martedì 25 dicembre 2012

Nicolás Gómez Dávila



L’hidalgo di Cristo. Postmoderno
di Giovanni Cantoni

Dalle Ande agli Appennini, in attesa di una calata dalle Alpi alle piramidi, sbarca in Italia un ispanofono noto nel mondo di lingua tedesca e tradotto da un germanista. Come dire: passaggio dal Manzanarre al Reno. Un suo pionieristico scopritore ne descrive mentalità, tecnica espressiva, efficacia. E una fissazione: glossare, continuamente "in progress", un misterioso "testo implicito". Che esplicitamente manda all’aria le presunzioni e le (false) certezze del "progetto illuministico"
Nicolás Gómez Dávila nasce il 18 maggio 1913 in Colombia, a Cajicá, nel dipartimento di Cundinamarca, di cui è capoluogo la capitale dello Stato iberoamericano, Santa Fe de Bogotá, da una famiglia dell’alta società. Non si laurea e della sua formazione si possono considerare regolari solo gli studi, elementari e medi, compiuti privatamente durante una lunghissima permanenza in Francia, dai sei ai ventitrè anni.

Un ricco eremita in casa propria
La sua naturale avidità intellettuale si esprime nelle pratiche della lettura e della riflessione, confermate e trasformate — per così dire — da stile di vita in destino da un incidente occorsogli a cavallo, incidente che lo condiziona e contribuisce a relegarlo, dai primi anni 1960, in casa propria, «ubicata in un’affollata via di Bogotá, in mezzo al traffico e al rumore della strada, come un monumento preistorico che la routine sembra condannare alla dimenticanza, nonostante la sua isolata bellezza»: in questi termini Óscar Duque Torres, uno dei suoi pochi critici, descrive suggestivamente l’abitazione, in stile Tudor. Così Gómez Dávila vive quasi trent’anni come in clausura, da «certosino dell’altopiano» — la definizione è dello stesso critico e l’altopiano è quello dov’è situata Santa Fe de Bogotá, a 2630 metri d’altitudine —, nella «cella» costituita dalla sua monumentale biblioteca, di oltre trentamila volumi, soprattutto in lingua originale, dal momento che rifiuta le traduzioni: greco, latino, tedesco, inglese, portoghese, francese, italiano, russo e, naturalmente, spagnolo. Vi riceve una mezza dozzina d’interlocutori — fra loro il critico e scrittore Hernando Téllez (1908-1966), il dotto frate minore Félix Wilches (1905-1972) e l’uomo politico conservatore, diplomatico e appassionato d’arte, Douglas Botero Boshell (1916-1997) — e l’abbandona quasi solo per la «cappella», la chiesa del convento francescano de La Porciúncula, nella stessa via.
Torna in Europa nel 1959, per un soggiorno di sei mesi con la moglie, María Emilia Nieto de Gómez, sposata quasi immediatamente dopo il suo rientro dalla Francia. Muore il 17 maggio 1994, mentre s’appresta a studiare il danese per accostare Søren Kierkegaard (1813-1855), seguendo la moglie, scomparsa l’anno precedente, e lasciando tre figli e alcuni nipoti.

Gli scritti: «glosse a un testo implicito»
Di fatto Gómez Dávila è autore di una sola grande opera continua, Escolios a un texto implícito, la cui pubblicazione inizia con questo titolo nel 1977, prosegue nel 1986 come Nuevos escolios a un texto implícito e si conclude, nel 1992, come Sucesivos escolios a un texto implícito. Tutti questi volumi hanno la stessa struttura e sono frutto della medesima concezione: una sequenza di escolios, di «glosse», in un certo senso anticipate, con il modesto titolo di Notas, nel 1954 in un’edizione privata in Messico, quindi, nel 1956, sulla rivista d’avanguardia colombiana Mito.
In apparenza diverso è il volume Textos I, del 1959, un testo unico con qualche rara suddivisione, che raccoglie pensieri in paragrafi l’uno seguente l’altro, poi «svanito» nella stessa consapevolezza dell’autore, così come costituiscono eccezioni, dal punto di vista formale, i saggi Il vero reazionario e De Jure. Ma in Textos I, che non avrà il seguito che il titolo lascia intendere, sono già presenti i caratteri delle glosse, meno il «testo implicito»: un pensiero libero e concentrato e un’espressione ricercata.

La fortuna dello «scrittore reazionario» o la «celebrità discreta»
Gli scritti del pensatore colombiano vengono proposti al pubblico, nonostante la sua ritrosia e solo grazie all’interessamento dei pochi ma fedelissimi amici: trattandosi però di amici socialmente e politicamente altolocati, si dà il caso inconsueto di un autore «sconosciuto» pubblicato da editrici «nazionali» nel senso di «pubbliche», di quelle il cui catalogo suggerisce piuttosto un deposito di «classici da non leggere più» che non una vetrina di nuovi talenti. Inoltre — la notazione è dello stesso Gómez Dávila —, «lo scrittore reazionario deve rassegnarsi a una celebrità discreta, dal momento che non si può ingraziare gl’imbecilli».
La letteratura critica è limitata a una tesi, sostenuta da Mauricio Galindo Hurtado, colombiano, presso un’università britannica, e a qualche saggio quando non a rievocazioni giornalistiche. Fra i giudizi, meritano di essere riferiti quelli di ben altrimenti noti scrittori suoi compatrioti. Il romanziere e poeta Álvaro Mutis Jaramillo — uno dei suoi frequentatori — parla di Escolios a un texto implícito come di «un capolavoro del pensiero occidentale», «[…] una vasta summa di sapere, disseminata […] di allusioni e di elusioni, la cui piena utilizzazione supporrebbe lunghe veglie con i testi essenziali della nostra eredità ebraica, ellenica, romana, cristiana e occidentale»; e la definisce «opera superba che presenta nello stesso tempo una feconda teoria della storia e un’inconfutabile dottrina politica, un’essenziale meditazione sulla poesia e un non meno definitivo esame del pensiero metafisico e teologico», tale da essere — prevede — motivo di scandalo per gli «[…] eredi della tradizione liberale e democratica nata con la riforma protestante, incubata nel secolo dei lumi e battezzata con il sangue nelle giornate del 1789», ma atta a esser utilizzata anche dall’uomo qualunque — come dice con espressione italiana —, dal momento che, per quanto «inconsueta e vasta», «[…] concerne anche i nostri affari di tutti i giorni». E del romanziere Gabriel García Márquez viene citata l’impegnativa affermazione: «Se non fossi comunista, penserei come Gómez Dávila».
Segnalati tempestivamente nel mondo di lingua tedesca dal filosofo cattolico Dietrich von Hildebrand (1889-1977), gli scritti e il pensiero di Gómez Dávila vi fanno la loro comparsa negli anni 1980 grazie a un’editrice conservatrice viennese: egli acquisisce così fra i suoi estimatori lo scrittore Ernst Jünger (1895-1998), che parla della sua opera come di «una miniera per amanti del conservatorismo»; lo studioso e pensatore politico Erik Maria von Kuehnelt-Leddihn (1909-1999) e il filosofo Robert Spaemann.
Il pensatore colombiano giunge finalmente in Italia nel 2001, in apertura di secolo e di millennio, con In margine a un testo implicito, una consistente scelta della prima metà del primo volume della prima raccolta, Escolios a un texto implícito, curata con amore e maestria dallo storico della filosofia e germanista Franco Volpi, dopo che, nel 1999, ho tradotto sulla rivista Cristianità di Piacenza uno dei suoi pochissimi saggi, Il vero reazionario, e che, nello stesso anno e nel 2000, l’autore è stato presentato in diverse sedi dallo stesso Volpi e da chi scrive. E pensieri brevi stanno «filtrando», talora via Internet, in Polonia e in Francia.

