sabato 2 dicembre 2017

Trittico antimoderno

– La principessa Elvina Pallavicini, don Francesco Putti, l’ing. Giovanni Volpe

pallavicinilepanto_lgOgnuno di noi ha conosciuto nella sua vita personaggi che, pur non godendo delle luci della ribalta, possono a pieno titolo entrare nella storia, almeno quella minore. Di tre di questi personaggi ricorre nel 2014 l’anniversario della morte. Dieci anni fa scomparve la principessa Elvina Pallavicini, trent’anni addietro don Francesco Putti e l’ingegner Giovanni Volpe. Le loro vite si sono intrecciate, di tutti sono stato amico e insieme voglio ricordarli.
Elvina Pallavicini nacque nel 1914, a Genova, da Giacomo dei Marchesi Medici del Vascello, e da Olga Leumann, famiglia di imprenditori filantropi di origine elvetica. Il padre era nipote del colonnello Giacomo Medici che, durante la Repubblica romana del 1849, animò l’estrema difesa dei garibaldini, asserragliati nella villa Giraud, detta del Vascello, sul Gianicolo (oggi sede del Grande Oriente d’Italia). Abbracciata la causa monarchica, era divenuto prefetto di Palermo, deputato, e senatore, ottenendo per le sue benemerenze patriottiche il titolo di marchese del Vascello.
Nel 1939 Elvina sposò Guillaume de Pierre de Bernis, marchese de Courtavel, che era stato adottato dallo zio, Giulio Cesare Pallavicini, principe di Gallicano, assumendone il nome e il titolo e ottenendo la cittadinanza italiana. Scoppiata la guerra, il sottotenente Guglielmo Pallavicini si arruolò come pilota nella Regia Aeronautica, ma il 1 agosto 1940, il Savoia Marchetti su cui, volava, in una delle sue prime missioni contro la flotta inglese nel Mediterraneo, fu colpito dalla contraerea nemica e si inabissò al largo delle isole Baleari. Elvina rimase vedova a venticinque anni, con una bambina nel grembo, a cui avrebbe dato il nome di Maria Camilla. Divenne proprietaria del Palazzo Rospigliosi Pallavicini, sul colle del Quirinale, che molti considerano il più bel palazzo privato d’Europa. La sua collezione, che Federico Zeri ha raccolto in un imponente catalogo, comprende tele di Botticelli, Guido Reni, Rubens e dei Carracci. Dopo l’occupazione tedesca di Roma, la giovane Elvina Pallavicini fece del suo palazzo un centro della resistenza monarchica, sotto la guida del generale Giuseppe Lanza Cordero di Montezemolo, comandante del Fronte Militare Clandestino, poi ucciso alle Fosse Ardeatine. Il suo coraggio, spinto alla temerarietà, le fruttò una medaglia di bronzo. Sotto questo aspetto Elvina Pallavicini può essere paragonata a Edgardo Sogno, di cui fu amica, un altro monarchico che sfidò il nazismo con un coraggio che raramente i partigiani comunisti dimostrarono. Di certo non fu una principessa “nera”, né per le sue scelte politiche, né per la tradizione liberale della sua famiglia.
Grandi_Immagini_14251Ancora giovane, Elvina Pallavicini fu colpita da una grave forma di sclerosi che la portò ad una progressiva paralisi delle gambe e poi delle braccia, costringendola su una sedia a rotelle, ma non se ne lamentò mai. Il male non la piegò, ne esaltò anzi la combattività. Negli anni Settanta, in un momento in cui l’alta borghesia portava all’estero capitali e famiglie, considerando inevitabile l’avvento del comunismo in Italia, Elvina lo avversò con la stessa decisione con cui aveva combattuto il nazismo. Collaborò attivamente alla fondazione della prima televisione privata a Roma, Tele Roma Europa, creata in chiave anticomunista da Gaetano Rebecchini, e fece del suo palazzo un baluardo contro il compromesso storico. Ricordo di aver tenuto proprio su questo tema a Palazzo Pallavicini, una delle mie prime conferenze, alla vigilia delle elezioni del 1976 in cui il Pci ottenne il miglior risultato della sua storia, fermandosi a pochi punti percentuali dalla Dc.
Elvina Pallavicini non aveva paura di niente e lo dimostrò quando, il 6 giugno 1977, ospitò nel suo palazzo mons. Marcel Lefebvre, con un gesto che le costò incomprensioni e inimicizie. Nel 1976 mons. Lefebvre era stato sospeso a divinis da Paolo VI ed era divenuto il simbolo della resistenza tradizionalista alle derive postconciliari. Invitarlo a Roma, in una sede prestigiosa come il palazzo Pallavicini sul Quirinale, aveva il sapore di una sfida a Papa Montini e come tale fu intesa dalla stampa internazionale, che accorse in massa per l’evento. La principessa subì straordinarie pressioni per far saltare la conferenza. Il marchese Falcone Lucifero, capo della Real Casa, fece appello ai suoi sentimenti monarchici a nome di Umberto II. Mons. Andrea Cordero di Montezemolo la supplicò di soprassedere, richiamandosi alla memoria del padre. Il principe Aspreno Colonna, facendosi portavoce del patriziato romano, si dissociò dall’iniziativa sulla prima pagina del quotidiano “Il Tempo”, allora diretto da Gianni Letta, mentre il Gran Maestro dell’Ordine di Malta, Fra’ Angelo de Mojana, proibiva a tutti i cavalieri di presenziare all’evento. Infine, il 5 giugno, alla vigilia della conferenza, il cardinale Vicario Ugo Poletti, a nome della diocesi di Roma, stigmatizzò violentemente in un comunicato stampa mons. Lefebvre e “i suoi aberranti seguaci” per “l’offesa fatta personalmente al Papa”. Tutto fu vano. Elvina Pallavicini non cedette di un pollice. “In casa mia – rispondeva – credo di poter ricevere chi desidero ricevere”. La conferenza si tenne in una sala stipata all’inverosimile. Mons. Lefebvre non fece il discorso incendiario che i media attendevano, ma espose con tono pacato le ragioni del suo dissenso da Roma. “Come può essere – disse – che continuando a fare ciò che ho fatto per 50 anni della mia vita, con le congratulazioni, con gli incoraggiamenti dei Papi, e in particolare del Papa Pio XII che mi onorava della sua amicizia, che io mi ritrovi oggi ad essere considerato quasi un nemico della Chiesa?”
