sabato 31 agosto 2019

MAGNIFICAT (10): Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles!


Ecco a voi, di san Giovanni Eudes, l'eccellente commento/Spiegazione del settimo versetto del Magnificat:

Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles

Essendo giunto il tempo, in cui piacque al Padre delle misericordie  di compiere il disegno che aveva da tutta l’eternità di salvare il genere umano, la sua Divina Sapienza - i cui consigli sono imperscrutabili -, volle impiega­re, a questo fine, i mezzi che apparentemente non avevano alcuna attitudine né conformità con l’altezza di questa grande opera. 

Quali sono questi mezzi? Manda il suo unico Figlio in questo mondo, in uno stato passibile e mortale e in una tale abiezione e bassezza che Egli stesso dice: «Ego sum vermis, et non homo: Sono un verme, non un uomo» Sal. 21,7 e porta quale titolo onorifico nelle Scritture: «Novissimus vìrorum: l’ultimo di tutti gli uomini» Is. 53,3.

Questo Padre adorabile vuole che il Figlio suo, nato da tutta l’eternità dal suo seno, e che è Dio come Lui, nasca da una Madre, che è davvero San­tissima, ma sì abietta e piccola ai suoi propri occhi e agli occhi del mondo, da con­siderarsi e ritenersi come l’ultima di tutte le creature.

Inoltre, questo Padre Divino, volendo offrire al Figlio suo dei coadiutori e dei cooperatori che lavorassero con Lui alla grande opera della Redenzione dell’universo, gli dà dodici poveri pescatori, senza scienza, senza eloquenza e senza alcuna qualità che li ponga in rilievo davanti agli uomini.

Manda questi dodici pescatori per tutta la terra, per distruggere una religione che è del tutto conforme alle inclinazioni umane e che è radicata da molte migliaia di anni nei cuori di tutti gli uomini, per stabilirne un’altra tutta nuova, oppo­sta alla prima e contraria a tutti i sentimenti della natura.

Questi dodici poveri pescatori vanno in tutto il mondo, per predicare e fondare questa nuova religione e distruggere la prima. Ma come sono rice­vuti? Tutto il mondo si erge contro di loro, i grandi, i piccoli, i ricchi, i pove­ri, gli uomini, le donne, i sapienti, gli ignoranti, i filosofi, i sacerdoti dei falsi dèi, i re, i principi: tutti gli uomini in genere, mettono in atto tutte le loro in­dustrie per opporsi alla predicazione del Vangelo che questi dodici poveri pescatori si sforzano di diffondere. 
Costoro vengono presi, gettati nelle pri­gioni, con i ferri ai piedi e alle mani, vengono trattati come degli scellerati e dei maghi; vengono flagellati, scorticati vivi completamente, bruciati, lapi­dati, crocifissi, in una parola vengono inflitti loro i più atroci supplizi.

Ma che cosa accade loro? Dopo tutte queste torture riportano la vittoria, trionfano gloriosamente sopra i grandi, i potenti, i sapienti e tutti i monarchi della terra. Annientano la religione o piuttosto l’irreligione e l’idolatria abominevole che l’inferno aveva diffuso per tutta la terra, e fondano la Fede e la Religione Cristiana in tutto il mondo. Infine, diventano i padroni dell’u­niverso e Dio dona loro il principato della terra: «Constitues eos principes super omnem terram» Sal. 44,17. 

 Rovescia i troni dei re e le cattedre dei filoso­fi; dà la prima autorità del mondo ad un povero pescatore, che eleva ad un sì alto grado di potenza e di gloria che i re e i principi ritengono grande onore baciare la polvere del suo sepolcro e i piedi dei suoi successori. Che cos’è tutto ciò, se non il compimento della profezia della Beata Vergine: «Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles: Ha rovesciato i potenti dai loro troni, ha innalzato gli umili»?

Notate che, sebbene queste parole, come le altre che sono contenute in questo divino Cantico, sono espresse in un tempo passato: «Deposuit», esse comprendono, tuttavia, il passato, il presente e l’avvenire, poiché sono pro­nunciate da uno spirito profetico. E infatti il compimento di questa profezia è apparso in modo evidente nei secoli passati e apparirà sempre più nei seco­li che verranno e sino alla fine del mondo.

Nei secoli passati, la Divina Potenza non ha forse deposto il superbo Saul per porre l’umile David al suo posto? Non ha confuso e distrutto l’arrogante Aman e la superba Vasti per mettere l’umile Mardocheo e la pia Ester al loro posto? Giosuè
 non ha sterminato più di trenta re cananei, per porre i loro reami
in possesso del popolo d’Israele?

Il nostro Divin Salvatore non ha forse liberato il genere umano dalla schiavitù dei demoni, che prima della sua Incarnazione avevano asservito tutto il mondo alla loro crudele tirannia? Non ha bandito l’angelo ribelle dal Cielo e l’uomo rivoltoso dal Paradiso? E costui, essendosi umiliato per la penitenza, non è stato ristabilito nella grazia dal suo Creatore?

Non ha strap­pato l’empio Diocleziano dal suo trono imperiale, per mettervi il pio Costan­tino? Non ha cacciato l’arrogante Eugenio, per dare il trono dell’impero all’umile Teodosio? Non ha sterminato i grandi sacerdoti degli Ebrei, gli Scribi e i Farisei, per dare la loro autorità a dei poveri pescatori e farli sedere con Lui sul trono della sua Divina Giustizia, comunicando loro il potere che il Padre suo gli ha dato di giudicare gli uomini e gli angeli?

E così che umilia e distrugge i grandi e i potenti della terra, che abusano del loro potere, ed eleva i piccoli e gli umili che praticano le parole del suo Apostolo: «Humiliamini sub potenti manu Dei, ut vos exaltet: Umiliatevi sot­to la potente mano di Dio, perché [egli] vi esalti» 1 Pt 5,6.  È ciò che ha sempre fat­to, sin dall’inizio del mondo ed è ciò che farà sino alla consumazione dei secoli e fino al tempo dell’Anticristo, che per la sua abominevole superbia vor­rà elevarsi perfino al di sopra di Dio: "Supra omne quod dicitur Deus" 2Ts 2,4.  Ma Colui che si è annichilito per confondere gli arroganti e per esaltare gli umi­li, lo ucciderà con il soffio della sua bocca: «Interficìet eum spirìtu oris sui»2Ts 2,8  e lo precipiterà nel più profondo degli abissi; dopo aver risuscitato i suoi due profeti Elia ed Enoc, li farà salire pubblicamente e gloriosamente nel Cielo, a vista e confusione dei loro nemici.
 *
Volete conoscere un altro effetto meraviglioso di questa grande profezia della Regina del Cielo? 
Ascoltate quanto è riportato da sant’Antonino, e da molti importanti Autori, di Giuliano l’Apostata.

