martedì 2 luglio 2019

San Gaspare del Bufalo




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“Gloria tutta splendente del clero romano”

Parliamo di un giovane prete romano, di nome Gaspare del Bufalo. Il Sinedrio con il quale dovette confrontarsi non fu quello di Gerusalemme, ma quello iniquo che si impose sul Campidoglio nel 1809, composto da soldati francesi desiderosi di demolire il potere temporale della Chiesa e di sradicare il Cristianesimo dalla società europea. Fu anche grazie alla resistenza di uomini come San Gaspare del Bufalo che il loro intento non si realizzò.

Nato il 6 gennaio 1786 da una famiglia di umili origini residente nei pressi della parrocchia di Santa Prassede, tra i rioni Monti ed Esquilino, Gaspare all’età di un anno e mezzo si ammalò di vaiolo, una malattia che in quegli anni costituiva una seria minaccia di morte. Malgrado un peggioramento delle sue condizioni di salute, gli effetti del morbo si ritirarono velocemente dopo che la madre invocò l’intercessione di San Francesco Saverio, il cui braccio si conserva nella chiesa del Gesù.
L’episodio segnò la vita del piccolo Gaspare. Durante l’infanzia si distinse per il tempo dedicato alla preghiera e alla penitenza, nonché alle opere di carità. Sotto le finestre del Palazzo Altieri, dove la famiglia si trasferì quando il padre cuoco trovò lavoro nella cucina della nobile famiglia romana, lo attendevano ogni giorno, nelle ore dei pasti, frotte di poveri. Essi avevano scoperto la disponibilità di Gaspare a fornirgli il cibo, sovente privandosi lui stesso del pasto.
I primi studi li fece presso il Collegio Romano, allora guidato da sacerdoti secolari per via della soppressione della Compagnia di Gesù. Indossata la talare nel 1798, si dedicò con instancabile dedizione all’assistenza spirituale e materiale nei confronti dei tanti bisognosi che affollavano la Roma di quel tempo. Gaspare divenne presto un volto conosciuto tra i “barozzari”, i carrettieri della campagna che avevano i loro depositi di fieno nel Foro Romano, chiamato allora “Campo Vaccino”. In molti si riavvicinarono ai Sacramenti grazie alle catechesi di Gaspare, che inoltre si prodigò per la rinascita dell’Opera di Santa Galla, della quale fu eletto direttore nel 1806.
Due anni più tardi, il 31 luglio, fu ordinato sacerdote e proseguì la sua missione, fondando nella chiesina di Santa Maria in Pincis, presso la Rupe Tarpea, un fiorente oratorio e centro di pietà. Quello che si sarebbe manifestato di lì a poco fu tuttavia un periodo infelice per il Papa e per la Chiesa. Già nel 1807 Napoleone, dopo aver minacciato e offeso Pio VII, invase i territori dello Stato Pontificio. Il 2 febbraio 1808 un corpo di fanteria francese entrò finanche a Roma, occupando Castel Sant’Angelo e il Quirinale, residenza del Papa.
San Gaspare visse quei momenti intensificando la preghiera e l’attività benefica e pastorale. L’8 dicembre 1808 fondò l’Arciconfraternita del Preziosissimo Sangue in San Nicola in Carcere. Presso questa chiesa, infatti, si venerava un’insigne reliquia del Sangue di Gesù, che consisteva in un pezzo di clamide di un antico soldato romano appartenente alla famiglia dei Savelli. Secondo la tradizione, questo soldato era presente sul Golgota durante la crocifissione di Gesù, e uno spruzzo del Sangue di Cristo colpì la sua clamide.
Appena qualche mese più tardi, il 17 maggio 1809, Napoleone dichiarò cessato il potere temporale dei Papi. Per tutta risposta, Pio VII fece affiggere in città la bolla di scomunica. Gesto che provocò una decisa reazione napoleonica: il Papa fu imprigionato e deportato in Francia e tutti i dignitari pontifici furono rimossi. Un decreto, inoltre, ordinò che i cardinali, i vescovi, i parroci e i canonici prestassero giuramento di fedeltà all’Imperatore, pena l’esilio e il carcere per chi rifiutasse.