Da allora il nome di Elvina Pallavicini fu noto a tutto il mondo. La conferenza risvegliò improvvisamente la curiosità e l’attenzione sull’esistenza di un patriziato e di una nobiltà romana, ancora vivi e pugnaci, di cui la principessa Pallavicini era espressione e il suo palazzo divenne una tribuna coraggiosa e anticonformista in cui, nel corso degli anni, presero la parola personalità della cultura, della politica e dell’arte. Nel 1993 la principessa ospitò un convegno su Nobiltà ed élites tradizionali analoghe, che “la Repubblica” presentò come gli Stati generali della aristocrazia italiana. Negli anni successivi, Elvina Pallavicini guidò, con il marchese Luigi Coda Nunziante, l’associazione Noblesse et Tradition, che raccoglieva un qualificato gruppo di aristocratici di tutto il mondo, difensori dei valori tradizionali nella palude del relativismo contemporaneo. Di lei apprezzavo soprattutto il senso che aveva della propria missione sociale la fede semplice ma granitica e lo spirito categorico che la portava a rifiutare ogni forma di compromesso.
Amante dell’arte incrementò la straordinaria collezione del suo palazzo, assumendo nella Roma di fine Novecento un ruolo analogo a quello che la principessa Isabel Colonna aveva svolto negli anni Trenta. Alle sue conferenze erano sempre presenti in prima fila numerosi cardinali, che accoglieva alla luce delle torce, come si conviene ai principi della Chiesa. Nel 1994 Silvio Berlusconi presentò nella Sala del Trono di Palazzo Pallavicini il movimento di Forza Italia nascente. Elvina Pallavicini lo sostenne, ma prima di morire non nascose la sua delusione verso la coalizione di destra tornata al governo.
Negli ultimi anni i suoi movimenti si facevano sempre più difficili, ma continuò a ricevere sontuosamente nel suo palazzo, assistita dalla fedele amica Elika del Drago e da impeccabili maggiordomi che si succedevano al suo servizio. Trascorreva l’estate a Cortina d’Ampezzo, dove morì il 29 agosto 2004, di fronte alle montagne che tanto amava.
Elvina Pallavicini ospitò per lunghi anni nel suo ufficio di via della Consulta un’altra straordinaria personalità che accanto a Lei merita di essere ricordata: don Francesco Maria Putti.
puttiChi ha conosciuto don Putti non può dimenticarlo. Nacque nel 1909, a Sarzana, da una famiglia benestante, profondamente cristiana. Aveva poco più di un anno quando fu colpito dalla poliomelite, con gravi conseguenze per tutta la vita. Era un giovane particolarmente bello e prestante e la malattia, come nel caso di Elvina Pallavicini, contribuì a fargli comprendere il primato dei beni spirituali nella vita di un uomo. Diplomatosi in ragioneria, alternò il lavoro all’apostolato, finché non incontrò padre Pio da Pietrelcina, che lo diresse spiritualmente e lo incoraggiò a farsi prete. Dopo molte traversie finalmente il 29 giugno 1956, a 47 anni, Francesco Putti fu ordinato sacerdote e celebrò la sua prima Messa a San Giovanni Rotondo, all’altare dove celebrava quotidianamente Padre Pio. Non poté avere una parrocchia a causa della sua infermità, ma esercitò per quasi 15 anni il ministero della confessione, ad Avellino, Salerno, Napoli. Negli anni successivi al Vaticano II, don Putti misurò la gravità della crisi nella Chiesa e si convinse della necessità di offrire ai confratelli sacerdoti e ai fedeli uno strumento di informazione che li aiutasse a difendere la fede cattolica. Dal 1975 alla morte, avvenuta il 21 dicembre 1984, la sua vita si identificò con il quindicinale da lui fondato “SìSì NoNo”, un foglietto di poche pagine che seminava il panico negli ambienti di Curia in cui era diffuso a tappeto, per gli attacchi mirati contro i responsabili dell’avanzata progressista.
Su “SìSì NoNo” gli articoli non erano firmati. Si diceva, e solo in parte era vero, che tra i collaboratori fossero illustri prelati e teologi di orientamento tradizionale. Poco importa se a scrivere fosse un illustre filosofo cattolico o il suo brillante assistente: ciò che contava erano le nette affermazioni, con le quali si riproponeva il Magistero perenne della Chiesa, e le altrettanto nette negazioni con le quali si rifiutavano le teorie neomoderniste che circolavano nei seminari e nelle università cattoliche. Nel primo numero di “SìSì NoNo”, il 6 gennaio 1975 il sacerdote romano scriveva: “Il compito ingrato che la nostra pubblicazione si assume è quello di andare controcorrente e di aiutare ad andare controcorrente, non per gusto, ma perché, per seguire il bene, è oggi più che mai necessario andare controcorrente. La nostra pubblicazione diffonderà idee chiare dicendo “sì” a quanto è conforme alla Fede cattolica trasmessa dagli Apostoli (di cui è depositaria la Chiesa docente, cioè il Papa e i vescovi a lui soggetti) e dicendo “no” senza mezzi termini a quanto pretende di soppiantarla”.

