situazione. Infatti la Messa tradizionale
è richiesta e ricercata da un numero rilevante di giovani, o relativamente tali:
più della metà di quelli che la desiderano hanno meno di 50 anni. Nota tale
fenomeno anche il Papa, nella sua lettera di accompagnamento al motu proprio
(“Subito dopo il Concilio Vaticano II si
poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla
generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso
chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si
sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per
loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia”). E quanto
alle vocazioni, soprattutto, è assodato che è vero il contrario: tra i
tradizionalisti fioriscono vocazioni percentualmente molto più frequenti che tra
i fedeli ordinari. Un dato statistico, ad esempio: in Francia i seminaristi
tradizionalisti sono attualmente il 20% circa di tutti i seminaristi francesi, e
questo benché i fedeli che frequentano centri di Messa tradizionale non siano
più del 2-4% di tutti i cattolici.
La Messa antica nuoce all’unità della
Chiesa
Tutt’al
contrario: nell’epoca della globalizzazione e dei viaggi, poter trovare in ogni
parte del mondo una Messa in latino, più o meno uguale ad ogni altra in forma
straordinaria, è un magnifico collante dell’unità della Chiesa e consente a
tutti di sentirsi a casa. Se non ci credete, andate, per dire, in Polonia,
entrate in una chiesa dove si officia in polacco e (a meno che non capiate
quella lingua) diteci la vostra bella impressione!
Il vecchio rito è povero e
superstizioso
Si ripete ad nauseam che la riforma ha arricchito il
Lezionario, che il popolo di Dio è ora ammesso ad una ricca tavola della Parola,
che la preghiera dei fedeli ha introdotto le aspirazioni della gente nella
preghiera, e simili amenità. Noi non infieriremo sulla “preghiera dei fedeli”,
la quale in astratto potrebbe essere una buona idea (se fosse davvero qualcosa
di concreto tipo: “preghiamo per la
signora Maria, che deve affrontare una difficile operazione”) ma che in
pratica è diventata una sagra dell’aria fritta (“affinché i popoli della Terra, affratellati
dal comune anelito alla giustizia, possano conseguire livelli di autosufficienza
economica più consoni alle loro legittime aspirazioni...”). E per quanto
concerne il Lezionario, è indubbio che con la nuova Messa vi sia maggiore
ricchezza di brani scritturistici. Resta da vedere, peraltro, se il fedele medio
quando esce da Messa si ricorda qualcosa delle molte letture ascoltate; nella
vecchia Messa, essendovi meno letture e sempre uguali da un anno all’altro, i
brani ascoltati erano assai inferiori ma proprio per questo più facilmente
memorizzati.
Comunque, se
qualcuno ardisse denigrare in quel modo la Messa antica,
limitatevi a citare la ricchezza dell’offertorio tradizionale o la poesia del
canone romano (quest’ultimo, benché opzionale anche con la nuova Messa, è di
fatto divenuto obsoleto nelle Messe parrocchiali).
Il Papa ha concesso il motu proprio solo
per far rientrare i lefebvriani, non per diffondere indiscriminatamente Messe
tridentine. Voi non siete lefebvriani, siete sempre andati alla Messa in
italiano, quindi non è per voi.
Se qualcuno vi
solleverà questa obiezione, sappiate che è sicuramente in mala
fede.
Nessuno “del
mestiere”, cioè un prete e ancor meno un vescovo, ignora che l’allora card.
Ratzinger scriveva da decenni contro il modo in cui la riforma liturgica è stata
attuata ed in favore di un recupero della tradizione: andate alla nostra pagina
sugli scritti di Ratzinger, e fatevi un’idea. E’ per questo che, specie negli
ambienti dei liturgisti (abituati a dettar legge in materia di stravaganti
innovazioni liturgiche), la sua elezione a Papa è stata un’orribile doccia
fredda.
Per il Papa, che
non ha certo cambiato idea nel frattempo, la crisi della Chiesa deriva proprio
dal disastro della liturgia, dalla costruzione artificiale di una Messa nuova
(seppure ricostruita con pezzi di quella precedente) che ha allontanato
centinaia di milioni di persone dalla Fede.
Egli ha quindi
intrapreso un’opera di ricostruzione, che è difficilissima dopo 40 anni di
bombardamento sull’edificio liturgico. E che dev’essere paziente, viste le
resistenze ancora diffusissime. Questa ricostruzione passa attraverso il
recupero sempre più marcato di elementi della Tradizione (la lingua latina,
l’orientamento verso Dio della preghiera, la comunione in ginocchio, ecc.). E
più Messe antiche ci sono, più quest’opera di bonifica si diffonderà: se in una
città si inizia a celebrare una Messa tradizionale ben curata, sacrale e devota,
essa costituisce un esempio rispetto alle altre che... non lo sono altrettanto.