Quest’empio, mentre partiva per andare in guerra contro i Persiani, af­fermò che al suo ritorno avrebbe sterminato i cristiani, di cui era nemico mortale. Ma san Basilio, avendo compassione del popolo che vedeva atterri­to dalle minacce di quest’apostata, fece radunare tutto il clero e tutti i fedeli, compresi le donne e i bambini, in una chiesa dedicata alla Vergine Santissi­ma, ove rimasero per tre giorni digiunando e pregando incessantemente que­sta Madre di bontà di proteggerli dal furore di questo tiranno.           Ora, mentre erano nel fervore delle loro preghiere, san Basilio vide una grande moltitu­dine di angeli, nel mezzo della quale vi era la Regina del Cielo, seduta su un trono glorioso, comandare che facessero venire Mercurio, il quale, qualche anno prima, aveva, da soldato, ricevuto la corona del martirio. In quello stesso istante questo santo Martire si presentò con le armi in pugno a questa grande Principessa, che gli disse: «Va’ e giustizia l’apostata Giuliano, il quale bestemmia contro Dio e contro mio Figlio».
Subito san Mercurio giunse nel mezzo dell’armata di Giuliano, lo colpì con un colpo di lancia e scomparve all’istante. Nel frattempo, questo mise­rabile principe, lanciando orribili grida e vomitando la sua anima tra i fiotti di sangue che uscivano dalla sua piaga, cadde morto sul colpo, proferendo orribili bestemmie contro il nostro Salvatore.
San Basilio, che aveva visto in visione tutti questi fatti, andò a trovare i cristiani, che si trovavano ancora riuniti, e assicurò loro che l’Apostata era morto e che Mercurio l’aveva ucciso per ordine della Regina del Cielo. Li esortò, dunque, a ringraziare Dio e la Beata Vergine. Dopo questi eventi, san Basilio e molti altri andarono alla tomba del santo Martire, presso il quale si custodivano le sue armi, e vi trovarono la sua lancia, rossa del sangue dello sventurato Apostata. E, pochi giorni dopo, un gentiluomo che veniva dall’esercito, raccontò come era avvenuto il fatto e in che modo quel mise­rabile era stato trafitto da un colpo di lancia, vibrato da un soldato scono­sciuto.
È così che Dio strappò dal suo trono questo superbo e detestabile impe­ratore, e fece trionfare l’umiltà  e la pietà, di san Basilio e di tutti i fedeli, dell’empietà e del furore di questo terribile mostro dell’inferno. È così che la Divina Provvidenza atterra i superbi ed innalza gli umili.

Il santo abate Blosio (Monil. Spirit. 90) riferisce di santa Gertrude, benedettina, che l’umiltà aveva preso un così pieno possesso del suo cuore, che ella si stima­va indegna di tutti i doni di Dio. Ella si considerava e si trattava come l’ultima di tutte le creature. Credeva, inoltre, che tutti gli altri rendessero più servizi e onori a Dio con un solo pensiero e con l’innocenza della loro con­versazione di quanto ella non facesse con tutte le sue occupazioni ed eserci­zi.
Un giorno, mentre camminava per il monastero, parlava a Dio così: «Ah, mio Signore! Uno dei più grandi miracoli che Voi fate in questo mondo è di permettere che la terra sorregga una miserabile peccatrice, quale sono io». Al che questo benignissimo Salvatore diede questa risposta: «È a buon dirit­to che la terra ti sostiene, poiché tutto il Cielo attende e desidera ardente­mente l’ora beata in cui ti accoglierà e ti reggerà». Ora, se questa Santa ave­va un così basso concetto di sé, giudicate voi quale sarà stata l’umiltà della Regina di tutti i santi.

O Regina dei cuori degli umili, distruggete interamente in noi la male­detta superbia e fate regnare nei nostri cuori l’umiltà del vostro Figlio e la vostra, affinché i figli abbiano qualche somiglianza con il loro adorabile Pa­dre e la loro amabilissima Madre.

AVE MARIA!
Cor humillimum Mariae
ora pro nobis

Dieci lebbrosi: il 90% ingrati!

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CDLXXXIII. Gli apostoli discutono sull’odio dei giudei. I dieci lebbrosi guariti in Samaria. 
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   29 agosto 1946
 1 Sono sempre fra i monti, e monti ben rudi, su certe stradette dove non passano certo dei carri, ma soltanto viandanti a piedi o persone cavalcanti i forti somari della montagna, più alti e robusti dei soliti somarelli delle zone meno accidentate. Un’osservazione che a molti potrà parere inutile, ma che io faccio lo stesso. 
   In Samaria vi sono delle diversità dagli usi degli altri luoghi. Sia  nel  vestire come in tante altre cose. E una è l’abbondanza di cani, insolita altrove, che mi colpisce, come mi ha colpito la presenza di porci nella Decapoli. Molti cani, forse, perché la Samaria ha molti pastori e avrà molti lupi in quei monti così selvaggi. Molti anche perché i pastori in Samaria li vedo per lo più soli, al massimo con un fanciullo, pascolanti il gregge proprio, mentre altrove sono per lo più in molti a tutelare greggi numerose di capi di proprietà di qualche ricco. Fatto è che qui ogni pastore ha il suo cane, o più cani, a seconda del numero di pecore del suo gregge. 
   Un’altra caratteristica sono proprio questi asini quasi alti quanto un cavallo, robusti, atti a scalare questi monti con dei carichi pesanti sul basto, sovente carichi delle legna forti che si trovano su questi magnifici monti coperti di boschi secolari. 
   Altra particolarità: la scioltezza nel modo di fare degli abitanti che, senza essere dei «peccatori», come li giudicavano giudei e galilei, sono aperti, franchi, senza bigotterie, senza tutte quelle storie che hanno gli altri. E ospitali. Questa constatazione mi fa pensare che nella parabola del buon samaritano non ci sia stata soltanto l’intenzione voluta di far risaltare che il buono e il cattivo è da per tutto, in tutti i luoghi e razze, e anche fra eretici ci possono essere dei retti di cuore, ma proprio anche la reale descrizione delle abitudini samaritane verso chi è bisognoso di aiuto. Si saranno fermati al Pentateuco, sento che parlano di questo e non d’altro, ma lo praticano, almeno verso il prossimo, con più dirittura degli altri con i loro seicentotredici codicilli di precetti ecc. ecc.


