martedì 30 aprile 2019

Maria Valtorta incontra san Francesco

1 maggio 1944


   Vedo, e subito lo riconosco, il mio S. Francesco d'Assisi.

   Lo vedo due volte. La prima al mattino. Sta in piedi nella povera tonaca non marrone ma di un grigio-marrone come piuma di tortora selvatica. È scalzo, a capo nudo, e già stigmatizzato. Vedo nettamente le piaghe nel palmo delle mani scarne. Sta con le braccia piegate al gomito e ben strette al corpo, con le mani all'altezza delle spalle, come un sacerdote quando dice: "Dominus vobiscum"1. Perciò vedo bene le piaghe nel palmo. Mi guarda con dolcezza compassionevole. Non parla.

   La seconda volta, a sera, torna e lo vedo meglio ancora. Ha il viso tanto scarno da parere quasi triangolare. I capelli, rasati in tondo, mettono una riga lievemente ondulata, brizzolata nel suo castano chiaro, sulla fronte alta e pallidissima. Ha gli occhi di un castano chiaro, mesti e buoni, fortemente incassati nelle orbite, naso lungo e sottile, guance pallidissime e magre, allungate da una barbetta rada tagliata a punta. Sorride, ma senza letizia. Un sorriso che vuole unicamente incoraggiare. Parla. Lentamente. Con voce ben intonata ma come stanca.

   Mi chiede, accennando con la mano piagata: "Ti piacciono i miei ulivi?".
   "No" rispondo.
   "Eppure… A me piacevano tanto perché mi ricordavano il nostro Signore Gesù nella sua Orazione2".
   "Tu, Padre, vi vedevi in mezzo Gesù. Io non vedo più nulla e mi dànno solo tristezza".

   "Sforzati, figlia, a trovarvi pace e gioia. Io l'ho detto, e soffrivo tanto, allora, perché ero disilluso io pure degli uomini e, direi, del consenso di Dio sulla mia opera: 'Beati quelli che fanno la volontà di Dio e per Lui sostengono ogni tribolazione'. Prova a raggiungere questa dolorosa beatitudine. È la stigmatizzazione dello spirito, e fa più dolore di questa, vedi?, che mi apre le carni. Lo so. Ma prova. Piangi e prova. Ho sofferto tanto anche io e di tante cose. Mi affezionavo anche io. Ero pieno di nostalgia anche io. Ho sentito anche io ricadere su me la preghiera che avevo fatta, in certe ore. Ho avuto ore in cui non ho saputo che gemere. So cosa sia il dolore tuo. Ma ti dico: sforzati a trovare, in tutto il dolore, pace e gioia. Dopo viene la gioia e la pace. Sii buona. Ti starò vicino. Ti benedico con la mia benedizione3'Il Signore abbia di te misericordia, volga verso di te la sua faccia e ti dia pace. Ti dia la sua benedizione'".

   Non è molto. Ma è già uno spiraglio di Cielo che viene a me. Non avevo mai visto né udito il Santo che venero tanto e, se lei ricorda, me ne ero stupita. È venuto in questa desolazione a consolarmi un pochino…

           

   Dominus vobiscum, come in nota al 23 marzo.
            
   2 Orazione sul monte degli Ulivi: Luca 22, 39-46.   
    3 benedizione tratta da Numeri 6, 24-27.

AMDG et DVM

Benedetto il frutto del Tuo seno


Dice Gesù:

«“Benedetto il frutto del tuo seno”.
La maternità divina e verginale rende Maria seconda soltanto a Dio.
Ma non soffermatevi a guardare unicamente la gloria di Maria. Pensate
cosa le costò conseguire quella gloria. 

Stolto colui che guarda il Cristo nella luce
della risurrezione e non medita il Redentore morente nelle tenebre del Venerdì santo. Non
avrei avuto risurrezione se non avessi patito la morte, e non avrei compiuto la Redenzione
se non avessi avuto il martirio. 

Stolto colui che pensa la gloria di Maria e non medita a
come Ella giunse alla gloria. Il frutto del suo seno, Io, il Cristo Verbo di Dio, ha straziato
il suo seno.