Il genere letterario: la tecnica «pointilliste» e le «brevi frasi»
L’opera di Gómez Dávila va esaminata secondo le prospettive formale e contenutistica non per scelta del critico, ma perché indicate, più che soltanto suggerite, dai titoli spogli dei suoi volumi, privi di qualsiasi richiamo, costituiti dalla reiterazione di «glosse» e di «testo implicito». Si tratta infatti di consistenti raccolte di pensieri brevi — oltre diecimila —, ai quali l’autore nega la natura di aforismi: «Ciò che il lettore troverà in queste pagine non sono aforismi» — scrive —, «le mie brevi frasi sono tocchi cromatici di una composizione pointilliste». E il riferimento alla tecnica pittorica pointilliste, in una delle prime glosse della prima raccolta, costituisce indicazione ermeneutica fondamentale, che vieta un giudizio non d’insieme sulla «composizione» e sull’«artista» — sua la dichiarazione: «Pretendo soltanto di non aver scritto un libro lineare, ma un libro concentrico» — e che suggerisce un apprezzamento corrispondente dei singoli «punti», dei singoli «tocchi cromatici»: «Il discorso continuo — sentenzia — tende a occultare le rotture dell’essere. Il frammento è espressione del pensiero onesto». Quanto alle «brevi frasi», «un testo breve non è una dichiarazione presuntuosa, ma un gesto che appena abbozzato si dissolve»; e l’aforisma «negato» è però difeso, svelando la consapevolezza della difficoltà di definirlo: «Accusare l’aforisma di esprimere soltanto parte della verità equivale a supporre che il discorso prolisso possa esprimerla tutta»; viene denunciata la prolissità — «La prolissità non è un eccesso di parole, ma una carenza di idee» — e tessuto l’elogio del testo breve in quanto «poetico», cioè creativo, quindi costruttivo per il lettore: «L’opera frammentaria si fa poesia nel momento in cui ci obbliga a completare le sue curve mutile».
Lo «spettro» dell’aforisma va infatti dalla definizione alla massima, alla «degnità» — il richiamo è a Giambattista Vico (1668-1744) —, alla «monografia compressa» — la formula è dello studioso canadese della comunicazione Marshall McLuhan (1911-1981) —, alla glossa, alla breve osservazione, al rimando, all’appunto, alla nota a margine. E costituisce retaggio dell’oralità, assillata dal problema della conservazione della memoria, ed elemento di una plurisecolare farmacopea spirituale, così dando implicite istruzioni sulla «posologia» del testo, quindi sulla sua lettura e fruizione: si tratta di piccole e dense «dosi» da non trangugiare in una sola volta, dal momento che non hanno un inizio e una fine, ma piuttosto un centro, e delle quali la tecnologia della scrittura nell’«epoca della sua riproducibilità tecnica», cioè della stampa, permette di ricuperare a volontà la sostanza orale e oracolare.
Dunque, glosse a margine. Ma a margine di che? S’impone, oltre il contenuto di tali glosse, l’identificazione del texto implícito. I critici propongono due ipotesi, in alternativa o in combinazione: una letterale e l’altra lata. Quella letterale, stretta, rimanda a un ampio tratto dei Textos I di dura polemica sia con la «democrazia» che con l’«uomo democratico», intesi come espressioni e portatori di una visione del mondo che coglie la verità come tesi suffragata dal consenso quantitativo, maggioritariamente; quella lata identifica tale testo con l’intero corpus culturale dell’Occidente, da Omero ai contemporanei.

Il «pensiero reazionario»
Se il genere dell’opera favorisce l’apprezzamento anzitutto del paradosso, un’attenzione maggiore permette l’identificazione in essa di una dialettica di tipo vichiano fra «stoltezza» e «sapienza», nascoste dalla varietà delle formulazioni dell’una e dell’altra: «Cambiano meno gli uomini idee che le idee i loro travestimenti. Nel corso dei secoli dialogano le stesse voci».
Ma «imbecillità», «stupidità» e «follia», oppure, con riferimento temporale, «modernità», possono suggerire nell’autore pura emotività e far dimenticare sia la gamma espressiva che l’espressione singola, talora strutturata a paradosso, cioè a figura logica in apparenza assurda in quanto contrastante non solo, eventualmente, con il buon senso, ma, nel caso, con l’opinione corrente, e atta peraltro a decantare in proverbio.
Dal punto di vista culturale, del pensiero reazionario Gómez Dávila non coglie e non svolge solamente l’ascendenza spagnola — ricordo, anche per la consonanza formale, i Pensamientos varios di Juan Donoso Cortés (1809-1853) —, francese o anglosassone, ma pure quella tedesca; quindi procede a un ricupero del romanticismo, non solo del pre-romanticismo della sensibilité e della sensibility, sia contenutisticamente, sia espressivamente, attraverso l’apprezzamento della continuità fra pensiero contro-rivoluzionario e poesia soprattutto ottocentesca. Infatti, «la poesia del secolo XIX è l’eredità lasciata alla letteratura dalla contro-rivoluzione soffocata». Sì che — osserva acutamente —, «identificando romanticismo e democrazia, così condannando il romanticismo, Maurras [Charles, 1868-1952] è caduto in un terribile errore. Condannando il romanticismo, Maurras condannava il pensiero reazionario e adottava un’ideologia rivoluzionaria in nome della contro-rivoluzione».
Dal punto di vista sostanziale «la saggezza consiste semplicemente nel non insegnare a Dio come si debbano fare le cose» e a vivere l’individualità, l’irripetibilità e la frammentarietà nel mistero: «Contro lo svuotamento moderno del mistero affermiamo la sua presenza inglobante» e, anzitutto, che «la verità è una persona». Però «la radice del pensiero reazionario non è la sfiducia nella ragione, ma la sfiducia nella volontà»; e il pensiero reazionario viene abbozzato almeno su tre «cavalletti», suggeriti da un’autoqualificazione: esser l’autore «cattolico, reazionario e retrogrado». Cioè di tale pensiero non rilevano solamente le dimensioni politiche e culturali, ma anche — se non soprattutto — le radici religiose ed esistenziali: se «la Reazione comincia a Delfi» e se «la Reazione è cominciata con il primo pentimento», «la reazione esplicita comincia alla fine del secolo XVIII; ma la reazione implicita comincia con l’espulsione del diavolo»; ed «essere reazionario significa capire che l’uomo è un problema senza soluzione umana». Così i testi brevi sono percorsi da una vena polemica, talora esplicita e dura, in aggressivo contrasto con ogni filosofia e con ogni teologia razionalistiche, perché «razionalismo è lo pseudonimo ufficiale dello Gnosticismo», «la democrazia è la politica della teologia gnostica», «la Gnosi è la teologia satanica dell’esperienza mistica. Nell’interpretazione gnostica dell’esperienza mistica si genera la divinizzazione dell’uomo», e «l’ugualitarismo è inferenza gnostica: infatti ogni particella della divinità è ugualmente divina». Si tratta di una prospettiva filosofica e teologica negativa, che richiama quella platonico-tomistica di Josef Pieper (1904-1997). E a tale vena se ne affianca un’altra, antimoralistica ma non certo immorale, percorsa dall’evangelica «prudenza del serpente» da affiancare alla «semplicità della colomba» (cfr. Mt. 10, 16), la cui divisa potrebbe essere «Credere in Dio, confidare in Cristo, guardare con malizia», e la cui espressione è talora non solo dura quanto al contenuto ma pure cruda quanto al modo. Comunque, anche quando oggetto degli strali sono i cristiani, gli uomini di Chiesa e la Chiesa stessa, la «regola» è inequivoca: "Ciò che si pensa contro la Chiesa, se non lo si pensa da dentro la Chiesa, è privo di interesse". Insomma — afferma perentoriamente Gómez Dávila —, «[…] il cattolicesimo è la mia patria» e in questo terreno coltiva «un platonismo esistenziale e uno storicismo agostiniano».
Ma l’orizzonte limitato e cupo non alimenta la disperazione, anche se «la nostra ultima speranza sta nell’ingiustizia di Dio» e «l’unica precauzione sta nel pregare in tempo»: infatti, poicé «per rinnovare non è necessario contraddire, basta approfondire», e siccome «il peso di questo mondo si può sopportare solo in ginocchio», «l’unica ragione di sperare è stata espressa perfettamente da Huizinga [Johan, 1872-1945] in una delle sue ultime parole: "Per fortuna l’uomo non ha l’ultima parola"». E Nicolás Gómez Dávila, in attesa di ascoltare da Dio l’ultima parola a proprio riguardo, negli ultimi mesi della vita si dedica alla lettura del Catechismo della Chiesa Cattolica, dicendo rispettosamente la sua — testimonia il suo ultimo confessore, che ne celebrerà anche le esequie, monsignor Luis Carlos Ferreira, decano del capitolo della cattedrale di Santa Fe di Bogotá —, cioè avanzando riserve sullo stile in cui è redatto.