Il 13 giugno 1810 anche Gaspare fu convocato presso un posto di polizia. Alla richiesta di giurare fedeltà a Napoleone, giunse sferzante la risposta determinata e vigorosa del giovane prete “romano de Roma”, come amava definirsi: Non posso, non debbo, non voglio. Una frase che rimarrà celebre, giacché successivamente utilizzata anche da Pio IX durante la “questione romana”.
Il coraggio costò caro a don Gaspare. Insieme ad altri preti riluttanti, dovette subire l’allontanamento dagli affetti, l’impedimento della predicazione e l’asprezza di una dura detenzione. Fu incarcerato per circa quattro anni senza sapere se ne sarebbe mai uscito vivo, conobbe le celle a Piacenza, poi a Bologna, a Imola e infine nella medievale Rocca di Lugo.
Tornò a Roma agli inizi del 1814, subito dopo la caduta di Napoleone. Immediatamente si dedicò di nuovo al suo ministero, occupandosi di poveri, malati, carcerati e ragazze a rischio. Pio VII apprezzò il suo carisma e lo destinò alle missioni popolari per la restaurazione religiosa e morale. Gaspare decise di compiere questo ministero fuori dalla città, dove si fece conoscere per il suo straordinario talento, tanto che vennero coniati per lui gli appellativi di “terremoto spirituale” e “angelo di pace”. In molti affermarono di aver assistito a manifestazioni soprannaturali nel corso delle sue predicazioni.
Nel maggio 1814 fondò la congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, e vent’anni più tardi, nel 1834, diede vita all’Istituto delle Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue, coadiuvato da Santa Maria De Mattias, conosciuta durante una sua missione nel Basso Lazio.
Il suo zelo apostolico non si arrese neanche dinnanzi alle minacce e agli attentati alla sua stessa vita di cui fu fatto oggetto. Nonostante la restaurazione del potere temporale della Chiesa, infatti, sacche d’insofferenza penetrarono e si radicarono un po’ ovunque in Italia. Le società segrete, soprattutto la massoneria, divennero così cospicue fucine di velenoso astio anti-cristiano. Esse attecchirono molto tra le classi facoltose, ove più forte era il desiderio di affrancarsi dal potere della Chiesa e il vezzo di dedicarsi a dottrine esoteriche. Gaspare predicò apertamente contro tali sette, riuscendo a convertire intere logge massoniche e mettendo sempre in guardia il popolo contro la propaganda satanica. Così, durante le sue missioni, Gaspare convinceva i fedeli a bruciare strumenti di peccato e deviazione come armi, libri e stampe oscene.
La sua predicazione schietta prese piede tra le persone più semplici, persino presso quei margini della società in cui si diffuse il fenomeno del brigantaggio. Inviato a predicare in mezzo ai briganti che infestavano lo Stato Pontificio da papa Leone XII, Gaspare riuscì a ridurre la terribile piaga nei dintorni di Roma brandendo il crocifisso e testimoniando la misericordia evangelica. Grazie a lui molti banditi abbandonarono la via del malaffare per tornare alla famiglia e all’amore cristiano.
Il 28 dicembre 1837, con lo sguardo rivolto al presepe donatogli dalle suore di Sant’Urbano, Gaspare morì sul suo letto, nel Palazzo Orsini sopra il Teatro di Marcello. Il suo culto si estese rapidamente, a Roma e anche in Francia, dopo la guarigione della nipote di Joseph De Maistre. 
Canonizzato da Pio XII il 12 giugno 1954, fu definito da Giovanni XIII nel 1960 “gloria tutta splendente del clero romano, che fu il vero e più grande apostolo della devozione al Preziosissimo Sangue di Gesù nel mondo”.
Il suo corpo riposa a Roma, nella chiesa di Santa Maria in Trivio, ove la sua tomba è esposta alla preghiera dei tanti fedeli che trovano in San Gaspare del Bufalo un degno erede, in quanto a coraggio e zelo apostolico, del protomartire Santo Stefano. La Chiesa lo ricorda il 28 dicembre.

http://www.devozioni.altervista.org/testi/gesu/varie/il-preziosissimo-sangue-di-gesu.pdf

Per quanti amano il potere.