 2 Gli apostoli parlano col Maestro e, nonostante siano incorreggibilmente israeliti, devono riconoscere e lodare lo spirito che hanno trovato negli abitanti di Sichem i quali, lo comprendo dai discorsi che sento, hanno invitato Gesù a sostare fra di loro. 
   «Hai sentito, eh?», dice Pietro, «come hanno detto chiaramente che sanno l’odio giudeo? Hanno detto: "Per Te e su Te c’è più odio che su noi samaritani per quanti siamo e quanti fummo. Ti odiano senza limite"»
   «E quel vecchio? Come ha detto bene: "È in fondo giusto che sia così, perché Tu non sei un uomo ma sei il Cristo, il Salvatore del mondo, e perciò sei il Figlio di Dio, perché solo un Dio può salvare il mondo corrotto. Perciò, essendo Tu senza limite come Dio, senza limitazioni nel tuo potere, nella tua santità e nel tuo amore, come sarà senza limite la tua vittoria sul Male, così è naturale che il Male e l’Odio, tutt’una cosa col Male, siano senza limiti contro Te". Ha proprio detto bene! E questa ragione spiega tante cose!», dice lo Zelote.
   «Che spiega secondo te? Io... io dico che spiega soltanto che sono degli stolti», dice Tommaso spicciativo. 
   «No. La stoltezza sarebbe ancora una scusante. Ma stolti non sono». 
   «Ebbri allora, ebbri di odio», replica Tommaso. 
   «Neppure. L’ebbrezza cede dopo essersi scatenata. Questo livore non cede». 
   «E sì che più scatenato di così! È tanto che lo è... che ormai avrebbe dovuto cadere». 
   «Amici, esso non ha ancora toccato la mèta», dice Gesù calmo, come se la mèta dell’odio non fosse il suo supplizio. 
   «No?! Ma se non ci lasciano in pace mai?!». 
   «Maestro, essi ancora non si persuadono che ho detto il vero. Ma l’ho detto. Oh! se l’ho detto! E dico anche che, se era per voi, sareste caduti tutti nella trappola come ci cadde il Battista. Ma non riusciranno perché io veglio...», dice l’Iscariota. 
   E Gesù lo guarda. E lo guardo anche io domandandomi, e me lo chiedo da qualche giorno, se la condotta dell’Iscariota è causata da un buono e reale ritorno sulla via del bene e dell’amore per il suo Maestro, una liberazione dalle forze umane e extraumane che lo tenevano, o se sia un più raffinato lavoro di preparazione al colpo finale, un asservimento maggiore ai nemici di Cristo e a Satana. Ma Giuda è un essere talmente speciale che non è decifrabile. Solo Dio può capirlo. E Dio, Gesù, cala un velo di misericordia e di prudenza su tutte le azioni e sulla personalità del suo apostolo... un velo che si lacererà, completamente illuminando tanti perché, ora misteriosi, soltanto quando saranno aperti i libri dei Cieli. 

 3 Gli apostoli sono talmente preoccupati dall’idea che l’odio dei nemici non ha ancora raggiunto il suo termine, che non parlano più per qualche tempo. Poi Tommaso si rivolge ancora allo Zelote dicendo: «E allora, se non sono ebbri né stolti, se il loro odio spiega tante cose e non questa, che spiega allora? Che sono? Non lo hai detto...». 
   «Che sono? Dei posseduti. Ciò che dicono di Lui essi sono. Questo spiega il loro accanimento che non
conosce sosta, che anzi sempre più cresce più si appalesa la sua potenza. Ha detto bene quel samaritano. In Lui, Figlio del Padre e di Maria, Uomo e Dio, è l’Infinità di Dio, e infinito è l’Odio che a questa Infinità perfetta si oppone, anche se nel suo essere senza limite l’Odio non è perfetto, perché solo Dio è perfetto nelle sue azioni. Ma se l’Odio potesse toccare l’abisso della perfezione, esso scenderebbe a toccarlo, si precipiterebbe a toccarlo anzi, per rimbalzare poi, per la veemenza stessa della sua caduta nell’abisso d’inferno, contro il Cristo, a ferirlo con tutte le armi strappate all’abisso infernale. Il firmamento, regolato da Dio, ha un solo sole. Esso si alza e raggia e scompare lasciando il posto al sole più piccolo che è la luna, e questa, dopo aver raggiato a sua volta, tramonta per cedere il posto al sole. Gli astri molto insegnano agli uomini, perché essi si assoggettano ai voleri del Creatore. Ma gli uomini no. E un esempio è questo, di questo voler opporsi al Maestro. Che accadrebbe se la luna in un’aurora dicesse: "Non voglio scomparire e torno per la via già fatta"? Certo che cozzerebbe contro al sole con orrore e danno di tutto il creato. Essi questo vogliono fare, credendo di poter frantumare il Sole...». 
   «È la lotta delle Tenebre contro la Luce. La vediamo ogni giorno nelle albe e nelle sere. Le due forze che si contrastano, che prendono a vicenda il dominio sulla Terra. Ma le tenebre sono sempre vinte, perché assolute non sono mai. Un poco di luce emana sempre, anche nella notte più priva d’astri. Pare che l’aria da se stessa la crei negli infiniti spazi del firmamento e l’effonda, anche se limitatissima, a far persuasi gli uomini che gli astri non sono spenti. E io dico che ugualmente, in queste particolari tenebre del Male contro la Luce che è Gesù, sempre, nonostante ogni sforzo delle Tenebre, la Luce sarà a confortare chi crede in Essa», dice Giovanni sorridendo al suo pensiero, raccolto in se stesso come se monologasse. 
   Il suo pensiero viene raccolto da Giacomo d’Alfeo. «Nei Libri il Cristo è detto "Stella del mattino". Una notte dunque Egli pure conoscerà, e - spavento mio! - noi pure la conosceremo, una notte, un tempo in cui non parrà forte la Luce, ma vittoriose le Tenebre. Ma, posto che Egli è detto Stella del mattino in modo che esclude un limite nel tempo, io dico che dopo la momentanea notte Egli sarà Luce mattutina, pura, fresca, verginale, rinnovante il mondo, simile a quella che successe al Caos nel primo giorno. Oh! sì. Il mondo sarà ricreato nella sua Luce». 
   «E maledizione sarà sui reprobi che avranno voluto alzare le mani a colpire la Luce ripetendo gli errori già fatti, da Lucifero ai profanatori del popolo santo. Jeovè lascia libero l’uomo nelle sue azioni. Ma, per amore dell’uomo stesso, non permetterà che l’Inferno prevalga», termina Giuda d’Alfeo. 

 4 «Oh! meno male che, dopo tanto sopore di spiriti, per cui tutti sembravamo come ottusi e tardi per vecchiezza precoce, la sapienza rifiorisce sulle nostre labbra! Non sembravamo più noi! Ora ritrovo lo Zelote, e Giovanni, e i due fratelli di un tempo!», dice l’Iscariota felicitandosi. 
   «Non mi pare che fossimo cambiati tanto da non parere più noi», dice Pietro. 
   «Se lo eravamo! Tutti. Tu per il primo. E poi Simone e gli altri, me compreso. Se uno c’era che era su per giù quello di sempre, era Giovanni». 
   «Uhm! Non so proprio in che...». 
   «In che? Taciturni, come stanchi, indifferenti, pensierosi... Mai più si sentiva una delle conversazioni, simili a tante di un tempo, simili a quella di ora, che servono tanto...». 
   «A disputare», dice il Taddeo ricordando come infatti sovente degenerassero in battibecchi. 
   «No. A formarsi. Perché non tutti si è come Natanaele, né come Simone, né come voi di Alfeo, per nascita e sapienza. E chi lo è meno impara sempre da chi lo è più», ribatte l’Iscariota. 

