martedì 28 novembre 2017

"SONO L'ARALDO DEL GRAN RE!"


LA SCOPERTA DELLA 
FORMA DI VITA DEL VANGELO 

Francesco, vestito con un mantello povero di un giardiniere del vescovo, lasciò la città di Assisi con grande gioia. Egli si riteneva adesso un ioculator/giocoliere Domini, un giullare del Signore. Le vecchie canzoni d’amore che conosceva in francese gli ritornavano alla mente, e camminava cantando e saltando con gioia, applicando le parole all’amore di Dio e alla sua novella sposa, Madonna Povertà. Di questo amore che Francesco ebbe per la povertà, tanto che entra con lei in una relazione amorosa e cortese, abbiamo un esempio bellissimo nella allegoria intitolata Il Sacro Commercio di San Francesco con Madonna Povertà.Vestito di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, se ne va per una selva, cantando le lodi di Dio in francese. Ad un tratto, alcuni manigoldi si precipitano su di lui, domandandogli brutalmente chi sia. L’uomo di Dio risponde impavido e sicuro: “Sono l’araldo del gran Re; vi interessa questo?” Quelli lo percuotono e lo gettano in una fossa piena di neve, dicendo: “Stattene lì, zotico araldo di Dio!” Ma egli, rivoltandosi di qua e di là, scossasi di dosso la neve, appena i briganti sono spariti, balza fuori dalla fossa e, tutto giulivo, riprende a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore di tutte le cose” (1C 16).
Era l’atteggiamento dell’uomo nuovo, Francesco. Per tutta la vita non aveva vergogna di essere ritenuto un pazzo, per amore del suo Signore. Ai frati dotti che, molto più tardi, volevano convincerlo di abbracciare la Regola di S. Agostino, o quella di S. Benedetto o di S. Bernardo, Francesco risponde con tono severo e convinto: “Il Signore mi ha detto che questo egli voleva: che io fossi nel mondo un ‘novello pazzo’: e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza!” [CA] 18).

Dopo un giorno di cammino, alla sera arriva ad un monastero, la Badia Benedettina di San Verecondo, oggi Vallingegno, sulla strada che da Assisi porta a Gubbio. Lì Francesco trova la prima ospitalità da povero presso i Benedittini, che in altre occasioni dovevano mostrarsi molto cortesi e gentili con lui. Ma non questa volta, e forse non a torto, considerando che Francesco appariva veramente un accattone che girava per le strade. Tuttavia, qualche tempo dopo, divulgandosi ovunque la fama di Francesco, il priore di quel monastero, pentitosi del trattamento usatogli, venne a chiedergli perdono, in nome del Signore, per sé e per i suoi confratelli (1C 16).

Ecco il racconto della prima visita di Francesco ad un monastero di Benedettini: Finalmente arriva ad un monastero, dove rimane parecchi giorni a far da sguattero di cucina. Per vestirsi ha un semplice camiciotto e chiede per cibarsi almeno un po’ di brodo; ma non trovando pietà e neppure qualche vecchio abito, riparte, non per sdegno, ma per necessità, e si porta nella città di Gubbio. Qui da un vecchio amico riceve in dono una povera tonaca (1C 16). A Gubbio Francesco conosceva un ricco amico, Federico Spadalunga, e chiede a lui accoglienza. Federico non solo offre un riparo a Francesco ma anche dei vestiti poveri, che certamente Francesco insiste di avere, rifiutando vestiti più soffici che il suo amico avrebbe voluto dargli. La casa di Federico Spadalunga si trovava nel posto dove oggi sorge la chiesa di San Francesco a Gubbio. 

Anche a Gubbio, Francesco venne in contatto con i lebbrosi. Poi, come vero amante della umiltà perfetta, il Santo si reca tra i lebbrosi, e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulenti, come egli stesso dice nel suo Testamento: “Quando ero ancora nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse tra loro e con essi usai misericordia” (1C 17). Il soggiorno a Gubbio non durò a lungo, e Francesco ritornò ad Assisi.

Sapeva che aveva ancora un debito da pagare, questa volta a Cristo. Doveva cominciare a riparare la chiesa di San Damiano. L’invito del crocifisso, infatti, era stato urgente. Da oblato penitente, Francesco diventa adesso un eremita penitente, che si dedica a restaurare la chiesetta di San Damiano con le proprie mani, e senza soldi.

Adesso si doveva chiedere l’aiuto ai cittadini di Assisi. Così iniziò la prima grande sfida di Francesco davanti ai suoi concittadini. Di ritorno alla chiesa di San Damiano, tutto felice e fervente, si confezionò un abito da eremita e confortò il prete di quella chiesa con le stesse parole d’incoraggiamento rivolte a lui dal vescovo. Indi, rientrando in città, incominciò ad attraversare piazze e strade, elevando lodi al Signore con l’anima inebriata. Come finiva le lodi, si dava da fare per ottenere le pietre necessarie al restauro della chiesa. Diceva: “Chi mi dà una pietra, avrà una ricompensa; chi due pietre, due ricompense; chi tre, altrettante ricompense!” Molti si facevano gioco di lui, persuasi che gli avesse dato di volta il cervello; altri invece erano impietositi fino alle lacrime, vedendo quel giovane passato così rapidamente da una vita di piaceri e di capricci a una esistenza trasfigurata dall'ebrezza dell’amore divino ... Quanto abbia tribolato in quei restauri, sarebbe lungo e difficile raccontarlo. Abituato a ogni delicatezza nella casa paterna, eccolo ora portare pietre sulle spalle, soffrendo molti sacrifici per servire Dio (L3C 21).
I Tre Compagni ci riferiscono che il povero prete di San Damiano cercava di procurare del cibo buono e delicato per Francesco, vedendolo lavorare con tanto slancio, e sapendo che lui proveniva da una famiglia dabbene. Ma questo non era sempre possibile al povero don Pietro, e Francesco si accorse subito che il sacerdote si stava dando da fare oltre i suoi limiti per procurargli il vitto. Si ricordò che Cristo era povero, e disse a sé stesso: “Come il mendicante va di porta in porta con la scodella in mano e, spinto dalla necessità, vi raccoglie avanzi di cibi diversi, così devi cominciare a fare anche tu, per amore di Cristo che, nato nella povertà, visse poverissimo nel mondo, restò nudo e povero sul patibolo e venne sepolto in una tomba non sua”. Prese dunque una scodella, entrò in città e cominciò ad accattare di uscio in uscio, mettendo insieme gli avanzi di alimenti diversi. Stupivano molti, ricordando come dinanzi era vissuto da signore e vedendolo ora cambiato fino a questo punto. Quando volle mangiare quell’intruglio, la prima reazione fu la nausea; una volta, nonché mangiare quella incresciosa poltiglia, non avrebbe nemmeno resistito a guardarla. Ma seppe vincere la ripugnanza e cominciò a mangiare; gli sembrò di provarci più gusto che non ad assaporare una squisitezza ... Ringraziò il Signore che aveva mutato l’amarezza in dolcezza (L3C 22).
Quando andava in città a chiedere l’elemosina per la chiesa di San Damiano e anche per chiedere qualcosa da mangiare, doveva per forza incontrare suo padre. Assisi, al tempo di Francesco, era più piccola di quanto è adesso, e nelle viuzze e vicoli stretti le voci correvano. Appena si vide Francesco salire in città per mendicare, i più malintenzionati avrebbero avvisato Pietro di Bernardone, più che altro, per umiliarlo. Suo padre, a vederlo caduto in uno stato così miserabile, era in preda a cupo dolore. Lo aveva amato ardentemente; ma adesso, per l’umiliazione e il dispiacere che provava vedendolo così cadaverico per le privazioni e il freddo, lo copriva di maledizioni ogni volta che lo incontrava. L’uomo di Dio, ferito dalle maledizioni paterne, scelse come padre un poverello disprezzato e gli disse: “Vieni con me, e ti darò parte delle mie elemosine. Quando vedrai mio padre maledirmi, io ti dirò: Benedicimi, o padre! E tu farai su di me il segno della croce e mi benedirai al suo posto”. Mentre il povero lo benediceva così, l’uomo di Dio diceva a suo padre: “Non credi che il Signore possa darmi un padre che, contro le tue maledizioni, mi copra di benedizioni?”

