sabato 30 settembre 2017

SAN GIROLAMO: VITA-SCRITTI-DOTTRINA


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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 7 novembre 2007

San Girolamo

I: Vita e scritti

Cari fratelli e sorelle,
fermeremo oggi la nostra attenzione su san Girolamo, un Padre della Chiesa che ha posto al centro della sua vita la Bibbia: l’ha tradotta nella lingua latina, l’ha commentata nelle sue opere e soprattutto si è impegnato a viverla concretamente nella sua lunga esistenza terrena, nonostante il ben noto carattere difficile e focoso ricevuto dalla natura.

Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l’attrattiva della vita mondana (cfr Ep. 22,7), ma prevalse in lui il desiderio e l’interesse per la religione cristiana. Ricevuto il Battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» (Cronaca dell’anno 374), riunito attorno al Vescovo Valeriano. Partì poi per l’Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo (cfr Ep. 14,10), dedicandosi seriamente agli studi. 

Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell’ebraico (cfr Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (cfr Ep. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (cfr Ep. 22,7) e avvertì vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana: un contrasto reso celebre dalla drammatica e vivace «visione», della quale egli ci ha lasciato il racconto. In essa gli sembrò di essere flagellato al cospetto di Dio, perché «ciceroniano e non cristiano» (cfr Ep. 22,30).

Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali. Alcune persone dell’aristocrazia romana, soprattutto nobildonne come Paola, Marcella, Asella, Lea ed altre, desiderose di impegnarsi sulla via della perfezione cristiana e di approfondire la conoscenza della Parola di Dio, lo scelsero come loro guida spirituale e maestro nell’approccio metodico ai testi sacri. Queste nobili donne impararono anche il greco e l’ebraico.

Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, silenziosa testimone della vita terrena di Cristo, poi in Egitto, terra di elezione di molti monaci (cfr Contro Rufino 3,22; Ep. 108,6-14). Nel 386si fermò a Betlemme, dove, per la generosità della nobildonna Paola, furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, «pensando che Maria e Giuseppe non avevano trovato dove sostare» (Ep. 108,14). A Betlemme restò fino alla morte, continuando a svolgere un’intensa attività: commentò la Parola di Dio; difese la fede, opponendosi vigorosamente a varie eresie; esortò i monaci alla perfezione; insegnò la cultura classica e cristiana a giovani allievi; accolse con animo pastorale i pellegrini che visitavano la Terra Santa. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.

La preparazione letteraria e la vasta erudizione consentirono a Girolamo la revisione e la traduzione di molti testi biblici: un prezioso lavoro per la Chiesa latina e per la cultura occidentale. Sulla base dei testi originali in ebraico e in greco e grazie al confronto con precedenti versioni, egli attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, poi del Salterio e di gran parte dell’Antico Testamento. Tenendo conto dell’originale ebraico e greco, dei Settanta, la classica versione greca dell’Antico Testamento risalente al tempo precristiano, e delle precedenti versioni latine, Girolamo, affiancato poi da altri collaboratori, poté offrire una traduzione migliore: essa costituisce la cosiddetta Vulgata, il testo «ufficiale» della Chiesa latina, che è stato riconosciuto come tale dal Concilio di Trento e che, dopo la recente revisione, rimane il testo «ufficiale» della Chiesa di lingua latina. 

E’ interessante rilevare i criteri a cui il grande biblista si attenne nella sua opera di traduttore. Li rivela egli stesso, quando afferma di rispettare perfino l’ordine delle parole delle Sacre Scritture, perché in esse, dice, «anche l’ordine delle parole è un mistero» (Ep. 57,5), cioè una rivelazioneRibadisce inoltre la necessità di ricorrere ai testi originali: «Qualora sorgesse una discussione tra i Latini sul Nuovo Testamento, per le lezioni discordanti dei manoscritti, ricorriamo all’originale, cioè al testo greco, in cui è stato scritto il Nuovo Patto. Allo stesso modo per l’Antico Testamento, se vi sono divergenze tra i testi greci e latini, ci appelliamo al testo originale, l’ebraico; così tutto quello che scaturisce dalla sorgente, lo possiamo ritrovare nei ruscelli» (Ep. 106,2). Girolamo, inoltre, commentò anche parecchi testi biblici. Per lui i commentari devono offrire molteplici opinioni, «in modo che il lettore avveduto, dopo aver letto le diverse spiegazioni e dopo aver conosciuto molteplici pareri – da accettare o da respingere –, giudichi quale sia il più attendibile e, come un esperto cambiavalute, rifiuti la moneta falsa» (Contro Rufino 1,16).

Confutò con energia e vivacità gli eretici che contestavano la tradizione e la fede della Chiesa. Dimostrò anche l’importanza e la validità della letteratura cristiana, divenuta una vera cultura ormai degna di essere messa a confronto con quella classica: lo fece componendo il De viris illustribus (Gli uomini illustri), un’opera in cui Girolamo presenta le biografie di oltre un centinaio di autori cristiani. Scrisse pure biografie di monaci, illustrando accanto ad altri itinerari spirituali anche l’ideale monastico; inoltre tradusse varie opere di autori greci. Infine nell’importante Epistolario, un capolavoro della letteratura latina, Girolamo emerge con le sue caratteristiche di uomo colto, di asceta e  di guida  delle anime.