 5 «Veramente... io direi che più che tutto è necessario formarsi in giustizia. E di questa ce ne ha date magnifiche lezioni Simone», dice Tommaso. 
   «Io? Ma tu vedi male. Io sono il più stolto di tutti», dice Pietro. 
   «No. Tu sei quello che più sei cambiato. In questo ha ragione Giuda di Keriot. Non c’è più che ben poco in te del Simone che ho conosciuto io quando venni con voi, e che, perdona, rimase qual era per tanto tempo. Da quando ti ho ritrovato dopo la separazione per le Encenie, tu non hai fatto che trasformarti. Ora sei... sì, lo dico: sei più paterno e nello stesso tempo più austero. Compatisci tutti i tuoi poveri fratelli, mentre prima... E si vede, io almeno vedo, che ciò ti costa. Ma vinci te stesso. E mai come ora, che poco parli e poco rimproveri, ci incuti rispetto...». 
   «Ma amico mio! Tu sei molto buono a vedermi così... Io, meno che l’amore per il Maestro, che mi cresce sempre, non ho proprio cambiato in nulla». 
   «No. Toma ha ragione. Tu sei molto cambiato», confermano in molti. 
   «Mah! voi lo dite...», dice Pietro stringendosi nelle spalle. E aggiunge: «Soltanto il giudizio del Maestro sarebbe sicuro. Ma mi guardo bene dal chiederglielo. Egli sa la mia debolezza e sa che anche una lode mal data potrebbe nuocere al mio spirito. Perciò non mi loderebbe, e farebbe bene. Capisco sempre meglio il suo cuore e il suo sistema, e ne vedo tutta la giustizia». 
   «Perché hai animo retto e perché ami sempre più. Chi ti fa vedere e capire è il tuo amore per Me. Maestro tuo, il vero e più grande Maestro che ti fa capire il tuo Maestro, è l’Amore», dice Gesù che fino a quel momento ha ascoltato e taciuto. 
   «Io credo che... sia anche il dolore che ho dentro...». 

   «Dolore? Perché?», chiedono alcuni. 
   «Eh! per tante cose, che poi, in fondo, sono una sola cosa: tutto quello che soffre il Maestro... e il pensiero di quello che soffrirà. 
 6 Non si può essere più svagati come i primi tempi, svagati come dei fanciulli che non sanno, adesso che si conosce di cosa sono capaci gli uomini e come si deve soffrire per salvarli. Ohilà! Credevamo tutto facile nei primi tempi! Credevamo che bastasse presentarsi perché gli altri venissero dalla nostra parte! Credevamo che conquistare Israele e il mondo fosse come... gettare una rete su un fondo pescoso. Poveri noi! Io penso che, se non ci riesce Lui a far buona preda, noi non ne faremo nessuna. Ma questo è niente ancora! Io penso che essi sono cattivi e lo fanno soffrire. E credo che questo sia il motivo del nostro cambiamento in generale...». 
   «È vero. Per la mia parte, è vero», conferma lo Zelote. 
   «Anche per me. Anche per me», dicono gli altri. 
   «Io è tanto che ero inquieto per questo e ho cercato di... avere buoni aiuti. Ma mi hanno tradito... e voi non mi avete capito... E io non ho capito voi. Credevo che foste così come siete per stanchezza dello spirito, per sfiducia, per delusione...», confessa l’Iscariota. 
   «Io non ho mai sperato umane gioie e perciò non sono deluso» , dice lo Zelote. 
   «Io e mio fratello lo vorremmo vittorioso, ma per sua gioia. Lo abbiamo seguito per amor di parenti prima che di discepoli. Lo abbiamo sempre seguito sino da fanciulli, Egli il più piccolo per età di noi fratelli, ma tanto più grande sempre di noi...», dice Giacomo con la sua ammirazione sconfinata per il suo Gesù. 
   «Se un dolore abbiamo è che non tutti noi della parentela lo amiamo nello spirito e col solo spirito. Ma non siamo i soli in Israele ad amarlo male», dice il Taddeo. 


 7 Giuda Iscariota lo guarda e forse parlerebbe, ma è distratto da un grido che li raggiunge da un poggetto che sovrasta il paesino che stanno costeggiando cercando la via per entrarvi. 
   «Gesù! Rabbi Gesù! Figlio di Davide e Signore nostro, abbi pietà di noi». 
   «Dei lebbrosi! Andiamo, Maestro, altrimenti il paese accorrerà e ci tratterrà fra le sue case», dicono gli apostoli. 
   Ma i lebbrosi hanno il vantaggio di essere più avanti di loro, alti sulla via, ma almeno a un cinquecento metri dal paese, e scendono zoppicando sulla via e corrono verso Gesù ripetendo il loro grido. 
   «Entriamo nel paese, Maestro. Essi non vi possono entrare», dicono alcuni apostoli, ma altri ribattono: «Già delle donne si affacciano a guardare. Se entriamo sfuggiremo i lebbrosi, ma non di esser conosciuti e trattenuti». 
   E mentre sono incerti sul da farsi, i lebbrosi si fanno sempre più vicini a Gesù che, incurante dei ma e dei se dei suoi apostoli, ha proseguito per la sua strada. E gli apostoli si rassegnano a seguirlo, mentre donne coi bambini alle gonnelle e qualche uomo vecchio rimasto in paese vengono a vedere, stando a prudente distanza dai lebbrosi, che però si fermano a qualche metro da Gesù e ancora supplicano: «Gesù, abbi pietà di noi!».
   Gesù li contempla un istante; poi, senza accostarsi a questo gruppo di dolore, chiede: «Siete di questo paese?». 
   «No, Maestro. Di luoghi diversi. Ma quel monte, dove stiamo, dall’altra parte guarda sulla via per Gerico, ed è buono per noi quel luogo...».
   «Andate allora al paese vicino al vostro monte e mostratevi ai sacerdoti». 
   E Gesù riprende a camminare spostandosi sul ciglio della via per non sfiorare i lebbrosi, che lo guardano avvicinare senza avere altro che uno sguardo di speranza nei poveri occhi malati. E Gesù, giunto alla loro altezza, alza la mano a benedire. 
   La gente del paese, delusa, ritorna nelle case... I lebbrosi si inerpicano di nuovo sul monte per andare verso la loro grotta o verso la via di Gerico. 
   «Hai fatto bene a non guarirli. Non ci avrebbero più lasciati andare quelli del paese...». 
   «Sì, e bisognerebbe giungere ad Efraim prima di notte». 


 8 Gesù cammina e tace. Il paese ormai è nascosto alla vista dalle curve della via molto sinuosa, perché segue i capricci del monte ai piedi del quale è tagliata. 