Dentro e fuori della Chiesa

8 — Alcuni bramano il potere e si appropriano di una affermazione dell’Apostolo ai fini della propria concupiscenza Per lo più coloro che bramano il potere si appropriano della parola con cui l’Apostolo dice: Se qualcuno desidera l’episcopato desidera un buon ufficio (1 Tim. 3, 1), e l’adoperano ai fini della propria concupiscenza. 

Egli tuttavia pur lodando il desiderio volge subito in motivo di timore ciò che ha lodato, perché immediatamente aggiunge: Occorre però che il vescovo sia irreprensibile (1 Tim. 3, 2); e continuando poi a enumerare le virtù necessarie, chiarisce in che cosa consiste questa irreprensibilità. Incoraggia quanto al desiderio, ma incute timore col precetto come se dicesse apertamente: Lodo ciò che voi cercate, ma prima imparate bene che cos’è che cercate, perché se trascurate di misurare voi stessi, la vostra consapevolezza non appaia tanto più disonorevole, in quanto ha fretta di mostrarsi a tutti rivestita della dignità episcopale. 

Così, colui che fu grande maestro del ministero pastorale, da un lato spinge i suoi ascoltatori e incoraggia, dall’altro li trattiene col timore, per difenderli dalla superbia, con la descrizione della perfetta irreprensibilità, e per disporli alla vita che li attende lodando l’ufficio da loro richiesto. 

È da notare però che egli parlava così in un tempo in cui chiunque fosse a capo del popolo veniva condotto per primo ai supplizi del martirio. Allora sì era cosa lodevole aspirare all’episcopato, quando si sapeva con certezza che attraverso di esso si sarebbe giunti alle più gravi torture. Anche per questo il ministero dell’episcopato viene definito con l’espressione buon ufficio, quando è detto: Se qualcuno desidera l’episcopato, desidera un buon ufficio (1 Tim. 3, 1). 

Pertanto, colui che cerca l’episcopato per la gloria di quell’onore e non per il buon ufficio di questo ministero, testimonia da sé, per se stesso, che non è l’episcopato ciò a cui egli aspira. In effetti, non solo egli non ama affatto l’ufficio sacro, ma non sa neppure che cosa sia, lui che anelando alla massima dignità del governo pastorale, nei pensieri nascosti della sua mente si pasce della sottomissione altrui, gode della lode rivolta a sé, esalta il suo cuore al pensiero dell’onore, esulta per l’abbondanza dei beni affluenti da ogni parte. 

Così si cerca il guadagno del mondo, proprio sotto l’apparenza di quella dignità attraverso la quale i guadagni del mondo si sarebbero dovuti distruggere. E quando la mente medita di impadronirsi del sommo grado dell’umiltà avendo di mira la propria esaltazione, muta e deforma nell’intimo ciò a cui aspira esteriormente.  
San Gregorio Magno: Regola Pastorale

MARIA, ROSA MYSTICA A MONTICHIARI – FONTANELLE


PRIMA APPARIZIONE DELLA MADONNA CON TRE ROSE SUL PETTO 
13 LUGLIO 1947



Dal diario di Pierina con omissioni:

"Erano pressappoco le ore quattro del mattino del giorno 13 luglio (nel­la camera all'ospedale di Montichiari). Ero già in preghiera essendo già
stata avvertita per tempo dalla Beata Suor Maria Crocifissa, che sarebbe venuta la Madonna. Assieme con me avevo qualche suora.

In questo frattempo venne la Beata la quale mi invitò a recitare l'atto di dolore, poi dopo un po' di silenzio, volse il capo verso destra in segno di attesa come aspettasse qualcuno. Ed ecco ad un tratto di nuovo quel leg­gero fruscio, che non so a che cosa paragonarlo, come a un delicato vento che viene verso la persona, il quale per se stesso dà già un senso di gioia senza rendersi conto del perché.

Dopo questo dolce avvertimento, vidi una bellissima luce, brillantissima, che si divise in mezzo come una nube che lascia trasparire i raggi del sole. Ecco, in mezzo a questa luce vidi apparire una bellissima Signora, vestita di bianco, come di un raso finissimo, che nello stesso splendore della candida veste aveva riflessi di luce argentei.

