sabato 31 agosto 2019

SALMO 42 nel commento di sant'Agostino

SUL SALMO 42

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ESPOSIZIONE
Discorso al popolo

1. Questo salmo è breve; soddisfa gli animi degli ascoltatori, e non è molesto allo stomaco di chi è digiuno. Si nutra di questo la nostra anima, che chi canta in questo salmo, dice che è triste; triste credo per qualche digiuno che ha fatto, o meglio per la sua fame. Infatti il digiuno è volontario, mentre la fame è imposta dalla necessità. Ha fame la Chiesa, ha fame il Corpo di Cristo, e quell'Uomo che si trova ovunque, il cui Capo è in alto, mentre le membra sono in basso; dobbiamo sentire ormai nota e familiare, come fosse la nostra, la sua voce in ogni salmo, sia che canti o che gema, si allieti nella speranza oppure sospiri per qualche cosa. Non è necessario dunque trattenerci a lungo per chiarirvi chi è che qui ci parla; sia ciascuno di voi nel Corpo di Cristo, e qui parlerà.
Convivenza dei buoni con i cattivi.
2. [v 1.] Ma voi conoscete tutti coloro che progrediscono, e coloro che anelano a quella città celeste, che riconoscono il loro esilio, che non perdono la via, che hanno fissato nel desiderio di quella saldissima terra, come fosse un'ancora, la loro speranza; sapete dunque che questo genere di uomini, questo buon seme, questo frumento di Cristo in mezzo alla zizzania geme; e ciò accade finché non verrà il tempo della mietitura, cioè fino alla fine del mondo, come ci dice la Verità che non sbaglia 1. Gemendo dunque in mezzo alla zizzania, cioè in mezzo agli uomini malvagi, in mezzo agli ingannatori e ai seduttori, o agli agitati dall'ira o agli avvelenati dalle insidie, rendendosi conto di essere insieme con loro come in uno stesso campo sparso per tutto il mondo, che riceve una stessa pioggia, che ugualmente è percosso dal vento, che parimenti è nutrito in mezzo alle avversità, che ha insieme a costoro in comune gli stessi doni di Dio, ugualmente concessi ai buoni e ai malvagi da colui che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui malvagi e fa piovere su giusti ed ingiusti 2; vedendo dunque il seme di Abramo, il seme santo, avere ora in comune con i malvagi, dai quali a suo tempo sarà separato, tante cose, in quanto ugualmente nasce, riceve in sorte la stessa condizione umana, parimenti porta un corpo mortale, insieme usa della luce, delle fonti, dei frutti, delle prosperità e delle avversità del secolo, della fame, dell'abbondanza, della pace, della guerra, della salute, della peste; orbene vedendo quante cose ha in comune con i malvagi, con i quali tuttavia non ha in comune la causa, prorompe in queste parole: giudicami, Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa. Dice: Giudicami, Dio; non temo il giudizio perché ho conosciuto la tua misericordia. Giudicami, Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa. Per ora in questo esilio non ancora distingui il mio posto, perché vivo insieme con la zizzania fino al tempo della mietitura; non ancora distingui la mia pioggia, non ancora distingui la mia luce: ebbene distingui la mia causa. C'è distanza fra colui che crede in te e colui che non crede in te. Pari è la debolezza, ma diversa è la coscienza; pari è la fatica, ma diverso è il desiderio. Il desiderio degli empi perirà; dovremmo dubitare anche del desiderio dei giusti se non fossimo certi della promessa che ci è stata fatta. Il fine del nostro desiderio è colui stesso che ci ha fatto tale promessa. Darà se stesso, perché se stesso ha dato, darà se stesso immortale agli immortali, perché ha dato ai mortali se stesso mortale. Giudicami, Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa. Liberami dall'uomo ingiusto e ingannatore cioè liberami dalla gente non santa. Dall'uomo, cioè da quel certo genere di uomini: c'è uomo e uomo, e tra questi due uno sarà accolto ed uno sarà abbandonato 3.
Tristezza del peccatore e gioia dei giusti.
3. [v 2.] È necessaria dunque con pazienza sopportare fino alla mietitura una certa, se così si può dire, indivisa divisione; perché sono insieme e perciò non ancora sono divisi; ma la zizzania è zizzania, e il frumento è frumento, e perciò già sono divisi. È dunque necessaria la fortezza che dobbiamo implorare da colui che ci ha ordinato di essere forti e, se egli non ci farà forti, non saremo ciò che ci ha ordinato per mezzo di colui che ha detto: Chi avrà perseverato fino alla fine, costui sarà salvo 4E, affinché l'anima stessa non si indebolisca arrogandosi la forza, subito aggiunge: Dato che tu sei il mio Dio, la mia forza, perché mi hai scacciato, e perché, rattristato avanzo mentre il nemico mi affligge? Egli cerca la causa della sua tristezza. Dice: Perché rattristato avanzo mentre il nemico mi affligge? Cammino rattristato, il nemico mi affligge con le sue quotidiane tentazioni, suggerendo ora un amore disordinato, ora un disordinato timore; e nell'anima, combattendo contro l'una e l'altra, anche se non ne è schiava, tuttavia corre pericolo, si rattrista e dice a Dio: Perché? Cerchi dunque da se stesso, e udrà perché. Cerca infatti nel salmo la causa della sua tristezza, dicendo: Perché mi hai scacciato, e perché rattristato cammino? Ascolti Isaia, lo soccorra quel passo, che ora è stato recitato: Lo spirito da me se ne andrà, e io ho emesso ogni soffio, a cagione del piccolo peccato io l'ho reso triste, io ho distolto la mia faccia da lui; ed è rattristato. e se ne va triste sulle sue vie 5. Che andava dunque cercando: perché mi hai scacciato, e perché rattristato cammino? Hai ascoltato perché: a cagione del peccato. La causa della tua tristezza è il peccato: sia la giustizia la causa della tua gioia. Volevi peccare, e non volevi portarne il peso; come se poco fosse stato per te l'essere ingiusto, avresti voluto che fosse ingiusto anche lui, dal quale non volevi essere punito. Ascolta in un altro salmo queste parole più chiare: bene è per me che tu mi abbia umiliato, affinché io apprenda le tue giustificazioni 6. Inorgoglito io avevo appreso le mie ingiustizie, apprenda umiliato le tue giustificazioni. Perché rattristato cammino, mentre il nemico mi affligge? Cerchi chi è questo nemico; egli veramente ti affligge, ma sei tu che gli hai dato l'occasione. Ed ora sai che cosa fare; prendi la tua decisione, accetta il re, respingi il tiranno.
Dio luce e verità.