Un mattino d’inverno, mentre pregava coperto di miseri indumenti, il suo fratello carnale (si chiamava Angelo), passandogli vicino, osservò con ironia rivolgendosi a un concittadino: “Di’ a Francesco che ti venda almeno un soldo del suo sudore!” L’uomo di Dio, sentite le parole beffarde, fu preso da gioia sovrumana e rispose in francese: “Venderò questo sudore, e molto caro, al mio Signore” (L3C 23).
       Il crocifisso di San Damiano aveva una lampada che ardeva giorno e notte. La prima volta che Francesco si era accorto della povertà di quella chiesa, aveva offerto al sacerdote i soldi per comprare l’olio, ma adesso sapeva che doveva mendicare l’olio per la lampada del crocifisso. Un giorno stava in città a mendicare l’olio, e capitato nei pressi d’una casa, vi scorse degli uomini riuniti a giocare. Vergognandosi di chiedere l’elemosina davanti a loro (erano tutti i suoi amici di prima), tornò sui suoi passi. Pensandoci su, si rimproverò di aver peccato di viltà. Corse là dove si giocava e confessò alla presenza di tutti che, per rispetto umano, si era vergognato di chiedere la carità. Poi entrò in quella casa e, parlando francese, domandò per amore di Dio l’olio necessario per le lampade della chiesa (L3C 24).

Il periodo di restauro della chiesa di San Damiano era forse uno dei più belli per Francesco. Marcava gli inizi di una nuova avventura, in cui egli era sempre pieno di gioia, anche se soffriva una povertà intensa. Un fatto molto interessante che accadde proprio in questo periodo, e che viene riportato anche da Santa Chiara nel suo Testamento, racconta come Francesco abbia profetizzato l’inizio della vocazione delle Povere Dame che sarebbero vissuti proprio a San Damiano: C’erano anche altre persone ad aiutarlo nei restauri. Francesco, luminoso di gioia, diceva a voce alta in francese, ai vicini e a quanti transitavano di là: “Venite, aiutatemi in questi lavori! Sappiate che qui sorgerà un monastero di signore, e per la fama della loro santa vita, sarà glorificato in tutta la chiesa il nostro Padre celeste”. Era animato da spirito profetico, e preannunciò quello che sarebbe accaduto in realtà. Fu appunto nel sacro luogo di San Damiano che prese felicemente avvio, ad iniziativa di Francesco, a circa sei anni dalla sua conversione, l’Ordine glorioso e ammirabile delle povere donne e sacre vergini (L3C 24).

Così, Francesco trascorse il periodo dalla primavera o inizio dell’estate 1206 fino all’1208  restaurando la chiesa di San Damiano, vivendo da eremita e penitente insieme con il povero sacerdote che la ufficiava.
      Nello stesso periodo, tuttavia, Francesco restaurò altre due chiese abbandonate nella campagna fuori di Assisi, la chiesa di San Pietro della Spina, che sorgeva vicino a dei possedimenti terreni della sua famiglia, e la  chiesetta di Santa Maria degli Angeli, chiamata della Porziuncola, che si trovava in un bosco nella pianura sotto Assisi. In questa chiesetta Francesco fece un salto di qualità, quando il Signore gli rivelò che doveva vivere secondo la forma di vita degli apostoli. La cappellina di Santa Maria degli Angeli della Porziuncola era proprietà del monastero di San Benedetto al monte Subasio. Secondo gli studi dello storico Arnaldo Fortini, fu costruita prima del 1145. -Non sembra vera la notizia che fa risalire la costruzione della cappella ad un gruppo di pellegrini provenienti dalla Terra Santa, che avrebbero portato lì delle reliquie dalla tomba della Vergine nella Valle di Giosafat.- Il nome Porzuncle appare in un documento degli archivi della cattedrale, datato 1045. Perciò la chiesetta era già antica quando Francesco mise mano alla sua restaurazione. In questo luogo, che doveva occupare una posizione di rilievo assoluto nella nascita della fraternità dei Minori, Francesco venne in contatto con la apostolica vivendi forma, o la forma di vita degli apostoli, che doveva guidarlo nelle sue scelte future.
Il fatto accadde o il giorno 12 ottobre 1207, festa di San Luca, evangelista, oppure più probabilmente il giorno 24 febbraio 1208, festa di San Mattia, apostolo. In questi giorni veniva letto il brano del vangelo di Mt 10,7-10, riportato dalle Fonti.