Oggi si è duri nei rapporti umani e flessibili sui princìpi, con conseguenze devastanti per la società. Il sacerdote romano era invece tanto severo dal pulpito e dalle colonne del suo giornale, quanto mite e affettuoso nei colloqui privati e nel confessionale. Solo chi gli è stato vicino sa con quanta generosità si prodigava per la salvezza di un’anima. Eppure don Putti era temutissimo e  lo divenne ancora di più quando, nel 1981, querelò per diffamazione l’allora direttore dell’“Osservatore Romano” Valerio Volpini e vinse la causa. Il Tribunale condannò infatti il quotidiano della Santa Sede per “aggressione scritta, immotivata e animosa, esercitata soltanto per ferire la reputazione” della rivista “SìSì NoNo”.


La nascita di “SìSì NoNo”, avvenne alla fine del 1975, quando un insigne biblista romano, mons. Francesco Spadafora, accompagnò don Putti in via Michele Mercati a Roma, presso la sede della casa editrice Volpe, diretta dall’ingegner Giovanni Volpe, con il quale collaboravo. Fui presente al colloquio con cui mons. Spadafora raccomandò vivamente la pubblicazione del nuovo periodico antimodernista. L’ing. Volpe indirizzò don Putti al suo tipografo Franco Pedanesi, che pubblicò “SìSì NoNo” fino a quando le Discepole del Cenacolo, il gruppo di fedeli suore che collaboravano con don Putti, non si dotò di una propria tipografia.
La terza straordinaria personalità che voglio ricordare è proprio Giovanni Volpe, la cui figura è scolpita nella mia memoria con caratteristiche simili a quelle di Elvina Pallavicini e Francesco Putti. Nato nel 1906, Giovanni Volpe, era figlio del celebre storico e accademico d’Italia Gioacchino Volpe. Si era laureato in ingegneria e aveva creato un’impresa di costruzioni affermatasi con successo in diversi paesi del mondo. Era divenuto ricco e, come la principessa Pallavicini, aveva spirito di mecenate. Nel 1964 fondò a Roma la casa editrice omonima, a cui affiancò due riviste, “La Torre” e “Intervento”, e poi la Fondazione Gioacchino Volpe, dedicata alla memoria del padre.
Il catalogo della casa editrice nel corso di vent’anni si arricchì di un formidabile ventaglio di autori, conservatori, cattolici, nazionalisti. A me sia concesso ricordare la traduzione, in lingua italiana, di opere fondamentali per la cultura cattolica quali Luce del Medioevo di Régine Pernoud, L’eresia del XX secolo di Jean Madiran, La sovversione nella liturgia di Louis Salleron, La grande eresia e L’intelligenza in pericolo di morte di Marcel de Corte, e molte altre.
Giovanni Volpe era un uomo burbero, alto e imponente. Marcello Veneziani, uno dei giovani che gli furono più vicini, ne ricorda l’impressione di signore rinascimentale che ne ebbe quando lo incontrò per la prima volta: “mi colpì la sua bellezza senile, priva dei segni crepuscolari dell’età grave, il suo incedere dignitoso e gioviale, la fierezza del suo bianco onor del mento, che rievocava suo padre, addolcita da un volto quasi rutilante ed aperto al sorriso, la sua parola ricca e vigorosa”. Però, malgrado le soddisfazioni sul lavoro la sua vita familiare non era stata facile e da questo nasceva una severa tristezza nel suo sguardo. Egli non era solo un mecenate e un organizzatore culturale, ma un grande intellettuale, appassionato di arte e di archeologia: discuteva con gli autori dei libri che pubblicava, correggeva le bozze e allegava a “La Torre” da lui diretta un “Quartino dell’Editore”, in cui ogni mese interveniva sulla politica e sul costume.
Giovanni Volpe era un uomo di destra a tutto tondo, monarchico, anticomunista, cattolico tradizionale. Molte riunioni dell’associazione “Una Voce” per la difesa del latino e del canto gregoriano, allora presieduta da Carlo Belli, si tenevano a casa Volpe. Egli stesso, dopo l’esplosione del “caso Lefebvre”, fu autore nel 1976 di uno scritto su La doverosa impossibile obbedienza, in cui si esprimeva con queste chiare parole: “Non c’è dubbio che l’obbedienza al Papa sia uno dei pilastri su cui si fonda la Chiesa, ma si presume che a monte vi sia la Rivelazione e che il Papa, a cui noi dobbiamo obbedienza, sia a sua volta obbediente ad essa ed alla Tradizione multisecolare della Chiesa, non immobile ma nemmeno in evoluzione con il mondo, con i suoi dogmi, i suoi riti, il suo costume, se è vero che Stat Crux dum volvitur mundus” . (…) Si deve obbedienza al Papa, ma il Papa deve obbedienza al Verbo e alla Tradizione apostolica. Si deve obbedienza al Papa, ma spetta al Papa dare a questa obbedienza il carattere della possibilità”.
La Fondazione Volpe organizzava ogni mese di settembre in Romagna seminari per i giovani, e tutte le primavere incontri internazionali che riunivano a Roma studiosi antiprogressisti di tutto il mondo. I temi che venivano affrontati erano Autorità e libertàLa memoria storicaL’avvenire della scuolaIl non primato dell’economia, La tradizione nella cultura di domani, con invitati come Erik von Kuenhelt-Leddhin, Eugen Weber, Julien Freund, Augusto Del Noce, Marcel De Corte, Ettore Paratore, Massimo Pallottino e molti altri.
Il 15 aprile 1986, dopo aver pronunciato sul podio le parole di conclusione dell’ultimo convegno dedicato al tema Sì alla pace, no al pacifismo Giovanni Volpe, reclinò il capo e morì, in piedi, come si addiceva a un combattente quale egli fu. I funerali furono celebrati secondo il Rito romano antico da don Emanuele du Chalard de Taveau, che sarebbe succeduto pochi mesi dopo a don Putti, come direttore di “SìSì NoNo”. La Fondazione Volpe sopravvisse qualche anno, grazie alla moglie di Giovanni, Elza De Smaele, donna di grande classe e intelligenza. Nel maggio 1989 la Fondazione Volpe tenne proprio a Palazzo Pallavicini, un importante convegno revisionista sulla Rivoluzione francese, che fu il suo canto del cigno. Augusto Del Noce presiedeva l’incontro. Credo di poter dire che nessuno ha contribuito quanto Giovanni Volpe ad alimentare in Italia la cultura di destra, cattolica e anticomunista, del secondo Novecento. Eppure Volpe non ricevette dal partito di destra di allora, il Movimento Sociale, quel laticlavio di senatore che avrebbe meritato e che non avrebbe disdegnato.
La principessa Pallavicini, don Francesco Putti, l’ingegner Giovanni Volpe erano considerati tre caratteri difficili. Io li ho conosciuti come persone di carattere, tutte di un pezzo, come ormai non se ne trovano più. Uomini e donne che credevano nella forza dei princìpi e che, per difenderli, non si ritrassero dalla lotta. Tre figure che, al di là delle loro umane debolezze, non si lasciarono risucchiare da quello che allora appariva il corso inesorabile degli eventi. La memoria storica consiste anche nel non dimenticare coloro che ci hanno preceduto lungo il cammino. Merita di essere fagocitato dall’oblio solo chi della storia ha fatto un idolo, dimenticando l’esistenza di uomini e di princìpi che la trascendono e la orientano. 
(di Roberto de Mattei su  “Il Foglio”, 18 dicembre 2014).
AMDG et BVM