4. [v 3.] Ma per far questo, stai attento a che cosa dice, che cosa supplica, che cosa prega. Prega ciò che ascolti, prega quando ascolti; e di tutti noi sia questa voce: Manda la tua luce e la tua verità; esse mi hanno sollevato e mi hanno condotto nel tuo monte santo e nella tua tenda. Parla della tua luce e della tua verità; questi sono due nomi, ma una sola è la cosa. Che altro è infatti la luce di Dio, se non la verità di Dio? E che cosa è la verità di Dio se non la luce di Dio? E ambedue queste cose sono il solo Cristo. Io sono la luce del mondo, chi crede in me non camminerà nelle tenebre 7. Io sono la via, la verità e la vita 8. Egli è la luce, egli è la verità. Venga dunque, e ci liberi distinguendo finalmente la nostra causa da quella della gente non santa; ci liberi dall'uomo ingiusto e ingannatore; separi il frumento dalla zizzania; perché è lui stesso che manderà i suoi angeli alla stagione della mietitura per raccogliere dal suo regno ogni scandalo e gettarli nel fuoco ardente, mentre riuniranno nel granaio il suo frumento 9. Manderà la sua luce e la sua verità; perché esse già ci hanno condotto nel suo santo monte e nella sua tenda. Abbiamo un pegno, speriamo il premio. Santo è il suo monte, santa è la sua Chiesa. Quello è il monte che da una piccolissima pietra tanto crebbe, secondo la visione di Daniele, da schiacciare i regni terreni, e a tal punto divenne grande, da riempire tutta la superficie della terra 10. In questo monte dichiara di essere esaudito colui che dice: Gridai con la mia voce al Signore, ed egli mi esaudì dal suo monte santo 11. Chiunque prega al di fuori di questo monte non speri di essere esaudito in vista della vita eterna. Molti infatti sono esauditi per molte altre cose. Non si rallegrino perché sono stati esauditi; furono esauditi anche i demoni, tanto che furono lasciati entrare nei porci 12. Aneliamo ad essere esauditi per la vita eterna, con il desiderio con cui diciamo: manda la tua luce e la tua verità. Quella luce penetra l'occhio del cuore: beati infatti i puri di cuore perché essi vedranno Dio 13. Ma ora siamo nel suo monte, cioè nella sua Chiesa, e nella sua tenda. La tenda è propria dei pellegrini, la casa è invece propria di coloro che hanno una dimora stabile; e c'è anche una tenda dei pellegrini e dei soldati. Quando odi parlare della tenda, intendi la guerra, e guardati dal nemico. Ma quale sarà la casa? Beati coloro che abitano nella tua casa, nei secoli dei secoli ti loderanno 14.
Valore della tribolazione.
5. [v 4.] Condotti ormai alla tenda e collocati sul suo santo monte, quale speranza nutriamo? Ed entrerò all'altare di Dio. C'è infatti un certo altare invisibile e sublime, al quale non si avvicina l'ingiusto. A quell'altare si avvicina soltanto colui che si accosta sicuro al suo santo monte, ivi ritroverà la sua vita colui che in questo monte distingue la sua causa. Ed entrerò all'altare di Dio. Dal suo santo monte, dalla sua tenda, dalla sua santa Chiesa entrerò all'altare sublime di Dio. Quale sacrificio vi si compie? Colui stesso che entra è assunto quale olocausto. Entrerò all'altare di Dio. Che significano le parole: all'altare di DioA Dio che allieta la mia giovinezza. Giovinezza significa novità; è come se dicesse: a Dio che rallegra la mia novità. Rallegra la mia novità, colui che rattrista la mia vecchiezza. Infatti ora, rattristato, cammino nella vecchiaia, ma allora starò in piedi, lieto nella novità. Ti loderò con la cetra, Dio, Dio mio. Che cosa significa lodare con la cetra e lodare con il salterio? Non sempre infatti si loda con la cetra e neppure sempre con il salterio. Questi due strumenti musicali differiscono l'uno dall'altro e la loro differenza è degna di considerazione e di essere ricordata. Ambedue si tengono con le mani e si toccano e sono l'immagine di qualche nostra opera corporale. Ambedue sono buoni, sempreché chi li usa sappia suonare il salterio o sappia suonare la cetra. Ma il salterio è così chiamato perché nella parte superiore ha la cassa armonica; si tratta di un timpano di un legno concavo in cui le corde toccate risuonano; mentre la cetra ha lo stesso legno concavo e sonoro nella parte inferiore. Dobbiamo perciò distinguere le nostre opere quando sono nel salterio e quando sono nella cetra, anche se ambedue sono gradite a Dio e dolci al suo udito. Quando dunque facciamo qualcosa che ci è indicata dai precetti di Dio, attenendoci ai suoi ordini ed agendo per adempiere i suoi comandamenti, e questo facciamo senza soffrire si tratta del salterio. Così si comportano infatti anche gli angeli; essi non subiscono certo alcuna sofferenza. Quando invece abbiamo qualche tribolazione, subiamo qualche tentazione o qualche scandalo in questa terra, poiché soffriamo nella nostra parte inferiore per il fatto che siamo mortali e dobbiamo le tribolazioni alla nostra prima origine, ed esse ci derivano da coloro che sono inferiori a noi, allora si tratta della cetra. Il suono soave viene infatti dalla parte inferiore; noi soffriamo e cantiamo, o meglio cantiamo e suoniamo la cetra. Quando l'Apostolo dichiarava che evangelizzava e predicava il Vangelo a tutto il mondo in forza del comandamento di Dio, in quanto diceva di avere ricevuto quel Vangelo non dagli uomini e neppure per mezzo di un uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo 15, dall'alto risuonavano le corde; quando invece diceva: ci gloriamo nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione suscita la pazienza, la pazienza la prova, la prova la speranza 16, la cetra suonava nella sua parte inferiore, ma con estrema dolcezza. La pazienza è sempre gradita a Dio. Se però in tali tribolazioni sei venuto meno, allora hai spezzato la cetra. Perché dunque ora ha detto: ti loderò con la cetra? Così si è espresso perché prima aveva detto: perché tristemente cammino mentre il nemico mi affligge? Soffriva insomma qualche afflizione nella sua parte inferiore, e in ciò stesso tuttavia voleva essere gradito a Dio e si sforzava di rendere grazie a Dio, forte nelle tribolazioni; e poiché non poteva essere senza tribolazioni offriva a Dio la sua pazienza. Ti loderò con la cetra, Dio, Dio mio.
L'immagine di Dio in noi.