Che cosa possiamo imparare noi da san Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice san Girolamo: «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev’essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio per ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio, che si rivolge anche a noi, e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell’individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto della Parola di Dio è la Liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l’eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l’eterno, la vita eterna.
E così concludo con una parola di san Girolamo a san Paolino di Nola. In essa il grande Esegeta esprime proprio questa realtà, che cioè nella Parola di Dio riceviamo l’eternità, la vita eterna. Dice san Girolamo: «Cerchiamo di imparare sulla terra quelle verità, la cui consistenza persisterà anche nel cielo» (Ep. 53,10).


II)

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Mercoledì, 14 novembre 2007

San Girolamo

II: La dottrina

Cari fratelli e sorelle,
continuiamo oggi la presentazione della figura di san Girolamo. Come abbiamo detto mercoledì scorso, egli dedicò la sua vita allo studio della Bibbia, tanto che fu riconosciuto da un mio Predecessore, il Papa Benedetto XV, come «dottore eminente nell’interpretazione delle Sacre Scritture». Girolamo sottolineava la gioia e l’importanza di familiarizzarsi con i testi biblici: «Non ti sembra di abitare – già qui, sulla terra – nel regno dei cieli, quando si vive fra questi testi, quando li si medita, quando non si conosce e non si cerca nient’altro?» (Ep. 53,10). In realtà, dialogare con Dio, con la sua Parola, è in un certo senso presenza del cielo, cioè presenza di Dio. Accostare i testi biblici, soprattutto il Nuovo Testamento, è essenziale per il credente, perché «ignorare la Scrittura è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). E’ sua questa celebre frase, citata anche dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum (n. 25).

Veramente «innamorato» della Parola di Dio, egli si domandava: «Come si potrebbe vivere senza la scienza delle Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?» (Ep. 30,7). La Bibbia, strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai fedeli» (Ep. 133,13), diventa così stimolo e sorgente della vita cristiana per tutte le situazioni e per ogni persona. Leggere la Scrittura è conversare con Dio: «Se preghi – egli scrive a una nobile giovinetta di Roma –, tu parli con lo Sposo; se leggi, è Lui che ti parla» (Ep. 22,25). Lo studio e la meditazione della Scrittura rendono l’uomo saggio e sereno (cfr Commento alla Lettera agli Efesini, prol.). 
Certo, per penetrare sempre più profondamente la Parola di Dio è necessaria un’applicazione costante e progressiva. Così Girolamo raccomandava al sacerdote Nepoziano: «Leggi con molta frequenza le divine Scritture; anzi, che il Libro Santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare» (Ep. 52,7). Alla matrona romana Leta dava questi consigli per l’educazione cristiana della figlia: «Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura ... Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera ... Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini» (Ep.107,9.12). Con la meditazione e la scienza delle Scritture si «mantiene l’equilibrio dell’anima» (Commento alla Lettera agli Efesini, prol.). Solo un profondo spirito di preghiera e l’aiuto dello Spirito Santo possono introdurci alla comprensione della Bibbia: «Nell’interpretazione della Sacra Scrittura noi abbiamo sempre bisogno del soccorso dello Spirito Santo» (Commento a Michea 1,1,10,15).

Un appassionato amore per le Scritture pervase dunque tutta la vita di Girolamo, un amore che egli cercò sempre di destare anche nei fedeli. Raccomandava ad una sua figlia spirituale: «Ama la Sacra Scrittura e la saggezza ti amerà; amala teneramente, ed essa ti custodirà; onorala e riceverai le sue carezze. Che essa sia per te come le tue collane e i tuoi orecchini» (Ep. 130,20). E ancora: «Ama la scienza della Scrittura, e non amerai i vizi della carne» (Ep. 125,11).

Per Girolamo un fondamentale criterio di metodo nell’interpretazione delle Scritture era la sintonia con il Magistero della Chiesa. Non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il «noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. 
Per il grande esegeta un’autentica interpretazione della Bibbia doveva essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Non si tratta di un’esigenza imposta a questo Libro dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la Sacra Scrittura. Perciò Girolamo ammoniva un sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (Ep. 52,7). In particolare, dato che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, ogni cristiano – egli concludeva – deve essere in comunione «con la Cattedra di san Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa» (Ep. 15,2). Conseguentemente, senza mezzi termini, dichiarava: «Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di san Pietro» (Ep. 16).