Per proseguire un incontro
Nicolás Gómez Dávila ha in breve tempo conosciuto una eccezionale fortuna editoriale anche in Italia. Ecco qualche elemento per un percorso bibliografico
In italiano, dell’autore vedi Il vero reazionario, in Cristianità, anno XXVII, n. 287-288, Piacenza marzo-aprile 1999, pp. 18-20; e In margine a un testo implicito, trad. it., a cura di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2001.
Sull’autore, vedi Óscar Duque Torres ed Ernesto Monsalve, Nicolás Gómez Dávila: la pasión del anacronismo, in Boletín Cultural y Bibliográfico, vol. 32, Santa Fe de Bogotá 1995, n. 40, pp. 31-49; il mio Un contro-rivoluzionario cattolico iberoamericano nell’età della Rivoluzione culturale: il «vero reazionario»; postmoderno Nicolás Gómez Dávila, in Cristianità, anno XXVII, n. 298, Piacenza marzo-aprile 2000, pp. 7-16; e F. Volpi, Un angelo prigioniero nel tempo, in N. Gómez Dávila, In margine a un testo implicito, cit., pp. 157-183.
© Tempi

Fuente de seria y sólida cultura. Fuente de agua viva y pura.



Palabras de Jesús 
a Mons. Ottavio Michelini:

No temas, estoy Yo para conducirte. Ve hacia adelante, no retrocedas y no te preocupes. Han rechazado mi Evangelio, han distorsionado mi verdad, no han creído a las almas víctimas, a las que he hablado. En sus palabras he puesto el sello de mi gracia; han resistido a todo.
He dictado a María Valtorta, alma víctima, una obra maravillosa. Yo soy el autor de esta obra. Tú mismo te has dado cuenta de las rabiosas reacciones de Satanás.
Tú has comprobado la resistencia que muchos sacerdotes oponen a esta obra que si fuera, no digo leída, sino estudiada y meditada llevaría un bien grandísimo a muchas almas. Ella es fuente de seria y sólida cultura.
Pero frente a esta obra, a la que está reservado un gran éxito en la Iglesia renovada, se prefiere la basura de tantas revistas y de libros de presuntuosos teólogos.
Te bendigo como siempre. Ámame mucho.

22 de enero de 1976
(...) Entre estos sacerdotes, está X. Me es querido por su deseo de perfección, y también por su amor por aquella Obra maravillosa que el mundo ignora, que los soberbios rechazan y que los humildes aman: el “Poema del Hombre-Dios” [=El Evangelio como me ha sido revelado].
Es obra querida por la Sabiduría y Providencia divinas para los tiempos nuevos; es fuente de agua viva y pura.
Soy Yo, la Palabra viviente y eterna, que me he dado nuevamente en alimento a las almas que amo. Yo soy Luz, y la luz no se confunde y mucho menos se funde con las tinieblas. Donde Yo entro, las tinieblas se disuelven para dar lugar a la luz.
Donde no hay vida hay muerte, y la muerte es podredumbre. Hay una podredumbre espiritual no menos nauseabunda que la putrefacción orgánica de los cuerpos en descomposición. Yo, verdad y vida, agua viva y luz del mundo, ¿cómo podría morar en almas corrompidas por las concupiscencias de la carne y del espíritu?
También esto, hijo, prueba que quien no ha sentido en el "Poema" el sabor de lo divino, el perfume de lo sobrenatural, tiene el alma obstruida y oscurecida.
Hay obispos, sacerdotes, religiosos y religiosas que una vez más todavía alegan esa prudencia, para ellos causa de tantas imprudencias. Se refugian dentro, y no saben que están dentro del fortín del demonio. La prudencia es virtud, y la virtud no tiene náusea de lo Divino.
Hijo mío, ¡qué bajo hemos llegado! Que sepa Don X.. que cada vez que ha releído el "Poema del Hombre-Dios" me ha dado alegría por todos aquellos que me han negado esa alegría.


DEO GRATIAS et B.V.MARIAE!

Castidad y pureza.




El Apocalipsis en los Padres de la Iglesia


Pureza.

Frente a la inminencia de los últimos tiempos, el Señor exige de los suyos disposiciones muy precisas. La primera es “tener los lomos ceñidos”, actitud necesaria para todos, pero especialmente para los pastores de la grey de Cristo, ya que les permitirá estar mejor preparados para la evangelización. Algunos Padres relacionaron el ceñimiento de los lomos con la virtud de la castidad. “Los que viven en castidad –escribe Orígenes- tienen los riñones ceñidos”.


Comentario:

Se sabe que hacia el fin de los tiempos la lujuria llevará la voz cantante y lo habrá contaminado casi todo, que es lo que está sucediendo ahora. Por eso los que quieran permanecer fieles a Cristo deberán guardar la castidad, la pureza.
Como comentario de la importancia de esta virtud, pongamos aquí las palabras que Jesús dice en la Obra de María Valtorta, refiriéndose a este tema, y esto nos ayudará a ser más castos y precavidos contra el demonio, que por todos los medios nos quiere llevar a la impureza, pues sabe que con ese pecado nos desmantela el alma.
Dice Jesús:
La pureza tiene un valor tal, que un seno de criatura pudo contener al Incontenible, porque poseía la máxima pureza posible en una criatura de Dios.
El verdadero amor no conoce egoísmo. El verdadero amor es siempre casto, aunque no sea perfecto en la castidad como el de los dos esposos vírgenes. La castidad unida a la caridad conlleva todo un bagaje de otras virtudes y, por tanto, hace, de dos que se aman castamente, dos cónyuges perfectos.

Las dos vías más comunes que Satanás toma para llegar a las almas son la sensualidad y la gula. Empieza siempre por la materia; una vez que la ha desmantelado y subyugado, pasa a atacar a la parte superior: primero, lo moral (el pensamiento con sus soberbias y deseos desenfrenados); después, el espíritu, quitándole no sólo el amor — que ya no existe cuando el hombre ha substituido el amor divino por otros amores humanos — sino también el temor de Dios. Es entonces cuando el hombre se abandona en cuerpo y alma a Satanás, con tal de llegar a gozar de lo que desea, de gozar cada vez más.
Insisto sobre el valor de la pureza. 

La castidad es siempre fuente de lucidez de pensamiento. La virginidad afina y conserva la sensibilidad intelectiva y afectiva hasta la perfección, perfección que sólo quien es virgen experimenta.