Un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di predicare, il Santo, che era presente e ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo “non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza” subito, esultante di Spirito Santo, esclamò: “Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore”. S’affretta allora il padre santo, tutto pieno di gioia, a realizzare il salutare ammonimento; non sopporta indugio alcuno a mettere in pratica fedelmente quanto ha sentito: si scioglie dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura con una corda. Da quell’istante confeziona per sé una veste che riproduce l’immagine della croce, per tener lontane tutte le seduzioni del demonio; la fa ruvidissima, per crocifiggere la carne e tutti i suoi vizi (Gal 5,24) e peccati, e talmente povera e grossolana da rendere impossibile al mondo invidiargliela (1C 22).
          Da quel momento Francesco comprese che la sua chiamata era quella di vivere secondo il modello di vita di Cristo e gli apostoli, e cioè, uno stile di vita itinerante e povera, predicando il regno di Dio e la pace a tutti. Come egli stesso ebbe a confidare più tardi (nel suo Testamento, 23), aveva appreso da rivelazione divina questo saluto: “Il Signore ti dia pace!” Questo nuovo stile di vita non poteva rimanere nascosto agli occhi dei concittadini. Dopo due anni in cui Francesco viveva come eremita penitente alla chiesetta di San Damiano, come egli stesso dice nel Testamento: Il Signore mi dette dei fratelli. Comincia, così, a nascere e crescere la primitiva fraternità dei penitenti oriundi di Assisi, che diventerà l’Ordine dei Frati Minori.

AMDG et BVM

Questo è solo tempo di preghiera.


29.XI.2017 (I)
NOVENA 
DELL'IMMACOLATA

Dongo, 19 dicembre 1973.
Il trionfo del mio Cuore Immacolato.

«Questa mattina, o figlio, sei venuto con la tua mamma nel mio Santuario, davanti all'immagine della Madonna delle Lacrime, che tu fin da piccolo hai sempre amato e venerato, per celebrare la Santa Messa nel ricordo del nono anniversario della tua Ordinazione sacerdotale. 
È stato un regalo che ti ho voluto fare: tornare in questo giorno con tua madre davanti a Me, che sempre ti ho guardato con occhi di predilezione, che Ti ho prescelto ancora da bambino, che sempre ti ho condotto per
mano. 
Mai e poi mai ti ho abbandonato, anche quando il mio Avversario si è scatenato contro di te e ti ha strappato a Me, ed era ormai sicuro di aver vinto per sempre. 
Per questo allora hai dovuto molto soffrire; hai dovuto camminare spesso nell'oscurità e nell'abbandono, quasi disperato che Io non sentissi il tuo pianto e le tue grida di aiuto.
Ma tutto è stato per un mio grande disegno: ti pare ora di intravedere qualcosa e il tuo cuore è inondato di gioia. Ma il più bello, il più importante, o figlio, deve ancora accadere. 
Ti ho scelto e ti ho preparato per il trionfo del mio Cuore Immacolato nel mondo, e questi sono gli anni in cui porterò a compimento il mio disegno. Sarà stupore agli stessi Angeli di Dio; gioia ai Santi del Cielo; consolazione e conforto grande a tutti i buoni della terra. Misericordia e salvezza per il grande numero dei miei figli smarriti; condanna severa e definitiva a Satana ed ai suoi molti seguaci. 
Nello stesso momento infatti in cui Satana si sarà assiso quale signore del mondo e si sentirà ormai vincitore sicuro, Io stessa gli strapperò dalle mani la preda. Si troverà per incanto a mani vuote e all'ultimo la vittoria sarà soltanto di mio Figlio e mia: questo sarà il trionfo del mio Cuore Immacolato nel mondo. 
Sapessero tutti i Sacerdoti del mio Movimento con quale cura sono stati da Me prescelti, lavorati e plasmati per prepararli a questo grande compito! 
Ogni cosa -- anche la più insignificante -- nella loro vita ha un suo preciso e profondo significato. Perciò si abitui ciascuno a leggere con Me nel libro stupendo della propria esistenza. 
Io darò ad essi il dono della Sapienza del Cuore, e comprenderanno con Me il perché di ogni loro cosa. 
Il perché di molte loro incomprensioni; il perché delle loro sofferenze, il perché dei loro abbandoni, il perché anche delle loro cadute. Oh, quanti momenti di buio e di agonia hanno dovuto provare nella loro esistenza questi figli da Me prediletti! 
Ma sono stati per essi momenti necessari e fecondi: perché Io prendessi più possesso di loro; perché li distaccassi da ogni cosa: dal loro modo di vedere, di sentire, dai facili attaccamenti alle cose, ai risultati, al bene, alla buona riuscita; perché imparassero ad essere miei, a vivere solo
per Me, attuando sempre i miei desideri. 
Ho voluto che avessero come l'impressione di essere dei buoni a nulla, di essere ritenuti poca cosa. Ho fatto ad essi il grande dono dell'umiltà del cuore, dell'infanzia dello spirito, perché potessero sentirsi soltanto miei e perdessero così l'appoggio e la confidenza in ogni altra cosa che non sia Io stessa. 
Ma sarà con questi miei poveri figli, derisi e calpestati, che Io attuerò il mio grande disegno. 
Perciò ciascuno si affidi totalmente e in ogni momento a Me: Io parlerò e dirò ad essi i miei desideri. 
Non abbiate paura per le difficoltà e le incomprensioni che troverete sul vostro cammino. Io sarò sempre con voi e voi, nonostante tutto, sarete sempre nella gioia. Per vincere la battaglia che si approssima vi voglio dare un'arma: la preghiera. 
Dimenticate ogni altra cosa e abituatevi ad usare solo quest'arma. I tempi decisivi sono giunti e non c'è più tempo per certe cose vane e superflue.    Non è più tempo di inutili discussioni, non è più tempo di chiacchiere e di progetti: questo è solo tempo di preghiera. 
Sacerdoti del mio Movimento, offritevi a Me, perché Io stessa, in voi e con voi, possa sempre pregare e intercedere presso mio Figlio per la salvezza del mondo. 
Ho bisogno di voi e della vostra preghiera per attuare il grande disegno del trionfo del mio Cuore Immacolato nel mondo».