E non capite malamente le mie parole. Non l’ho straziato umanamente.
Ella era superiore alle miserie umane, su Lei non era la condanna di Eva, ma non era
superiore al Dolore. E il Dolore grande, maiuscolo, sovrano, assoluto, è penetrato in Lei
con la violenza di una meteora che precipita dal Cielo nel momento stesso in cui Ella
conobbe l’estasi dell’abbraccio con lo Spirito creatore.

2
Beatitudine e dolore hanno stretto in un unico laccio il cuore di Maria
nell’attimo del suo altissimo “fiat” e del suo castissimo sposalizio.

Beatitudine e dolore si fusero in una cosa sola come Ella era divenuta una
cosa sola con Dio. Chiamata ad una missione di redentrice, il dolore superò
sin dal primo momento la beatitudine. Questa venne alla sua Assunzione.

Congiunta allo Spirito di sapienza, Ella ebbe rivelato allo spirito quale futuro era
riserbato alla sua creatura, e non vi fu più gioia, nel senso abituale della parola, per Maria.

Ad ogni ora che passava, mentre mi formavo attingendo vita al suo
sangue di madre-vergine, e nascosto nel profondo avevo inenarrabili scambi
di amore con la Madre mia, un amore e un dolore senza paragone si
alzavano come onde di un mare in tempesta nel cuore di Maria e la
flagellavano con la loro potenza. 

Il cuore di mia Madre conobbe il morso
delle spade del dolore dal momento in cui la Luce, lasciando il centro del
Fuoco Uno e Trino, penetrò in Lei iniziando l’Incarnazione di Dio e la
Redenzione dell’uomo; e quel morso crebbe, ora per ora, durante la santa
gestazione: Sangue divino che si formava con una sorgente di sangue umano,
Cuore del Figlio che pulsava al ritmo del cuore della Mamma, Carne eterna
che si formava con la carne immacolata della Vergine.

Più grande il dolore nel momento in cui nacqui per essere Luce ad un
mondo in tenebre. La beatitudine della madre che bacia la sua creatura si
cambiò, in Maria, nella certezza della Martire che sa più prossimo il martirio.

Benedetto il frutto del tuo seno.

Sì. Ma Io, a quel seno che meritava tutta la gioia destinata a un Adamo
senza colpa, ho dovuto dare tutto il dolore. 
E per voi. 
Per voi la pena di
addolorare Giuseppe. 
Per voi il puerperio fra tanto squallore. 
Per voi la
profezia di Simeone che le rigirò la lama nella ferita, ribadendo e acutizzando il morso
della spada. 
Per voi la fuga in terra straniera, per voi le ansie di tutta una vita,
per voi gli affanni di sapermi evangelizzante e perseguitato dalle caste
nemiche, per voi lo spavento della cattura, il tormento della molteplice
tortura, l’agonia della mia agonia, la morte della mia morte.

Sono stato raccolto sul seno che m’aveva portato con una pietà quale più
non poteva essere; ma, in verità, vi dico che tra il mio cuore fermo al moto vitale e
squarciato dalla lanciata, e quello della Afflittissima che mi teneva in grembo, non vi era
differenza di vita e di morte. Il cuore di Maria ed il suo seno erano uccisi come
ero ucciso Io, l’Innocente.

Ai miracoli connessi alla Redenzione, noti ed ignoti, palesi a tutti o rivelati ai
privilegiati, aggiungete anche questo: del continuare della vita in Maria per opera
dell’Eterno dopo che il suo cuore fu spezzato dal e per il genere umano come quello del
Figlio suo Gesù.

3
Voi, che non sapete e non volete sopportare il dolore, lo pensate che
dolore sarà stato quello della Benedetta, dell’Immacolata, della Santa, portare
in sé un cuore lacerato, morto, abbandonato, e vedere sul suo seno raccolto
un corpo senza vita, straziato, sanguinoso, livido, che è stato il corpo del
Figlio, la Carne della sua carne, il Sangue del suo sangue, la Vita della sua vita,
l’amore del suo spirito?