   
Ma una voce li raggiunge: «Lode al Dio altissimo e al suo vero Messia. In Lui è ogni potenza, sapienza e pietà! Lode al Dio altissimo che in Lui ci ha concesso la pace. Lodatelo, uomini tutti dei paesi di Giudea e di Samaria, della Galilea e dell’Oltre Giordano. Sino alle nevi dell’altissimo Hermon, sino alle arse petraie dell’Idumea, sino alle arene bagnate dalle onde del Mar Grande risuoni la lode all’Altissimo ed al suo Cristo. Ecco compita la profezia di Balaam. (Numeri 24, 15-19. Le citazioni che seguono sono da: 1 Re 13, 1-5; 2 Re 1, 15-16). La Stella di Giacobbe splende sul cielo ricomposto della patria riunita dal vero Pastore. Ecco anche compiute le promesse fatte ai patriarchi! Ecco, ecco la parola di Elia che ci amò. Uditela, o popoli di Palestina, e comprendetela. 
     Più non si deve zoppicare da due parti, ma scegliere si deve per luce di spirito, e se lo spirito sarà retto bene sceglierà. Questo è il Signore, seguitelo! Ah! che finora fummo puniti perché non ci siamo sforzati a comprendere! L’uomo di Dio maledisse il falso altare profetando: "Ecco, nascerà dalla casa di Davide un figlio chiamato Jeosciuè, il quale immolerà sopra l’altare e consumerà ossa di Adamo. E l’altare allora si squarcerà fin nelle viscere della Terra e le ceneri dell’immolazione si spargeranno a settentrione e mezzogiorno, a oriente e là dove tramonta il sole". Non vogliate fare come lo stolto Ocozia, che mandava a consultare il dio di Acaron mentre l’Altissimo era in Israele. Non vogliate essere inferiori all’asina di Balaam (Numeri 22, 20-35), la quale per il suo ossequio allo spirito di luce avrebbe meritato la vita, mentre sarebbe caduto percosso il profeta che non vedeva. Ecco la Luce che passa fra noi. Aprite gli occhi, o ciechi di spirito, e vedete», e uno dei lebbrosi li segue sempre più da vicino, anche sulla via maestra ormai raggiunta, indicando Gesù ai pellegrini. 
   Gli apostoli, seccati, si volgono due o tre volte intimando al lebbroso, perfettamente guarito, di tacere.    E lo minacciano quasi l’ultima volta. 
   Ma egli, cessando per un momento di alzare così la voce per parlare a tutti, risponde: «E che volete, che io non glorifichi le grandi cose che Dio mi ha fatto? Volete che io non lo benedica?». 
   «Benedicilo in cuor tuo e taci», gli rispondono inquieti. 
   «No, che non posso tacere. Dio mette le parole sulla mia bocca», e riprende forte: «Gente dei due luoghi di confine, gente che passate per caso, fermatevi ad adorare Colui che regnerà nel nome del Signore. Io deridevo tante parole (Isaia 11-12). Ma ora le ripeto perché le vedo compiute. Ecco muoversi tutte le genti e venire giubilando al Signore per le vie del mare e dei deserti, per i colli e i monti. E anche noi, popolo che abbiamo camminato nelle tenebre, andremo alla gran Luce che è sorta, alla Vita, uscendo dalla regione di morte. Lupi, leopardi e leoni quali eravamo, rinasceremo nello Spirito del Signore e ci ameremo in Lui, all’ombra del Germoglio di Jesse divenuto cedro, sotto il quale si accampano le nazioni raccolte da Lui ai quattro punti della Terra. Ecco, viene il giorno in cui la gelosia di Efraim avrà fine, perché non c’è più Israele e Giuda, ma un solo Regno: quello del Cristo del Signore. Ecco, io canto le lodi del Signore che mi ha salvato e consolato. Ecco, io dico: lodatelo e venite a bere la salvezza alla fonte del Salvatore. Osanna! Osanna alle grandi cose che Egli fa! Osanna all’Altissimo che ha messo in mezzo agli uomini il suo Spirito rivestendolo di carne, perché divenisse il Redentore!». 
   
È inesauribile. 


 9 La gente aumenta, si affolla, ingombra la via. Chi era indietro accorre, chi era avanti torna indietro. Quelli di un piccolo paese, presso il quale sono ormai, si uniscono ai passanti. 
   «Ma fallo tacere, Signore. Egli è il samaritano. Lo dice così la gente. Non deve parlare di Te, se Tu non permetti neppure che noi ti si preceda più predicandoti!», dicono inquieti gli apostoli. 
   «Amici miei, ripeto le parole di Mosè a Giosuè figlio di Num (Numeri 11, 26-30), che si lamentava perché Eldad e Medad profetavano negli accampamenti: "Sei tu geloso per me, in mia vece? Oh! profetasse così tutto il popolo, e il Signore desse a tutti il suo spirito!". Ma pure mi fermerò e lo congederò per farvi contenti». 
   E si ferma voltandosi e chiamando a sé il lebbroso guarito, che accorre e si prostra dinanzi a Gesù baciando la polvere. 

   
«Alzati. E gli altri dove sono? Non eravate in dieci? Gli altri nove non hanno sentito bisogno di ringraziare il Signore. E che? Su dieci lebbrosi, dei quali uno solo era samaritano, non si è trovato altro che questo straniero che sentisse il dovere di tornare indietro a rendere gloria a Dio, prima di rendere se stesso alla vita e alla famiglia? Ed egli è detto "samaritano". Non più ubbriachi sono allora i samaritani, posto che vedono senza traveggole e accorrono sulla via di Salute senza barcollare? Parla dunque la Parola un linguaggio straniero se lo intendono gli stranieri e non quelli del suo popolo?». 
   Gira gli splendidi occhi sulla folla di ogni luogo della Palestina che si trova presente. E sono insostenibili nei loro balenii quegli occhi... Molti chinano il capo e spronano le cavalcature o si danno a camminare allontanandosi... 
10 Gesù china gli occhi sul samaritano inginocchiato ai suoi piedi, e lo sguardo si fa dolcissimo. Alza la mano, che teneva abbandonata lungo il fianco, in un gesto di benedizione e dice: «Alzati e vattene. La tua fede ha salvato in te più ancora della tua carne. Procedi nella luce di Dio. Va’»
   L’uomo bacia nuovamente la polvere e prima di alzarsi chiede: «Un nome, Signore. Un nome nuovo, perché tutto è nuovo in me, e per sempre». 
   «In che terra ci troviamo?». 
   «In quella d’Efraim». 
   «Ed Efrem chiamati da ora in poi, perché due volte la Vita ti ha dato vita. Va’».
   E l’uomo si alza e va. 
   La gente del luogo e qualche pellegrino vorrebbero trattenere Gesù. Ma Egli li soggioga con il suo sguardo che non è severo, anzi è molto dolce nel guardarli, ma che deve sprigionare una potenza, perché nessuno fa un gesto per trattenerlo. 