El valor de la pureza es tal que — lo has visto — Satanás se preocupaba ante todo de inducirme a la impureza. Él sabe bien que la culpa sensual desmantela el alma y la hace fácil presa para las otras culpas. La atención de Satanás se dirigió a este punto capital para vencerme. El pan, el hambre, son las formas materiales para la alegoría del apetito, de los apetitos que Satanás explota para sus fines. ¡Bien distinto es el alimento que él me ofrecía para hacerme caer como ebrio a sus pies! 

Después vendría la gula, el dinero, el poder, la idolatría, la blasfemia, la abjuración de la Ley divina. Mas el primer paso para poseerme era éste: el mismo que usó para herir a Adán.

El mundo se burla de los puros. Los culpables de impudicia los agreden. Juan el Bautista es una víctima de la lujuria de dos obscenos. Pero si el mundo tiene todavía un poco de luz, se debe a los puros del mundo. 

Son ellos los siervos de Dios y saben entender a Dios y repetir las palabras de Dios. Yo he dicho: "Bienaventurados los puros de corazón, porque verán a Dios", incluso desde la tierra. Ellos, a quienes el humo de la sensualidad no turba el pensamiento, "ven" a Dios y lo oyen y le siguen, y lo manifiestan a los demás.

Cuanto más puros seáis, más comprenderéis; porque la impureza - del tipo que sea - es en todo caso humo que obnubila y grava vista e intelecto.

Sed puros. Comenzad a serlo por el cuerpo para pasar al espíritu. Comenzad por los cinco sentidos para pasar a las siete pasiones. 

Comenzad por el ojo, sentido que es rey y que abre el camino a la más mordiente y compleja de las hambres. El ojo ve la carne de la mujer y apetece la carne. El ojo ve la riqueza de los ricos y apetece el oro. El ojo ve la potencia de los gobernantes y apetece el poder. Tened ojo sereno, honesto, morigerado, puro, y tendréis deseos serenos, honestos, morigerados y puros. Cuanto más puro sea vuestro ojo, más puro será vuestro corazón. Estad atentos a vuestro ojo, ávido descubridor de los pomos tentadores. Sed castos en las miradas, si queréis ser castos en el cuerpo. Si tenéis castidad de carne, tendréis castidad de riqueza y de poder; tendréis todas las castidades y seréis amigos de Dios. No temáis ser objeto de burlas por ser castos, temed sólo ser enemigos de Dios.


Un día oí decir: "El mundo se burlará de ti, considerándote mentiroso o eunuco, si muestras no tender hacia la mujer". En verdad os digo que Dios ha puesto el vínculo matrimonial para elevaros a imitadores suyos procreando, a ayudantes suyos poblando los Cielos. 

Pero existe un estado más alto, ante el cual los ángeles se inclinan viendo su sublimidad sin poderla imitar. Un estado que, si bien es perfecto cuando dura desde el nacimiento hasta la muerte, no se encuentra cerrado para aquellos que, no siendo ya vírgenes, arrancan su fecundidad, masculina o femenina, anulan su virilidad animal para hacerse fecundos y viriles sólo en el espíritu.
    
 Se trata del eunuquismo sin imperfección natural ni mutilación violenta o voluntaria, el eunuquismo que no impide acercarse al altar; es más, que, en los siglos venideros, servirá al altar y estará en torno a él. Es el eunuquismo más elevado, aquel cuyo instrumento amputador es la voluntad de pertenecer a Dios sólo, y conservarle castos el cuerpo y el corazón para que eternamente refuljan con la candidez que el Cordero aprecia.



MATER PURISSIMA!
VIRGO PRUDENTISSIMA!
ORA PRO NOBIS!

martedì 18 dicembre 2012

Io mi inginocchio!


genuflessione


Ecco perché io mi inginocchio!


   Vi sono ambienti, che esercitano notevole influenza, che cercano di convincerci che non bisogna inginocchiarsi. 

   Dicono che questo gesto non è conveniente per l'uomo maturo, che va incontro a Dio stando diritto, o, quanto meno, non si addice all'uomo redento, che mediante Cristo è divenuto una persona libera e che, proprio per questo, non ha più bisogno di inginocchiarsi. 

   Se guardiamo alla storia possiamo osservare che Greci e Romani rifiutavano il gesto di inginocchiarsi, era cosa indegna di un uomo libero. 

   L'atto di inginocchiarsi è espressione della cultura cristiana e proviene dalla Bibbia e dalla sua esperienza di Dio. 
   Infatti, l'espressione con cui Luca descrive l'atto di inginocchiarsi dei cristiani (theis ta gonata) è sconosciuta al greco classico. 

   Le ginocchia erano per gli ebrei un simbolo di forza; il piegarsi delle ginocchia è quindi il piegarsi della nostra forza davanti al Dio vivente, riconoscimento che tutto ciò che noi siamo, lo abbiamo da Lui. 


   Secondo Matteo (26,39) e Marco (14,35) Gesù si prostra, pregando al monte degli ulivi; Luca, invece, in tutta la sua opera - Vangelo e Atti degli Apostoli - ci racconta che Gesù pregava in ginocchio. 
   È esemplare, il gesto: il Figlio ripone la sua volontà nella volontà del Padre. 

   L'adorazione è uno di quegli atti fondamentali che riguardano l'uomo tutto intero. 
   Per questo il piegare le ginocchia alla presenza del Dio vivo è irrinunciabile
   Chi prega in ginocchio riconosce la grandezza di Dio e la propria debolezza. 
   Diventa piccolo davanti al Tutto Santo e riconosce di aver bisogno di qualcuno che lo rialzi e lo sollevi.

Aldo Figliuzzi

Ed ecco due foto che dimostrano come una volta tutto ciò era molto compreso e vissuto dai fedeli (e non come si pensa oggi che la gente non capiva nulla della fede e non aveva consapevolezza di quello che celebrava...)

 
23 marzo 1919. Carlo I d'Asburgo e la moglie Zita Maria di Borbone-Parma, assistono alla Santa Messa inginocchiati sui binari della ferrovia alla partenza per la Svizzera, prima tappa dell'esilio imposto all'Imperatore austriaco dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale. 
(da notare tutti gli uomini presenti in ginocchio!)

 
Marzo 1945. Nella cattedrale di Colonia (Köln) distrutta dai bombardamenti degli "Alleati", si continua a celebrare la Santa Messa. 
Di fronte al Santissimo Sacramento, i fedeli si inginocchiano anche se su detriti e calcinacci.
 
 

** “Procura la compañía de los buenos. ...*San Buenaventura de Bagnoregio LAS CINCO FESTIVIDADES DEL NIÑO JESÚS



San Buenaventura de Bagnoregio
Las cinco festividades del niño Jesús
traducción de Carlos martínez ofm

Prólogo

Dado que, según el parecer y la doctrina de aquellos hombres venerables que la irradiación divina más ampliamente ilustró en la Iglesia de Dios, y más abundantemente encendió la devoción celeste, la meditación del dulce Jesús y la devota contemplación del Verbo encarnado deleita el alma devota con más suavidad que la miel y que la fragancia de los más exquisitos perfumes, la embriaga más dulcemente, y con mayor perfección la consuela y conforta; de aquí que, habiéndome sustraído un poquito al tumulto de molestos pensamientos, reflexioné en silencio, dentro de mí mismo, qué pudiera yo meditar en este tiempo sobre la Encarnación para recibir algún consuelo espiritual, en el cual gustara por espejo la divina dulzura en este valle de lágrimas, de manera que, una vez gustado en algo dicho consuelo, me fastidiara toda consolación temporal y fantástica.
Y de lo secreto de la mente me saltó la idea de que el alma devota podía renovar en sí el misterio de la Encarnación, y por virtud del Altísimo, mediante la gracia del Espíritu Santo, podía espiritualmente concebir, dar a luz y poner nombre al Verbo bendito e Hijo unigénito de Dios Padre; buscarlo y adorarlo con los santos Magos y, finalmente, presentárselo a Dios Padre, conforme a la ley de Moisés, felizmente en el templo. De esta forma el alma, como verdadera discípula de la religión cristiana, viene a celebrar en sí devotamente las cinco festividades que del niño Jesús celebra la Iglesia. Y como humildemente lo imaginé, así con humildes palabras lo compuse, omitidas las autoridades por amor de la brevedad.
Si alguno, leyendo o meditando este trabajo breve y humilde, se mueve un poco a devoción del dulcísimo Jesús, a él solo, autor, fuente y principio de todos los bienes, alabe, glorifique y bendiga. Mas si no concibiere ningún afecto, culpe al escritor de insuficiente e indigno, si ya no es suya la culpa por haber leído con poca devoción y humildad.