AMDG et BVM

Litanie del Santissimo Nome di Gesù

Litanie al Santissimo Nome di Gesù

Gesù, Figlio del Dio vivo,
abbi pietà di noi

Gesù, splendore del Padre
abbi pietà di noi

Gesù, vera luce eterna
abbi pietà di noi

Gesù, re di gloria
abbi pietà di noi

Gesù, sole di giustizia
abbi pietà di noi

Gesù, figlio della Vergine Maria
abbi pietà di noi

Gesù, amabile
abbi pietà di noi

Gesù, ammirabile
abbi pietà di noi

Gesù, Dio forte
abbi pietà di noi

Gesù, padre del secolo futuro
abbi pietà di noi

Gesù, angelo del gran consiglio
abbi pietà di noi

Gesù, potentissimo
abbi pietà di noi

Gesù, pazientissimo
abbi pietà di noi

Gesù, obbedientissimo
abbi pietà di noi

Gesù, mite ed umile di cuore
abbi pietà di noi

Gesù, amante della castità
abbi pietà di noi

Gesù, che tanto ci ami
abbi pietà di noi

Gesù, Dio della pace
abbi pietà di noi

Gesù, autore della vita
abbi pietà di noi

Gesù, esempio di ogni virtù
abbi pietà di noi

Gesù, che vuoi la nostra salvezza
abbi pietà di noi

Gesù, nostro Dio
abbi pietà di noi

Gesù, nostro rifugio
abbi pietà di noi

Gesù, padre di ogni povero
abbi pietà di noi

Gesù, tesoro di ogni credente
abbi pietà di noi

Gesù, buon pastore 
abbi pietà di noi

Gesù, vera luce
abbi pietà di noi

Gesù, eterna sapienza
abbi pietà di noi

Gesù, infinita bontà
abbi pietà di noi

Gesù, nostra via e nostra vita
abbi pietà di noi

Gesù, gioia degli angeli
abbi pietà di noi

Gesù, re dei patriarchi 
abbi pietà di noi

Gesù, maestro degli apostoli
abbi pietà di noi

Gesù, luce degli evangelisti.
abbi pietà di noi

Gesù, fortezza dei martiri
abbi pietà di noi

Gesù, sostegno dei confessori
abbi pietà di noi

Gesù, purezza delle vergini
abbi pietà di noi

Gesù, corona di tutti i santi
abbi pietà di noi

Sii a noi propizio
perdonaci, Gesù

Sii a noi propizio
ascoltaci, Gesù

Da ogni peccato
liberaci, Gesù

Dalla tua giustizia
liberaci, Gesù

Dalle insidie del maligno
liberaci, Gesù

Dallo spirito impuro
liberaci, Gesù

Dalla morte eterna
liberaci, Gesù

Dalla resistenza alle tue ispirazioni
liberaci, Gesù

Per il mistero della tua santa incarnazione
liberaci, Gesù

Per la tua nascita
liberaci, Gesù

Per la tua infanzia
liberaci, Gesù

Per la tua vita divina
liberaci, Gesù

Per il tuo lavoro
liberaci, Gesù

Per la tua agonia e per la tua passione
liberaci, Gesù

Per la tua croce e il tuo abbandono
liberaci, Gesù

Per le tue sofferenze
liberaci, Gesù

Per la tua morte e sepoltura
liberaci, Gesù

Per la tua resurrezione
liberaci, Gesù

Per la tua ascensione
liberaci, Gesù

Per averci dato la SS. Eucaristia
liberaci, Gesù

Per le tue gioie
liberaci, Gesù

Per la tua gloria
liberaci, Gesù

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo,
perdonaci o Signore

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo,
esaudiscici o Signore

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo,
abbi pietà di noi


Preghiamo. Guarda, o Padre, questa tua famiglia, che onora il santo Nome di Gesù tuo Figlio; donaci di gustare la sua dolcezza in questa vita, per godere la felicità eterna nella patria del cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo…


"Quae sursum sunt sapite, non quae super terram"
Gustate le cose supreme, non quelle della terra
Colossesi 3,2

AMDG et BVM

INCREDIBILE!!!

1.


2.

*
Per rispolverare un Video che facilmente scordiamo



lunedì 27 novembre 2017

“È vero. Sognavo di prendermi in sposa la ragazza più nobile, ricca e bella che mai abbiate visto”. --- "Francesco! Va' e ripara la mia Chiesa!"


FRANCESCO d'Assisi 
e LE SUE CONVERSIONI 

Il ritorno a casa dopo la notte insonne a Spoleto poteva inizialmente sembrare una disfatta per Francesco e anche per suo padre, che avrebbe speso tanti soldi per dare il migliore vestiario e la migliore cavalcatura a suo figlio, e dimostrare agli altri cittadini di Assisi quanto fosse generoso e ricco. Non sappiamo come Francesco prese questa sua apparente disfatta, anche se la L3C 6, come abbiamo visto, dice che lui ritornò ad Assisi lieto ed esultante. 

Sta di fatto che, dopo pochi giorni, si assimilò di nuovo nella compagnia dei suoi amici, e continuò a sognare di fare grandi cose, questa volta, nel contesto locale della sua città. 
Una delle occasioni annuali di festa nella città di Assisi è, ancora oggi, la festa di San Vittorino, martire, un santo che gli Assisani considerano come compatrono. I suoi resti sono sepolti sotto l’altare della chiesa abbaziale di San Pietro, dei monaci Benedettini. 
La festa segnava l’inizio dell’estate, ed era una tradizione che i giovani della città scegliessero uno di loro per fare la parte del principe della festa, consegnandogli uno scettro come segno della sua autorità. Loro obbedivano a tutto quello che lui comandava e, di solito, si alzarono da tavola mezzo ubriachi per andare per le vie della città a far trambusto con i loro canti tutta la notte. 

Era chiamata la festa dei tripudianti. Francesco sembra che fosse stato scelto più di una volta come principe della festa, per il semplice motivo che aveva un carattere gioviale e, oltretutto, poteva pagare tutte le spese della festa. Quella volta, tuttavia, e cioè, la festa di giugno 1205, doveva essere la sua ultima festa con gli amici. Tornato che fu dunque ad Assisi, dopo alcuni giorni, i suoi amici lo elessero una sera loro signore, perché organizzasse il trattenimento a suo piacere. Egli fece allestire, come tante altre volte, una cena sontuosa. 
Terminato il banchetto, uscirono da casa. Gli amici gli camminavano innanzi; lui, tenendo in mano una specie di scettro, veniva per ultimo, ma invece di cantare, era assorto nelle sue riflessioni. D’improvviso, il Signore lo visitò, e n’ebbe il cuore riboccante di tanta dolcezza, che non poteva muoversi né parlare, non percependo se non quella soavità, che lo estraniava da ogni sensazione, così che (come poi ebbe a confidare lui stesso) non avrebbe potuto muoversi da quel posto, anche se lo avessero fatto a pezzi. 
Gli amici, voltandosi e scorgendolo rimasto così lontanto, lo raggiunsero e restarono trasecolati nel vederlo mutato quasi in un altro uomo. Lo interrogarono: “A cosa stavi pensando, che non ci hai seguito? Almanaccavi forse di prender moglie?” Rispose con slancio: “È vero. Stavo sognando di prendermi in sposa la ragazza più nobile, ricca e bella che mai abbiate visto”. I compagni si misero a ridere. 
Francesco disse questo non di sua iniziativa, ma ispirato da Dio. 
E in verità la sua sposa fu la vita religiosa, resa più nobile e ricca e bella dalla povertà (L3C 7). Questa era la sua ultima serenata con gli amici. Era la notte in cui Francesco s’innamorò con la ragazza misteriosa dei suoi sogni. Era la ragazza che sempre sognava di conquistare. Solo che aveva sbagliato metodo. Prima pensava di conquistarla con le ricchezze, con gli onori e la gloria che porta la vittoria della guerra, con i titoli cavallereschi, con le canzoni della cultura cortese che conosceva a memoria. Adesso, tutto ad un tratto, si accorse che quella ragazza irraggiungibile poteva essere conquistata in un modo nuovo, diverso. 

