domenica 29 aprile 2012

*QUESTA MESSA NON S’HA DA FARE


"QUESTA MESSA NON S’HA DA FARE"


In questa pagina vogliamo dare una lista delle principali obiezioni sollevate contro il motu proprio e la Messa tradizionale, con le repliche a tali argomenti. In appendice, invece, riportiamo alcuni degli interventi più critici (e a tratti acidi...) contro il Papa e il motu proprio; questi i link a tali brani:

P. Rinaldo Falsini, intervista a Adista

il motu proprio “... una mossa offensiva e disonesta, che può essere dettata solo da ignoranza o follia...”
“...perché alcuni giovani che non sono nati nell'epoca post-tridentina e non hanno mai praticato come loro messa "nativa" quella pre-conciliare, vogliono un messale sconosciuto ? ...”
“...Giovanni Paolo II? I1 70% o 1'80% del Motu proprio risale a lui...”
In effetti, è una dolorosa e sconcertante verità il fatto che il motu proprio abbia sollevato moltissime obiezioni nel clero, che in buona parte nutre una profonda avversione per i riti tradizionali. Se non ci credete, sappiate che il Vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei lo ha dichiarato pubblicamente il 16 settembre 2008 (“In Italia, salvo poche lodevoli eccezioni, i vescovi e i superiori degli Ordini religiosi si sono opposti all’applicazione del motu proprio”). Qui cercheremo di capire il perché di questo rifiuto della propria tradizione, anche se esso ha ben poco di razionale, e molto di emotivo: chi è cresciuto col mito che solo grazie al Concilio la Chiesa ha trovato coscienza di se stessa (questa incredibile affermazione è addirittura di Paolo VI!), che i cattolici sono diventati adulti uscendo da uno stato intellettuale di minorità e che la Chiesa ha ritrovato la purezza delle origini... ebbene, fa un’enorme fatica a superare questi pregiudizi intrisi, a ben vedere, di grande superbia nei confronti delle generazioni di credenti che ci hanno preceduto.
I laici sono più pragmatici: il motu proprio non dà alcun fastidio, una volta chiarito che la Messa antica non è imposta a nessuno ma solo consentita a chi la vuole (be’, c’è qualche rara eccezione di laici incattiviti, come i liturgisti diplomati che temono col vecchio rito di non poter più fare il bello e il cattivo tempo, o la suora settantenne senza velo “ministra dell’Eucarestia”).
Ma nel clero, dicevamo, le posizioni sono più radicali. Bisogna distinguere tra i chierici grosso modo 4 generazioni (con tutta l’approssimazione di questo genere di discorsi sociologici, che hanno solo valore tendenziale):
1) Gli antichi: quelli sopra i 78-80 anni. All’epoca del Concilio erano già adulti, quindi non hanno vissuto quella temperie con l’entusiasmo e l’ingenuità della generazione che segue, ma con la (relativa) pacatezza dei quarantenni. In genere hanno accettato la riforma liturgica, ma senza l’accecamento ideologico di considerare tutta la loro vita di Chiesa, vissuta fino a quel momento, come qualcosa da esecrare. Questa è, si noti, la generazione cui appartiene il Papa. La loro posizione rispetto al motu proprio sarà quindi o di moderata disapprovazione, o di distaccata benevolenza (o di totale disinteresse quando l’età ha purtroppo portato anche l’indolenza mentale o fisica). In breve: nessun fanatismo.
2) Quelli che il Concilio.... E’ la generazione che va dai 55 anni ai 78-80 anni. I giovani pasdaran di quegli “anni formidabili” (è l’espressione usata dal leader di Democrazia Proletaria, Mario Capanna, in riferimento al Sessantotto e agli anni di piombo) formano la generazione del clero più numerosa (anche perché dopo di loro, e per causa loro, le vocazioni si sono assottigliate) e sono oggi nei posti chiave: mentre la società ha espulso o convertito i vecchi sessantottini, nella Chiesa, data la sua gerontocrazia, ce li ritroviamo ancora come vescovi (la cui fascia d’età è precisamente quella), o vicari generali, o parroci delle chiese principali. La loro frase