6. [v 5.] E di nuovo si rivolge alla sua anima, affinché essa capti il suono che echeggia da quel legno sonoro che sta nella parte inferiore: Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Sono nelle tribolazioni, nella tristezza, nei dolori, e perché mi turbi, o anima? Chi dice queste parole? A chi le dice? Tutti sappiamo che le dice all'anima; è evidente che questo discorso è diretto a lei. Perché sei triste anima mia e perché mi turbi? Cerchiamo chi è colui che parla. È forse la carne che parla all'anima, dato che la carne senza l'anima non parla? È più logico peraltro che sia l'anima a parlare alla carne, piuttosto che la carne a parlare all'anima. Ma allora perché non ha detto: perché sei triste, carne mia, ma ha detto: perché sei triste, anima mia? Inoltre, se fosse l'anima a parlare alla carne, probabilmente non avrebbe detto: perché sei triste: ma avrebbe detto: perché ti duoli? Il dolore dell'anima infatti è detto tristezza; il disagio che si manifesta nel corpo può esser detto dolore, ma non tristezza. Ma molte volte l'anima si rattrista per il dolore del corpo. Interessa quindi sapere cos'è che duole, e cos'è che rattrista. Duole la carne e l'anima è triste; e chiarissime sono queste parole: perché sei triste, anima mia? Non è dunque l'anima che parla alla carne, dato che non ha detto: perché sei triste carne mia? Ma neppure è la carne che parla all'anima, perché è assurdo che l'inferiore parli con il superiore. Ci rendiamo conto di conseguenza di possedere qualcosa ove sta l'immagine di Dio, la mente e la ragione. La mente stessa invocava la luce di Dio e la verità di Dio. È per suo mezzo che comprendiamo ciò che è giusto e ciò che è ingiusto; che distinguiamo il vero dal falso; esso si chiama intelletto, quell'intelletto di cui mancano le bestie; e chiunque trascura questo intelletto, e lo pospone alle altre cose e si muove quasi non l'avesse, ascolti il salmo: non siate come il cavallo e il mulo che non hanno intelletto 17. È dunque il nostro intelletto che parla alla nostra anima. Essa nelle tribolazioni si è snervata, stancata nelle angosce, ripiegata nelle tentazioni, ammalata nelle fatiche. La mente che comprende dall'alto la verità, solleva l'anima e le dice: perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi?
Tutto dobbiamo attenderci dal Signore.
7. Osservate un po' se questo discorso non si ritrova in quel conflitto di cui parla l'Apostolo il quale, prefigurando in sé alcuni e forse prefigurando proprio noi, dice: Amo con voi la legge di Dio secondo l'uomo interiore ma vedo un'altra legge nelle mie membra cioè i sentimenti carnali; e in questa lotta quasi disperata invoca la grazia di Dio: Me misero uomo, chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore 18Il Signore stesso si è degnato di prefigurare in sé tali forze che tra loro combattono, allorché dice: triste è l'anima mia sino alla morte 19. Egli sapeva infatti per cosa era venuto. Temeva forse la passione colui che aveva detto: Ho il potere di dare la vita mia, ed ho il potere di riprenderla di nuovo; nessuno la toglie a me, ma io stesso la do, e di nuovo la prendo 20? Ma quando dice: triste è l'anima mia sino alla morte, raffigura in se stesso le sue membra. Di solito infatti lo spirito già crede con certezza e con sicurezza sa che l'uomo sarà, secondo la sua fede, nel seno di Abramo; crede questo, e tuttavia, quando viene il momento della morte, si turba per l'abitudine che ha fatto alla vita in questo secolo; tende l'udito a quella voce interna di Dio, ascolta l'intimo e spirituale canto. Così dall'alto risuona nel silenzio qualcosa, non alle orecchie, ma alla mente; per cui chiunque ode quella melodia, prova disgusto per lo strepito del corpo, e tutta questa vita umana è per lui solo rumore assordante che gli impedisce di udire quel suono sublime, straordinariamente piacevole, incomparabile e ineffabile. E parimenti quando, colpito da qualche turbamento, l'uomo subisce violenza, lo spirito dice all'anima sua: perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? È forse per questo che difficilmente si trova una vita purificata, quando giudica colui che sa giudicare secondo un'estrema purità e sicurezza? Per quanto la vita in mezzo agli uomini sia degna di lode in modo che gli uomini non hanno di che rimproverare con giustizia, si sviluppa il giudizio da parte del Signore, si applica la regola con una equanimità che non conosce errore, e trova nell'uomo qualcosa che Dio rimprovera, e che agli uomini non sembrava degno di rimprovero, neppure a colui che è sottoposto a giudizio. È forse temendo questo che l'anima si turba; le si rivolge allora la mente come dicendole: perché temi i peccati, dal momento che non puoi evitarli tutti? Spero nel Signore perché io a lui confesserò. Questo discorso risana un po', il resto è purificato dalla fedele confessione. Hai diritto di temere, se ti consideri giusto, e se non hai presenti le parole di quell'altro salmo: Non venire a giudizio con il tuo servo. Perché: non venire a giudizio con il tuo servo? La tua misericordia mi è necessaria. Se applicherai infatti il giudizio senza misericordia, dove andrò a finire? Se terrai conto delle ingiustizie, Signore, chi spererà? 21 Non venire a giudizio con il tuo servo, perché nessun vivente può giustificarsi dinanzi a te 22. Non sarà dunque giustificato al tuo cospetto alcun vivente, perché chiunque qui vive, anche se vive giustamente, guai a lui se Dio entrerà in giudizio con lui. Per mezzo del profeta il Signore così rimprovera gli arroganti e i superbi: Perché volete entrare con me in giudizio? Tutti mi avete abbandonato, dice il Signore 23. Non entrate dunque in giudizio; dàtti da fare per essere giusto; e qualunque cosa tu sia stato, confessati peccatore; sempre spera nella misericordia: e in questa umile confessione parla sicuro con la tua anima che ti turba e tumultua contro di te. Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Forse volevi sperare in te; Spera nel Signore, non in te. Cosa sei in te e cosa si può attendere da te? Egli sia la tua salvezza, lui che ha accettate le ferite per te. Spera nel Signore, perché lui confesserò. Che cosa confesserai? che egli è la salvezza del mio volto, il mio Dio. Tu sei la salvezza del mio volto, tu mi sanerai. Ti parlo da malato; riconosco il medico, non pretendo di essere sano. Che significa: riconosco il medico, e non pretendo di essere sano? Significa ciò che in un altro salmo è detto: Io dissi: Signore abbi pietà di me, risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te 24.
Digiuno ed elemosina.