È un messaggio di fiducia e di speranza, di conforto e di consolazione, di salvezza e di misericordia



<<Io sono la Porta della divina misericordia>>
NOVENA 
DELL'IMMACOLATA
2.XII.17 (IV)

Primo Gennaio 1985. 
Festa di Maria Santissima Madre di Dio.

Sono l'inizio dei tempi nuovi

«Figli prediletti, oggi vi unite a tutta la Chiesa nel venerarmi vera Madre di Dio e Madre vostra, nell'ordine della vita soprannaturale di fede e della grazia divina.

In questo giorno, che segna l'inizio per voi di un nuovo anno, mentre tutti nella Chiesa: Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e Fedeli, guardate a Me come alla vostra Mamma, Io vi dico che, se lo sono e così mi onorate, devo essere amata, ascoltata e seguita da ciascuno di voi.

Ecco che oggi, nella solennità della mia divina Maternità, Io voglio dare un messaggio alla Chiesa, perché venga da lei ascoltato ed accolto.

-È un messaggio di fiducia e di speranza.

Nonostante le difficoltà e le sofferenze che la Chiesa è chiamata a sopportare e le ore dolorose di agonia e di passione, che segnano il tempo della sua sanguinosa purificazione, per essa si sta preparando il momento di un rinnovato splendore e di una seconda Pentecoste.

Figli miei tanto amati, non perdete mai la fiducia e la speranza.

Sotto il grande e vasto clamore che il male riesce a diffondere ovunque, nel silenzio e nel nascondimento, stanno sbocciando tanti germogli di bontà e di santità.

Questi preziosi germogli di nuova vita vengono coltivati ogni giorno nel giardino segreto del mio Cuore Immacolato.

Fate però attenzione a tre gravi pericoli che minacciano la vostra crescita nel bene e che vi sono stati da Me più volte indicati: 

quello di allontanarvi dalla vera fede, con il seguire i molti errori che oggi vengono insegnati; 

quello di staccarvi dalla interiore unità della Chiesa a causa della contestazione al Papa e alla Gerarchia, che ancora si diffonde all'interno della vita ecclesiale; 

quello di diventare vittime del secolarismo e del permissivismo morale, che vi conduce ad arrendervi nella lotta quotidiana contro il male ed il peccato.

Se vi lasciate condurre da Me, camminate sulla strada sicura dell'amore e della santità.

-È un messaggio di conforto e di consolazione.

Affidatevi tutti alla vostra Mamma Celeste per essere consolati. Nella grande battaglia che state combattendo, lì trovate forza e conforto e non vi perdete mai di coraggio di fronte alle difficoltà che incontrate.

Durante il nuovo anno, ancora maggiori diventeranno le prove e le sofferenze che vi attendono, perché siete entrati ormai nella parte conclusiva di quanto Io vi ho predetto.

Una grande e sanguinosa prova sta per scuotere tutta la terra, per prepararla al suo completo rinnovamento nel trionfo del mio Cuore Immacolato.
Ma quanto più forte si farà la prova, tanto più grande sarà la mia presenza accanto a ciascuno di voi, perché possiate essere da Me confortati e incoraggiati.

Se vivete nel mio Cuore Immacolato, nulla vi può turbare di ciò che potrà accadere; dentro questo mio materno rifugio siete sempre al sicuro, avvolti dalla luce e dalla presenza della Santissima Trinità, che vi ama e vi circonda della sua divina protezione.

-È un messaggio di salvezza e di misericordia.

Voi dovete essere il mio potente aiuto, che Io voglio offrire oggi a tutta l'umanità, per condurla a ritornare sulla strada del bene e dell'amore.

Io sono la via di questo suo ritorno.

Io sono la Porta della divina misericordia.

Voglio che, attraverso di voi, tutti i miei figli smarriti possano tornare al Signore, che li attende con l'ansia e la gioia di un Padre che li ama e li vuole salvare.

Cosi diventate anche gli strumenti della divina misericordia, in questi tempi in cui si prepara il più grande trionfo dell'amore misericordioso di mio figlio Gesù.