   E Gesù lascia la via senza entrare nel paesino, traversa un campo, poi un piccolo rio e un sentiero, e sale sul poggio orientale, tutto boscoso, e si inselva con i suoi dicendo: «Per non smarrirci seguiremo la via, ma stando nel bosco. Dopo quella curva, la strada si appoggia a questo monte. Vi troveremo qualche grotta per dormire, superando all’alba Efraim...».
AVE MARIA

SALMO 42 nel commento di sant'Agostino

SUL SALMO 42

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ESPOSIZIONE
Discorso al popolo

1. Questo salmo è breve; soddisfa gli animi degli ascoltatori, e non è molesto allo stomaco di chi è digiuno. Si nutra di questo la nostra anima, che chi canta in questo salmo, dice che è triste; triste credo per qualche digiuno che ha fatto, o meglio per la sua fame. Infatti il digiuno è volontario, mentre la fame è imposta dalla necessità. Ha fame la Chiesa, ha fame il Corpo di Cristo, e quell'Uomo che si trova ovunque, il cui Capo è in alto, mentre le membra sono in basso; dobbiamo sentire ormai nota e familiare, come fosse la nostra, la sua voce in ogni salmo, sia che canti o che gema, si allieti nella speranza oppure sospiri per qualche cosa. Non è necessario dunque trattenerci a lungo per chiarirvi chi è che qui ci parla; sia ciascuno di voi nel Corpo di Cristo, e qui parlerà.
Convivenza dei buoni con i cattivi.
2. [v 1.] Ma voi conoscete tutti coloro che progrediscono, e coloro che anelano a quella città celeste, che riconoscono il loro esilio, che non perdono la via, che hanno fissato nel desiderio di quella saldissima terra, come fosse un'ancora, la loro speranza; sapete dunque che questo genere di uomini, questo buon seme, questo frumento di Cristo in mezzo alla zizzania geme; e ciò accade finché non verrà il tempo della mietitura, cioè fino alla fine del mondo, come ci dice la Verità che non sbaglia 1. Gemendo dunque in mezzo alla zizzania, cioè in mezzo agli uomini malvagi, in mezzo agli ingannatori e ai seduttori, o agli agitati dall'ira o agli avvelenati dalle insidie, rendendosi conto di essere insieme con loro come in uno stesso campo sparso per tutto il mondo, che riceve una stessa pioggia, che ugualmente è percosso dal vento, che parimenti è nutrito in mezzo alle avversità, che ha insieme a costoro in comune gli stessi doni di Dio, ugualmente concessi ai buoni e ai malvagi da colui che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui malvagi e fa piovere su giusti ed ingiusti 2; vedendo dunque il seme di Abramo, il seme santo, avere ora in comune con i malvagi, dai quali a suo tempo sarà separato, tante cose, in quanto ugualmente nasce, riceve in sorte la stessa condizione umana, parimenti porta un corpo mortale, insieme usa della luce, delle fonti, dei frutti, delle prosperità e delle avversità del secolo, della fame, dell'abbondanza, della pace, della guerra, della salute, della peste; orbene vedendo quante cose ha in comune con i malvagi, con i quali tuttavia non ha in comune la causa, prorompe in queste parole: giudicami, Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa. Dice: Giudicami, Dio; non temo il giudizio perché ho conosciuto la tua misericordia. Giudicami, Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa. Per ora in questo esilio non ancora distingui il mio posto, perché vivo insieme con la zizzania fino al tempo della mietitura; non ancora distingui la mia pioggia, non ancora distingui la mia luce: ebbene distingui la mia causa. C'è distanza fra colui che crede in te e colui che non crede in te. Pari è la debolezza, ma diversa è la coscienza; pari è la fatica, ma diverso è il desiderio. Il desiderio degli empi perirà; dovremmo dubitare anche del desiderio dei giusti se non fossimo certi della promessa che ci è stata fatta. Il fine del nostro desiderio è colui stesso che ci ha fatto tale promessa. Darà se stesso, perché se stesso ha dato, darà se stesso immortale agli immortali, perché ha dato ai mortali se stesso mortale. Giudicami, Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa. Liberami dall'uomo ingiusto e ingannatore cioè liberami dalla gente non santa. Dall'uomo, cioè da quel certo genere di uomini: c'è uomo e uomo, e tra questi due uno sarà accolto ed uno sarà abbandonato 3.
Tristezza del peccatore e gioia dei giusti.
3. [v 2.] È necessaria dunque con pazienza sopportare fino alla mietitura una certa, se così si può dire, indivisa divisione; perché sono insieme e perciò non ancora sono divisi; ma la zizzania è zizzania, e il frumento è frumento, e perciò già sono divisi. È dunque necessaria la fortezza che dobbiamo implorare da colui che ci ha ordinato di essere forti e, se egli non ci farà forti, non saremo ciò che ci ha ordinato per mezzo di colui che ha detto: Chi avrà perseverato fino alla fine, costui sarà salvo 4E, affinché l'anima stessa non si indebolisca arrogandosi la forza, subito aggiunge: Dato che tu sei il mio Dio, la mia forza, perché mi hai scacciato, e perché, rattristato avanzo mentre il nemico mi affligge? Egli cerca la causa della sua tristezza. Dice: Perché rattristato avanzo mentre il nemico mi affligge? Cammino rattristato, il nemico mi affligge con le sue quotidiane tentazioni, suggerendo ora un amore disordinato, ora un disordinato timore; e nell'anima, combattendo contro l'una e l'altra, anche se non ne è schiava, tuttavia corre pericolo, si rattrista e dice a Dio: Perché? Cerchi dunque da se stesso, e udrà perché. Cerca infatti nel salmo la causa della sua tristezza, dicendo: Perché mi hai scacciato, e perché rattristato cammino? Ascolti Isaia, lo soccorra quel passo, che ora è stato recitato: Lo spirito da me se ne andrà, e io ho emesso ogni soffio, a cagione del piccolo peccato io l'ho reso triste, io ho distolto la mia faccia da lui; ed è rattristato. e se ne va triste sulle sue vie 5. Che andava dunque cercando: perché mi hai scacciato, e perché rattristato cammino? Hai ascoltato perché: a cagione del peccato. La causa della tua tristezza è il peccato: sia la giustizia la causa della tua gioia. Volevi peccare, e non volevi portarne il peso; come se poco fosse stato per te l'essere ingiusto, avresti voluto che fosse ingiusto anche lui, dal quale non volevi essere punito. Ascolta in un altro salmo queste parole più chiare: bene è per me che tu mi abbia umiliato, affinché io apprenda le tue giustificazioni 6. Inorgoglito io avevo appreso le mie ingiustizie, apprenda umiliato le tue giustificazioni. Perché rattristato cammino, mentre il nemico mi affligge? Cerchi chi è questo nemico; egli veramente ti affligge, ma sei tu che gli hai dato l'occasione. Ed ora sai che cosa fare; prendi la tua decisione, accetta il re, respingi il tiranno.
Dio luce e verità.
4. [v 3.] Ma per far questo, stai attento a che cosa dice, che cosa supplica, che cosa prega. Prega ciò che ascolti, prega quando ascolti; e di tutti noi sia questa voce: Manda la tua luce e la tua verità; esse mi hanno sollevato e mi hanno condotto nel tuo monte santo e nella tua tenda. Parla della tua luce e della tua verità; questi sono due nomi, ma una sola è la cosa. Che altro è infatti la luce di Dio, se non la verità di Dio? E che cosa è la verità di Dio se non la luce di Dio? E ambedue queste cose sono il solo Cristo. Io sono la luce del mondo, chi crede in me non camminerà nelle tenebre 7. Io sono la via, la verità e la vita 8. Egli è la luce, egli è la verità. Venga dunque, e ci liberi distinguendo finalmente la nostra causa da quella della gente non santa; ci liberi dall'uomo ingiusto e ingannatore; separi il frumento dalla zizzania; perché è lui stesso che manderà i suoi angeli alla stagione della mietitura per raccogliere dal suo regno ogni scandalo e gettarli nel fuoco ardente, mentre riuniranno nel granaio il suo frumento 9. Manderà la sua luce e la sua verità; perché esse già ci hanno condotto nel suo santo monte e nella sua tenda. Abbiamo un pegno, speriamo il premio. Santo è il suo monte, santa è la sua Chiesa. Quello è il monte che da una piccolissima pietra tanto crebbe, secondo la visione di Daniele, da schiacciare i regni terreni, e a tal punto divenne grande, da riempire tutta la superficie della terra 10. In questo monte dichiara di essere esaudito colui che dice: Gridai con la mia voce al Signore, ed egli mi esaudì dal suo monte santo 11. Chiunque prega al di fuori di questo monte non speri di essere esaudito in vista della vita eterna. Molti infatti sono esauditi per molte altre cose. Non si rallegrino perché sono stati esauditi; furono esauditi anche i demoni, tanto che furono lasciati entrare nei porci 12. Aneliamo ad essere esauditi per la vita eterna, con il desiderio con cui diciamo: manda la tua luce e la tua verità. Quella luce penetra l'occhio del cuore: beati infatti i puri di cuore perché essi vedranno Dio 13. Ma ora siamo nel suo monte, cioè nella sua Chiesa, e nella sua tenda. La tenda è propria dei pellegrini, la casa è invece propria di coloro che hanno una dimora stabile; e c'è anche una tenda dei pellegrini e dei soldati. Quando odi parlare della tenda, intendi la guerra, e guardati dal nemico. Ma quale sarà la casa? Beati coloro che abitano nella tua casa, nei secoli dei secoli ti loderanno 14.
Valore della tribolazione.