Voi mi avete avuto perché Maria ha accettato, trentatré anni prima di Me, di bere il
calice dell’amarezza. Sull’orlo della coppa che ho bevuto fra sudori di sangue, ho
trovato il sapore delle labbra di mia Madre, e l’amaro del suo pianto era fuso
col fiele del mio sacrificio. 
E, credetelo, di farla soffrire, Lei che non meritava
il dolore, è stata per Me la cosa più costosa. L’abbandono del Padre, il dolore di
mia Madre, il tradimento dell’amico in cui erano tutti i tradimenti dei futuri, ecco le cose
atrocissime del mio atroce strazio di Redentore. La lanciata di Longino in un organo
ormai insensibile al dolore è un nulla al paragone.

Io vorrei che per il dolore che ha straziato mia Madre per voi, voi le
deste amore. Amore grande, tenerissimo, di figli verso la più perfetta di tutte
le madri, la Madre che non ha ancora cessato di soffrire piangendo lacrime celesti sui figli
del suo amore che ripudiano la casa paterna e si fanno guardiani di bestie immonde: i vizi,
anziché restare figli di re, figli di Dio.

E se si può dare una norma, sappiate che Io, Dio, non reputo sminuire
Me stesso nell’amare con infinito e venerante amore la Madre mia, della quale
vedo la natura immacolata, opera del Padre, ma anche ricordo la vita
martirizzata di Corredentrice, senza la quale Io non sarei stato Uomo tra gli
uomini e vostro Redentore eterno.»

(Da: Maria Valtorta, I Quaderni del 1943, ed. CEV)


L'immagine della Madonna delle Lacrime, conservata nell'omonimo santuario a Siracusa
AMDG et DVM

lunedì 29 aprile 2019

REGINA DELLA RIVELAZIONE * 24-11-1947 ore 11,30.



REGINA DELLA RIVELAZIONE

Dice Maria:
  “Con quello che ti ho detto il giorno della Presentazione puoi capire anche perché sono apparsa coi tre colori delle Virtù Teologali. Alcuni, quelli che si perdono nelle solite inezie umane anche davanti alle realtà soprannaturali più grandi e chiare, fanno ostacolo al credere alla mia venuta alle Tre Fontane per quei colori... Non c'è limitazioni dove Io sono. E in ogni cosa è un simbolo.

Regina della Rivelazione, ho vestito i colori delle tre virtù che la Rivelazione contiene e propone: la Fedela Speranzala Carità.

Tutta la Rivelazione è Fede. Senza la Fede non potreste accettare la Rivelazione. Il Vangelo è Fede perfetta, essendo Rivelazione diretta delle divine Verità e dei mezzi per conseguire il Regno dei Cieli, ossia ciò che conforta la Speranza, virtù per la quale i credenti aspettano sicuri la vita eterna, conseguita per la Carità, quella carità verso Dio e verso il prossimo che è contenuta nel Codice del Figlio mio.

Venuta presso la Sede di Pietro, nel cuore della Cattolicità, in un'ora paurosa di nascita delle tenebre - e tenebre nascono dallo sprezzo aperto, dalla trascuranza sonnolenta, dalla tiepidezza invisa a Dio per il Vangelo - cercando col mio venire di fugare le tenebre con la Luce, ossia col Verbo, ho ricordato col simbolo della mia veste che non c'è intelligenza e salute se non si riveste l'anima di Fede, Speranza, Carità per capire la Parola, chenon c'è vita e pace senza Fede, Speranza, Carità per vivere veramente la Parola e conseguire la Vita e Pace eterna.

La Rivelazione senza la Fede diviene accumulo di parole vane e incomprensibili, e forma oggetto di scherno verso l'Altissimo, deriso nelle sue Verità, per chi è senza la Fede, e oggetto di rovina singola e collettiva, terrena e ultraterrena.

  La Rivelazione senza la Speranza diviene accumulo di parole vane che le eresie assalgono e polverizzano. Cosa è la vita eterna, il possesso di Dio, il Paradiso per chi non ha la Santa Speranza, per chi è sterilito dal materialismo, corrotto dalle dottrine di Satana, reso cieco dal positivismo', folle da una scienza atea che vuole sostenere le evoluzioni della materia in opposto alle creazioni di Dio perspiegare                                l'essere del mondo sensibile; fatto morto per l'ateismo che nega il Tutto in cui è la chiave del tutto? Quale freno ha più chi non spera nelle promesse di Dio, chi non agisce per mutarle in realtà a se stesso? Quale sprone ha contro tentazioni e sventure?