Festividad Iª

Cómo Jesucristo, el Hijo de Dios, sea concebido espiritualmente por el alma devota

1. En primer lugar, purificado el entendimiento con el agua de la contrición, y encendido y elevado el afecto con la chispa del amor, consideremos casta y devotamente la manera como este bendito Hijo de Dios, Cristo Jesús, es concebido espiritualmente del alma piadosa.
Cuando el alma devota, movida y estimulada o por la esperanza del galardón del cielo, o por el temor del eterno suplicio, o por el hastío de morar por más tiempo en este valle de lágrimas, comienza a ser visitada con nuevas inspiraciones, santos afectos la inflaman y altos pensamientos y consideraciones del cielo la congojan, pero, rechazados y despreciados los antiguos defectos y los deseos de antes, es espiritualmente fecundada con el espíritu de la gracia por el Padre de las luces, de quien proviene toda dádiva preciosa y todo don perfecto [1] , con la decisión de una nueva forma de vivir. ¿Y qué significa esto, sino que descendiendo la virtud del Altísimo y la sombra del celestial refrigerio, que mitiga las concupiscencias carnales, conforta y ayuda a ver a los ojos del alma, el Padre vuelve grávida y fecunda el alma con una suerte de semilla celeste? Tras esta sacratísima concepción, el alma empalidece en el rostro por la verdadera humildad en el comportamiento, experimenta desgano por el alimento y la bebida, y desprecio y rechazo totales por las cosas del mundo; cambian los deseos en los afectos a raíz del propósito y la intención de bienes diferentes, y a veces también comienza a debilitarse y enfermar en el reniego de la propia voluntad. Ya anda triste y turbada por la perpetración de los pasados delitos, por el tiempo perdido, por la compañía y la conducta de los hombres que todavía viven en el mundo según los criterios del mundo. Poco a poco, ya comienza a resultarle pesado y tedioso todo lo que está y se ve afuera, porque se da cuenta de que desagrada a Aquél que ella percibe y siente presente en el corazón.

2. ¡Oh feliz concepción, de la cual se consigue semejante desprecio del mundo y tan gran apetito por las operaciones del cielo y las ocupaciones divinas! Ya, habiendo gustado el alma aunque más no sea un poco de la suavidad del espíritu, pierde el sabor toda carne con gemido, ya el alma comienza a subir a la montaña con María, porque después de tal concepción molestan las cosas terrenas y se desean las celestes y eternas. Ya comienza a huir de la compañía de aquellos que sólo encuentran sabor en lo terreno, y anhela la familiaridad de aquellos que suspiran por lo celeste. Ya comienza a servir a Isabel, es decir, a aquellos que ilumina la sabiduría divina y la divina gracia más enciende por el amor. Y esto es muy importante, porque es la exigencia de muchos que, cuanto más se apartan del mundo, tanto más amigos y familiares se vuelven de los hombres buenos, de manera que tanto más insípida se les vuelve la compañía de los malos, cuanto más dulcemente los aficiona y los enciende la vida honesta de los buenos y los espirituales. Porque, según el bienaventurado Gregorio, “cuando alguien se une a un hombre santo, sucede que, de verlo con frecuencia, de oír sus palabras y del ejemplo de su vida, se enciende en el amor a la verdad, huye de las tinieblas de los pecados y se enardece en el amor de la luz divina” [2] . De donde Isidoro: “Procura la compañía de los buenos. Sucederá, en efecto, que si te haces compañero de su vida, serás también compañero de sus virtudes” [3] . Considere aquí el alma fiel, cuán castos, cuán santos y cuán devotos fueron los diálogos de aquellos santos, cuán divinos y cuán salutíferos sus consejos, cuán admirable la santidad y cuán grande la obra de su mutua compañía, cuando cada uno provocaba al otro, con el ejemplo y la palabra, a cosas siempre mejores.

3. Eso mismo has de hacer tú, alma devota, si sientes haber concebido del Espíritu nuevos deseos de vida celestial. Huye de la compañía de los malos, asciende con María, busca los consejos de hombres espirituales, trata de imitar las huellas de los perfectos, contempla las palabras de los buenos, junto a sus obras y a sus ejemplos. Huye de los venenosos consejos de los perversos, que siempre buscan pervertir, desean impedir, no desisten de lacerar los nuevos deseos del Santo Espíritu, y muchas veces, bajo apariencia de piedad inoculan el virus de la impía tibieza, diciendo: “lo que empiezas es demasiado grande, lo que te propones es demasiado arduo, nadie puede resistir lo que haces; no te darán las fuerzas, te faltan las virtudes naturales, perderás la cabeza, se te destruirán los ojos, te prepararás mil enfermedades distintas: tisis, parálisis, cálculos, mareos de cabeza, cataratas en los ojos; perderás los sentidos, se te obnubilará la razón, y te abandonarán todas las fuerzas. Todo esto te sucederá si no desistes de lo comenzado, si no atiendes más al bienestar de tu cuerpo. Estas cosas no están bien para tu estado, te hacen perder honor e imagen”. Ves cómo ya se hizo maestro de disciplina y médico del cuerpo el que ni sabe componer las propias costumbres ni es capaz de curar la enfermedad de su propia mente. Ay, ay… ¡Cuántos y cuántos cayeron por las zancadillas de los malditos consejos de los mundanos, y mataron al Hijo de Dios que había sido concebido en ellos por el Espíritu Santo! Esta es la miserable poción y la mortífera persuasión diabólica, que impide en muchos la concepción espiritual, y en muchos más elimina y aborta lo que ya está concebido y formado por el propósito, o lo que ya está hecho por el deseo.

4. Pero también hay otros que parecen buenos y religiosos -y quizá lo son-, mas, salvada su reverencia, son demasiado miedosos, sin darse cuenta de que no se empequeñeció la mano del Señor, de manera que ya no pueda salvar [4] , ni fue disminuida la piedad del Altísimo, que quiere y puede ayudar; tienen celo de Dios, pero indiscreto [5] , al alejar a los hombres de las obras de perfección por compasión de la aflicción corporal, o tal vez por temor del desfallecimiento natural, viendo hacer a otros con resolución lo que ellos mismos ya habían considerado bueno y santo, pero no se habían atrevido a empezar. Disuaden de todo aquello que exceda la norma de la vida común, destruyen los santos consejos de la divina inspiración; y los consejos de estos tales, cuanto más autorizados son en razón de su vida, tanto más peligrosos resultan.