E i buoni esempi spesso sono contagiosi, con tutto vantaggio anche dei fedeli
delle Messe ordinarie: come ha scritto il Papa nella lettera accompagnatoria del
motu proprio “Nella celebrazione della
Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di
quanto non lo è spesso stato finora, quella sacralità che attrae molti
all’antico uso.”
La Messa gregoriana non può essere concessa nelle
specifiche circostanze per ragioni pastorali.
L’aggettivo
“pastorale” è divenuto davvero odioso, perché è servito negli ultimi
quarant’anni a coprire, pur con la sua assoluta assenza di significato,
l’imposizione dell’arbitrio di vescovi e parroci con pruriti di innovazione. E’
chiaro che una risposta come questa (occhio: non è un’invenzione, ma un
argomento contrario tra i più ricorrenti) rappresenta un sostanziale rifiuto di
confrontarsi e spiegare: stat pro ratione
voluntas e quella voluntas,
siccome proveniente da qualche mitrato, viene postulata per definizione come
ispirata da oculate concezioni ‘pastorali’.
Poiché dunque
questo non è un argomento di logica, ma di mera autorità (anzi, è un vero
sopruso), inutile replicare con la logica; meglio ricorrere anche noi ad un
argomento di autorità e citare questa frase di qualcuno più in alto degli altri:
“queste norme [del motu proprio] intendono anche liberare i Vescovi dal dover
sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni”
(Benedetto XVI, Lettera di
accompagnamento ai Vescovi del motu proprio Summorum Pontificum). Le Loro
Eccellenze sono quindi “liberate” (leggi: esautorate) dal compito di giudicare
in concreto che cosa è pastorale e che cosa non lo è, nella materia inerente la
forma straordinaria del rito romano.
Chiudiamo con
questo argomento critico perché è, senza dubbio alcuno, il più spassoso. Per
vari motivi:
1)
Chi lo afferma
spesso manco si accorge che questo implica che la Chiesa
Cattolica è nata nel 1962 (o, se è nata con Cristo, molto
presto è finita sottoterra come un fiume carsico fino, appunto, al ’62). Perché
dire che il Concilio ha introdotto una nuova ecclesiologia o, peggio ancora, una
nuova teologia vuol dire, rispettivamente, che ha fondato una nuova Chiesa (ecclesia) e una nuova religione
(teo-logia, scienza di Dio). Si sente purtroppo sostenere talvolta questa
abissale eresia, che nega la promessa di Gesù di indefettibilità della Chiesa
per tutto il corso della sua storia (e non solo dalle origini all’Editto di
Costantino e poi – dopo una lunga parentesi di 1600 anni - dal
1962 in avanti).
Se già sono molesti i sedevacantisti che dicono simili bestialità dal di fuori,
è spaventoso che lo facciano anche vescovi e prelati... Almeno siano coerenti:
se è nata una nuova religione, restituiscano chiese, benefici e proprietà a
quelli che si rifanno alla vecchia.
2)
Che cosa vuol
dire ecclesiologia? Discorso sulla Chiesa, idea che la Chiesa ha di sé.
E “ecclesiologia di comunione”, che è? E’ semplicemente uno di quegli slogan che
suonano bene e che non dicono niente. Ma occhio: gli slogan uccidono (ne san
qualcosa i cinesi vittime della rivoluzione culturale di Mao). Forse che prima
del Concilio c’era una ecclesiologia di disunione? o di esclusione? o di
separazione? Mah! Certo, allora la gente, forse perché usciva dalle guerre, era
è più concreta e non si andava ad inventare espressioni vuote e senza
significato. Nondimeno la Chiesa era già ante litteram (e lo è sempre stata)
Popolo di Dio e comunione di credenti. A meno che l’Ecclesiologia di comunione
sia nata solo da quanto ci si piglia per mano al Padre Nostro (il che peraltro,
essendo invenzione degli ultimi anni, difficilmente può farsi risalire alle
“intuizioni del Concilio”)!
3)
Chi è che deve
giudicare della compatibilità di un rito, come quello gregoriano, con
la Fede e con
l’Ortodossia (oh pardon, dovevamo
dire con l’ecclesiologia di comunione
e con la teologia dell’amore)? Il
Papa, o no? E chi l’ha pensato e scritto il motu proprio, che è appunto un atto
di iniziativa propria? Bingo!
NOS CUM PROLE PIA
BENEDICAT VIRGO MARIA
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