tipica è: “Prima del Concilio... [smorfia di disgusto], oggi invece... [sorriso compiaciuto]”. Pur soggettivamente animati dalle migliori intenzioni, sono coloro che hanno portato la Chiesa alla crisi di cui vediamo tanti segni. Con molti di loro, è impossibile ragionare, un po’ come con i comunisti “trinariciuti” degli anni ’50, perché per quaranta e più anni hanno sia subìto, sia inflitto agli altri il lavaggio del cervello sulle “magnifiche sorti e progressive” del Concilio, “nuova Pentecoste e primavera della Chiesa”. E come i comunisti impauriti allorché il muro di Berlino iniziava a scricchiolare, così si sentono questi figli di un’idea di Concilio tanto esaltata quanto falsa (alla luce dei documenti conciliari) e questo li rende ancor meno elastici. Ne incontrerete molti, sfavorevoli al motu proprio. Ma nemmeno uno sarà in grado di darvi una spiegazione della loro opposizione, che sia basata su motivazioni ragionevoli e non ideologicamente fondata su slogan tanto vuoti quanto perentori come “Non si torna indietro!”, “E’ un tradimento del Concilio!”, “Si dividono i fedeli” (che invece se ne fregano se in un’altra ora si dice una Messa in latino, o in turco, o in cinese). Per i vescovi, poi, c’è una ragione ulteriore di opposizione, più comprensibile, ma inconfessabile: il motu proprio sottrae loro potere decisionale e lo attribuisce ai parroci.
3) I figli del post-concilio: sono i sacerdoti che hanno da 40-42 a 55 anni circa. Bambini o nemmeno nati all’epoca del Concilio, quindi non animati da quell’ansia rivoluzionaria e palingenetica che affligge la generazione che ha vissuto il Concilio con l’entusiasmo della gioventù, ma nondimeno cresciuti ed educati con tutte le parole d’ordine e le deficienze liturgiche e teologiche dei seminari degli anni Settanta e primi anni Ottanta, quando il testo di riferimento era il famigerato Catechismo Olandese o, in Francia, l’esecrato – dal card. Ratzinger – Pierres vivantes. Sono quindi spesso indifferenti al rinnovamento liturgico di Papa Benedetto e magari comodamente abituati ai vecchi slogan di “aggiornamento” e ad una liturgia mediocre. In questa fascia d’età potrete perciò trovare o disinteresse, che perlomeno non è venato di fanatismo (ma di un più ragionevole “vivi e lascia vivere”), o una certa, pur comprensibile, pavidità (“potrei celebrare la Messa di S. Pio V che questo gruppo mi richiede, ma chi me lo fa fare di mettermi contro il vescovo e/o il vicario generale e/o i miei colleghi parroci?”), o infine anche felici sorprese di persone che scoprono con interesse, e per la prima volta, il tesoro liturgico che era nascosto nel campo, per dire come S. Matteo (13, 44); e vi diranno magari (non è raro): celebrando col messale antico ho veramente compreso che cosa significhi essere prete.
4) I giovani. Sotto i 40 anni, sono i figli dell’era Giovanni Paolo II e quindi mediamente più classici, più ortodossi, più attenti alla liturgia di quanto non volessero i loro mentori. E probabilmente sono così proprio per reazione agli sbandamenti degli ultimi quarant’anni. Sono in profonda sintonia con la riforma liturgica del Papa; purtroppo però il loro numero (per via del crollo delle vocazioni) è relativamente esiguo; spesso inoltre non hanno ancora lo status di parroci ma di semplici vicari parrocchiali. In termini di “potere”, contano davvero poco e, se non sono parroci, non sono nemmeno legittimati ad accogliere la richiesta di un gruppo stabile per celebrare la Messa tridentina; cosa che, tra l’altro, li potrebbe esporre a ritorsioni episcopali quando si tratterà di assegnare loro una parrocchia. Ma sono la speranza del futuro: in questo campo, ogni giorno è migliore del precedente e tra vent’anni sperabilmente la Chiesa avrà fatto pace con la sua storia.
Vediamo allora quali sono le principali obiezioni contro la Messa tradizionale e, quindi, contro il motu proprio che l’ha liberalizzata.