5. A veces dicen éstos, objetando astutamente con el arte del antiguo enemigo: “Haciendo todo eso te considerarán santo, buen religioso, devoto. Y como aún no se halla en ti aquello que dicen los otros, a los ojos del supremo Juez, que conoce tus grandes, graves y horrendos pecados, serás culpable y perderás los méritos de tus obras, y serás juzgado como un simulador o un hipócrita”. Ellos dicen que tales ejercicios son para aquellos que nunca hicieron nada malo, aquellos que siempre llevaron una vida santa e inocente, que dejaron todo por el Señor, y que todo el tiempo de su vida vivieron perfectamente unidos a Dios.

6. Pero tú, oh alma devota amada por Dios, guárdate bien de ellos; sube al monte con María. Pablo no había vivido sin pecado, y todavía no había servido por mucho tiempo a Dios cuando fue arrebatado al tercer cielo y vio a Dios cara a cara [6] . María Magdalena, toda soberbia, toda ambiciosa, toda vuelta a las vanidades del mundo y toda volcada a los placeres de la carne, no mucho después se sentó entre los apóstoles a los pies de Jesús, y escuchó con devota intención la doctrina de la perfección; mereció en poco tiempo ver a Dios antes que todos los demás y anunció con constancia a todos las palabras de la verdad. Dios, en efecto, no hace acepción de personas [7] , no se fija en la nobleza de linaje, ni en la cantidad de tiempo, ni en la multitud de obras, sino en el fervor más grande y en el mayor amor del alma devota. No se fija en cómo fuiste alguna vez, sino en cómo empezaste a ser ahora. Por eso los consejos de quienes te aconsejan de este modo serían muy reprensibles si no los excusara la simplicidad; pero no deben ser aprobados.

7. Si no puedes ser salvada por la inocencia, entonces, procura ser salvada por la penitencia; si no puedes ser Catalina o Cecilia, no desprecies el ser María Magdalena, o María la Egipcia. Así pues, si tú sientes haber concebido con un santo propósito al dulcísimo Hijo de Dios, huye de aquellos mortíferos venenos y apresúrate, anhela y suspira, como una mujer en su último mes, por llegar felizmente al parto.

Festividad II

Cómo el Hijo de Dios nace espiritualmente en el alma devota

1. En segundo lugar, atiende y considera de qué manera el bendito Hijo de Dios, ya espiritualmente concebido, nace espiritualmente en el alma. Nace, en efecto, cuando después de un sano consejo, después de un examen suficientemente maduro, después de haber invocado la ayuda de Dios, el propósito se pone en marcha; cuando el alma ya comienza a poner por obra aquello que había analizado en su mente pero que siempre temía empezar, por miedo de fracasar. En este felicísimo nacimiento los ángeles se alegran, glorifican a Dios, anuncian la paz, ya que, mientras se lleva a efecto lo que antes había sido concebido en el alma, la paz vuelve a formarse en el hombre interior [8] . En efecto, en el reino del alma no cunde la paz buenamente cuando la carne lucha contra el espíritu y el espíritu contra la carne [9] ; cuando la soledad afecta al espíritu y la muchedumbre a la carne; cuando Cristo deleita al espíritu y el mundo a la carne; cuando el espíritu busca el descanso de la contemplación con Dios, y la carne ansía el honor de los puestos en el siglo. Por el contrario, cuando la carne se somete al espíritu, una vez que se lleva a cabo la obra buena, que antes impedía la carne, vuelve a formarse la paz y la exultación interior. ¡Oh, qué feliz nacimiento el que engendra un júbilo tan grande en los ángeles y en los hombres! “¡Oh qué dulce y deleitable sería obrar según la naturaleza si nuestra locura lo permitiese, sanada la cual, la naturaleza sonreiría de inmediato a los naturales!” [10] . Entonces, comprobaría la verdad de lo que dice el Salvador: Tomad sobre vosotros mi yugo y aprended de mí, que soy manso y humilde de corazón, y hallaréis descanso para vuestras almas; porque mi yugo es suave, y mi carga ligera [11] .
2. Mas aquí has de notar, oh alma devota, que si te deleita este jubiloso nacimiento, primero debes ser María. “María”, en efecto, significa mar amargo, iluminadora y señora [12] . Sé pues, un mar amargo por la contrición de las lágrimas, doliéndote muy amargamente de los pecados cometidos, gimiendo muy profundamente por los bienes omitidos, y afligiéndote incesantemente por los días malgastados y perdidos. Sé, en segundo lugar, iluminadora por la vida honesta, por la acción virtuosa y por la diligente dedicación en afianzar a los otros en el bien. Sé, por último, señora de los sentidos, de los deseos de la carne, de todas tus acciones, para que todas tus obras las hagas según el recto juicio de la razón y en todas ellas anheles y procures tu propia salvación, la edificación del prójimo y la alabanza y la gloria de Dios.
Después de esta feliz navidad, conoce y gusta cuán suave es el Señor Jesús [13] . Suave, en verdad, cuando es nutrido con santas meditaciones, cuando es bañado en la fuente de devotas y tiernas lágrimas, cuando es envuelto en los pañales de los castos deseos y cuando es alzado en brazos del santo amor, colmado de besos por los afectos de devoción y abrigado dentro del seno del propio corazón. Así, pues, nace el niño espiritualmente.

Festividad III

Cómo el niño Jesús ha de ser nombrado espiritualmente del alma devota

1. En tercer lugar debemos considerar de qué manera este tan bendito bebé nacido espiritualmente, ha de ser nombrado. Y pienso que no podría recibir un nombre más apto que Jesús, pues está escrito: Será llamado Jesús [14] . Este es el nombre más sagrado, profetizado por los profetas, anunciado por el ángel, predicado por los apóstoles, deseado por todos los santos. ¡Oh nombre virtuoso, gracioso, gozoso, delicioso, glorioso! Virtuoso, porque vence a los enemigos, repara las fuerzas, renueva las almas. Gracioso, porque en él tenemos el fundamento de la fe, la firmeza de la esperanza, el aumento de la caridad, el complemento de la justicia. Gozoso, porque es “júbilo en el corazón, melodía en el oído, miel en la boca”, esplendor en el alma. Delicioso, porque “rumiado nutre, pronunciado deleita, invocado unge” [15] , escrito recrea, leído instruye. Nombre en verdad glorioso, porque dio la vista a los ciegos, el andar a los cojos, el oído a los sordos, la palabra a los mudos, la vida a los muertos. ¡Oh nombre bendito, que tan grandes efectos de virtud ostenta! ¡Oh alma, ya escribas, ya leas, ya enseñes, ya hagas cualquier otra cosa, nada te agrade, nada te deleite sino Jesús. Llama pues, a tu bebito, engendrado espiritualmente en ti, Jesús, es decir, salvador en el destierro y la miseria de esta vida; y que te salve de la superficialidad del mundo que lucha contra ti; de la falsedad del demonio que te corrompe; de la fragilidad de la carne que te atormenta.

2. Grita, alma devota, en medio de los tantos flagelos de esta vida: ¡Oh Jesús, Salvador del mundo, sálvanos, tú que por tu cruz y tu sangre nos redimiste; ayúdanos, Señor Dios nuestro!. Salva -diré-, dulcísimo Jesús, confortando al débil, consolando al afligido, ayudando al frágil, consolidando al que vacila.