Un manto pure bianco, fissato sotto la gola come da un gancio, le scen­deva dal capo ai piedi, lasciando intravedere sulla fronte qualche ciuf­fetto di capelli ondulati di color castano chiaro. Sia il manto che il ve­stito erano uguali di candore e il bordo leggermente ricamato in oro. Di­co ricamato, perché era la formazione di un ricamo, ma formato da un'altra trasparenza di luce color d'oro, che formava come un ricamo.
Appena la vidi non mi vergognai di trovarmi alla sua presenza piena di peccati, anzi il suo sguardo così pieno di bontà m'infuse nell'animo tan­ta gioia, che non potei fare a meno di esclamare:

"Oh! Com'è bella!" Mi figuravo di avvicinarmi a Lei, affinché mi portas­se con sé in Paradiso (...) Dal suo sguardo capii che il mio desiderio di andare con Lei non era accettato. Allora fui io la prima a rivolgere la parola. Nonostante avessi la certezza che fosse la Madonna, volli chie­dere:
'Ditemi in canta, chi siete voi?". Che sorriso di compiacenza mi fece! Col suo atteggiamento così maestoso invitava alla confidenza e con grande dolcezza mi rispose:

"Io sono la Madre di Gesù e la Madre di tutti voi" (...) Quale volto para­disiaco era quello della Madonna! Tante persone che ho visto, mai nes­suno l'ho trovato uguale. Era tanto bello, con lineamenti molto fini, d'un colorito roseo e occhi scuri. Mi è impossibile capire la sua età. L 'aspetto della persona non era di giovinetta; il suo delicato viso era si giovane, ma dalla maestà personale si potrebbe giudicare di 20-25 e anche 30 anni.

(...) Così dicendo la Madonna aprì le braccia che fino allora teneva con­giunte. Nell'aprire le braccia e con esse il manto mi mostrava che le tre
spade, che l'altra volta aveva puntate sul cuore, ora non vi erano più. Infatti al posto di esse spiccavano tre bellissime rose: bianca, rossa e l'al­tra gialla con riflessi oro.
Mi venne spontaneo di abbassare gli occhi e vidi tre spade ai piedi del­la Madonna, in mezzo a tante rose del medesimo colore di quelle che aveva sul petto.

Alzando nuovamente gli occhi vidi che le rose si erano diramate e avevano formato come una nicchia e la Madonna si trovava dentro a que­sto bellissimo roseto, mentre prima l'avevo vista solo con la luce attorno.

Di quanta gioia fui invasa nel vedere che la Madonna non aveva più le tre spade conficcate nel cuore.
(...) Riprese a dirmi con un tono di voce "autorevole" con cui trasmetteva un comando che Essa aveva ricevuto dal Signore:
“Nostro Signore mi manda per portare una nuova Devozione Mariana in tutti gli Istituti e Congregazioni religiose, maschili e femminili, e an­che ai sacerdoti secolari” 

(...) Quando io le chiesi la spiegazione dei sa­cerdoti secolari (perché a dire il vero io credevo che Frati e Preti fossero una sola cosa), subito la Madonna mi fece un sorriso che ispirava mag­gior confidenza (...) e mi rispose:
"Essi sono coloro che vivono nelle loro case, pur essendo Ministri di Dio, mentre gli altri vivono nei Monasteri o Congregazioni".

Qui il suo sguardo si alzò, lo diffuse come abbracciasse una cosa lonta­na e sempre con il sorriso continuò a dire: "Prometto a quegli Istituti re­ligiosi o Congregazioni che più mi onoreranno: che saranno da me pro­tetti, e avranno maggior fioritura di vocazioni e meno vocazioni tradite, meno anime che offendono il Signore col peccato grave, e grande santità nei Ministri di Dio".

(...) Come dissi, il suo sguardo non era diretto solo verso di me, ma era come parlasse a tante persone, e disse:

“Desidero che il giorno 13 di ogni mese sia la Giornata Mariana, alla quale siano premesse preghiere speciali di preparazione per 12 giorni”.
Qui cambiò la sua espressione, diventò triste: "Tale giornata deve essere di riparazione per le offese commesse contro Nostro Signore dalle anime consacrate che con le loro colpe fanno penetrare nel mio cuore e nel cuore del mio Divin Figlio tre pungenti spade".

(...) Riprese il suo delicato sorriso e continuò a dire: "In tal giorno farò
scendere sugli Istituti o Congregazioni religiose che mi avranno onorata abbondanza di grazia e santità di vocazioni.