Cominciava a cercare, nel buio della sua anima angosciata, la luce che lo avrebbe portato fuori dalle sue incertezze nella luce della gioia della conquista. 

Ma doveva faticare molto prima di raggiungere il traguardo. 

Non fu così facile scoprire chi era quella ragazza. 

Anche se i Tre Compagni portano subito il significato dell’esperienza di Francesco sul piano spirituale teologico (la ragazza era la vita religiosa, o anche Madonna Povertà), a questo punto della sua vita questi ideali rimanevano ancora irraggiungibili. 

Francesco passò attraverso un periodo di grande incertezza spirituale, che si delinea come periodo di conversioni e che, come abbiamo già notato, va dal 1205 fino al 1208 circa. Francesco scoprì la sua chiamata come a tentoni, pian piano, scorgendo in ogni esperienza che fece una scintilla di quella fiamma che doveva riscaldare il suo cuore per innamorarsi una volta per tutte di quella ragazza dei suoi sogni. 

Cercava la solitudine. Egli, che prima era sempre con gli amici, che non poteva rimanere a casa senza correre fuori appena lo chiamavano, tanto che saltava i pasti per raggiungerli al più presto, cominciò adesso a sentire noia delle solite feste. Si tirava in disparte, e cominciò a scorgere che le mura della sua città nascondevano altre facce, meno note, ma non meno belle. Le facce dei poveri. Aveva sempre beneficato i bisognosi, ma da quel momento si propose fermamente di non rifiutare mai l’elemosina al povero che la chiedesse per amore di Dio, e anzi di fare elargizioni spontanee e generose. 
A ogni misero che gli domandasse la carità, quando Francesco era fuori casa, provvedeva con denaro; se ne era sprovvisto, gli regalava il cappello o la cintura, pur di non rimandarlo a mani vuote. 
O essendo privo di questi, si ritirava in disparte, si toglieva la camicia e la faceva avere di nascosto all’indigente, pregandolo di prenderla per amore di Dio. 
Comperava utensili di cui abbisognano le chiese, e segretamente li donava ai sacerdoti poveri (L3C 8). Il cuore grande e generoso di Francesco si apriva, come dice questo passo, verso tutti i mendicanti, ma anche a donare la carità ai sacerdoti poveri che stavano nelle piccole chiese della campagna. 

Al tempo di Francesco, anche la gerarchia della Chiesa risentiva della struttura delle classi sociali dei ricchi e dei poveri. I vescovi, i monaci nelle loro abbazie, i canonici nelle cattedrali, erano l’alto clero, con rendite fisse e benefici che erano sempre il motivo di contese a non finire riguardo a terreni e proprietà. 
Il clero incolto, ignorante, povero e senza rendite, doveva vivere alla meno peggio nelle chiese povere della campagna, molte volte sprovviste del necessario, e cercare di guadagnarsi da vivere in tutti i modi. La mancanza di formazione del clero era la ragione di molti guai, come la simonia e il concubinaggio, che erano abbastanza comuni e si vedevano pubblicamente nel caso dei poveri preti. Francesco, come dice nel Testamento, aveva sempre una predilezione particolare per i poveri sacerdoti e per le loro povere chiese. 

Nel frattempo, Francesco decise di intraprendere un pellegrinaggio a Roma, per visitare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Nel medioevo era considerato un atto di penitenza e di devozione il compiere pellegrinaggi a santuari famosi, tra cui le tombe degli apostoli a Roma, il santuario dell’arcangelo San Michele sul Monte Gargano, il santuario di San Giacomo di Compostella nella Galizia, la cattedrale di Canterbury, in Inghilterra, dove si venerava San Tommaso Becket, arcivescovo e martire (1170) e, per i più avventurosi e fortunati, la Terra Santa

Sappiamo, per esempio, che Ortolana, la mamma di Santa Chiara, per devozione si recò oltremare in pellegrinaggio e visitò quei luoghi eccezionali, che Dio fatto uomo ha santificato con le sue sacre orme, ritornandone infine indietro nella gioia (Leggenda di Santa Chiara, 1). 

Ecco allora che si capisce come il giovane Francesco, in cerca di una identità spirituale più chiara, si reca a Roma per compiere un atto di venerazione verso gli apostoli Pietro e Paolo. Ed fu proprio a Roma, la città che doveva poi visitare più volte per andare dal Papa, che Francesco venne in contatto di nuovo con i poveri. 

Avvenne in quel torno di tempo che Francesco si recasse a Roma in pellegrinaggio. Entrato nella basilica di San Pietro notò la spilorceria di alcuni offerenti, e disse fra sé: “Il principe degli Apostoli deve essere onorato con splendidezza, mentre questi taccagni non lasciano che offerte striminzite in questa basilica, dove riposa il suo corpo”. E in uno scatto di fervore, mise mano alla borsa, la estrasse piena di monete di argento che, gettate oltre la grata dell’altare, fecero un tintinnio così vivace, da rendere attoniti tutti gli astanti per quella generosità così magnifica. 
Uscito, si fermò davanti alle porte della basilica, dove stavano molti poveri a mendicare, scambiò di nascosto i suoi vestiti con quelli di un accattone. E sulla gradinata della chiesa, in mezzo agli altri mendichi, chiedeva l’elemosina in lingua francese (L3C 10). 
Francesco aveva fatto una nuova vittoria su sé stesso. Aveva sperimentato che cosa significa esser povero e chiedere l’elemosina. 