3. ¡Oh, cuánta dulzura sintió muchas veces después de aquella bendita imposición del nombre la feliz madre natural y verdadera madre espiritual, María virgen, cuando percibió que en este nombre se expulsaban los demonios, se acumulaban los milagros, se iluminaban los ciegos, se sanaban los enfermos, se levantaban los muertos! Pues de la misma manera tú, alma que eres espiritualmente madre, con razón debes gozar y exultar cuando percibes en ti y en los otros que tu bendito Hijo Jesús pone en fuga a los demonios en la remisión de los pecados, ilumina a los ciegos en la infusión del verdadero conocimiento, levanta a los muertos en la colación de la gracia, cuida a los enfermos, sana a los cojos, endereza a los paralíticos y contrahechos en el robustecimiento espiritual, de manera que ya se vuelvan fuertes y viriles por la gracia los que antes eran débiles y frágiles por la culpa. ¡Oh, cuán feliz y bienaventurado el nombre que mereció tener tan grande poder y eficacia!

Festividad IV

Cómo el Hijo de Dios ha de ser buscado y adorado espiritualmente por el alma devota con los Magos

1. Sigue la cuarta solemnidad, que consiste en la adoración de los magos. Una vez que el alma concibió espiritualmente por la gracia a este dulcísimo niño, lo dio a luz y le puso nombre, los tres reyes, es decir las tres potencias del alma -con razón llamadas reyes, porque ya se enseñorean de la carne, dominan los sentidos, y se ocupan, como corresponde, solamente en las cosas de Dios-, juzgan que el niño, que ya les fuera revelado de múltiples maneras, debe ser buscado en la ciudad real, esto es, en todo el mundo universo. Buscan en las meditaciones, rebuscan con los afectos, preguntan con devotos pensamientos: ¿Dónde está el que ha nacido? Vimos su estrella en oriente [16] ; vimos su claridad refulgente en la mente devota, vimos su esplendor radiante en lo secreto del alma, escuchamos su voz dulcísima, gustamos su dulzura delicadísima, percibimos su aroma suavísimo, experimentamos su deliciosísimo abrazo. Respóndenos de una vez, Herodes, haznos ver al amado, muéstranos al bebito deseado. Él es a quien deseamos y buscamos.

2. Oh dulcísimo y amantísimo niño eterno, recién nacido y antiguo ¿cuándo te veremos, cuándo te hallaremos, cuando estaremos ante tu rostro? Fastidia gozar sin ti, deleita gozar contigo y llorar contigo. Todo lo que para ti es adverso para nosotros es molesto; y lo que te agrada es nuestro deseo indefectible. ¡Oh, si tan dulce es llorar por ti, cuánto más dulce ha de ser gozar por ti! [17] . ¿Dónde está, pues, el que buscamos? ¿Dónde está el que deseamos en todo y por sobre todo? ¿Dónde está el que ha nacido rey de los Judíos, ley de los devotos, luz de los ciegos, guía de los miserables, vida de los que mueren, salud eterna de todos los que eternamente viven? [18] .

3. Sigue la respuesta justa: En Belén de Judá; Belén significa casa del pan, Judá confesión [19] . Cristo es hallado allí donde, después de la confesión de los crímenes, se escucha, se rumia y se retiene en la mente devota el pan de vida celeste, es decir, la doctrina del Evangelio, para realizarla en las obras y proponerla a los otros para ser vivida. El niño Jesús es hallado con María, la madre [20] , allí donde, después de la dolorosa contrición del llanto, después de la fructuosa confesión, se disfruta la dulzura de la contemplación celeste y del consuelo, a veces entre abundantísimas lágrimas, cuando la oración que se comienza casi desesperada, se deja llena de gozo y segura del perdón [21] . ¡Oh feliz María, por quien es concebido Jesús, de quien nace y con quien tan dulce y gozosamente es hallado Jesús! 

4. Pero también vosotros, reyes, es decir potencias naturales del alma devota, buscad con los reyes de la tierra para adorarle y ofrecerle dones [22] . Adorad con reverencia, porque es el creador, el redentor y el remunerador: creador en la formación de la vida natural, redentor en la reformación de la vida espiritual, remunerador en la entrega de la vida eterna. Oh, vosotros, reyes, adorad con reverencia, ya que es rey poderosísimo; adorad con decencia, ya que es maestro sapientísimo; adorad con alegría, ya que es príncipe liberalísimo.
Y no os deis por satisfechos con la adoración, si no la sigue la oblación. Ofreced -diré- el oro del amor más ardiente, ofreced el incienso de la contemplación más devota, la mirra de la contrición más amarga: el oro del amor por los bienes otorgados, el incienso de la devoción por los gozos preparados, la mirra de la contrición por los pecados cometidos; ofreced oro a la Divinidad eterna, incienso a la santidad del alma, mirra a la pasibilidad del cuerpo. Así, pues, buscad, adorad y ofreced vosotras, almas.

Festividad V

Cómo el Hijo de Dios es presentado espiritualmente por el alma en el Templo

1. En quinto y último lugar, considere el alma devota y fiel de qué manera el bebé recién nacido por la consumación de las obras divinas y nombrado por la dulzura de la degustación de las cosas celestes, y buscado y hallado, adorado y honrado por la oblación de dones espirituales, ha de ser presentado en el Templo, ofrecido al Señor, y esto por la devota, humilde y debida acción de gracias.
Después de que la feliz María, madre espiritual de Jesús, ha sido purificada por la penitencia en la concepción de este bendito hijo, después de haber sido ya confortada en algo por la gracia en el nacimiento, después de haber sido íntimamente consolada por la imposición del bendito nombre, y finalmente informada por Dios en la adoración con los reyes, ¿qué otra cosa queda sino llevar a la Jerusalén celeste, al templo de la Divinidad y presentar a Dios, al Hijo de Dios y de la Virgen?

2. Sube, pues, María en el espíritu, no ya a la montaña, sino a las moradas de la Jerusalén celeste, a los palacios de la ciudad superna. Arrodíllate allí humildemente ante el trono de la eterna Trinidad y de la indivisa Unidad; allí presenta a Dios Padre a tu hijo, alabando, glorificando y bendiciendo al Padre y al Hijo con el Espíritu Santo. Alaba con júbilo a Dios Padre, por cuya inspiración concebiste el buen propósito. Glorifica en la alabanza a Dios Hijo, por cuya información llevaste a cabo el bien que te habías propuesto. Bendice y santifica a Dios Espíritu Santo, por cuya consolación perseveraste hasta ahora en el buen ejercicio.

3. Oh alma, glorifica a Dios Padre en todos sus dones y en todos tus bienes, porque él es quien te llamó del siglo por oculta inspiración, diciéndote: Vuelve, vuelve, Sunamita, palabras cuyo comentario busca aparte, en otro tratado, en la primera meditación [23] .
Engrandece a Dios Hijo en todos sus santos. Él es, en efecto, quien te liberó de la servidumbre del demonio por su secreta información, diciéndote: Toma sobre ti mi yugo; rechaza el yugo del demonio. El yugo del demonio es amarguísimo, mi yugo es suavísimo; a su yugo seguirá suplicio eterno y tormentos, a mi yugo seguirá fruto suavísimo y descanso opulento. Si su yugo muestra a veces cierta dulzura, es falsa y momentánea; cuando mi yugo procura alegría, es verdadera y salvadora. Él a veces levanta un poco a sus servidores, mas para confundirlos eternamente; el que me honra, por el contrario, si por un momento es humillado, es para reinar y gloriarse eternamente. Esta fue la enseñanza que te dio el Hijo de Dios, a veces por sí mismo y a veces por sus doctores y amigos, y te liberó de la falsa persuasión del demonio, y de la blanda decepción de la carne y del mundo.
Bendice y santifica siempre a Dios Espíritu Santo, oh alma, que te confirmó en el bien por su dulcísima consolación, diciéndote: Venid a mí todos los que estáis cansados y agobiados, y yo os aliviaré [24] . ¿Cómo, en efecto, oh alma delicada y frágil, acostumbrada a las delicias del mundo, embriagada con las alegrías de este siglo como los cerdos con el mosto del vino, cómo habrías podido, entre tales y tantas redes del antiguo enemigo, entre tantos falsos consejos, entre tan variados obstáculos, entre tan innumerable multitud de amigos, parientes y otros conocidos que te apartaban del camino del amor y entre las flechas de los que te herían, perseverar en el bien, amarrada con los lazos de tantos pecados, y cómo progresar en el bien, si no hubieras sido ayudada misericordiosamente por la gracia del Espíritu Santo y tantas veces dulcemente consolada y sostenida? A él, pues, debes referir todas tus obras, sin retener nada para ti.