  La Rivelazione senza la Carità diviene accumulo di parole vane. Quando non si ama, come si può credere in Dio, a Dio, alla sua Legge, al Bene che si conseguisce credendo e sperando nelle virtù eterne, nelle divine promesse, e secondo il Vangelo?

  Troppi, troppi, in ogni classe sociale, in ogni classe sociale - e sappia intendere chi legge - hanno deboli o disperse le S. Virtù Teologali, e questo è il mio pianto di Madre della Chiesa e dei Cattolici. E Io sono venuta a ricordare che non c'è Vita per chi non sa vivere il Vangelo, e non c'è comprensione della Rivelazione se non ci sono le tre virtù teologali vive nel cuore.

  Ricordino inoltre quelli che si stupiscono del manto verde e della cintura rossa sulla veste bianca, che apparivo ad uno che aveva perduto Fede, Speranza e Carità, e al quale imponevo 
ritorno alla Fede con un'abiura del suo errore accolto in luogo delle Verità prima amate; 
un ritorno alla Speranza col tendere di nuovo, e per la giusta via, a quella Vita eterna che Dio ha promesso ai suoi fedeli e con un umile invocare dal Padre gli aiuti per conseguirla, calpestando la Superbia che lo aveva reciso dalla Vite che ha nome Gesù; 
un ritorno alla Carità col rientrare nel Corpo mistico della Chiesa Unica, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana.

E voglia la buona volontà degli uomini che non a Bruno soltanto il mio apparire abbia rifatte vive e vitali Fede, Speranza e Carità, senza le quali è inutile conoscere con letterale perfezione le parole della Grande Rivelazione antica, e inutile leggere quelle della ultima rivelazione, data, per grazia grande, dalla Misericordia eterna, ma rifioriscano forte in molti, e specie in coloro che per i1 loro ministero ne devono essere saturi per essere nutrici agli spiriti.

Non si nutre al seno se non si ha latte sano, abbondante e nutriente. Voglia la buona volontà degli uomini... (La Vergine piange).
Ti risparmio molte verità. Ricorda il dettato arso per ordine di Gabriele. E ama, credi, opera, per molti, per tutti, figlia da Noi benedetta”

(Mentalmente le chiedo perché apparve bruna a quell'uomo).
Mi risponde'. Per l'ombra della grotta e il riflesso del manto. Ma son ben la Madre di Gesù, che dette al Figlio un oro più cupo del suo per i suoi capelli e l'azzurro delle pupille. Quella che tu vedi. Quella che nel suo apparire Regina della Rivelazione presso Roma ha un rapporto con l'Opera e con l'Ordine dei S. di M., o Maria, piccola serva di Maria che Io ho stretta sotto il manto nero dei Servi di Maria tante volte e al quale Ordine mio Figlio legò e affidò l'Opera... se ne avessero conosciuto l'Autore”

Quadernetti capitolo 712:  http://www.valtortamaria.com/operaminore/quaderno/4/manoscritto/76/24-novembre-1947
http://trefontane.altervista.org/doc/storia/Messaggio-Completo-Vergine-Rivelazione-Tre-Fontane-a-Bruno-Cornacchiola.html


“AVE MARIA VIRGO POTENS!”

Quattro tormenti

S. Caterina da Siena

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Inferno

I Novissimi - Paradiso - Purgatorio

Santa Caterina ebbe frequenti estasi. Durante la preghiera aveva continui colloqui familiari con Gesù Cristo suo Sposo che la proiettava sulle alte vette della spiritualità.

I Quattro Tormenti

L'opera "Dialogo della divina provvidenza" è appunto il frutto di queste estasi, opera dettata a dei discepoli che scrivevano alla sua presenza.
Il Pontefice Paolo VI la dichiarò "Dottore della Chiesa".

<<Lingua umana non basta, figlia mia, a narrare la pena di queste anime miserande. Se tre sono i principali vizi - cioè l'amore di sé onde nasce il secondo, ossia la considerazione di se stessi, dal quale procede il terzo, che è la superbia accompagnata da falsa giustizia e crudeltà, con gli altri iniqui e immondi peccati che conseguono a questi - così ti dico che nell'inferno vi sono quattro tormenti principali, ai quali conseguono tutti gli altri.