Girolamo ovviamente non trascura l’aspetto etico. Spesso, anzi, egli richiama il dovere di accordare la vita con la Parola divina: solo vivendola troviamo anche la capacità di capirla. Tale coerenza è indispensabile per ogni cristiano e particolarmente per il predicatore, affinché le sue azioni, quando fossero discordanti rispetto ai discorsi, non lo mettano in imbarazzo. Così esorta il sacerdote Nepoziano: «Le tue azioni non smentiscano le tue parole, perché non succeda che, quando tu predichi in chiesa, qualcuno nel suo intimo commenti: “Perché dunque proprio tu non agisci così?”. Carino davvero quel maestro che, a pancia piena, disquisisce sul digiuno; anche un ladro può biasimare l’avarizia; ma nel sacerdote di Cristo la mente e la parola si devono accordare» (Ep.52,7). In un’altra lettera Girolamo ribadisce: «Anche se possiede una dottrina splendida, resta svergognata quella persona che si sente condannare dalla propria coscienza» (Ep. 127,4). 
Sempre in tema di coerenza, egli osserva: il Vangelo deve tradursi in atteggiamenti di vera carità, perché in ogni essere umano è presente la Persona stessa di Cristo. Rivolgendosi, ad esempio, al presbitero Paolino (che divenne poi Vescovo di Nola e Santo), Girolamo così lo consiglia: «Il vero tempio di Cristo è l’anima del fedele: ornalo, questo santuario, abbelliscilo, deponi in esso le tue offerte e ricevi Cristo. A che scopo rivestire le pareti di pietre preziose, se Cristo muore di fame nella persona di un povero?» (Ep. 58,7). Girolamo concretizza: bisogna «vestire Cristo nei poveri, visitarlo nei sofferenti, nutrirlo negli affamati, alloggiarlo nei senza tetto» (Ep. 130,14). L’amore per Cristo, alimentato con lo studio e la meditazione, ci fa superare ogni difficoltà: «Amiamo anche noi Gesù Cristo, ricerchiamo sempre l’unione con Lui: allora ci sembrerà facile anche ciò che è difficile» (Ep. 22,40).

Girolamo, definito da Prospero di Aquitania «modello di condotta e maestro del genere umano» (Poesia sugli ingrati 57), ci ha lasciato anche un insegnamento ricco e vario sull’ascetismo cristiano. Egli ricorda che un coraggioso impegno verso la perfezione richiede una costante vigilanza, frequenti mortificazioni, anche se con moderazione e prudenza, un assiduo lavoro intellettuale o manuale per evitare l’ozio (cfr Epp. 125,11 e 130,15) e soprattutto l’obbedienza a Dio: «Nulla ... piace tanto a Dio quanto l’obbedienza..., che è la più eccelsa e l’unica virtù» (Omelia sull’obbedienza). Nel cammino ascetico può rientrare anche la pratica dei pellegrinaggi. In particolare, Girolamo diede impulso a quelli in Terra Santa, dove i pellegrini venivano accolti e ospitati negli edifici sorti accanto al monastero di Betlemme, grazie alla generosità della nobildonna Paola, figlia spirituale di Girolamo (cfr Ep. 108,14).

Non può essere taciuto, infine, l’apporto dato da Girolamo in materia di pedagogia cristiana (cfr Epp. 107 e 128). Egli si propone di formare «un’anima che deve diventare il tempio del Signore» (Ep. 107,4), una «preziosissima gemma» agli occhi di Dio (Ep. 107,13). Con profondo intuito egli consiglia di preservarla dal male e dalle occasioni peccaminose, di escludere amicizie equivoche o dissipanti (cfr Ep. 107,4 e 8-9; cfr anche Ep. 128,3-4). Soprattutto esorta i genitori perché creino un ambiente di serenità e di gioia intorno ai figli, li stimolino allo studio e al lavoro, anche con la lode e l’emulazione (cfr Epp. 107,4 e 128,1), li incoraggino a superare le difficoltà, favoriscano in loro le buone abitudini e li preservino dal prenderne di cattive, perché – e qui cita una frase di Publilio Siro sentita a scuola – «a stento riuscirai a correggerti di quelle cose a cui ti vai tranquillamente abituando» (Ep. 107,8). 

I genitori sono i principali educatori dei figli, i primi maestri di vita. Con molta chiarezza Girolamo, rivolgendosi alla madre di una ragazza ed accennando poi al padre, ammonisce, quasi esprimendo un’esigenza fondamentale di ogni creatura umana che si affaccia all’esistenza: «Essa trovi in te la sua maestra, e a te guardi con meraviglia la sua inesperta fanciullezza. Né in te, né in suo padre veda mai atteggiamenti che la portino al peccato, qualora siano imitati. 
Ricordatevi che... potete educarla più con l’esempio che con la parola» (Ep. 107,9). Tra le principali intuizioni di Girolamo come pedagogo si devono sottolineare l’importanza attribuita a una sana e integrale educazione fin dalla prima infanzia, la peculiare responsabilità riconosciuta ai genitori, l’urgenza di una seria formazione morale e religiosa, l’esigenza dello studio per una più completa formazione umana. Inoltre un aspetto abbastanza disatteso nei tempi antichi, ma ritenuto vitale dal nostro autore, è la promozione della donna, a cui riconosce il diritto ad una formazione completa: umana, scolastica, religiosa, professionale. E vediamo proprio oggi come l’educazione della personalità nella sua integralità, l’educazione alla responsabilità davanti a Dio e davanti all’uomo, sia la vera condizione di ogni progresso, di ogni pace, di ogni riconciliazione e di ogni esclusione della violenza. Educazione davanti a Dio e davanti all’uomo: è la Sacra Scrittura che ci offre la guida dell’educazione, e così del vero umanesimo.