8. Questa supplica, fratelli, è sicura; ma vigilate nelle opere buone. Toccate il salterio obbedendo ai comandamenti, toccate la cetra, sopportando le passioni. Spezza il tuo pane per chi ha fame 25, ha detto Isaia; non credere che sia sufficiente il digiuno. Il digiuno ti mortifica, non soccorre gli altri. Saranno fruttuose le tue privazioni se donerai ad altri con larghezza. Ecco, hai defraudato la tua anima; a chi darai ciò che ti sei tolto? dove porrai ciò che hai negato a te stesso? Quanti poveri potrebbe saziare il pranzo che noi oggi abbiamo interrotto! Il tuo digiuno deve essere questo: mentre un altro prende cibo, godi di nutrirti della preghiera per la quale sarai esaudito. Continua infatti Isaia: mentre ancora tu parli, io ti dirò: ecco son qui; se spezzerai di buon animo il pane a chi ha fame 26; perché di solito ciò vien fatto con tristezza e brontolando, per evitare il fastidio di colui che chiede, non per ristorare le viscere di chi ha bisogno. Ma Dio ama chi dona con letizia 27. Se avrai dato il pane con tristezza, hai perduto il pane e il merito. Fa' dunque questo di buon animo; affinché colui che vede dentro mentre ancora stai parlando, ti dica: ecco son qui. Con quanta celerità sono accolte le preghiere di coloro che operano il bene! Questa è la giustizia dell'uomo in questa vita, il digiuno, l'elemosina, la preghiera. Vuoi che la tua preghiera voli fino a Dio? Donale due ali: il digiuno e l'elemosina. Così ci trovi, così tranquilli ci scopra la luce di Dio e la verità di Dio, quando verrà a liberarci dalla morte colui che già è venuto a subire la morte per noi. Amen.