È per essere vostra fiducia, vostra consolazione e vostra salvezza negli ultimi tempi che state vivendo, che oggi Io mi manifesto in maniera tanto forte, attraverso i messaggi che dono, per mezzo di questo mio piccolo figlio e le apparizioni che compio, in maniera continua e straordinaria, in molte parti del mondo.

Credete ai miei inviti, accogliete i miei messaggi, guardate ai miei segni. 

Sono la Regina della Pace; sono l'inizio dei tempi nuovi; sono l'aurora del nuovo giorno.

Con il Papa, mio primo figlio prediletto, oggi tutti vi benedico nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

"Vieni, Spirito Santo, vieni:
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria,
tua Sposa amatissima"

venerdì 1 dicembre 2017

La bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata.

Cosa intende Gesù per peccato contro lo Spirito Santo?

Nel vangelo di san Matteo (12,31-32) leggiamo: “Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro".


-Cosa intende Gesù per peccato contro lo Spirito Santo? 
-Qual è il peccato contro lo Spirito santo? 
-Nello specifico di cosa si tratta?

Risposta del sacerdote

1. L’autorevole commento della Bibbia di Gerusalemme annota a questo versetto: 

“L'uomo è scusabile se si inganna sulla dignità divina di Gesù, velata dalle umili apparenze del Figlio dell'uomo, ma non lo è se chiude gli occhi e il cuore alle opere evidenti dello Spirito. Negandole, egli rigetta la proposta suprema che Dio gli fa e si mette fuori della salvezza”.


In altri termini la bestemmia contro lo Spirito Santo è quella di coloro, che non solo chiudono gli occhi davanti alle opere di Dio, ma le respingono ostinatamente, attribuendole al demonio, volendo così identificare lo Spirito Santo con lo spirito maligno, come facevano i farisei.


2. “La bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata”: vuol dire che difficilmente se ne otterrà il perdono non perché la potenza di Dio sia limitata o perché la Chiesa non abbia potere di rimetterla (è dogma di fede che la Chiesa può rimettere tutti i peccati senza alcuna eccezione) ma per la chiusura all’azione della grazia da parte di chi lo compie.


Chi infatti attribuisce al diavolo le opere della bontà e della grazia di Dio, in certo modo fa di Dio un demonio, come dice S. Atanasio, e di più si mette a combattere contro quella stessa bontà che è la sorgente del dono della conversione del cuore e della penitenza.


3. Il Catechismo Romano (del Concilio di Trento) scrive: “Quando occorrono nella S. Scrittura o nei Padri sentenze che sembrano affermare che per alcuni peccati non c’è remissione, bisogna intenderle nel senso che il loro perdono è oltremodo difficile. Come una malattia vien detta insanabile quando il malato respinge l’uso della medicina, così c’è una specie di peccato che non si rimette né si perdona perché rifugge dalla grazia di Dio, che è il rimedio suo proprio” (Catechismo Romano II, c. 5,19).


Il Catechismo della Chiesa Cattolica (di papa Giovanni Paolo II) afferma: “La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna” (CCC 1864).



Per questo S. Tommaso scriveva a questo proposito: 

“Questo non impedisce all’onnipotenza e alla misericordia di Dio di trovare la via del perdono e della guarigione che talora sana spiritualmente anche costoro in una maniera quasi prodigiosa” (S. Tommaso, Somma Teologica, II-II, 14, 3).

4. Secondo la classificazione catechistica i peccati contro lo Spirito Santo, sono sei: 
l’impugnazione della verità conosciuta e l’invidia della grazia altrui, 
la disperazione della salvezza e la presunzione di salvarsi senza merito, 
l’ostinazione nel peccato e l’impenitenza finale.

5. In generale si può dire che i peccati contro lo Spirito Santo manifestano la sistematica opposizione a qualunque influsso della grazia e questo comporta disprezzo e rifiuto di tutti gli aiuti offerti da Dio per la salvezza.

Vengono detti contro lo Spirito Santo perché è attribuita allo Spirito Santo l’opera della conversione e della santificazione.


6. Per san Tommaso i peccati contro lo Spirito Santo sono tanti quanti sono i modi di disprezzare l’aiuto di Dio per trattenere l’uomo dal peccato.


Dice che le remore al peccato possono provenire da tre fonti: dal giudizio di Dio, dai suoi doni e da parte del peccato stesso.



Quando si oppongono al giudizio di Dio abbiamo i due peccati contro la speranza teologale: la disperazione della salvezza e la presunzione di salvarsi senza merito.



Quando si oppongono alla conoscenza della verità rivelata e all’aiuto della grazia abbiamo l’impugnazione della verità conosciuta e l’invidia della grazia altrui.



Quando non si considera la bruttezza del peccato e la brevità dell’esperienza presente abbiamo l’impenitenza finale (intesa nel senso di perdurare nel peccato fino alla morte) e l’ostinazione nel peccato 

(S. Tommaso, Somma Teologica, II-II, 14, 2).

DIO VI BENEDICA  E LA VERGINE CI PROTEGGA!

AMDG et BVM

"La Russia sarà cattolica" /1







“La Russia sarà cattolica”