Non possiamo concludere queste rapide annotazioni sul grande Padre della Chiesa senza far cenno  all’efficace contributo da lui recato alla salvaguardia degli elementi positivi e validi delle antiche culture ebraica, greca e romana nella nascente civiltà cristiana. Girolamo ha riconosciuto ed assimilato i valori artistici, la ricchezza di pensiero e l’armonia delle immagini presenti nei classici, che educano il cuore e la fantasia a nobili sentimenti. Soprattutto, egli ha posto al centro della sua vita e della sua attività la Parola di Dio, che indica all’uomo i sentieri della vita, e gli rivela i segreti della santità. Di tutto questo non possiamo che essergli profondamente grati, proprio nel nostro oggi.

AMDG et BVM

Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo muore quel 30 settembre 1897: "Mio Dio, Vi amo!"

“Io non sono che una bambina impotente e debole, 
tuttavia è la mia stessa debolezza che mi dà l’audacia 
di offrirmi vittima al tuo amore, o Gesù!”  
Santa Teresa di Gesù Bambino  

 L’infanzia: alternanza di gioia e dolore …..

Teresa Martin nasce ad Alençon (Francia) il 2 gennaio 1873, in una famiglia religiosissima, allietata dalla nascita di ben 9 figli, di cui 4 muoiono nei primissimi anni di vita, fra il 1867 e il 1870. 

La nascita di Teresa viene, pertanto, accolta con grande gioia. 

Non ha ancora due anni e Teresa recita già le preghiere, come scrive Zelia, nella lettera dell’8 novembre 1874 (2). 

A tre anni afferma: “Scelgo tutto…” (3) e s’industria a fare dei sacrifici con l’inseparabile sorella Celina di sei anni. 

A quattro anni manifesta il desiderio di seguire le sorelle attirate dalla vita claustrale. La sorella Paolina riporta in una lettera raccolta nella corrispondenza generale: “…sarò religiosa in un chiostro perché Celina vi vuole andare, e poi, Paolina mia, bisogna pure insegnare alla gente a leggere, non è vero? Ma non sarò io a fare scuola, ciò mi annoierebbe troppo, sarà Celina. Io sarò la madre, passeggerò tutto il giorno nel chiostro e poi andrò con Celina. Giocheremo con la sabbia e poi alle bambole.. - Dunque tu credi, mia povera Teresa, di poter parlare tutto il giorno? Ma non sai che bisognerà stare zitte? - E’ vero, … Beh, peggio per me, non dirò niente. - Che farai, allora? - Mi arrangerò, pregherò il buon Dio, ma come si fa a pregarlo senza dire niente? Io non lo so ….” (4). 

Teresa è una bambina vivacissima e molto intelligente. La Signora Martin, in una lettera alla figlia Paolina che si trova in collegio, annota: “… il Frugolino non si sa che cosa diventerà: è così piccolo e così sventato… E’ una bambina di intelligenza superiore a Celina, ma molto meno mite e soprattutto di una ostinazione quasi invincibile; quando ha detto “no” niente vale a farla cedere; la potremmo mettere per una giornata in cantina, vi pernotterebbe piuttosto che dire “sì”. Tuttavia ha un cuore d’oro, è molto affettuosa e molto franca ….” (5). 

E’ lo sguardo aperto, il cuore attento di una mamma che assiste, osservando, al risveglio e alle inclinazioni della sua ultima bambina. Da queste poche righe emerge il carattere di Teresa: espansivo, affettuoso, sincero; ma anche ostinato e incline ai capricci, di una natura fiera, non comune. E in un’altra lettera: “….. Celina e Teresa si vogliono molto bene e bastano a vicenda per divertirsi….. Sono inseparabili, è impossibile vedere due bambine volersi più bene di loro ….” (6). La santa stessa affermerà: “…. Ci intendevamo molto bene; soltanto io ero molto più vivace e molto meno ingenua di lei…..” (7). Celina è la compagna inseparabile dei giochi, con la quale Teresa instaura un forte rapporto d’amicizia in un clima di tenerezza, di affetto sincero. Il secondo periodo dell’infanzia di Teresa, definito da lei stessa il più “doloroso”, è caratterizzato da avvenimenti che la privano nel giro di poco tempo degli affetti più cari, di tutte le “madri”, della mamma Zelia che muore nel 1877 e successivamente delle sorelle Paolina e Maria che, alternatesi nell’educazione di Teresa, lasceranno la casa paterna per il Carmelo. La morte della mamma, sopportata con grande coraggio, ha un’incidenza profonda nel cuore di Teresa che confesserà più tardi: “… Dopo la morte di mamma il mio carattere felice cambiò completamente: io così espansiva, divenni timida e mite, sensibile all’eccesso; … Non potevo sopportare la compagnia di persone estranee e non ritrovavo la mia gaiezza che nella intimità della famiglia….” (8). 

 Il trauma del distacco viene parzialmente attutito dalla  amorosa cura che la sorella Paolina riserva alla piccola Teresa. Paolina intuisce le sue sofferenze, segue con attenzione materna e delicata lo sviluppo del carattere e trova una risposta a tutti gli interrogativi della piccola. Accanto a lei, Teresa ritrova la gaiezza, il sorriso dell’infanzia. Nel 1882 si rinnova per Teresa il dolore del distacco, della separazione: Paolina decide di entrare nel Carmelo. A Teresa sembrerà di vivere per la seconda volta l’incubo della perdita della mamma. Nel manoscritto afferma di aver appreso l’intenzione di Paolina con sorpresa e che la vita in quel momento le si era rivelata come una realtà di sofferenza continua. 