Forse il suo era un gesto eccentrico di un giovane pieno di entusiasmo, ma era un gesto che non dimenticò mai più, tanto che molti anni più tardi, nella Regola non bollata del 1221, scrive ai suoi frati: "E devono essere lieti, quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada" (cap. IX,2). 
Il gesto di stare da povero con i mendicanti era certamente coraggioso, ma non così incisivo da lasciare un forte cambiamento nel cuore di Francesco.

Invece, l’incontro con il lebbroso, che avvenne probabilmente nell’autunno del 1205, lasciò un marchio nel suo animo che non si cancellò mai più. Perfino, prima di morire nel 1226, quando dettò il suo Testamento, disse ai frati queste parole: 
"Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo". 

Lasciamo ai Tre Compagni il racconto di quello che accadde nella pianura sotto Assisi, vicino all’ospedale dei lebbrosi, chiamato San Lazzaro dell’Arce. Oggi non esiste più nulla di questo posto, se non una piccola cappellina tra la Porziuncola e Rivotorto, dedicata a Santa Maria Maddalena. Era uno dei vari posti di rifugio dei lebbrosi, di coloro che erano il terrore di tutti, e che perciò dovevano restare isolati lontano dal mondo civile. 

Francesco, mentre un giorno cavalcava nei paraggi di Assisi, incontrò sulla strada un lebbroso. Di questi infelici egli provava un invincibile ribrezzo; ma stavolta, facendo violenza al proprio istinto, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro baciandogli la mano. E ricevendone un bacio di pace, risalì a cavallo e seguitò il suo cammino. Da quel giorno cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo, fino al punto di sapersi vincere perfettamente, con l’aiuto di Dio.  Trascorsi pochi giorni, prese con sé molto denaro e si recò all’ospizio dei lebbrosi; li riunì e distribuì a ciascuno l’elemosina, baciandogli la mano. Nel ritorno, il contatto che dianzi gli riusciva repellente, quel vedere cioè e toccare dei lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza. 
Confidava lui stesso che guardare i lebbrosi gli era talmente increscioso, che non solo si rifiutava di vederli, ma nemmeno sopportava di avvicinarsi alle loro abitazioni. Capitandogli di transitare presso le loro dimore o di vederne qualcuno, sebbene la compassione lo stimolasse a far l’elemosina per mezzo di qualche altra persona, lui voltava però sempre la faccia dall’altra parte e si turava le narici. Ma per grazia di Dio diventò compagno e amico dei lebbrosi così che, come afferma nel suo Testamento, stava in mezzo a loro e li serviva umilmente (L3C 11). 

San Bonaventura, nella LM I,6, dà una motivazione teologica all’amore che Francesco ebbe per i lebbrosi: Mentre prima aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano, ora, a causa di Cristo crocifisso, che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso (Is 53,3-4), li serviva con umiltà e gentilezza. Il lebbroso diventa segno di Cristo Servo sofferente di Jahvè, che sulla croce, pieno di lividure e percosse, guarisce l’umanità. L’amaro della sofferenza diventò per Francesco una dolcezza nel suo cuore che non lo lasciò mai più. Quel giorno Francesco cominciò a trovare Cristo, a convertirsi. Il contatto con il lebbroso portava Francesco a cercare momenti intensi di preghiera. 
*
Francesco! Va'  e ripara la mia Chiesa!

Le Fonti parlano di un fatto singolare nella vita del giovane Francesco, quando con un suo amico e confidente, di cui non conosciamo il nome, Egli usciva in campagna e si ritirava in una grotta. Il termine latino originale è crypta, e perciò si deve pensare ad una cripta (forse quella di San Damiano, oppure quella romanica di San Masseo, a poca distanza, che ancora esiste), dove sfogava la sua angoscia nella ricerca del suo futuro. Anche la compagnia di un amico era importante in questo momento delicato della vita di Francesco, e forse lo preparava all’esperienza molto più profonda della vita con i fratelli che avrebbero seguito il suo cammino. Queste visite ai lebbrosi accrebbero la sua bontà. 

Conducendo un suo compagno, che aveva molto amato, in località fuori mano, gli diceva di avere scoperto un grande e prezioso tesoro. Quello ne fu tutto felice e volentieri si univa a Francesco quando era invitato. Spesso lo conduceva in una grotta, presso Assisi, ci entrava da solo, lasciando fuori l’amico, impaziente di impadronirsi del tesoro. Francesco, animato da un nuovo straordinario spirito, pregava in segreto il Padre; però non confidava a nessuno cosa faceva nella grotta. Dio solo lo sapeva, e a lui incessantemente chiedeva come impadronirsi del tesoro celeste (L3C 12). 
L’esperienza della grotta era molto importante nella psicologia del giovane Francesco. Il buio dell’incertezza, dell’angoscia, della paura, lo teneva prigioniero di brutti sogni e suggestioni che le fonti non esitano ad attribuire al diavolo. L’esempio più noto è quello della donna contratta che Francesco conobbe ad Assisi, e che diventò per lui un ossessione. Aveva paura di diventare deformato come lei, se continuava nella sua ricerca di Dio. I peccati della sua giovinezza cominciarono a pesargli addosso, e non poteva più trovare la luce per uscirne da quel buio. All’uscire dalla grotta, all’amico egli appariva divenuto un altro uomo (L3C 12). Così parlano i Tre Compagni. 

Forse Tommaso da Celano è più realista: Si comprende perciò come, facendo ritorno al suo compagno, fosse tanto spossato da apparire irriconoscibile (1C 6). 

L’autunno del 1205 volse verso la fine. Francesco, sempre più solo e angoscioso, passava le poche ore di luce del giorno girando qua e là per la campagna intorno ad Assisi. 
Non gli rimaneva più alcun gusto per le cose di prima e, peggio ancora, non si sentiva più lo stesso. 
Suo padre cominciò a impazientirsi, a brontolare con la moglie che lei aveva coccolato troppo il figlio, fino a renderlo un buono a niente. 