AMDG et DVM

venerdì 30 agosto 2019

SALVATO DAL SANTO ROSARIO

Beato Antonio Neyrot da Rivoli Sacerdote domenicano, martire
Rivoli, Torino, 1423 c. - Tunisi, 1460
Nato a Rivoli (Torino) intorno al 1423, Antonio Neyrot entrò tra i Domenicani, ricevendo l'abito, nel convento di San Marco a Firenze, da sant'Antonino, il futuro arcivescovo della città. Si imbarcò per un pericoloso viaggio in Sicilia. La rotta era, infatti, battuta dai pirati: e se la prima volta gli andò bene, di ritorno dalla Sicilia per Napoli il nostro fu catturato. Era il 1458 e il religioso venne condotto come schiavo a Tunisi. Qui, sotto le pressioni dei saraceni, abiurò la fede e si sposò. Ma gli apparve in sogno Antonino, nel frattempo morto, che lo invitò a pentirsi. Nel Giovedì Santo del 1460 rimise l'abito e professò pubblicamente la sua fede davanti al sultano. Un gesto che gli costò la vita. In seguito il corpo fu acquistato da mercanti genovesi e, nel 1469, Amedeo di Savoia lo fece portare a Rivoli, dove riposa.

Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Tunisi sulla costa dell’Africa settentrionale, beato Antonio Neyrot, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire, che, condotto con la forza in Africa dai pirati, rinnegò la fede, ma, con l’aiuto della grazia divina, il Giovedì Santo riprese pubblicamente l’abito religioso, espiando la precedente colpa con la lapidazione. 