“Il tu a tu” con la Madonna ….. 

 Nello steso anno la salute di Teresa, già precaria e instabile, peggiora sensibilmente, manifestando dolorose e fastidiose emicranie. L’anno successivo in primavera la crisi si aggrava e Teresa è costretta alla assoluta immobilità. Il 13 maggio, giorno di Pentecoste, si teme per la sua vita: la perplessità dei medici ne lascia intravedere la preoccupazione disperata. Sarà il sorriso “incantevole” della Madonna, di cui tiene l’immagine in camera, a guarirla miracolosamente. La scossa della guarigione è comprensibilmente profonda, incisiva e Teresa riuscirà a superarla gradatamente, per tappe successive. Verrà persino afferrata dal dubbio di aver mentito; dubbio di cui sarà liberata quattro anni più tardi, in occasione del suo pellegrinaggio a Notre Dame delle Vittorie. “…. 

Tre mesi dopo la mia guarigione Papà ci fece fare un viaggio di piacere ad Alençon….” (dopo la morte della mamma, la famiglia si era trasferita a Lisieux), “... Era la prima volta che vi ritornavo e grande fu la mia gioia nel rivedere i luoghi ove era trascorsa la mia infanzia e soprattutto di poter pregare sulla tomba di Mamma e chiederle di proteggermi sempre. Il buon Dio mi ha fatto la grazia di conoscere il mondo quel tanto che bastava per disprezzarlo ed allontanarmene. Potrei dire che proprio durante quel soggiorno ad Alençon io feci la mia prima entrata in società. Tutto era gioia e felicità intorno a me, ero festeggiata, accarezzata, ammirata; la vita durante quei quindici giorni non fu per me cosparsa che di fiori e confesso che quella vita aveva un incanto ai miei occhi. 

La Sapienza ha ben ragione di dire 'che il fascino delle futilità mondane seduce anche lo spirito lontano dal male'. A dieci anni il cuore si lascia abbagliare facilmente, perciò considero come una grande grazia il non essere rimasta ad Alençon…”. “Gli amici che vi contavamo erano troppo mondani, sapevano conciliare troppo le gioie della terra con il servizio di Dio; non pensavano abbastanza alla morte e tuttavia la morte è venuta a visitare un gran numero di persone che ho conosciuto giovani, ricche, felici!.... Mi piace di ritornar con il pensiero ai luoghi incantevoli ove vissero, domandandomi dove sono ora, che profitto hanno avuto dai castelli e dai parchi ove li vidi godere le comodità della vita …E vedo che sotto il sole tutto è vanità e afflizione di spirito, che l’unico bene è amar Dio con tutto il cuore ed essere poveri di spirito, quaggiù… Forse Gesù ha voluto mostrarmi il mondo prima di farmi la sua prima visita, onde io scegliessi più liberamente la via che dovevo promettergli di seguire…”.(9). La morte della mamma, la guarigione “miracolosa” ed infine l’impatto col mondo frivolo e banale della società di Alençon si rivelano esperienze positive nel cammino di Teresa, ancora incerto, ancora comprensibilmente confuso, ma già sostenuto da una Luce interiore particolare. 

 La prima Comunione 

 Una seconda scossa nella vita di Teresa dopo quella della guarigione è la prima Comunione, con la percezione delle prime grazie mistiche (8 maggio 1884). Dalla lettura del racconto si riceve l’impressione che Teresa ritrovi in Dio la sua mamma strappatale prematuramente e la sorella Paolina, con la quale si identifica: nello stesso giorno infatti Paolina fa la sua professione religiosa. Le lacrime di Teresa sono piene di gioia e di commozione. 

La dolce intimità della prima Comunione perdura nel cuore della piccola. Scrive nei suoi ricordi: “…. L’indomani della prima Comunione fu ancora un bel giorno, ma velato di malinconia. Il bel vestito comperatomi da Maria, tutti i regali che avevo ricevuto non potevano appagarmi, soltanto Gesù poteva farmi contenta e sospiravo il momento di riceverlo una seconda volta. Circa un mese dopo...andai a confessarmi per l’Ascensione ed ebbi la felicità di inginocchiarmi alla sacra mensa tra Papà e Maria. Che soave ricordo ho conservato di questa seconda visita di Gesù! Le lacrime scorsero ancora con dolcezza ineffabile, mi ripetevo continuamente queste parole di San Paolo: 'Non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me!'. Ricordo che una volta (Maria) mi parlò della sofferenza...L’indomani le (sue) parole mi ritornarono al pensiero dopo la Comunione; sentii nascermi in cuore un gran desiderio della sofferenza ed insieme l’intima persuasione che Gesù mi riservasse un gran numero di croci. Fino a quel momento avevo sofferto senza amare la sofferenza, da quel giorno in poi sentii un vero amore per il patire. Sentivo anche il desiderio di amare Dio solo, di trovare in Lui solo la mia gioia e spesso, dopo le mie Comunioni, ripetevo queste parole dell’Imitazione: 'Gesù, dolcezza ineffabile, converti per me in amarezza tutto il fascino delle cose terrene!'…” (10). Il 14 giugno dello stesso anno Teresa riceve la Santa Cresima. “Con la discesa dello Spirito Santo – dirà – ricevetti la forza per soffrire…” (11). 