Tale giorno sia santificato con particolari preghiere, quali la S. Messa, la S. Comunione, il Rosario, l'Ora di Adorazione.

Desidero che il giorno 13 luglio di ogni anno sia festeggiato da ogni Istituto che in ogni Congregazione o Istituto religioso ci siano anime che vivono con grande spirito di preghiera, per ottenere che nessuna vocazio­ne venga tradita" (Qui pareva che la rosa bianca che era sul petto spic­casse di più per dimostrare questo significato).

Dopo un momento di pausa, sempre ferma nel suo atteggiamento e con le mani giunte continuò:
“Desidero pure che vi siano altre anime che vivano di generosità ed amore ai sacrifici, alle prove, alle umiliazioni, per riparare le offese che riceve Nostro Signore dalle anime consacrate che vivono in peccato mor­tale”. (Qui la rosa rossa che era puntata sul petto della Madonna, pare­va che spiccasse di più e dimostrasse il suo significato).
Poi la Madonna fece ancora un attimo di pausa e riprendendo disse:
“Desidero ancora che altre anime immolino totalmente la loro vita per riparare i tradimenti che riceve Nostro Signore dai sacerdoti Giuda” (Qui pure la rosa giallo-oro dava viva espressione di sé stessa).


(...) Dopo un po' di pausa la Madonna continuò, sempre con tanta de­licatezza e dolcezza, a dire:
"L'immolazione di queste anime otterrà dal mio materno Cuore la san­tificazione di questi Ministri di Dio e abbondanza di grazie sulle loro Congregazioni.
Desidero che questa mia nuova devozione sia estesa a tutti gli Istituti re­ligiosi".
Qui la Madonna stette un po' silenziosa. Poi con un sorriso di compia­cenza e con lo sguardo verso la Beata Suor Maria Crocifissa disse:

"Ho scelto questo Istituto per primo, perché la Fondatrice di esso è la 'Di Rosa" la quale ha infuso nelle sue Figlie lo spirito di carità, così che que­ste sono come tante roselline, simbolo di carità". Qui fece un sorriso di gioia: "Ecco perché mi presento circondata da un roseto".

Allora io a nome della Madre Superiora domandai alla Madonna un miracolo esterno in testimonianza della sua venuta.

La Madonna mi rispose con mestizia:
“Io non farò alcun miracolo esterno. il miracolo più evidente avverrà quando queste anime consacrate che da tempo e specie nel periodo del­la guerra si sono rilassate nello spirito, così da tradire la loro vocazione e attirare con le loro gravi colpe castighi e persecuzioni, come avviene attualmente contro la Chiesa, cesseranno di offendere gravemente No­stro Signore e torneranno a rivivere il primitivo spirito dei santi Fonda­tori".

La Madonna rimase in silenzio e lasciò la parola alla Beata Suor M. Crocifissa e le fece cenno di parlare con un gesto tanto delicato.
(...) Mentre la Beata Suor M. Crocifissa parlava e faceva le ultime rac­comandazioni, la Madonna ancora più sorridente e tanto umile pareva palesare che il suo compito di Messaggera era terminato, ma ci indica­va con leggero accenno, di fare ciò che la Di Rosa ci veniva a racco­mandare (...).

Adagio, adagio la luce si affievolì e la bella figura della Madonna e di Suor M. Crocifissa si tolsero ai miei occhi".


Maria, Rosa Mystica, Mater Ecclesiae
ORA PRO NOBIS

lunedì 1 luglio 2019

Magnificat (5)

<< Quia respexit humilitatem ancillae suae >>
Per ben comprendere questo versetto, bisogna unirlo al precedente di cui è il seguito, in questo modo: «Il mio spirito è tutto rapito e trasportato di gioia in Dio mio Salvatore, perché egli ha guardato l’umiltà della sua serva; poiché ecco che tutte le generazioni mi diranno beata».
Questo versetto contiene due cose principali, di cui la prima è espressa in queste parole: «Ha guardato l’umiltà della sua serva». Qual è quest’u­miltà di cui la Vergine parla qui? Le opinioni dei santi Dottori sono divise a questo proposito. Qualcuno dice che tra tutte le virtù, l’umiltà è la sola che non si considera e non conosce affatto se stessa, poiché Colui che si crede umile è superbo, ragion per cui, quando la Beata Vergine dice che Dio ha guardato la sua umiltà, Ella parla non della virtù dell’umiltà, ma della sua bassezza e della sua abiezione.