Per nascita è piemontese, ma non abbiamo notizie certe sulla sua origine. Incominciamo a conoscerlo quando chiede di essere accolto nel convento dei Domenicani a Firenze. Il convento è quello già appartenente ai Silvestrini, così chiamati da san Silvestro Guzzolini, che li fondò nel Duecento: ora è affidato ai Domenicani, che l’hanno fatto rimettere a nuovo con l’aiuto di Cosimo de’ Medici il Vecchio, che in Firenze è sovrano senza corona né trono né titoli. E proprio in quest’epoca lo sta affrescando frate Giovanni da Fiesole, che il mondo conoscerà come Beato Angelico. Priore di questa comunità è Antonino Pierozzi, che ha già guidato altre comunità a Cortona, Roma e a Napoli, e che sta per diventare arcivescovo di Firenze.

Il giovane Neyrot da Rivoli è uno degli ultimi giovani che Antonino ha potuto seguire prima di passare al governo della diocesi, chiamandolo via via agli ordini sacri, e sempre mettendolo in guardia contro la fretta: per riuscire buon domenicano, gli ripeteva, occorre molto studio, con molta preghiera e molta pazienza. Ma lui non conosce la pazienza. Sopporta male il lento apprendistato sui libri. Si considera già preparatissimo, vorrebbe andare subito in prima linea. Insiste con i superiori, chiede di essere mandato in Sicilia. Gli rispondono di no. Allora decide di appellarsi a Roma, e va a finire che ci riesce: per insistenza sua, per raccomandazioni autorevoli, chissà. In Sicilia ci arriva davvero, con tutti i permessi romani.

Nel 1458 – e ancora per ragioni che non si conoscono – si imbarca dalla Sicilia diretto a Napoli, secondo alcuni; oppure, secondo altri, verso l’Africa: un’ipotesi che sembrerebbe in linea con le sue note impazienze missionarie. Ma questa è anche una stagione di pirati, e in essi s’imbatte appunto la sua nave: così lui arriva davvero in Africa, ma come schiavo. Sbarca a Tunisi, che all’epoca è la fiorente capitale di un vasto stato berbero, creato dalla dinastia musulmana degli Almohadi, e dal XIII secolo sotto il governo degli emiri Hafsidi. Un solido stato autonomo, legato da intensi rapporti commerciali con i Paesi mediterranei.

Padre Neyrot è dunque arrivato – sia pure in maniera inaspettata – in Africa da rievangelizzare, alla terra dei suoi entusiasmi. Ma rapidamente essa diventala terra di tutti i fallimenti. Il predicatore impaziente dei tempi fiorentini tradisce i suoi voti, butta l’abito domenicano e rinnega la fede, prende moglie e si fa pubblicamente musulmano.

Intanto a Firenze, nel maggio 1459, muore il vescovo Antonino, il suo maestro poco ascoltato, e la notizia lo raggiunge a Tunisi. (Secondo un’altra versione, il vescovo gli sarebbe apparso in sogno dopo la morte). Di qui prende avvio per Antonio il cammino del ritorno, che è rapido e senza incertezze. Non solo egli ritrova dentro di sé la fede cristiana, ma subito la proclama pubblicamente davanti all’emiro e con addosso l’abito di domenicano. Questo comporta la condannaa morte, che viene eseguita a Tunisi mediante lapidazione. Questo accade, secondo il Martirologio romano, nella feria quinta in Coena Domini, ossia il Giovedì santo, nell’anno 1460.

Mercanti genovesi riportano in Italia il suo corpo, che nel 1464 raggiunge la cittadina nativa, Rivoli, dov’è tuttora venerato nella nuova chiesa parrocchiale di Santa Maria della Stella. Clemente XIII ne ha approvato il culto come beato nel 1767.



Autore: Domenico Agasso
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Nel seguente link "La devociòn del Rosario", di Lope de Vega, ossia il racconto della vita e il martirio del Beato Antonio Neyrot: 

AMDG et DVM

ROSA CORDIS MEI, TU MIHI SPONSA ESTO. Rosa del Mio Cuore, sii la mia sposa.

