Dentro e fuori della Chiesa
8 — Alcuni bramano il potere e si appropriano di una affermazione dell’Apostolo ai fini della
propria concupiscenza
Per lo più coloro che bramano il potere si appropriano della parola con cui l’Apostolo dice: Se
qualcuno desidera l’episcopato desidera un buon ufficio (1 Tim. 3, 1), e l’adoperano ai fini della
propria concupiscenza.
Egli tuttavia pur lodando il desiderio volge subito in motivo di timore ciò
che ha lodato, perché immediatamente aggiunge: Occorre però che il vescovo sia irreprensibile (1
Tim. 3, 2); e continuando poi a enumerare le virtù necessarie, chiarisce in che cosa consiste questa
irreprensibilità. Incoraggia quanto al desiderio, ma incute timore col precetto come se dicesse
apertamente: Lodo ciò che voi cercate, ma prima imparate bene che cos’è che cercate, perché se
trascurate di misurare voi stessi, la vostra consapevolezza non appaia tanto più disonorevole, in
quanto ha fretta di mostrarsi a tutti rivestita della dignità episcopale.
Così, colui che fu grande
maestro del ministero pastorale, da un lato spinge i suoi ascoltatori e incoraggia, dall’altro li
trattiene col timore, per difenderli dalla superbia, con la descrizione della perfetta irreprensibilità, e
per disporli alla vita che li attende lodando l’ufficio da loro richiesto.
È da notare però che egli
parlava così in un tempo in cui chiunque fosse a capo del popolo veniva condotto per primo ai
supplizi del martirio. Allora sì era cosa lodevole aspirare all’episcopato, quando si sapeva con
certezza che attraverso di esso si sarebbe giunti alle più gravi torture. Anche per questo il ministero
dell’episcopato viene definito con l’espressione buon ufficio, quando è detto: Se qualcuno desidera
l’episcopato, desidera un buon ufficio (1 Tim. 3, 1).
Pertanto, colui che cerca l’episcopato per la
gloria di quell’onore e non per il buon ufficio di questo ministero, testimonia da sé, per se stesso,
che non è l’episcopato ciò a cui egli aspira. In effetti, non solo egli non ama affatto l’ufficio sacro,
ma non sa neppure che cosa sia, lui che anelando alla massima dignità del governo pastorale, nei
pensieri nascosti della sua mente si pasce della sottomissione altrui, gode della lode rivolta a sé,
esalta il suo cuore al pensiero dell’onore, esulta per l’abbondanza dei beni affluenti da ogni parte.
Così si cerca il guadagno del mondo, proprio sotto l’apparenza di quella dignità attraverso la quale i
guadagni del mondo si sarebbero dovuti distruggere. E quando la mente medita di impadronirsi del
sommo grado dell’umiltà avendo di mira la propria esaltazione, muta e deforma nell’intimo ciò a
cui aspira esteriormente.
San Gregorio Magno: Regola Pastorale