Crisi d’infanzia: la malattia degli scrupoli …. 

 La psiche di Teresa è turbata dalla paura del peccato e in questo periodo estremamente delicato viene assalita dalla tremenda malattia degli scrupoli. Nella sua sofferenza trova conforto e sostegno presso la “terza madre”, la sorella Maria, che colma il vuoto lasciato da Paolina e diventa per Teresa l’amica confidente, disposta ad ascoltare, a risolvere i suoi piccoli problemi quotidiani, a rispondere ai suoi innumerevoli quesiti; ma anche Maria, nell’ottobre 1886, - Teresa ha tredici anni – lascia la famiglia per il Carmelo. Teresa soffre indicibilmente per il nuovo, ulteriore distacco, reso ancor più insopportabile dalla ingenua convinzione che le sorelle religiose non possano “più comprendere le cose di questa terra…”. (12). La sua sensibilità subisce nuovamente la dura prova dell’abbandono, del distacco e dovrà vivere una fase di transizione prima del passaggio al terzo periodo della sua infanzia, l’ultimo da lei individuato nel manoscritto A. 
Viene “bloccata” per qualche tempo da una fragilità emotiva eccessiva, dalla ipersensibilità, dalla suscettibilità, che favoriscono lacrime copiose, per motivi insignificanti, a volte banali o del tutto infantili. E’una tappa necessaria, indispensabile prima del salto di qualità…. “…. Essendo la più piccola non ero abituata a servirmi da me; Celina faceva la camera ove dormivamo insieme, ed io non facevo nessun lavoro di casa. Per far piacere al Signore mi accadeva qualche volta di tentar di rifare il letto: era per il Signore soltanto che facevo queste cose, ma, ahimè, se Celina aveva la sventura di non mostrarsi felice e sorpresa dei miei piccoli servigi, io non ero contenta e glielo provavo con le mie lacrime. Per la mia eccessiva sensibilità ero davvero insopportabile; così se mi accadeva di dare involontariamente un minimo dispiacere a qualcuno cui volevo bene, piangevo come una Maddalena; e quando incominciavo a consolarmi della cosa in se stessa, piangevo di aver pianto...Ogni ragionamento era inutile e non arrivavo a correggermi di quel brutto difetto” (13). 

Dalle tenebre alla luce….. 

 A Natale (siamo ancora nell’anno 1886) Teresa vive il momento di grazia, di conversione: “Fu il 24 dicembre 1886 che ricevetti la grazia di uscire dall’infanzia, in una parola, la grazia della mia completa conversione. Eravamo di ritorno dalla Messa di mezzanotte, ove avo avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente; arrivando a casa mi rallegravo di trovar nel camino le scarpe e i doni. 

Ma Gesù volle mostrarmi che dovevo liberarmi dai difetti dell’infanzia, me ne ritirò anche le gioie innocenti e permise che Papà, stanco per la Messa di mezzanotte, provasse fastidio nel veder le mie scarpe sul camino e dicesse queste parole che mi trapassarono il cuore: 'Fortuna che è l’ultimo anno!'... Ricacciando le lacrime presi le scarpette, le posai davanti a Papà e allegramente ne trassi tutti gli oggetti, con l’espressione di felicità di una regina. Papà rideva, ritornato allegro, e Celina credeva di sognare ….: la piccola Teresa aveva ritrovato la forza d’animo che aveva perduto a quattro anni e mezzo e doveva conservarla per sempre! In quella notte luminosa incominciò il terzo periodo della mia vita, il più bello, il più colmo di grazie celesti. Gesù misericordioso fece di 21 me un pescatore d’anime. Infatti provai un gran desiderio di lavorare alla conversione dei peccatori, desiderio (che non avevo) mai sentito così vivamente ….. Sentii il bisogno di dimenticare me stessa per far piacere agli altri, e da allora fui felice!...” (14). Affiora da questa confessione autobiografica il dono di “fortezza” che il Signore elargisce alla piccola Teresa. 

Per la prima volta davanti alla delusione, Teresa reagisce positivamente, senza lacrime, anzi col sorriso e con la gioia. Le parole di papà Martin non l’hanno lasciata indifferente, tutt’altro! Sono penetrate nel suo cuore, lacerandolo; tuttavia, Teresa non ne viene più travolta, non subisce i condizionamenti dell’ipersensibilità, dell’emotività, ma scopre dentro di sé il distacco, un coraggio, una padronanza inusitati. E’ il momento della “fortezza” che, non subita passivamente, la libera dall’interno: dai traumi, dai capricci, dalle crisi d’infanzia. Il passaggio dall’egocentrismo, da un mondo interiore solipsistico, ripiegato, chiuso su se stesso, all’apertura verso gli altri, al dono di sé, diventa obbligato, inevitabile e anche meraviglioso. Teresa ne constata lucidamente le sfumature graduali e ne sente, ne avverte la dolcezza. Da questo momento inizia la sua “corsa”. 