Santa Rosa e gli Angeli


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   La terziaria domenicana Santa Rosa da Lima (1586-1617) che da 40 anni si festeggia il 23 agosto è la prima santa dell'America del Sud ed è chiamata la mistica del Perù. 
Era figlia di genitori spagnoli e si chiamava Isabella Flores y de Oliva. La serva india che le faceva da balia, colpita dalla sua bellezza decise di chiamarla Rosa, cioè con il nome del fiore più bello capace di esprimere al meglio la sua armonia. 
Fin da piccola dimostrò una eccezionale capacità di sopportare il dolore, quando si schiacciò un dito, glielo amputarono senza che dalla sua bocca uscisse un solo lamento. La sua famiglia passò improvvisamente da una situazione di agiatezza economica ad una condizione di miseria. Così Rosa dovette presto guadagnarsi il pane lavorando di giorno e di notte. 
Il padre per assicurarle un futuro migliore la promise in sposa ad un giovane ricco della città di Lima, ma Rosa non accettò la proposta di nozze, anzi manifestò la sua intenzione di abbracciare la vita di consacrazione religiosa. Dopo le prime resistenze dei genitori la giovane entrò nel terz'ordine domenicano prendendo il nome di Rosa di Santa Maria. 
All'epoca però non esistevano in Perù comunità religiose femminili organizzate, per cui la giovane ottenne di vivere i voti religiosi rimanendo a casa sua. Si era costruita una specie di cella monastica nell'angolo dell'orto della sua abitazione e lì condusse una vita di penitenza dormendo su un povero giaciglio. Di notte pregava e di giorno faceva il duro lavoro della bracciante. Rosa visse una vita ascetica indossando il cilicio e praticando lunghi digiuni e penitenze. 
Affascinata dalla terziaria domenicana santa Caterina da Siena l'aveva presa come suo modello. La sua vita così austera destò non pochi sospetti, a motivo anche delle sue celesti visioni, ma dalla Chiesa le vennero anche le conferme sulla giustezza del suo cammino. 
Con il trascorrere degli anni, alle volontarie sofferenze si aggiunsero quelle di una lunga malattia. La santa così supplicava Dio di dargli la forza di resistere: "mio Dio, aumentate pure in me le sofferenze, perché aumenti il mio amore per voi". Ai genitori che le consigliavano moderazione, preoccupati delle sue eccessive penitenze, Rosa rispondeva: "Se gli uomini sapessero che cos'è vivere in grazia, non si spaventerebbero di nessuna sofferenza e patirebbero volentieri qualunque pena"

Rosa ebbe grande familiarità con il proprio Angelo Custode, ed egli l'ascoltava e le dava ordini e messaggi. Più di una volta quando la Santa era gravemente ammalata, le portò le medicine necessarie per curarla. Una volta l'angelo fu visto accanto a Rosa alla finestra della sua cella, mentre entrambi contemplavano il cielo stellato. 
La santa ricevette anche frequenti visite da parte di Cristo che veniva a trovarla sotto le spoglie di Gesù Bambino e la chiamava con affetto: "Rosa del mio cuore". La fanciulla aspettava sempre le visite del Divino Bambino ad un'ora precisa del giorno e se egli qualche volta non appariva all'appuntamento, Rosa impaziente cantava versi patetici di rimprovero o di supplica. Una volta, una persona che si trovava vicino all'eremo nel momento in cui Rosa aspettava la visita quotidiana di Gesù, la udì distintamente ordinare al suo angelo custode di andare a ricordare al Signore che l'ora della sua visita era passata. 
Questa richiesta veniva dalla santa formulata attraverso un linguaggio ritmico, intonando come una sorta di cantico. 
Era tale il suo amore per Cristo e per la Chiesa che un giorno Rosa dovette difendere Lima il 24 agosto 1615 dai calvinisti olandesi che, guidati dalla flotta del corsaro George Spitberg, assalirono la città. Rosa si avvicinò all'altare e abbracciò il Tabernacolo rimanendovi fino a quando la città non venne improvvisamente liberata a causa della morte fulminea dell'ammiraglio olandese. 
Rosa in vita aveva condiviso le sofferenze degli indios che erano umiliati e vilipesi e quando morì al suo funerale accorse una tale folla a salutarla che la sua sepoltura fu più volte posticipata [ed è per tale motivo che la sua festa fu stabilita al 30 d'agosto]. Sulla sua tomba si sono verificati molti miracoli. 
Santa Rosa da Lima è sempre iconograficamente raffigurata con una ghirlanda di rose sul capo e in alcuni casi è lo stesso Gesù Bambino che gliela sorregge.
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Fonte: Milizia di San Michele Arcangelo
Autore: Don Marcello Stanzione

giovedì 29 agosto 2019

REPETITA JUVANT: "Gesù è la Via... la Verità... la Vita."


Di coloro che sono fuori della  vera Chiesa

224. Chi sotto quelli che non appartengono alla comunione dei santi?

Non appartengono alla comunione dei santi nell’altra vita i dannati ed in questa coloro che si trovano fuori della vera Chiesa.

225. Chi sono quelli che si trovano fuori della vera Chiesa?

Si trovano fuori della vera Chiesa gli infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati.