Si torna indietro e si nega il Concilio Vaticano II, che ha voluto la riforma liturgica

Visitate la nostra pagina su quel che il Concilio ha detto sulla liturgia, e poi diteci se corrisponde di più alle idee dei Padri conciliari la Messa tradizionale o quella riformata! Già solo il fatto che latino e canto gregoriano siano stati tanto raccomandati dal Concilio, che per di più non ha mai chiesto che il prete si girasse verso il popolo, dà una risposta chiara. OK, anche nella nuova Messa ci possono essere il latino e il canto gregoriano... ma quante mai ne avete viste, di messe moderne così, a parte quelle in TV del Papa? Non dimentichiamo che i Padri del Concilio celebravano ogni giorno con la Messa tradizionale e che, se è vero (come appare dal testo della Sacrosanctum Concilium) che il Concilio voleva una (moderata) riforma, la vera Messa riformata secondo il Concilio è quella del 1965, che è molto simile a quella del 1962 cui si riferisce il motu proprio, ma con alcune semplificazioni e con la possibilità di usare in molte parti le lingue nazionali.
In altri termini, e non è una battuta: sappiate che siete molto più “conciliari” voi che chiedete una Messa tridentina, che questi progressisti che la vedono come il fumo negli occhi e spacciano per un prodotto del Concilio quello che ben pochi dei Padri conciliari avrebbero non solo voluto, ma anche solo immaginato.
E poi: che cosa c’è di più conforme al Concilio, che ha promosso il ruolo dei laici, il pluralismo, la tolleranza, che un gruppo di persone che si danno da fare per aggiungere, tra le molte celebrazioni esistenti (in tutte le lingue e, spesso, con modalità diverse l’una dall’altra, pur se formalmente in base allo stesso Messale), la voce ulteriore di una Messa in latino per chi la vuole?

Gesù non ha mai celebrato in latino.

No, ma si rivolgeva al Padre nella sinagoga pregandolo in ebraico, una lingua che ai suoi tempi era morta (perché tutti parlavano l’aramaico). E pur criticando spesso il modo in cui veniva interpretata l’antica Legge, mai se la prese col fatto che nelle preghiere si continuasse a usare una lingua incomprensibile ai più.