Il primo tormento consiste nel fatto che essi si vedono privati della mia visione; cosa che è di tanta sofferenza che, se fosse loro possibile, sceglierebbero piuttosto di vedermi, anche stando nel fuoco e tra i più crudi tormenti, piuttosto che esser privi d'ogni pena senza vedermi. 
Questa prima pena produce in loro la seconda, quella del verme della coscienza che sempre li rode, poiché per loro colpa si vedono privati di me e della conversazione con gli angeli, e per di più si vedono divenuti degni della conversazione con i demoni e della loro visione.

Il vedere poi il diavolo, che è la terza pena, moltiplica ogni loro sofferenza. Se infatti i santi sempre esultano nella mia visione ripensando con gaudio al frutto dei sacrifici che hanno sopportato per me con grandissimo amore e disprezzo di sé, il contrario è di questi sventurati, che nella visione dei demoni acuiscono il proprio tormento: nel vedere i demoni riconoscono se stessi, cioè capiscono che per propria colpa se ne son resi degni. In tal modo il tarlo della coscienza ancor più li rode e mai ha tregua il fuoco bruciante di questa consapevolezza". (cfr Isaia 66,24)

Pena ancor più grande deriva loro dal vedere la figura stessa del demonio, tanto orribile che non v'è cuore umano che possa figurarsela. Se ben ricordi, infatti, saprai che, avendoti Io mostrato il demonio nella sua forma, e per un piccolo spazio di tempo - quasi un punto! - tu, dopo esser tornata in te, hai scelto, piuttosto, di camminare lungo una strada lastricata di fuoco, durasse pure sino al giorno del giudizio, disposta a calpestare il fuoco coi tuoi piedi, piuttosto che vederlo ancora. 

Ma quantunque tu l'abbia visto, ancora non sai quanto egli sia orribile, perché, per divina giustizia, egli si mostra ancor più repellente all'anima che si è privata di me, e in modo più o meno grave a seconda della gravità delle colpe commesse.

E il quarto tormento è il fuoco. È un fuoco che brucia ma non consuma l'anima; questa non si può consumare, non essendo cosa materiale che il fuoco possa ridurre a niente, dal momento che è incorporea. Ma Io per divina giustizia ho permesso che il fuoco la bruci tormentosamente, la tormenti e non la consumi, e la tormenti e bruci con grandissime sofferenze, in modi diversi a seconda della gravità dei peccati, chi più chi meno, secondo il peso delle colpe.

Da questi quattro tormenti derivano tutti gli altri, con freddo e caldo e strider di denti. Ecco in che modo miserabile hanno ricevuta la morte eterna, dopo i rimproveri loro rivolti in vita per il falso giudizio e per l'ingiustizia, non essendosi corretti in occasione di questa prima accusa, come ho detto, né della seconda, cioè in punto di morte quando non vollero sperare, né dolendosi dell'offesa fatta a me ma affliggendosi soltanto per la propria pena.>

Tratto da: "Dialogo della divina provvidenza"
di Santa Caterina da Siena.
 

Santa Teresa, al secolo Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada, è stata una religiosa carmelitana e mistica spagnola.

Da: Libro di Vita di S. Teresa d'Avila

Ci ha lasciato delle opere che rappresentano la sua dottrina mistico-spirituale: "il Castello interiore" dove narra l'itinerario dell'anima alla ricerca di Dio, il "Cammino di perfezione", le "Fondazioni" e molte preghiere.

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"Passato gran tempo da quando il Signore mi aveva fatto già molte delle grazie suddette e anche altre, assai notevoli, mentre un giorno ero in orazione, mi sembrò di trovarmi ad un tratto sprofondata nell'inferno, senza saper come. Capii che il Signore voleva farmi vedere il luogo che lì i demoni mi avevano preparato e che io avevo meritato per i miei peccati.

Tale visione durò un brevissimo spazio di tempo, ma anche se vivessi molti anni, mi sembra che non potrei mai dimenticarla. L'entrata mi pareva come un vicolo assai lungo e stretto, come un forno molto basso, scuro e angusto; il suolo, una melma piena di sudiciume e di un odore pestilenziale in cui si muoveva una quantità di rettili schifosi. Nella parete di fondo vi era una cavità come di un armadietto incassato nel muro, dove mi sentii rinchiudere in un spazio assai ristretto.