5. [v 4.] Condotti ormai alla tenda e collocati sul suo santo monte, quale speranza nutriamo? Ed entrerò all'altare di Dio. C'è infatti un certo altare invisibile e sublime, al quale non si avvicina l'ingiusto. A quell'altare si avvicina soltanto colui che si accosta sicuro al suo santo monte, ivi ritroverà la sua vita colui che in questo monte distingue la sua causa. Ed entrerò all'altare di Dio. Dal suo santo monte, dalla sua tenda, dalla sua santa Chiesa entrerò all'altare sublime di Dio. Quale sacrificio vi si compie? Colui stesso che entra è assunto quale olocausto. Entrerò all'altare di Dio. Che significano le parole: all'altare di DioA Dio che allieta la mia giovinezza. Giovinezza significa novità; è come se dicesse: a Dio che rallegra la mia novità. Rallegra la mia novità, colui che rattrista la mia vecchiezza. Infatti ora, rattristato, cammino nella vecchiaia, ma allora starò in piedi, lieto nella novità. Ti loderò con la cetra, Dio, Dio mio. Che cosa significa lodare con la cetra e lodare con il salterio? Non sempre infatti si loda con la cetra e neppure sempre con il salterio. Questi due strumenti musicali differiscono l'uno dall'altro e la loro differenza è degna di considerazione e di essere ricordata. Ambedue si tengono con le mani e si toccano e sono l'immagine di qualche nostra opera corporale. Ambedue sono buoni, sempreché chi li usa sappia suonare il salterio o sappia suonare la cetra. Ma il salterio è così chiamato perché nella parte superiore ha la cassa armonica; si tratta di un timpano di un legno concavo in cui le corde toccate risuonano; mentre la cetra ha lo stesso legno concavo e sonoro nella parte inferiore. Dobbiamo perciò distinguere le nostre opere quando sono nel salterio e quando sono nella cetra, anche se ambedue sono gradite a Dio e dolci al suo udito. Quando dunque facciamo qualcosa che ci è indicata dai precetti di Dio, attenendoci ai suoi ordini ed agendo per adempiere i suoi comandamenti, e questo facciamo senza soffrire si tratta del salterio. Così si comportano infatti anche gli angeli; essi non subiscono certo alcuna sofferenza. Quando invece abbiamo qualche tribolazione, subiamo qualche tentazione o qualche scandalo in questa terra, poiché soffriamo nella nostra parte inferiore per il fatto che siamo mortali e dobbiamo le tribolazioni alla nostra prima origine, ed esse ci derivano da coloro che sono inferiori a noi, allora si tratta della cetra. Il suono soave viene infatti dalla parte inferiore; noi soffriamo e cantiamo, o meglio cantiamo e suoniamo la cetra. Quando l'Apostolo dichiarava che evangelizzava e predicava il Vangelo a tutto il mondo in forza del comandamento di Dio, in quanto diceva di avere ricevuto quel Vangelo non dagli uomini e neppure per mezzo di un uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo 15, dall'alto risuonavano le corde; quando invece diceva: ci gloriamo nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione suscita la pazienza, la pazienza la prova, la prova la speranza 16, la cetra suonava nella sua parte inferiore, ma con estrema dolcezza. La pazienza è sempre gradita a Dio. Se però in tali tribolazioni sei venuto meno, allora hai spezzato la cetra. Perché dunque ora ha detto: ti loderò con la cetra? Così si è espresso perché prima aveva detto: perché tristemente cammino mentre il nemico mi affligge? Soffriva insomma qualche afflizione nella sua parte inferiore, e in ciò stesso tuttavia voleva essere gradito a Dio e si sforzava di rendere grazie a Dio, forte nelle tribolazioni; e poiché non poteva essere senza tribolazioni offriva a Dio la sua pazienza. Ti loderò con la cetra, Dio, Dio mio.
L'immagine di Dio in noi.
6. [v 5.] E di nuovo si rivolge alla sua anima, affinché essa capti il suono che echeggia da quel legno sonoro che sta nella parte inferiore: Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Sono nelle tribolazioni, nella tristezza, nei dolori, e perché mi turbi, o anima? Chi dice queste parole? A chi le dice? Tutti sappiamo che le dice all'anima; è evidente che questo discorso è diretto a lei. Perché sei triste anima mia e perché mi turbi? Cerchiamo chi è colui che parla. È forse la carne che parla all'anima, dato che la carne senza l'anima non parla? È più logico peraltro che sia l'anima a parlare alla carne, piuttosto che la carne a parlare all'anima. Ma allora perché non ha detto: perché sei triste, carne mia, ma ha detto: perché sei triste, anima mia? Inoltre, se fosse l'anima a parlare alla carne, probabilmente non avrebbe detto: perché sei triste: ma avrebbe detto: perché ti duoli? Il dolore dell'anima infatti è detto tristezza; il disagio che si manifesta nel corpo può esser detto dolore, ma non tristezza. Ma molte volte l'anima si rattrista per il dolore del corpo. Interessa quindi sapere cos'è che duole, e cos'è che rattrista. Duole la carne e l'anima è triste; e chiarissime sono queste parole: perché sei triste, anima mia? Non è dunque l'anima che parla alla carne, dato che non ha detto: perché sei triste carne mia? Ma neppure è la carne che parla all'anima, perché è assurdo che l'inferiore parli con il superiore. Ci rendiamo conto di conseguenza di possedere qualcosa ove sta l'immagine di Dio, la mente e la ragione. La mente stessa invocava la luce di Dio e la verità di Dio. È per suo mezzo che comprendiamo ciò che è giusto e ciò che è ingiusto; che distinguiamo il vero dal falso; esso si chiama intelletto, quell'intelletto di cui mancano le bestie; e chiunque trascura questo intelletto, e lo pospone alle altre cose e si muove quasi non l'avesse, ascolti il salmo: non siate come il cavallo e il mulo che non hanno intelletto 17. È dunque il nostro intelletto che parla alla nostra anima. Essa nelle tribolazioni si è snervata, stancata nelle angosce, ripiegata nelle tentazioni, ammalata nelle fatiche. La mente che comprende dall'alto la verità, solleva l'anima e le dice: perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi?
Tutto dobbiamo attenderci dal Signore.
7. Osservate un po' se questo discorso non si ritrova in quel conflitto di cui parla l'Apostolo il quale, prefigurando in sé alcuni e forse prefigurando proprio noi, dice: Amo con voi la legge di Dio secondo l'uomo interiore ma vedo un'altra legge nelle mie membra cioè i sentimenti carnali; e in questa lotta quasi disperata invoca la grazia di Dio: Me misero uomo, chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore 18Il Signore stesso si è degnato di prefigurare in sé tali forze che tra loro combattono, allorché dice: triste è l'anima mia sino alla morte 19. Egli sapeva infatti per cosa era venuto. Temeva forse la passione colui che aveva detto: Ho il potere di dare la vita mia, ed ho il potere di riprenderla di nuovo; nessuno la toglie a me, ma io stesso la do, e di nuovo la prendo 20? Ma quando dice: triste è l'anima mia sino alla morte, raffigura in se stesso le sue membra. Di solito infatti lo spirito già crede con certezza e con sicurezza sa che l'uomo sarà, secondo la sua fede, nel seno di Abramo; crede questo, e tuttavia, quando viene il momento della morte, si turba per l'abitudine che ha fatto alla vita in questo secolo; tende l'udito a quella voce interna di Dio, ascolta l'intimo e spirituale canto. Così dall'alto risuona nel silenzio qualcosa, non alle orecchie, ma alla mente; per cui chiunque ode quella melodia, prova disgusto per lo strepito del corpo, e tutta questa vita umana è per lui solo rumore assordante che gli impedisce di udire quel suono sublime, straordinariamente piacevole, incomparabile e ineffabile. E parimenti quando, colpito da qualche turbamento, l'uomo subisce violenza, lo spirito dice all'anima sua: perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? È forse per questo che difficilmente si trova una vita purificata, quando giudica colui che sa giudicare secondo un'estrema purità e sicurezza? Per quanto la vita in mezzo agli uomini sia degna di lode in modo che gli uomini non hanno di che rimproverare con giustizia, si sviluppa il giudizio da parte del Signore, si applica la regola con una equanimità che non conosce errore, e trova nell'uomo qualcosa che Dio rimprovera, e che agli uomini non sembrava degno di rimprovero, neppure a colui che è sottoposto a giudizio. È forse temendo questo che l'anima si turba; le si rivolge allora la mente come dicendole: perché temi i peccati, dal momento che non puoi evitarli tutti? Spero nel Signore perché io a lui confesserò. Questo discorso risana un po', il resto è purificato dalla fedele confessione. Hai diritto di temere, se ti consideri giusto, e se non hai presenti le parole di quell'altro salmo: Non venire a giudizio con il tuo servo. Perché: non venire a giudizio con il tuo servo? La tua misericordia mi è necessaria. Se applicherai infatti il giudizio senza misericordia, dove andrò a finire? Se terrai conto delle ingiustizie, Signore, chi spererà? 21 Non venire a giudizio con il tuo servo, perché nessun vivente può giustificarsi dinanzi a te 22. Non sarà dunque giustificato al tuo cospetto alcun vivente, perché chiunque qui vive, anche se vive giustamente, guai a lui se Dio entrerà in giudizio con lui. Per mezzo del profeta il Signore così rimprovera gli arroganti e i superbi: Perché volete entrare con me in giudizio? Tutti mi avete abbandonato, dice il Signore 23. Non entrate dunque in giudizio; dàtti da fare per essere giusto; e qualunque cosa tu sia stato, confessati peccatore; sempre spera nella misericordia: e in questa umile confessione parla sicuro con la tua anima che ti turba e tumultua contro di te. Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Forse volevi sperare in te; Spera nel Signore, non in te. Cosa sei in te e cosa si può attendere da te? Egli sia la tua salvezza, lui che ha accettate le ferite per te. Spera nel Signore, perché lui confesserò. Che cosa confesserai? che egli è la salvezza del mio volto, il mio Dio. Tu sei la salvezza del mio volto, tu mi sanerai. Ti parlo da malato; riconosco il medico, non pretendo di essere sano. Che significa: riconosco il medico, e non pretendo di essere sano? Significa ciò che in un altro salmo è detto: Io dissi: Signore abbi pietà di me, risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te 24.
Digiuno ed elemosina.