Ma gli altri dicono che l’umiltà di un’anima non consiste nell’ignorare le grazie che Dio le ha fatto e le virtù che le ha donato, ma nel ricondurre a Lui questi doni, senza attribuire a sé nulla se non il peccato, e che lo Spirito Santo, parlando per bocca di questa Divina Vergine, ci vuol far comprendere che, tra tutte le virtù, Egli ha guardato, amato e si è compiaciuto principalmen­te della sua umiltà, perché, essendosi abbassata al di sotto di tutto, quest’umiltà ha portato la Divina Maestà ad elevarla al di sopra di tutte le cre­ature, rendendola Madre del Creatore. 
«Oh vera umiltà - esclama sant’Ago­stino-, che ha generato Dio agli uomini e che ha donato la vita ai mortali. L’umiltà di Maria è la scala del Cielo per la quale Dio è disceso in terra. Perché che cosa vuol dire, respexit, se non approbabit, ossia: ha approvato? Ve ne erano molti che sembravano umili di fronte agli uomini, ma la loro umiltà non è considerata da Dio, poiché, se essi fossero veramente umili, non si compiacerebbero delle lodi degli uomini, e il loro spirito non si ralle­grerebbe affatto negli applausi di questo mondo, ma soltanto in Dio» (Sermone 2 sull'Assunzione).

«Vi sono due specie di umiltà - dice san Bernardo -. La prima è figlia della verità, e questa è fredda e priva di calore. La seconda è figlia della cari­tà, e questa ci infiamma. La prima consiste nella conoscenza, la seconda nell’affetto. Attraverso la prima conosciamo di essere nulla ed impariamo ciò da noi stessi e dalla nostra propria miseria ed infermità. Attraverso la seconda calpestiamo la gloria del mondo, e lo impariamo da Colui che ha an­nientato se stesso, il quale è fuggito allorquando l’hanno cercato per elevarlo alla gloria della regalità e che, invece di fùggire, si è offerto volontariamente quando l’hanno cercato per crocifiggerlo e per immergerlo in un abisso di obbrobri e di ignominie» (Sermo 42 super Cantica).

La Beata Vergine ha posseduto in sommo grado questi due tipi di umil­tà, specialmente la seconda. Sant’Agostino, san Bernardo, sant’Alberto Ma­gno, san Bonaventura, san Tommaso e tanti altri, ritengono che le parole che lo Spirito Santo ha pronunciato per bocca di questa Santissima Vergine: «Respexit humilitatem» si riferiscano alla vera umiltà.

Se domandate il motivo per cui Dio ha guardato all’umiltà della Santis­sima Vergine, piuttosto che alla sua purezza e alle altre virtù, visto che esse erano tutte presenti in Lei in un grado altissimo, sant’Alberto Magno vi ri­sponderà, con sant’Agostino, che Egli ha guardato piuttosto alla sua umiltà, perché essa gli era più gradita della purezza (Sant'Alberto M. Serm. 2 de Nat.Dom.)
«La verginità è molto lodevo­le - dice san Bernardo -, ma l’umiltà è necessaria. Quella consigliata, que­sta è comandata. Potete salvarvi senza la verginità, ma non vi è affatto sal­vezza senza umiltà. Senza umiltà oso dire che la verginità di Maria non sa­rebbe stata gradita a Dio. Se Maria non fosse stata umile, lo Spirito Santo non sarebbe disceso in Lei, e se non fosse disceso in Lei, Ella non sarebbe la Madre di Dio. Ella è piaciuta a Dio per la sua verginità, ma ha concepito il Figlio di Dio per la sua umiltà, per cui bisogna dedurre che la sua umiltà ha reso la sua verginità gradita alla Divina Maestà» (Omelia 1 super Missus est).

O santa umiltà, sei tu che ci hai donato l’Uomo-Dio e la Madre di Dio e, di conseguenza, sei tu che ci hai donato tutte le grazie, tutti i favori, tutte le benedizioni, tutti i privilegi e tutti i tesori che possediamo sulla terra e che speriamo di possedere un giorno in Cielo. 