Questa la speranza — e la profezia — del padre barnabita Gregorio Agostino Maria Šuvalov.
“La Russia sarà cattolica”: è questa l’iscrizione che fu apposta sulla tomba del padre Gregorio Agostino Maria Šuvalov nel cimitero di Montparnasse a Parigi. Per questa causa il barnabita russo si immolò come vittima (Antonio Maria Gentili, I Barnabiti, Padri Barnabiti Roma 2012, pp. 395-403).
Il conte Grigorij Petrovič Šuvalov, nacque a Pietroburgo il 25 ottobre 1804 da una famiglia di antica nobiltà. Uno zio, generale dell’esercito, ebbe l’incarico di accompagnare Napoleone sconfitto all’isola d’Elba, un altro suo antenato aveva fondato l’università di Mosca. Studiò dal 1808 al 1817 nel collegio dei gesuiti a Pietroburgo finché, espulsi i gesuiti dalla Russia, continuò gli studi prima in Svizzera e poi all’università di Pisa, dove apprese perfettamente la lingua italiana. Fu influenzato però dal materialismo e dal nichilismo allora imperante nei circoli liberali che frequentava. Nominato dallo Zar Alessandro I ufficiale degli ussari della Guardia, a vent’anni, nel 1824, sposò Sofia Soltikov, una donna, profondamente religiosa, ortodossa, ma «cattolica nell’anima e nel cuore», che morirà a Venezia nel 1841. Da essa avrà due figli: Pietro e Elena.
La morte di Sofia spinse Šuvalov a studiare la religione. Un giorno si imbatté nel libro delle Confessioni di sant’Agostino: fu per lui una rivelazione. «Lo leggevo incessantemente, ne copiavo intere pagine, ne stendevo lunghi estratti. La sua filosofia mi riempiva di buoni desideri e di amore. Con quale trasporto di contentezza trovai in quel grand’uomo sentimenti e pensieri che fino allora avevano dormito nell’anima e che quella lettura ridestava». Trasferitosi a Parigi, il conte Šuvalov frequentava un gruppo di aristocratici russi convertiti alla Chiesa cattolica, grazie soprattutto al conte Joseph de Maistre (1753-1821), che dal 1802 al 1817 era stato ambasciatore del Re di Sardegna a Pietroburgo.
Tra questi erano Sophie Swetchine (1782-1857), il principe Ivan Gagarin(1814-1882) e il principe Teodoro Galitzin (1805-1848). Quest’ultimo, accorgendosi della profonda crisi spirituale dell’amico, lo aiutò a ritrovare la verità, consigliandogli la lettura e la meditazione del Du Pape di Joseph de Maistre. Leggendo l’opera del conte savoiardo, Šuvalov comprese come la prima nota della Chiesa è l’unità, e questa esige un suprema autorità, che non può essere altro che il Romano Pontefice. «Signore, tu dici: la mia Chiesa, e non le mie chiese. D’altra parte, la Chiesa deve conservare la verità; ma la verità è una; dunque la Chiesa non può essere che una. (…) Quando conobbi che non può esistere se non una sola vera Chiesa, compresi pure che questa Chiesa deve essere universale, cioè cattolica».
Šuvalov si recava ogni sera a Notre Dame per ascoltare le prediche del padre Francesco Saverio de Ravignan (1795-1858), un dotto gesuita che sarebbe diventato la sua guida spirituale. Il 6 gennaio 1843, festa dell’Epifania, Šuvalov abiurò l’ortodossia e fece la sua professione di fede cattolica nella Chapelle des Oiseaux. Egli aspirava però ad una più profonda dedicazione alla causa cattolica. Per mezzo di un giovane liberale italiano, Emilio Dandolo, incontrato per caso in treno, aveva conosciuto il padre Alessandro Piantoni, rettore del collegio Longone dei Barnabiti a Milano, che nel 1856 lo accolse nel noviziato dei Barnabiti a Monza, con il nome di Agostino Maria.
Nell’ordine fondato da sant’Antonio Maria Zaccaria (1502-1539) trovò un ambiente di profonda spiritualità. Scriveva al padre Ravignan: «Mi credo in Paradiso. I miei padri sono altrettanti santi, i novizi altrettanti angeli». Tra i giovani confratelli era Cesare Tondini de’ Quarenghi (1839-1907) che, più di ogni altro, avrebbe raccolto la sua eredità spirituale. Il 19 settembre 1857 Agostino Šuvalov fu ordinato sacerdote a Milano da monsignor Angelo Ramazzotti, futuro patriarca di Venezia.
Il giorno dell’ordinazione, all’elevazione del calice, innalzò a Dio questa supplica. «Mio Dio, fatemi degno di dare la vita e il sangue in unione al vostro per la glorificazione della beata Vergine Immacolata nella conversione della Russia». Fu questo il sogno della sua vita, che affidò all’Immacolata, di cui l’8 dicembre 1858 Pio IX proclamò il dogma. Ricevuto in udienza dal Papa, padre Šuvalov gli manifestò il desiderio di dedicare la sua vita al ritorno degli scismatici alla Chiesa di Roma. Nel memorabile incontro, «Pio IX mi parlò della Russia con quella fede, con quella speranza e con quella convinzione che hanno per appoggio la parola di Gesù, e con quella carità ardente da cui era mosso pensando ai suoi figli traviati, poveri orfani volontari. Queste sue parole mi infiammavano il cuore».
Padre Šuvalov si dichiarò pronto a fare il sacrificio della sua vita per la conversione della Russia. «Orbene, disse allora il Santo Padre, ripetete sempre dinanzi al crocifisso tre volte al giorno questa protesta; siate certo il vostro volere si compirà». Parigi fu campo del suo apostolato e della sua immolazione: vi si prodigò instancabilmente conquistando innumerevoli anime e dando vita alla Associazione di preghiere per il trionfo della beata Vergine Immacolata nella conversione degli scismatici orientali, e specialmente dei Russi, alla fede cattolica, detta comunemente l’Opera del padre Šuvalov.
Pio IX l’approvò con un breve del 1862 e padre Cesare Tondini ne fu l’infaticabile propagatore. Ma padre Šuvalov era morto a Parigi il 2 aprile 1859. Aveva appena terminato di scrivere la autobiografia Ma conversion et ma vocation (Parigi 1859). Il libro, che nell’Ottocento ebbe traduzioni e ristampe, è stato presentato in una nuova edizione italiana a cura dei padri Enrico M. Sironi e Franco M. Ghilardotti (La mia conversione e la mia vocazione, Grafiche Dehoniane, Bologna 2004) e da qui abbiamo tratto le nostre citazioni. Il padre Ghilardotti si è inoltre adoperato per riportare in Italia le spoglie del padre Šuvalov, che ora riposano nella chiesa di San Paolo Maggiore a Bologna, costruita nel 1611 dai padri Barnabiti. Ai piedi di un altare sormontato da una copia della Santa Trinità di Andrei Rublev, il più grande pittore russo di icone, padre Gregorio Agostino Maria Šuvalov attende l’ora della resurrezione.
Nella sua autobiografia il barnabita russo aveva scritto: «Quando l’eresia minaccia, quando la fede languisce, quando i costumi si corrompono e i popoli si addormentano sull’orlo dell’abisso, Dio, che tutto dispone con peso, numero e misura, per risvegliarli apre i tesori della sua grazia; e ora suscita in qualche oscuro villaggio un santo nascosto, la cui efficace preghiera trattiene il suo braccio pronto a punire; ora fa apparire sulla faccia dell’universo una splendida luce, un Mosé, un Gregorio VII, un Bernardo; ora ispira, per il concorso di qualche fatto miracoloso, passeggero o permanente, il pensiero di un pellegrinaggio o di qualche altra nuova devozione, nuova forse per la forma ma sempre antica nell’essenza, un culto commovente e salutare. Tale era stata l’origine della devozione al Sacro Cuore di Gesù. questo culto nato in mezzo a mille contraddizioni in un piccolo chiostro del villaggio di Paray-le-Monial…».
Tale, potremmo aggiungere, è l’origine della devozione al Cuore Immacolato di Maria, di cui la Madonna ha chiesto la propagazione cento anni fa, in un piccolo villaggio del Portogallo. A Fatima la Madonna annunciò la realizzazione del grande ideale di padre Šuvalov: la conversione della Russia alla fede cattolica. Un evento straordinario che appartiene al nostro futuro, e che farà risuonare nel mondo le misteriose parole della Scrittura che padre Šuvalov applica alla propria conversione: Surge qui dormis, surge a mortuis et iluminabit te Christus, «Alzati, tu che dormi fra i morti e Gesù Cristo ti illuminerà» (Ef 5, 14).