In quei giorni Francesco aveva scoperto una piccola chiesa diroccata sotto le mura della città. Era la chiesetta di San Damiano, dal 1103 proprietà del priore di San Rufino. Una chiesa che si diceva costruita in tempi antichissimi da monaci siriani che avevano lasciato lì un’immagine bizantina di Cristo crocifisso, con occhi grandi pieni di vita. Una icona di Cristo glorioso sulla croce, con le figure tipiche della passione ai lati: la Vergine, San Giovanni, Maria di Magdala, il centurione. 
Ai piedi del crocifisso le teste di santi sulle quali scende il sangue del Redentore, tra cui certamente è raffigurato San Damiano. Sopra la testa di Cristo un medaglione dell’ascensione in cielo, con la mano benedicente del Padre e il dito che simboleggia lo Spirito. Un crocifisso che doveva rimanere legato per sempre all’avventura di Francesco di Assisi, e che tuttora si può ammirare in un atteggiamento orante nella basilica di Santa Chiara in Assisi [ma da pochi mesi dopo il restauro in san Damiano sua culla antica].


Trascorsero pochi giorni. Mentre passava vicino alla chiesa di San Damiano, fu ispirato a entrarvi. Andatoci, prese a fare orazione fervidamente davanti all’immagine del Crocifisso, che gli parlò con commovente bontà: “Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va dunque e restauramela” [Francesco! Va'  e ripara la mia Chiesa!]. Tremante e stupefatto, il giovane rispose: “Lo farò volentieri, Signore”. 
Egli aveva però frainteso: pensava si trattasse di quella chiesa che, per la sua antichità, minacciava prossima rovina. Per quelle parole del Cristo egli si fece immensamente lieto e raggiante; sentì nell’anima ch’era stato veramente il Crocifisso a rivolgergli il messaggio. Uscito dalla chiesa, trovò il sacerdote seduto lì accanto, e mettendo mano alla borsa, gli offrì del denaro dicendo: “Messere, ti prego di comprare l’olio per fare ardere una lampada dinanzi a quel Crocifisso. Finiti questi soldi, te ne porterò degli altri, secondo il bisogno” (L3C 13). 

I Tre Compagni continuano a spiegare lo slancio di Francesco nell'obbedire alla voce che aveva intuito dal Crocifisso. 
Gioioso per la visione e le parole del Crocifisso, Francesco si alzò, si fece il segno della croce, poi, salito a cavallo, andò alla città di Foligno portando un pacco di stoffe di diversi colori. Qui vendette cavallo e merce, e tornò subito a San Damiano. 
Ritrovò qui il prete, che era molto povero, e dopo avergli baciato le mani con fede e devozione, gli consegnò il denaro. Cominciò poi a raccontargli per ordine la sua vita. Il prete, stupefatto, meravigliandosi per una conversione così improvvisa, ricusava di credervi. E, temendo di essere preso in giro, non volle ricevere quei soldi. Francesco insisteva, sforzandosi di dare credibilità al proprio racconto e supplicando il sacerdote di lasciarlo abitare insieme con lui. Finalmente quello si arrese alla seconda richiesta, ma, per timore dei parenti del giovane, non accettò il denaro. Allora Francesco, da sincero disprezzatore della ricchezza, buttò sul davanzale d’una finestra quelle monete, come non fossero che una manciata di polvere (L3C 16). Francesco sapeva benissimo che questo suo atto eccentrico avrebbe attirato l’ira di Pietro di Bernardone, suo padre, e forse aveva paura di andare a casa. Sta di fatto che, stando alle parole di 1C 9, Francesco ... lo prega di accoglierlo con lui a servire il Signore. È un’espressione che designa uno stato di vita penitenziale comune nel medioevo, quello degli oblati mortui mundo (morti al mondo), persone che si consacravano al servizio di una chiesa come atto di penitenza. 

Compiendo questo atto, Francesco inizia un nuovo stato di vita, cioè, quella di un penitente laico, che verrà riconosciuta, tuttavia, soltanto quando suo padre insiste di trascinarlo in tribunale davanti ai consoli di Assisi. 

L’inverno del 1206 era un inverno rigido, stando ai documenti antichi. Una grande neve cadde nei dintorni di Assisi. Francesco aveva avuto il permesso del prete di San Damiano per rimanere in quel luogo appartato. Lui aveva paura che suo padre certamente lo cercasse, per riavere i suoi soldi, e così decise di nascondersi. Mentre prolungava il soggiorno in quel luogo, suo padre, preoccupato, andava cercando dove mai fosse finito il figlio. Venne così a sapere che, completamente trasformato, abitava presso San Damiano. L’uomo ne fu profondamente addolorato e, sconvolto da quell’incredibile voltafaccia del figlio, chiamò amici e vicini e in tutta furia si precipitò a San Damiano. Francesco, divenuto ormai cavaliere di Cristo, com’ebbe appreso che i suoi lo minacciavano, presentendone l’irruzione, per shivare la violenta ira paterna, andò a rifugiarsi in una caverna segreta, che aveva appositamente preparato, e vi restò nascosto un mese intero. La caverna era conosciuta da un solo membro della sua famiglia. Costui portava di quando in quando al sequestrato volontario del cibo, che consumava senza farsi vedere. E pregava con abbondanti lacrime che il Signore lo liberasse da quella persecuzione e amorevolmente lo aiutasse a realizzare le sue aspirazioni (L3C 16). 
In questo buco nascosto (occulta fovea) Francesco di nuovo cercò la luce per la sua vita. Nel freddo invernale, durante le giornate corte e nebbiose, in cui un vento gelido scendeva su Assisi dal monte Subasio, Francesco supplicava il Signore con lacrime, tutto impaurito perché poteva immaginare la rabbia di suo padre. 
Fu un mese di ritiro, fatto di solitudine e preghiera incessante, che dava a Francesco il coraggio di affrontare suo padre, e non soltanto suo padre, ma tutta intera Assisi. 
Finché un giorno, infuocato di entusiasmo, lasciò la caverna e si mise in cammino verso Assisi, vivace, lesto e gaio. Armato di fiducia in Cristo e acceso di amore celeste, rinfacciava a se stesso la codardia e la vana trepidazione, e con audacia decise di esporsi alle mani e ai colpi dei persecutori. Al primo vederlo, quelli che lo conoscevano come era prima, presero a insultarlo, gridando che era un pazzo e un insensato, gettandogli fango e sassi. Vedendolo così mutato, sfinito dalle penitenze, attribuivano ad esaurimento e demenza il suo cambiamento. Ma il cavaliere di Cristo passava in mezzo a quella tempesta senza farci caso, non lasciandosi colpire e agitare dalle ingiurie, rendendo invece grazie a Dio. 