8. Questa supplica, fratelli, è sicura; ma vigilate nelle opere buone. Toccate il salterio obbedendo ai comandamenti, toccate la cetra, sopportando le passioni. Spezza il tuo pane per chi ha fame 25, ha detto Isaia; non credere che sia sufficiente il digiuno. Il digiuno ti mortifica, non soccorre gli altri. Saranno fruttuose le tue privazioni se donerai ad altri con larghezza. Ecco, hai defraudato la tua anima; a chi darai ciò che ti sei tolto? dove porrai ciò che hai negato a te stesso? Quanti poveri potrebbe saziare il pranzo che noi oggi abbiamo interrotto! Il tuo digiuno deve essere questo: mentre un altro prende cibo, godi di nutrirti della preghiera per la quale sarai esaudito. Continua infatti Isaia: mentre ancora tu parli, io ti dirò: ecco son qui; se spezzerai di buon animo il pane a chi ha fame 26; perché di solito ciò vien fatto con tristezza e brontolando, per evitare il fastidio di colui che chiede, non per ristorare le viscere di chi ha bisogno. Ma Dio ama chi dona con letizia 27. Se avrai dato il pane con tristezza, hai perduto il pane e il merito. Fa' dunque questo di buon animo; affinché colui che vede dentro mentre ancora stai parlando, ti dica: ecco son qui. Con quanta celerità sono accolte le preghiere di coloro che operano il bene! Questa è la giustizia dell'uomo in questa vita, il digiuno, l'elemosina, la preghiera. Vuoi che la tua preghiera voli fino a Dio? Donale due ali: il digiuno e l'elemosina. Così ci trovi, così tranquilli ci scopra la luce di Dio e la verità di Dio, quando verrà a liberarci dalla morte colui che già è venuto a subire la morte per noi. Amen.

AMDG et DVM