di Roberto de Mattei (31-05-2017)

AMDG et BVM

“La Russia sarà cattolica”/2

“La Russia sarà cattolica”/2

Questa la speranza — e la profezia — di padre Ivan Gagarin della Compagnia di Gesù.
di Roberto de Mattei (07-06-2017)
“La Russia sarà cattolica”. Il sogno di tanti convertiti russi dell’Ottocento, come il padre Šuvalov, costituì anche il titolo di un libro che fece scalpore nella sua epoca: La Russie sera-t-elle catholiquedel padre Ivan Gagarin della Compagnia di Gesù.
Ivan Sergeevič Gagarin nacque a Mosca il 20 luglio 1814 da una illustre casata principesca, discendente dai principi di Kiev. Fu addetto alla legazione russa a Monaco di Baviera e poi all’ambasciata di Parigi, dove partecipò alla vita intellettuale francese, frequentando il salotto di Sophie Swetchine. Sotto l’influenza della stessa Swetchine e di autori come Pëtr Jakovlevič Čaadaev (1794-1856), maturò la sua conversione al cattolicesimo. Il 7 aprile 1842 abiurò la religione ortodossa e abbracciò la fede cattolica, nelle mani del padre Francesco Saverio de Ravignan (1795-1858) che già aveva raccolto la conversione del conte Šuvalov. Ivan Gagarin rinunciava, a 28 anni, non solo ad un brillante avvenire politico e diplomatico, ma alla speranza di poter rientrare in patria.
Nella Russia degli Zar infatti, le conversioni al cattolicesimo costituivano un delitto paragonabile alla diserzione o al parricidio. L’abbandono dell’ortodossia per un’altra religione, anche cristiana, era punito con la perdita di tutti i beni, dei diritti civili e dei titoli nobiliari e prevedeva la reclusione a vita in un monastero o l’esilio in Siberia.
Un anno dopo Ivan, divenuto Jean Xavier Gagarin, sollecitò la sua ammissione nella Compagnia di Gesù e fu ammesso nel noviziato di St. Acheul. Iniziò un periodo di lunghi studi che si conclusero con l’ordinazione sacerdotale e la professione dei voti religiosi nell’ordine di sant’Ignazio di Loyola. Per il padre Gagarin, in cui uno zelo ardente si univa ad una viva intelligenza e ad un’educazione da gran signore, iniziò una nuova vita. Durante la guerra di Crimea, partecipò con il celebre matematico Augustin Cauchy (1789-1857) alla fondazione dell’opera della École d’Orient.
Verso la fine del 1856 fondò la rivista quadrimestrale Études de théologie, de philosophie et d’histoire che diventò la celebre rivista Études.Quando però, nel 1862, la pubblicazione fu rilevata dai gesuiti francesi, subì una trasformazione radicale. Mentre si apriva il Concilio Vaticano I, Études, a differenza della consorella romana Civiltà Cattolica, prese una posizione filo liberale che avrebbe conservato nel secolo successivo.
Il governo russo, che si proponeva di estirpare il cattolicesimo dalle provincie occidentali dell’Impero, considerò il principe Gagarin un nemico da eliminare. Fu accusato di avere scritto al poeta Aleksandr Sergeevič Puškin (1799-1837) delle lettere anonime che lo avrebbero esasperato, spingendolo a un duello in cui avrebbe trovato la morte. Recentemente una giovane storica polacca Wiktoria Sliwowska ha dimostrato che si trattava di una campagna di calunnie organizzata dalla Terza Sezione della Cancelleria Imperiale (L’Affaire Gagarine, Institutum Historicum Societatis Iesu, Roma 2014, pp. 31-72).
La Russie sera-t-elle catholique? Apparve a Parigi nel 1856. In quest’opera, il padre Gagarin si richiama alla solenne bolla di Benedetto XIV Allatae sunt del 26 luglio 1755,con la quale il Santo Padre manifestando «la benevolenza con la quale la Sede Apostolica abbraccia gli Orientali», «ordina che si conservino i loro antichi Riti che non si oppongono né alla Religione Cattolica né all’onestà; né chiede agli Scismatici, che tornano all’Unità Cattolica, di abbandonare i loro Riti, ma solo che abiurino le eresie, desiderando fortemente che i loro differenti popoli siano conservati, non distrutti, e che tutti (per dire molte cose con poche parole) siano Cattolici, non Latini».
Per ricondurre i popoli slavi all’unità – commenta padre Gagarin – bisogna rispettare i riti orientali, chiedere l’abiura degli errori contrari alla fede cattolica, ma soprattutto combattere la concezione politico-religiosa degli ortodossi. Per il gesuita russo, lo scisma ortodosso è in gran parte il risultato del “bizantinismo”, un concetto con cui egli intende la differenza di rapporti tra Chiesa e Stato che esistono nel mondo bizantino e in quello occidentale. Per Bisanzio non esiste la distinzione tra i due poteri.