226. Chi sono gl’infedeli?

Gl’infedeli sono quelli che non hanno il Battesimo e non credono in Gesù Cristo; sia perché credono e adorano false divinità, come gl’ idolatri; sia perché pure ammettendo l’unico vero Dio, non credono in Cristo Messia; né come venuto nella persona di Gesù Cristo, né come venturo, tali sono i maomettani ed altri somiglianti.

227. Chi sono gli ebrei?

Gli ebrei sono quelli che professano la legge di Mosè; non hanno ricevuto il battesimo e non credono in Gesù Cristo.

228. Chi sono gli eretici?

Gli eretici sono i battezzati che ricusano con pertinacia di credere qualche verità rivelata da Dio e insegnata come di fede dalla Chiesa cattolica, per esempio gli ariani, i nestoriani, e le varie sette dei protestanti.

229. Chi sono gli apostati?

Gli apostati sono coloro che abiurano, ossia rinnegano con atto esterno la fede cattolica, che prima professavano.

230. Chi sono gli scismatici?

Gli scismatici sono i cristiani che, non negando esplicitamente alcun dogma, si separano volontariamente dalla Chiesa di Gesù Cristo, ossia dai legittimi pastori.

231. Chi sono gli scomunicati?

Gli scomunicati sono quelli che per mancanze gravissime vengono colpiti di scomunica dal Papa, o dal Vescovo, e sono quindi, siccome indegni, separati dal corpo della Chiesa, la quale aspetta e desidera la loro conversione.

232. Si deve temere la scomunica?

La scomunica si deve temere grandemente, perché è la pena più grave e più terribile che la Chiesa possa infliggere a’ suoi figli ribelli ed ostinati.

233. Di quali beni rimangono privi gli scomunicati?

Gli scomunicati rimangono privi delle preghiere pubbliche, dei sacramenti, delle indulgenze e della sepoltura ecclesiastica.

234. Possiamo noi giovare in qualche modo agli scomunicati?

Noi possiamo giovare in qualche modo agli scomunicati e a tutti gli altri che sono fuori della vera Chiesa, con salutari avvisi, colle orazioni e colle buone opere, supplicando Iddio che per sua misericordia conceda loro la grazia di convertirsi alla fede e di entrare nella comunione dei Santi.

AMDG et DVM

mercoledì 28 agosto 2019

MARTA ROBIN




Non vedeva. Ogni venerdì riviveva le sofferenze della Passione di Gesù del quale portava le stimmate. Dal suo letto di dolore, tramite le persone che andavano da lei, ha fondato centinaia di centri di preghiera in tutto il mondo, i “Foyers di carità”.
Il 15 ottobre 1925  Marta Robin mise nero su bianco il suo atto di abbandono e offerta al Signore: “una vera e propria lettera d’amore. Ha ventitré anni, è il suo fidanzamento”
Ecco le sue parole:
Signore, mio Dio, hai domandato tutto alla tua piccola serva. Prendi dunque e accogli tutto.
In questo giorno mi affido a Te senza riserve e senza nulla in cambio.
O mio amato, è solo Te che voglio…
E per amor tuo  rinuncio a tutto…
O Dio d’amore prendi la mia memoria e tutti i suoi ricordi.
Prendi la mia intelligenza e fa’ che sia a servizio solo della tua massima gloria…
Prendi tutta la mia volontà…
Prendi il mio corpo e tutti i suoi sensi, il mio spirito e tutte le sue facoltà, il mio cuore e tutti i suoi affetti.
Ricevi l’immolazione che ogni giorno e ogni ora io Ti offro in silenzio. Degnati di accoglierla e trasformarla in grazie e benedizioni per tutti coloro che amo, per la conversione dei peccatori e la santificazione delle anime…
Prendi e santifica tutte le mie parole, tutte le mie azioni, tutti i miei desideri.
Sii per l’anima mia il suo bene e il suo tutto. La dono e l’abbandono a Te.
Accetto con amore tutto ciò che viene da Te: dolore, sofferenze, gioia, consolazione, aridità, abbandono, rinuncia, disprezzo, umiliazione, lavoro, prove…
Dio mio, Tu conosci la mia fragilità e l’abisso infinito della mia grande debolezza. Se un giorno dovessi essere infedele alla Tua suprema volontà, se dovessi… disertare il Tuo cammino d’amore, oh!, te ne supplico, fammi la grazia di morire all’istante!
O Dio dell’anima mia, o sole divino, io Ti amo, Ti benedico, Ti lodo, mi abbandono tutta a Te. Mi rifugio in Te.
Nel Tuo seno… Prendimi con Te.
Non voglio vivere che in Te.
AMDG et DVM