Il latino lo capiscono in pochi, i fedeli non capiscono niente della Messa

Se quasi tutte le religioni del mondo usano una lingua morta, forse un motivo c’è (i musulmani l’arabo classico; gli ebrei l’ebraico, che era lingua morta fino a 60 anni fa, quando è stato riesumato come lingua ufficiale dello Stato di Israele; gli indù il sanscrito; i greco-ortodossi il greco antico; i copti etiopi il gehez; e potremmo continuare). L’uso di una lingua sacra risponde ad un’esigenza precisa dell’animo umano: nei rapporti col divino, abbiamo bisogno di entrare in un’atmosfera diversa dalle nostre occupazioni quotidiane. E’ per questo che esistono le chiese, i templi, i recinti sacri, con tutte le loro opere d’arte, che sono diverse dalle case e dagli uffici dove si svolge la nostra vita mondana. E’ anche per questo che i nostri cuori sono più “rivolti al Signore” se ci rivolgiamo a lui con parole che non sono di tutti i giorni, e quindi esposte al rischio fortissimo di banalizzazione. E’ lo stesso principio per cui la poesia usa spesso vocaboli rari o ricercati: per elevare il nostro spirito.
Col rito in latino, poi, ci sentiamo uniti con le generazioni innumerevoli dei nostri antenati che in chiesa hanno sentito e ripetuto quelle medesime parole.
Il latino non si capisce? Forse è anche meglio: a volte la comprensione solo verbale è ingannevole e superficiale (crediamo di aver capito, e non indaghiamo oltre, ma in realtà non abbiamo compreso niente), mentre il suono, i gesti, l’atmosfera, agiscono molto più profondamente in noi; non solo: la consapevolezza di avere inteso poco ci sprona ad accrescere la nostra conoscenza del mistero. A giudicare dalla diffusa miscredenza (tra i praticanti!) nella Presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, viene naturale pensare che per l’istruzione religiosa valesse molto di più inginocchiarsi per ricevere la comunione (come un tempo), che sentire tutti gli spiegoni e le monizioni delle Messe attuali.
E d’altronde: accendete la radio e troverete che i due terzi delle canzoni sono in inglese. Ma quanti in Italia capiscono l’inglese (specie parlato, anzi cantato?). Evidentemente, per apprezzare una bella canzone dei Rem, dei Beatles o dei Police, non è necessario capire bene il testo (anzi: pensate che orrore se cantassero in italiano).

La Messa in latino è possibile anche col nuovo Messale; a che serve allora riesumare il vecchio Messale?

Messe di Paolo VI in latino se ne celebrano pochissime (noi cerchiamo di farne una lista, nella pagina con l’elenco delle Messe, ma fuori Roma è come cercare un lago nel Sahara). Tuttavia, appena inizierete a darvi da fare per ottenere una Messa gregoriana, qualche solerte ecclesiastico vi offrirà - obtorto collo e ritenendola un male minore rispetto all’odiata Messa antica (ma pur sempre un male, rispetto alla wonderful Messa-moderna-in-italiano-con-chitarre) - una Messa in latino col nuovo messale. Declinerete con cortesia e garbo ma con molta fermezza, spiegando che non è solo questione di lingua ma anche, ad esempio (tra le molte differenze, che trovate dettagliate nella nostra pagina sul raffronto tra le due Messe), di celebrazione rivolta al Signore (traducetegli: “spalle al popolo”, o fingerà di non capire), in cui finalmente il Prete sta discretamente al suo posto e non è più il protagonista che deve interagire coi fedeli.
E poi, scusate, il Papa si aspetta che il suo motu proprio venga applicato, grazie all’intraprendenza dei gruppi stabili. Far tante storie per spuntare solo un po’ di latino, non è quello che aveva in mente. Insistete, quindi, anche pensando a lui.

Gesù all’ultima cena non dava le spalle agli Apostoli

Potremmo dire che, essendo Egli stesso Dio, non aveva bisogno di rivolgersi a Dio...
Ma a parte ciò, nel banchetto antico tutti i convitati erano seduti dallo stesso lato, non gli uni di fronte agli altri: tutti, quindi, erano rivolti verso la medesima direzione e non si fronteggiavano. L’Ultima Cena di Leonardo rappresenta bene tale usanza, e non per mero espediente pittorico: Gesù e gli Apostoli sono seduti da un lato solo del tavolo: un po’ come il sacerdote all’altare con i fedeli dietro a lui.

Sull’opportunità, poi, di questo modo di celebrazione verso Dio (eliminando quel cerchio tra assemblea e celebrante che rende la Messa un rito chiuso in se stesso in cui la comunità celebra se stessa, anziché aprirsi alla trascendenza), rinviamo agli scritti del card. Ratzinger raccolti nell’apposita pagina. Circa il fatto che fin dalle origini prete e fedeli stessero conversi ad Dominum, ossia rivolti verso la stessa direzione (tipicamente a Oriente) è stato dimostrato dagli studi scientifici citati dal Papa nella prefazione all’XI volume della sua Opera omnia (v. pagina sui suoi scritti)

Ammettere due messali significa incoraggiare scelte soggettive e rompere l’unità liturgica