La Chiesa viene di fatto subordinata all’Imperatore che se ne ritiene il capo, in quanto delegato di Dio sia nel campo ecclesiastico che in quello secolare. Gli autocrati russi, come gli imperatori bizantini, vedono nella Chiesa e nella religione un mezzo di cui servirsi per garantire e dilatare l’unità politica. Questo sciagurato sistema è fondato su tre pilastri: la religione ortodossa, l’autocrazia e il principio di nazionalità, all’insegna del quale sono penetrate in Russia le idee di Hegel e dei filosofi tedeschi. Ciò che si nasconde sotto le parole pompose di ortodossia, autocrazia e nazionalità, «non è altro che la forma orientale dell’idea rivoluzionaria del XIX secolo» (p. 74).
Gagarin intravede la ferocia con cui le idee rivoluzionarie saranno applicate nel suo Paese. Le pagine di Proudhon e di Mazzini appaiono ai suoi occhi gentili ed educate in confronto alla violenza degli agitatori russi. «È un contrasto che può servire a misurare la differenza tra come si comprende in Europa il principio rivoluzionario e come esso sarebbe messo in pratica in Russia» (pp. 70-71).
In una profetica pagina, il padre Gagarin scrive: «più si va a fondo delle cose, più si è portati a concludere che l’unica vera lotta è quella che esiste tra il Cattolicesimo e la Rivoluzione. Quando nel 1848 il vulcano rivoluzionario terrorizzava il mondo con i suoi ululati e faceva tremare la società, estirpandone le fondamenta, il partito che si dedicò a difendere l’ordine sociale e a combattere la Rivoluzione non ha esitato a scrivere sulla sua bandiera: Religione, Proprietà, Famiglia, e non ha esitato ad inviare un esercito per riportare sul trono il Vicario di Cristo, costretto dalla Rivoluzione a prendere la via dell’esilio. Aveva perfettamente ragione; non ci sono che due princìpi uno di fronte all’altro: il principio rivoluzionario, che è essenzialmente anti-cattolico e il principio cattolico, che è essenzialmente anti-rivoluzionario. Nonostante tutte le apparenze contrarie, nel mondo non ci sono che due partiti e due bandiere, Da una parte la Chiesa cattolica innalza lo stendardo della Croce, che conduce al vero progresso, alla vera civiltà, e alla vera libertà; dall’altra si leva lo stendardo rivoluzionario, attorno a cui si raccoglie la coalizione di tutti i nemici della Chiesa. Ora, che fa la Russia? Da una parte essa combatte la Rivoluzione, dall’altra combatte la Chiesa cattolica. Sia all’esterno che all’interno, ritroverete la stessa contraddizione. Non esito a dire che ciò che fa il suo onore e la sua forza è di essere l’avversario incrollabile del principio rivoluzionario. Ciò che fa la sua debolezza è di essere, allo stesso tempo, l’avversario del Cattolicesimo. E se essa vuole essere coerente con sé stessa, se vuole veramente combattere la Rivoluzione, non ha che da prendere una decisione, schierarsi dietro lo stendardo cattolico e riconciliarsi con la Santa Sede» (La Russie sera-t-elle catholique?Charles Douniol, Paris 1856, pp. 63-65).
La Russia non raccolse l’appello e la Rivoluzione bolscevica, dopo aver sterminato i Romanov, diffuse i suoi errori nel mondo. La cultura abortista e omosessualista che oggi conduce l’Occidente alla morte ha le sue radici nella filosofia marx-hegeliana, affermatasi in Russia nel 1917. La sconfitta degli errori rivoluzionari non potrà essere portata a termine, in Russia e nel mondo, che sotto gli stendardi della Chiesa cattolica.
Le idee del padre Gagarin colpirono il barone tedesco August von Haxthausen (1792-1866), che con l’appoggio dei vescovi di Münster e di Paderborn fondò una Lega di preghiere, chiamata Petrusverein,Unione di San Pietro. per la conversione della Russia. Un’associazione analoga sotto l’impulso dei padri barnabiti Šuvalov e Tondininacque in Italia e in Francia. Agli iscritti di queste associazioni veniva raccomandato di pregare per la conversione della Russia tutti i primi sabati del mese.
Il 30 aprile 1872 Pio IX accordò con un suo Breve l’indulgenza plenaria a tutti coloro che, confessati e comunicati, assistevano il primo sabato del mese, alla Messa celebrata per il ritorno della Chiesa greco-russa all’unità cattolica. La Madonna gradì certamente questa devozione, perché a Fatima, nel 1917, raccomandò la pratica riparatrice dei primi cinque sabati del mese come strumento dell’instaurazione del suo Regno in Russia e nel mondo.
AMDG et BVM