Si diffuse per le piazze e le vie della città la notizia di quanto succedeva, finché venne agli orecchi del padre. Sentito come lo maltrattavano, egli uscì immediatamente a prenderlo, con l’intenzione non di liberarlo, ma di finirla. Fuori di sé, gli si avventò contro come un lupo sulla pecora e, fissandolo con occhio torvo e con la faccia contratta dal furore, lo afferrò e lo trascinò fino a casa. Qui lo rinchiuse in un bugigattolo oscuro per più giorni, facendo di tutto, a parole e a botte, per ricondurlo alla vanità mondana (L3C 17). 

Francesco dovette stare agli arresti domiciliari, fino a quando suo padre andò via da casa per affari di negozio. E qui entra la dolce figura di donna Pica, la mamma di Francesco. Questa, non approvando il modo di fare del marito, rivolgeva al figlio discorsi affettuosi, senza però riuscire a stornarlo dai suoi propositi. Vinta dall’amore materno, un giorno ella  ruppe le catene e gli permise di andar via libero (L3C 18). Francesco tornò pieno di gioia dal prete di San Damiano, ed era persuaso che nessuno lo avrebbe mai più convinto di lasciare la vita di penitente oblato in quella piccola chiesa. 

Possiamo immaginare la furia di Pietro di Bernardone, quando ritornò e non trovò più Francesco in casa. Se la prese con la moglie, con discorsi abusivi, ma ormai Francesco era scappato. Lui si sentiva ferito doppiamente; c’era in mezzo la buona fama della famiglia Bernardone, che Francesco aveva esposto al ridicolo di tutti in Assisi, e c’erano i soldi che Francesco aveva rubato da casa, vendendo senza permesso i panni pregiati e il cavallo. 
Pietro di Bernardone non ne poteva più. Decise in cuor suo di applicare la legge civile che sanciva l’esilio e l’esclusione dalla eredità familiare di quel figlio che avesse agito da ribelle contro l’autorità paterna. Siccome Pietro non poteva prendere la legge in mano, fece ricorso ai consoli della città, suoi amici. Pietro andò di corsa al palazzo del comune a protestare contro il figlio davanti ai consoli, chiedendo il loro intervento per obbligare Francesco a restituire il denaro preso in casa. 
I consoli, vedendolo così sottosopra, per mezzo di un araldo inviarono al giovane un mandato di comparizione. Ma lui rispose all’araldo di essere libero, per grazia di Dio, e di non essere più sotto la giurisdizione dei consoli, dal momento ch’era servo del solo Dio altissimo. Non volendo ricorrere alla violenza, i consoli dissero a Pietro: “Dato che tuo figlio si è consacrato al servizio di Dio, non è più sotto la nostra giurisdizione” (L3C 19) 

Di fatto, Francesco sapeva benissimo che lui era un oblato a servizio della Chiesa, e che poteva usufruire del privilegio di cadere direttamente sotto la giurisdizione del vescovo di Assisi. Anche i consoli sapevano questo, e certamente non volevano entrare in una lite con il duro carattere del vescovo Guido, che rivendicava i diritti della Chiesa con tutti i mezzi di cui disponeva. Constatando che il suo ricorso ai consoli si concludeva in un nulla, egli andò a sporgere querela davanti dal vescovo della città.
Questi, da persona discreta e saggia, chiamò Francesco con i modi dovuti, affinché venisse a rispondere alla querela del genitore. Il giovane rispose al messaggero: “Da messer vescovo ci vengo, poiché egli è padre e signore delle anime” (L3C 19). 

L’inverno si volgeva ormai a termine, e già si vedevano i primi segni della primavera del 1206. Francesco va all’ora stabilita all’episcopio, accanto alla antica cattedrale di Santa Maria Maggiore. Erano là Pietro di Bernardone e molti altri cittadini di Assisi. 

Il vescovo Guido si presentò e sedette in tribunale. A Francesco rivolse queste parole: “Tuo padre è arrabbiato con te e molto alterato per causa tua. Se vuoi essere servo di Dio, restituiscigli i soldi che hai; oltretutto è ricchezza forse di mal acquisto, e Dio non vuole che tu spenda a beneficio della Chiesa i guadagni del padre tuo. La sua collera sbollirà, se recupera il denaro. Abbi fiducia nel Signore, figlio mio, e agisci con coraggio. Non temere, poiché l’Altissimo sarà tuo soccorritore, e ti elargirà in abbondanza quanto sarà necessario per la sua Chiesa” (L3C 19). 

Francesco vide davanti alla sua mente una luce sfolgorante. In quelle parole del vescovo capiva quello che doveva fare. Il lungo e rigido inverno del buio della caverna cedeva il posto alla gioia della primavera di una vita nuova, di un nuovo inizio. L’uomo di Dio si alzò, lieto e confortato dalle parole del vescovo, e traendo fuori i soldi, disse: “Messere, non soltanto il denaro ricavato vendendo la sua roba, ma gli restituirò di tutto cuore anche i vestiti”. Entrò in una camera, si spogliò completamente, depose sui vestiti il gruzzolo, e uscendo nudo alla presenza del vescovo, del padre e degli astanti, disse: “Ascoltate tutti e cercate di capirmi. Finora ho chiamato Pietro di Bernardone padre mio. Ma dal momento che ho deciso di servire Dio, gli rendo il denaro che tanto lo tormenta e tutti gli indumenti avuti da lui. D’ora in poi voglio dire: ‘Padre nostro, che sei nei cieli’, non più ‘padre mio Pietro di Bernardone’” (L3C 20). Ormai la scelta era fatta. Francesco era diventato un uomo nuovo. I Tre Compagni dicono che gli astanti potevano vedere sulla nuda carne un cilicio, segno di penitenza. Pietro di Bernardone prese i vestiti e i soldi e andò via confuso e umiliato. Guido prese Francesco sotto il suo mantello. Francesco adesso si sentiva convertito. Aveva vinto il buio e l’incertezza. 
Tommaso da Celano riassume bene il senso teologico dello spogliamento di Francesco: Il nostro atleta ormai si lancia nudo nella lotta contro il nemico nudo ... Si addestra così al disprezzo della propria vita, abbandonando ogni cura di se stesso, affinché sia compagna della sua povertà la pace ... e solo il velo della carne lo separi ormai dalla visione di Dio (1C 15).
Noel Muscat ofm

 "Cumque lacrymosis oculis intenderet in dominicam crucem, vocem de ipsa cruce dilapsam (cfr. 1Pet 1,17) ad eum corporeis audivit auribus; ter dicentem:”Francisce, vade et repara domum meam, quae, ut cernis, tota destruitur!”. " (s. Bonaventura)

AMDG et BVM 
et Seraphici Patris Nostri Sancti Francisci