Ma tutto questo era uno spettacolo persino piacevole in confronto a quello che qui ebbi a soffrire.

Ciò che ho detto, comunque, è mal descritto. Quello che sto per dire, però, mi pare che non si possa neanche tentare di descriverlo né si possa intendere: sentivo nell'anima un fuoco di tale violenza che io non so come poterlo riferire; il corpo era tormentato da così intollerabili dolori che, pur avendone sofferti in questa vita di assai gravi, anzi, a quanto dicono i medici, dei più gravi che in terra si possano soffrire - perché i miei nervi si erano tutti rattrappiti quando rimasi paralizzata, senza dire di molti altri di vario genere che ho avuto, alcuni dei quali, come ho detto, causati dal demonio - tutto è nulla in paragone di quello che ho sofferto lì allora, tanto più al pensiero che sarebbero stati tormenti senza fine e senza tregua.

Eppure anche questo non era nulla in confronto al tormento dell'anima: un'oppressione, un'angoscia, una tristezza così profonda, un così accorato e disperato dolore, che non so come esprimerlo. Dire che è come un sentirsi continuamente strappare l'anima è poco, perché morendo, sembra che altri ponga fine alla nostra vita, ma qui è la stessa anima a farsi a pezzi.

Non so proprio come descrivere quel fuoco interno e quella disperazione che esasperava così orribili tormenti e così gravi sofferenze. Non vedevo chi me li procurasse, ma mi pareva di sentirmi bruciare e dilacerare; ripeto, però, che il peggior supplizio era dato da quel fuoco e da quella disperazione interiore. Stavo in un luogo pestilenziale, senza alcuna speranza di conforto, senza la possibilità di sedermi e stendere le membra, chiusa com'ero in quella specie di buco nel muro. Le stesse pareti, orribili a vedersi, mi gravavano addosso dandomi un senso di soffocamento. Non c'era luce, ma tenebre fittissime. Io non capivo come potesse avvenire questo: che, pur non essendoci luce, si vedesse ugualmente ciò che poteva dar pena alla vista.

Il Signore allora non volle mostrarmi altro dell'inferno; inseguito, però, ho avuto una visione di cose spaventose, tra cui il castigo di alcuni vizi. Al vederli, mi sembravano ben più terribili, ma siccome non ne provavo la sofferenza, non mi facevano tanta paura, mentre in questa prima visione il Signore volle che io sentissi davvero nello spirito quelle angosce e afflizioni, come se le patissi nel corpo. Non so come questo sia avvenuto, ma mi resi ben conto che era per effetto di una grande grazia e che il Signore volle farmi vedere con i miei occhi da dove la sua misericordia mi aveva liberato.

Sentir parlare dell'inferno è niente, com'è niente il fatto che abbia alcune volte meditato sui diversi tormenti che procura (anche se poche volte, perché la via del timore non è fatta per la mia anima) e con cui i demoni torturano i dannati e su altri ancora che ho letto nei libri; non è niente, ripeto, di fronte a questa pena, che è ben altra cosa. C'è la stessa differenza che passa tra un ritratto e la realtà; bruciarsi al nostro fuoco è ben poca cosa in confronto al tormento del fuoco infernale.

Rimasi spaventata e lo sono tuttora mentre scrivo benché siano passati quasi sei anni tanto da sentirmi agghiacciare dal terrore qui stesso, dove sono. Così non c'è una volta in cui io sia afflitta da qualche sofferenza o dolore che non mi sembri una sciocchezza tutto quello che si può soffrire quaggiù, convinta che, in parte, ci lamentiamo senza motivo. Torno pertanto a dire che questa è una delle maggiori grazie che il Signore mi ha fatto, perché mi ha aiutato moltissimo, sia per non temere più le tribolazioni e le contraddizioni di questa vita, sia per sforzarmi a sopportarle e ringraziare il Signore di avermi liberato, come ora mi pare, da mali così terribili ed eterni.

D'allora in poi, ripeto, tutto mi sembra facile in paragone di un attimo di quella sofferenza ch'io ebbi lì a patire".



MISERERE NOSTRI, DOMINE, MISERERE NOSTRI