La scoperta degli altri, dell’amore, del desiderio di “lavorare per la conversione dei peccatori”, spezzano il cerchio limitato del suo piccolo mondo e suscitano immediatamente in lei un nuovo atteggiamento, spirituale, uno stile diverso. Teresa intuisce che questo afflato, questa nuova dimensione interiore devono collocarsi in uno spazio e in una realtà concrete, personali e la sete di apostolato si fa ardente, inestinguibile. “…Una domenica, guardando un’immagine di Nostro Signore crocifisso, fui colpita alla vista del sangue che cadeva da una delle sue mani divine e provai una gran pena nel pensare che quel sangue cadeva in terra senza che nessuno si desse premura di raccoglierlo. Allora risolvetti di rimanere in spirito ai piedi della Croce per ricevere la divina rugiada e compresi che avrei dovuto poi spargerla sulle anime…

Il Grido di Gesù sulla Croce: “Ho sete!” mi risuonava continuamente in cuore; questa parola accendeva in me un ardore vivissimo e misterioso…mi sentivo io stessa divorata dalla sete delle anime...” (15). Teresa matura a tutti i livelli: la sua preghiera per i peccatori si intensifica, in particolare, per la conversione di un grande criminale, Pranzini, la cui storia penetra misteriosamente nel suo cuore, pur non osando confessarlo apertamente in famiglia, a causa della convenzione e del legalismo che dominavano l’ambiente. Si apre così una nuova e avvincente esperienza, prendendone coscienza, della maternità spirituale; più tardi negli anni evocherà il criminale giustiziato come il “suo primo figlio”. Scopre i valori essenziali dell’esistenza e confronta le proprie scelte sui parametri degli stessi. Intensifica l’interesse per lo studio e l’attività culturale, che tuttavia non la distolgono dall’attenzione principale, dall’epicentro: Dio. La scala dei valori verticizzata nel Signore, dilata il suo cuore ad una comprensione della realtà arricchita di sfumature, di tensioni soprannaturali. Significativo e pregnante il richiamo autobiografico di questo periodo: richiamo all’amore, alla tenerezza che sente nascere dentro di sé verso i bambini: “… 

Prima di lasciare il mondo il buon Dio mi dette la consolazione di contemplare da vicino delle anime di bambini. Essendo la più piccola della famiglia non aveva mai avuto questa felicità. Una povera donna parente della nostra domestica morì nel fiore degli anni lasciando tre bambini tutti piccoli. Durante la sua malattia noi prendemmo in casa le due bambine, la maggiore delle quali era al di sotto dei sei anni. Io mi occupavo di loro per tutto il giorno ed era un vero piacere per me vedere con quale candore esse credevano tutto quello che dicevo loro. Quando volevo vedere le due bambine molto concilianti l’una verso l’altra, invece di promettere giocattoli e caramelle, parlavo loro delle ricompense eterne che Gesù Bambino avrebbe dato in paradiso ai bambini buoni. La maggiore, la cui intelligenza cominciava a svilupparsi, mi guardava con occhi splendenti di gioia e mi rivolgeva mille domande incantevoli su Gesù Bambino e il suo bel Paradiso; mi prometteva anche con entusiasmo di cedere sempre alla sua sorellina e diceva che non avrebbe mai dimenticato ciò che le aveva detto la 'signorina grande', perché è così che mi chiamava …” (16). Nelle anime dei piccoli Teresa trova il Cielo, la semplicità, l’innocenza, il candore. Si occupa di loro, protesa verso di loro, dimentica di se stessa. 

Il Carmelo: la sua risposta d’amore all’Amore … 

 Su questo terreno, col cuore trasformato dalla Grazia, in un atteggiamento di conversione, di metanoia, Teresa si incammina verso la conquista del Carmelo. Gli ostacoli che si frappongono sono numerosi e nel ginepraio delle difficoltà sollevate sia dallo zio Guerin, sia dai superiori ecclesiastici, Teresa ha modo di maturare la sua decisione. Non ha dubbi sulla vocazione: sarà questa chiarezza interiore ad impedirle di rassegnarsi di fronte ai ripetuti rifiuti e allo stesso tempo a prevenirla da reazioni impulsive. Teresa intuisce che vincerà la “sua battaglia”, dando prova di maturità e lottando con le uniche armi efficaci: la fede e la preghiera. E vince! Ottiene il permesso dalle autorità ecclesiastiche e il 9 aprile 1888 entra finalmente al Carmelo di Lisieux. 
 Simpatiche e non prive di umorismo le pennellate che Teresa tratteggia nel suo manoscritto ricordando questo periodo di prova “del fuoco”. “… Monsignor Vescovo li accompagnò fino al giardino. Papà lo divertì molto raccontandogli che, per sembrare grande, quella mattina stessa si era fatta rialzare i capelli. E ciò non fu perduto, perché poi Monsignor Vescovo non parlò mai della “sua bambina” senza raccontare la storia dei capelli tirati su. Il Vicario Generale disse che non si era mai visto un padre altrettanto sollecito di offrire la figlia a Dio, quanto la figlia stessa di offrirsi! ..” (17). La pesante porta della clausura si chiude alle spalle di Teresa, che scopre in sé una calma interiore profonda e gioiosa: avverte sensibilmente la motivazione del suo ingresso e fin dall’inizio percepisce la sua missione. “…. Quello che venivo a fare al Carmelo lo dichiarai ai piedi di Gesù Ostia: sono venuta per salvare anime e soprattutto, per pregare per i sacerdoti. Gesù mi fece comprendere che mi avrebbe dato anime per mezzo della croce e la mia attrattiva per la sofferenza crebbe man mano che il patimento aumentava…..” (18). 