4. Di con pura y devota intención de la mente: Todas mis obras las realizas tú, Señor [25] ; ante ti nada soy, nada puedo; es don tuyo que subsista, sin ti no puedo hacer nada. A ti, clementísimo Padre de las misericordias, te ofrezco lo que te pertenece, a ti lo encomiendo, a ti lo confío, indigna e ingrata de todos tus dones, que reconozco humildemente entregados a mí. A ti la alabanza, a ti la gloria, a ti la acción de gracias, o felicísimo Padre, majestad eterna, que por tu infinito poder me creaste de la nada.
Te alabo, te glorifico, te doy gracias, oh felicísimo Hijo, claridad del Padre, que me liberaste de la muerte por tu eterna sabiduría.
Te bendigo, te santifico, te adoro, o felicísimo Espíritu Santo, que por tu bendita piedad y clemencia me llamaste del pecado a la gracia, del siglo a la vida religiosa, del exilio a la patria, del trabajo al reposo, de la tristeza a la jocundísima y deliciosísima dulzura de la bienaventurada fruición; la cual nos conceda Jesucristo, Hijo de María Virgen, que vive y reina con el Padre y el Espíritu Santo por los siglos de los siglos. Amén.


[1] St 1,17.
[2] S. Gregorio Magno, Homil. In Ezech. 5,6. Buenaventura altera levemente el texto.
[3] S. Isidoro de Sevilla, II Synonymorum 44 (c.8): “Ponte al lado del bueno, anhela la compañía de los buenos, busca la amistad de los buenos; adhiérete personalmente a los santos. Si te haces compañero de su conducta, lo serás también de sus virtudes”.
[4] Cf. Is 59,1.
[5] Cf. Rom 10,2.
[6] Cf. 2Cor 12,2-4.
[7] Hch 10,34.
[8] Cf. Lc 2,13s.
[9] Cf. Gal 5,17.
[10] Guillermo de Saint Thierry, Epistola ad fratres de monte Dei (inter opera Bernardi) 1,8,23. Cf. S. Bernardo, In Vigilia Nativitatis Domini S. 6,6: “Es algo siempre nuevo, algo que renueva continuamente nuestro espíritu. No imaginemos jamás vetustez alguna en aquello que no cesa de dar fruto, que no se marchita nunca. Este es el Santo, al que nunca se le permitirá conocer la corrupción. Es el hombre nuevo que, incapaz de aguantar rastro alguno de decrepitud, infunde la auténtica vitalidad nueva en aquellos huesos ya consumidos”.
[11] Mt 11,29.
[12] S. Jerónimo, De nominibus hebraicis, Mt: “Mariam plerique aestimant interpretari: illuminant me isti, vel illuminatrix, vel smyrna [myrrha] maris; sed mihi nequaquam videtur. Melius autem est, ut dicamus, sonare cam stellam maris, sive amarum mare; sciendumque quod Maria sermone syro domina nuncupetur”.
[13] Sal 33,9; cf. Sb 12,1.
[14] Lc 2,21.
[15] S. Bernardo, In Cantica Canticorum S. 15,6; 15,5.
[16] Mt 2.2.
[17] Ps. Bernardo, Lamentationes in passionem Christi 3; Cf. S. Anselmo, Meditationes 14,3; Orationes 2.17.
[18] Mt 2,5.
[19] Cf. S. Bernardo, In Vigilia Nativitatis Domini S. 1,6: “Por último, fíjate que nace en Belén de Judá. Procura tú mismo llegar a ser Belén de Judá. Entonces no desdeñará tu acogida. Belén es la casa del pan. Judá significa confesión. Tú sacia tu alma con el alimento de la palabra divina. Y aunque indigno, recibe con fidelidad y con la mayor devoción posible ese pan que baja del cielo y que da la vida al mundo: el cuerpo del Señor Jesús. De este modo, la carne de la resurrección renovará y confortará al viejo odre de tu cuerpo. Así, mejorado por este sedimento, podrá contener el vino nuevo que está en el interior. Y si, en fin, vives de la fe, nunca te lamentarás de haber olvidado de comer tu pan. Te has convertido en Belén, y digno, por tanto, de acoger al Señor; contando siempre con tu confesión. Sea, pues, Judá tu misma santificación. Revístete de confesión y de gala; condición indispensable que Cristo exige a sus ministros. Para concluir, el Apóstol te pide estas dos cosas en breves palabras: que la fe interior alcance la justicia y que la confesión pública logre la salvación (Rom 10,10). La justicia en el corazón, y el pan en la casa. Ese es el pan que santifica. Felices los que tienen hambre de justicia, porque serán saciados (Mt 5,6). Haya justicia en el corazón, pero que sea la justicia que brota de la fe. Unicamente ésta merece gloria ante Dios. Y ya, con toda confianza, recibe a aquel que nace en Belén de Judá, Jesucristo, el Hijo de Dios”.
[20] Cf. Mt 2,11.
[21] S. Bernardo, In Cantica Canticorum S. 32,3: “¡Cuántas veces la oración, al que recibe desesperado, lo deja exultante y seguro del perdón!”
[22] Cf. Mt 2,11.
[23] Ct 6,12. Buenaventura comenta este mismo pasaje en Soliloquium 1,37-38: “Puesto que, depurado el ojo de la contemplación, ya conoces, oh alma, la gracia de la divina redención, con la que tu Esposo te liberó del pecado original, te haré ver ahora cómo, por la divina clemencia, fuiste liberada del pecado actual. Dirige el rayo de la contemplación al beneficio de la justificación y considera la gracia del Señor Dios tuyo; con qué entrañas de Padre, por ocultas inspiraciones, te apartó del pecado; con cuánta dulzura y amor, hablándote interiormente, te llamó diciendo: Vuelve, vuelve, Sunamita, es decir, tú, oh alma miserable, cautiva del pecado. Vuélvete a mí, pues soy tu creador; vuélvete, que soy tu redentor; vuélvete, que soy tu consolador; y si aun te parecen poco estos beneficios, vuélvete a mí, por último, que soy tu generoso remunerador. Vuélvete a mí, repito, a mí; yo soy quien te creé con tanta nobleza. Vuélvete; yo soy quien, con mi muerte acerbísima, te libré de la muerte eterna misericordiosamente. Vuélvete a mí; yo soy quien te enriquecí de tantos bienes espirituales y corporales. Vuélvete, finalmente, a mí, oh alma, pues en cuanto de mí depende, ya te he premiado generosamente con la bienaventuranza, que te tengo preparada. Vuelve del pecado de pensamiento, vuelve del pecado de palabra, vuelve del pecado de obra, vuelve del pecado de costumbre. Vuélvete a mí, oh alma, los santos te aguardan con vivas ansias. Vuélvete: a tu venida se regocijan los ángeles. Vuélvete: te espera toda la celeste corte del paraíso. Oh alma, date prisa a volver; te llama con las manos extendidas en la cruz Jesucristo. Ven, tu vuelta espera la Trinidad beatísima. Oh alma, esta fue la voz con la que te invitaba el amado”.
[24] Mt 11,28.
[25] Cf. Is 26,12.

SURSUM CORDA!