La Chiesa conosce già molti riti diversi: oltre a quello romano, quello ambrosiano, mozarabico, i riti orientali, ecc. Anzi la Sacrosanctum Concilium loda questa varietà nell’unità della Fede. Aggiungere alla sinfonia la forma straordinaria del rito romano (ossia la Messa antica) non è altro che un arricchimento ulteriore. Se poi il fedele sceglie il rito che preferisce, che cosa c’è mai di male?
E non dimentichiamo il fatto che già attualmente c’è enorme differenza tra le varie celebrazioni liturgiche, pur facenti capo allo stesso Messale, senza che nessuno si scandalizzi troppo di queste concretissime rotture “dell’unità liturgica”.

I tradizionalisti vogliono il rito antico solo per folklore o perché nostalgici, o per ragioni politiche

Non c’è nessun legame sociologico o politico tra l’amore per la Messa in latino e in gregoriano e tendenze reazionarie; l’amore per la Tradizione della Chiesa non implica necessariamente un conservatismo politico: si può amare la Messa dei propri avi senza essere per il resto un laudator temporis acti. Ciò detto, è vero che, specie in passato, in alcuni gruppi, ma più folkloristici che politici, si sono celebrate Messe per Luigi XVI o similia. Il che può apparire ad alcuni sconveniente e discutibile. Ma a parte che tali manifestazioni non fanno del male a nessuno, il dato essenziale è che, proprio grazie al motu proprio, si avvicinano alla Messa antica una maggioranza di persone assolutamente “normali”, cioè ordinarie (benché amanti del rito straordinario), che non hanno alcuna intenzione di mescolare alla Santa Messa aspetti anche solo lontanamente politici.

Ammettere la Messa produrrebbe divisioni e contrasti nelle parrocchie

Come abbiamo accennato sopra, i fedeli laici, rispetto alla Messa antica, assumono una di queste due posizioni: o sono interessati, non foss’altro che per curiosità e per cambiare un po’, oppure se ne infischiano del tutto: magari trovano insensato che qualcuno possa avere interesse per un rito così arcaico, ma una volta chiarito che il motu proprio non li riguarda perché non abolisce le Messe in italiano, ma consente una Messa in latino a chi la vuole... contenti voi, fatevela!
Quindi, contrasti e divisioni tra i fedeli laici sono sostanzialmente impossibili. Problemi possono sorgere solo per colpa di un Parroco malevolo che, frustrando le legittime aspettative dei fedeli tradizionalisti, crei risentimento e li costringa a posizioni di contrasto che, con l’accoglienza giusta e benevola (raccomandata dal Papa!), si evitano alla radice.

La vecchia Messa è per pochi nostalgici, allontana i giovani e fa diminuire le vocazioni

Questa è un’obiezione che raramente oseranno farvi, e solo persone veramente ignare dello stato della situazione. Infatti la Messa tradizionale è richiesta e ricercata da un numero rilevante di giovani, o relativamente tali: più della metà di quelli che la desiderano hanno meno di 50 anni. Nota tale fenomeno anche il Papa, nella sua lettera di accompagnamento al motu proprio (“Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia”). E quanto alle vocazioni, soprattutto, è assodato che è vero il contrario: tra i tradizionalisti fioriscono vocazioni percentualmente molto più frequenti che tra i fedeli ordinari. Un dato statistico, ad esempio: in Francia i seminaristi tradizionalisti sono attualmente il 20% circa di tutti i seminaristi francesi, e questo benché i fedeli che frequentano centri di Messa tradizionale non siano più del 2-4% di tutti i cattolici.

La Messa antica nuoce all’unità della Chiesa

Tutt’al contrario: nell’epoca della globalizzazione e dei viaggi, poter trovare in ogni parte del mondo una Messa in latino, più o meno uguale ad ogni altra in forma straordinaria, è un magnifico collante dell’unità della Chiesa e consente a tutti di sentirsi a casa. Se non ci credete, andate, per dire, in Polonia, entrate in una chiesa dove si officia in polacco e (a meno che non capiate quella lingua) diteci la vostra bella impressione!