Sei tu che hai distrutto tutti i mali e che sei la fonte di tutti i beni! Oh! Quanto dobbiamo stimare, amare e de­siderare questa santa virtù! Oh! Con quale fervore dobbiamo chiederla a Dio! Oh! Con quale ardore dobbiamo ricercare ed abbracciare tutti i mezzi necessari per acquistarla! 

Chi non ha l’umiltà non ha nulla e chi ha l’umiltà possiede tutte le altre virtù. Ne consegue che, sentendo parlare lo Spirito Santo per bocca della Chiesa, sembra che l' Eterno Padre non abbia inviato suo Figlio in questo mondo per incarnarsi ed essere crocifisso, se non al fine d’insegnarci l’umiltà con il suo esempio. 

È quanto dice la Santa Chiesa a Dio in questa orazione della domenica delle Palme: «Omnipotens sempiterne Deus, qui humano generis, ad imitandum humilitatis exemplum, Salvatorem nostrum carnem sumere et crucem subire fecisti». Dice, inoltre, un Santo Padre: «Quod diabolus, per superbiam dejecit, Christus per humilitatem erexit: Ciò che il demonio ha distrutto con la superbia, il Salvatore l’ha rista­bilito con l’umiltà».

Impariamo da ciò quanto è terribile e detestabile la superbia. Come l’umiltà è la fonte di tutti i beni, l’orgoglio è il principio di tutti i ma- li-.«Initium peccati» e, secondo il testo greco: «Initìum omnis peccati», o secondo la dizione siriaca: «Fons peccati superbia: L’inizio e il principio del peccato e di tutto il peccato è la superbia» (San Cesario di Arles, Omelia 18), che lo Spirito Santo chia­ma una apostasia, «apostatare a Deo» (Siracide 10,14). 
 Ne deriva che bisogna attribuire tutti i mali e tutte le disgrazie della terra alla superbia, che è la fonte del peccato. Figuratevi un numero incalcolabile di angeli che Dio aveva creato all’inizio del mondo, più belli e più splendenti del sole, mutati in tanti dia­voli orribili, cacciati dal Paradiso, precipitati nell’inferno e condannati ai supplizi eterni. Qual è la causa di questa sventura? È la superbia di questi spiriti apostati.

Considerate tutte le bestemmie che queste creature ribelli al loro Creato­re vomiteranno eternamente contro di Lui nell’inferno, con tanti milioni e miliardi di peccati che hanno fatto commettere e che faranno commettere agli uomini in tutto l’universo, fino alla fine del mondo, attraverso le loro ten­tazioni. Qual è la causa di tutti questi mali? È la superbia.

Ponetevi davanti agli occhi tanti e tanti milioni di anime che si sono perdute per l’empietà di Maometto, per l’eresia di Ario che è durata trecento anni, per quelle di Nestorio, di Pelagio, di Lutero, di Calvino e di molti altri eresiarchi. Chi ha fatto perdere tutte queste anime? È la superbia, che è la madre di tutte le eresie, dice sant’Agostino: Mater hceresum superbia. 
Infi­ne, immaginatevi tanti miliardi di anime che bruceranno eternamente nelle fiamme divoranti dell’inferno. Qual è la causa di un sì spaventoso disastro, se non la superbia del primo angelo e del primo uomo, che sono le due fonti di tutti i crimini e, di conseguenza, di tutti i mali che ne derivano? Non si è mai potuto - dice san Prospero -, non si può e non si potrà mai commettere alcun peccato senza superbia, poiché ogni peccato non è altro che il disprez­zo di Dio: «Nullum peccatum fieri potest, potuit, aut poterit, sine superbia; siquidem nihil alìud est omne peccatum, nisi contemptus Dei» (De Vita contemplativa, lib 3, capp 3 e 4).