Il vecchio rito è povero e superstizioso

Si ripete ad nauseam che la riforma ha arricchito il Lezionario, che il popolo di Dio è ora ammesso ad una ricca tavola della Parola, che la preghiera dei fedeli ha introdotto le aspirazioni della gente nella preghiera, e simili amenità. Noi non infieriremo sulla “preghiera dei fedeli”, la quale in astratto potrebbe essere una buona idea (se fosse davvero qualcosa di concreto tipo: “preghiamo per la signora Maria, che deve affrontare una difficile operazione”) ma che in pratica è diventata una sagra dell’aria fritta (“affinché i popoli della Terra, affratellati dal comune anelito alla giustizia, possano conseguire livelli di autosufficienza economica più consoni alle loro legittime aspirazioni...”). E per quanto concerne il Lezionario, è indubbio che con la nuova Messa vi sia maggiore ricchezza di brani scritturistici. Resta da vedere, peraltro, se il fedele medio quando esce da Messa si ricorda qualcosa delle molte letture ascoltate; nella vecchia Messa, essendovi meno letture e sempre uguali da un anno all’altro, i brani ascoltati erano assai inferiori ma proprio per questo più facilmente memorizzati.
Comunque, se qualcuno ardisse denigrare in quel modo la Messa antica, limitatevi a citare la ricchezza dell’offertorio tradizionale o la poesia del canone romano (quest’ultimo, benché opzionale anche con la nuova Messa, è di fatto divenuto obsoleto nelle Messe parrocchiali).
Il Papa ha concesso il motu proprio solo per far rientrare i lefebvriani, non per diffondere indiscriminatamente Messe tridentine. Voi non siete lefebvriani, siete sempre andati alla Messa in italiano, quindi non è per voi.
Se qualcuno vi solleverà questa obiezione, sappiate che è sicuramente in mala fede.
Nessuno “del mestiere”, cioè un prete e ancor meno un vescovo, ignora che l’allora card. Ratzinger scriveva da decenni contro il modo in cui la riforma liturgica è stata attuata ed in favore di un recupero della tradizione: andate alla nostra pagina sugli scritti di Ratzinger, e fatevi un’idea. E’ per questo che, specie negli ambienti dei liturgisti (abituati a dettar legge in materia di stravaganti innovazioni liturgiche), la sua elezione a Papa è stata un’orribile doccia fredda.
Per il Papa, che non ha certo cambiato idea nel frattempo, la crisi della Chiesa deriva proprio dal disastro della liturgia, dalla costruzione artificiale di una Messa nuova (seppure ricostruita con pezzi di quella precedente) che ha allontanato centinaia di milioni di persone dalla Fede.
Egli ha quindi intrapreso un’opera di ricostruzione, che è difficilissima dopo 40 anni di bombardamento sull’edificio liturgico. E che dev’essere paziente, viste le resistenze ancora diffusissime. Questa ricostruzione passa attraverso il recupero sempre più marcato di elementi della Tradizione (la lingua latina, l’orientamento verso Dio della preghiera, la comunione in ginocchio, ecc.). E più Messe antiche ci sono, più quest’opera di bonifica si diffonderà: se in una città si inizia a celebrare una Messa tradizionale ben curata, sacrale e devota, essa costituisce un esempio rispetto alle altre che... non lo sono altrettanto. E i buoni esempi spesso sono contagiosi, con tutto vantaggio anche dei fedeli delle Messe ordinarie: come ha scritto il Papa nella lettera accompagnatoria del motu proprio “Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso stato finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso.”

La Messa gregoriana non può essere concessa nelle specifiche circostanze per ragioni pastorali.