 «Gli altri vizi - dice san Gregorio Magno - combattono soltanto le virtù che sono loro contrarie; ma la superbia, che è la radice di tutti i vizi, non si ac­contenta di distruggere una virtù, è una peste generale che le fa morir tutte» (Moral. Lib. 34,cap.18)
«Come la superbia - dice san Bernardo -, è l’origine di tutti i crimini, così è an­che la rovina di tutte le virtù». «L’ambizione - dice lo stesso Santo -, è un male sottile, un veleno segreto, una peste nascosta, un’opera d’inganno, la fonte dell’ipocrisia, la madre dell’invidia, l’origine dei vizi, il focolare dei crimini, la ruggine delle virtù, la tignola della santità, l'accecamento dei cuori, che cambia i rimedi in mali e la medicina in veleno. Quante anime sono state soffocate da questa peste? Quanti cristiani ha spogliato della veste nuziale, per gettarli nelle tenebre esteriori?» (Serm. 6, in Psal. Qui habitat).

• «Quando la superbia, - dice san Gregorio Magno -, ha preso possesso di un cuore, lo abbandona tosto al furore e al saccheggio dei sette vizi prin­cipali, che sono i capitani della sua armata» (Moral. Lib. 31, cap.31). Ma essa l’assoggetta princi­palmente alla tirannia dell’impudicizia, poiché lo Spirito Santo ci dichiara che la superbia è stata la causa delle abominazioni e della perdizione dei So­domiti: «Haec fuìt iniquìtas Sodomae [...] superbia» (Ez. 16, 49).

«Ogni superbo - dice un santo Padre - è ripieno del demonio: Quisquís superbus est, daemone plenus est» (San Cesario Arles, omelia 23). Non si distinguono più i figli di Dio dai figli del diavolo, se non per l’umiltà e per la superbia: <<Non discernitur filii Dei et filii diaboli, nisi humilitate atque superbia» ( Idem, omelia 18). Quando vedrete un su­perbo, non dubitate che sia un figlio di Satana, ma quando vedrete un uomo umile, credete sicuramente che è un Figlio di Dio: «Quemcumque superbum videris, diaboli esse filium non dubites; quemcumque humilem conspexeris, Dei esse filium confidenter credere debes».

Se, dunque, temiamo d’essere nella schiera degli schiavi di satana e se desideriamo d’essere del numero dei figli di Dio, dobbiamo avere in orrore l’ambizione, l’orgoglio, la superbia, la presunzione e la vanità; dichiariamo una guerra mortale a questi mostri d’inferno e non permettiamo che abbiano mai parte nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, nelle nostre parole e nelle nostre azioni, ma sforziamoci, per quanto potremo, con la grazia di Dio, di stabilirvi il regno della santissima umiltà di Gesù e di Maria.

O Gesù, Re degli umili, fateci la grazia, se così vi piace, di imparare be­ne la divina lezione che ci avete impartito attraverso queste sante parole: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore»: "Discite a Me quia mitis sum et humilis corde" (Mat. 11, 29)


O Maria, Regina degli umili, è a Voi che spetta stroncare/schiacciare la testa del serpente, che è l’orgoglio e la superbia. Schiacciatela dunque interamente nei nostri cuori e rendeteci parcecipi della vostra santa umiltà, affinché pos­siamo cantare eternamente con Voi: «Respexit humilìtatem ancillae suae»per rendere grazie alla Santissima Trinità di essersi talmente compiaciuta della vostra umiltà da rendervi, per essa, degna di essere la Madre del Salva­tore dell’universo e cooperare con Lui alla salvezza di tutti gli uomini.






"MEMENTO, DOMINA, VERBI TUI SERVO TUO

IN QUO MIHI SPEM DEDISTI"

Divinissimo Sangue...

  "Divinissimo Sangue che sgorghi per noi dalle vene del Dio umanato, scendi come rugiada di redenzione sulla terra contaminata e sulle anime che il peccato rende simili a lebbrosi. 

  Ecco, io ti accolgo, Sangue del mio Gesù, e ti spargo sulla Chiesa, sul mondo, sui peccatori, sul Purgatorio. 

 Aiuta, conforta, monda, accendi penetra e feconda, o Divinissimo Succo di Vita. Né ponga ostacolo al tuo fluire l'indifferenza e la colpa. 

  Ma anzi per i pochi che ti amano, per gli infiniti che muoiono senza di Te, accelera e diffondi su tutti questa divinissima pioggia onde a Te si venga fidenti in vita, per Te si sia perdonati in morte, con Te si venga nella gloria del tuo Regno. Così sia." 
  (Preghiera dettata da Gesù a Maria Valtorta)