L’aggettivo “pastorale” è divenuto davvero odioso, perché è servito negli ultimi quarant’anni a coprire, pur con la sua assoluta assenza di significato, l’imposizione dell’arbitrio di vescovi e parroci con pruriti di innovazione. E’ chiaro che una risposta come questa (occhio: non è un’invenzione, ma un argomento contrario tra i più ricorrenti) rappresenta un sostanziale rifiuto di confrontarsi e spiegare: stat pro ratione voluntas e quella voluntas, siccome proveniente da qualche mitrato, viene postulata per definizione come ispirata da oculate concezioni ‘pastorali’.
Poiché dunque questo non è un argomento di logica, ma di mera autorità (anzi, è un vero sopruso), inutile replicare con la logica; meglio ricorrere anche noi ad un argomento di autorità e citare questa frase di qualcuno più in alto degli altri: “queste norme [del motu proprio] intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni” (Benedetto XVI, Lettera di accompagnamento ai Vescovi del motu proprio Summorum Pontificum). Le Loro Eccellenze sono quindi “liberate” (leggi: esautorate) dal compito di giudicare in concreto che cosa è pastorale e che cosa non lo è, nella materia inerente la forma straordinaria del rito romano.
La Messa antica esprime un’ecclesiologia e una teologia che il Concilio ha riformato o rigettato, introducendo una nuova ‘ecclesiologia di comunione’. La vecchia Messa è incompatibile con queste grandi acquisizioni conciliari.
Chiudiamo con questo argomento critico perché è, senza dubbio alcuno, il più spassoso. Per vari motivi:
1) Chi lo afferma spesso manco si accorge che questo implica che la Chiesa Cattolica è nata nel 1962 (o, se è nata con Cristo, molto presto è finita sottoterra come un fiume carsico fino, appunto, al ’62). Perché dire che il Concilio ha introdotto una nuova ecclesiologia o, peggio ancora, una nuova teologia vuol dire, rispettivamente, che ha fondato una nuova Chiesa (ecclesia) e una nuova religione (teo-logia, scienza di Dio). Si sente purtroppo sostenere talvolta questa abissale eresia, che nega la promessa di Gesù di indefettibilità della Chiesa per tutto il corso della sua storia (e non solo dalle origini all’Editto di Costantino e poi – dopo una lunga parentesi di 1600 anni - dal 1962 in avanti). Se già sono molesti i sedevacantisti che dicono simili bestialità dal di fuori, è spaventoso che lo facciano anche vescovi e prelati... Almeno siano coerenti: se è nata una nuova religione, restituiscano chiese, benefici e proprietà a quelli che si rifanno alla vecchia.
2) Che cosa vuol dire ecclesiologia? Discorso sulla Chiesa, idea che la Chiesa ha di sé. E “ecclesiologia di comunione”, che è? E’ semplicemente uno di quegli slogan che suonano bene e che non dicono niente. Ma occhio: gli slogan uccidono (ne san qualcosa i cinesi vittime della rivoluzione culturale di Mao). Forse che prima del Concilio c’era una ecclesiologia di disunione? o di esclusione? o di separazione? Mah! Certo, allora la gente, forse perché usciva dalle guerre, era è più concreta e non si andava ad inventare espressioni vuote e senza significato. Nondimeno la Chiesa era già ante litteram (e lo è sempre stata) Popolo di Dio e comunione di credenti. A meno che l’Ecclesiologia di comunione sia nata solo da quanto ci si piglia per mano al Padre Nostro (il che peraltro, essendo invenzione degli ultimi anni, difficilmente può farsi risalire alle “intuizioni del Concilio”)!
3) Chi è che deve giudicare della compatibilità di un rito, come quello gregoriano, con la Fede e con l’Ortodossia (oh pardon, dovevamo dire con l’ecclesiologia di comunione e con la teologia dell’amore)? Il Papa, o no? E chi l’ha pensato e scritto il motu proprio, che è appunto un atto di iniziativa propria? Bingo!




NOS CUM PROLE PIA

BENEDICAT VIRGO MARIA



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