 Capisce che la realizzazione della sua vocazione è direttamente proporzionale all’accettazione della croce, della sofferenza come dono di amore. Approfondisce questa intuizione nel momento del buio, della prova dell’aridità e si getta a capofitto in un’offerta carica di tensione, di dinamismo spirituale. In occasione della professione Teresa si ricorderà del suo desiderio iniziale di pregare “specialmente” per i sacerdoti e nella scia di questo orientamento acquisterà sempre più coscienza della sua missione di “servizio”. L’impatto di Teresa con l’ambiente monastico non è privo di difficoltà. Il pericolo maggiore è quello di ritrovarsi nel ruolo della bambina più piccola, della beniamina, amata da tutti, vezzeggiata, circondata dall’affetto di diverse “mamme”: Paolina e la stessa Priora… 

 La severità della Priora, Madre Maria di Gonzaga, acquista agli occhi di Teresa un valore purificante, necessario alla sua crescita spirituale. Il suo cuore abituato agli affetti umani, alla tenerezza si purifica gradualmente e conosce una sola preoccupazione: l’amore puro, verginale, disinteressato e distaccato da tutto, per essere unicamente orientato verso il Signore. Teresa si impone un’amicizia aperta, generosa verso tutti, ma soprattutto interiormente libera da schemi prestabiliti; sdrammatizza la realtà dei rapporti interpersonali, delle correlazioni, per arrivare, e quindi vivere, all’essenziale. Certamente questo passaggio “qualitativo” richiede a Teresa un grande coraggio e una forza d’animo senza confronti: non ha forse scelto la strada dell’amore, nella sofferenza? “… Due mesi dopo il mio ingresso al Carmelo…. Feci una confessione generale ed alla fine il Padre mi disse queste parole: 'Alla presenza di Dio, della Vergine Santissima e di tutti i Santi, dichiaro che lei non ha mai commesso un solo peccato mortale'. Mi disse ancora: 'Nostro Signore sia sempre il Suo Superiore e il Suo Maestro di noviziato', Egli lo fu infatti e fu anche il mio 'Direttore'. Nostra Madre essendo spesso malata aveva poco tempo per occuparsi di me. Il buon Dio permetteva che a sua stessa insaputa ella fosse molto severa. Non potevo incontrarla senza aver da baciar terra e lo stesso avveniva nei rari colloqui che avevo con lei…. Quale preziosissima grazia!... Che sarei divenuta se fossi stata trattata come il trastullo della comunità? Forse invece di veder Nostro Signore nelle Superiore, non avrei considerato che le persone umane ed il mio cuore si sarebbe affezionato umanamente….” (19). 

La grande prova: la malattia e la morte del padre… 

 Le prove non le derivano solo dalle relazioni all’interno della comunità monastica o dal contatto con una realtà ambientale qualche volta assurda e paradossale; non si limitano agli scontri di mentalità, inevitabili….; la grande prova, che Teresa chiama enigmaticamente la “nostra grande ricchezza”, nasce da un avvenimento esterno: la malattia del padre. Un mese dopo la vestizione, avvenuta il 10 gennaio 1889, il Signor Martin “avrebbe bevuto il più amaro, il più umiliante di tutti i calici” (20). In seguito ad una paralisi per arterio-sclerosi cerebrale, viene ricoverato in una casa di salute, finchè la totale immobilità degli arti inferiori costringe a ricondurlo in famiglia, dove Celina e Leonia si alterneranno nel prodigargli la più tenera assistenza. Teresa riporta nel suo scritto autobiografico: “…. I tre anni del martirio di papà mi sembrano i più amabili, i più fruttuosi di tutta la nostra vita, non li cederei per tutte le estasi e le rivelazioni dei santi; pensando a questo tesoro inestimabile il mio cuore trabocca di riconoscenza ….Eppure la mia attrazione per il soffrire non diminuiva, perciò ben presto anche l’anima, come già il cuore, ebbe la sua parte di sofferenza. L’aridità divenne il mio pane quotidiano, ma benché priva di ogni conforto, ero la più felice delle creature, perché tutti i miei desideri erano stati appagati…” (21). 

 In questi tre lunghi anni, Teresa intesse una fitta corrispondenza col padre, il suo “re”: lettere appassionate, ricche di carica affettiva, scritte allo scopo di essergli vicina, di consolarlo, di confortarlo, di aiutarlo ad accettare la malattia, avvilente, deprimente e soprattutto di infondergli la sicurezza di essere ancora amato, stimato da tutti: Teresa desidera che il padre, attraverso gli altri, possa ritrovare la fiducia in se stesso. L’aridità a cui Teresa accenna non è momentanea, circoscritta in uno spazio limitato di tempo, ma coinvolge la sua esistenza a lungo e intensamente; diventa l’elemento primario, insostituibile del processo di maturazione che la condurrà “silenziosamente” alla santità. In questo periodo non avrà più illuminazioni particolari o grazie sensibili; ne aveva ricevute abbondantemente durante la prima e la seconda Comunione e come abbiamo già avuto modo di constatare nell’episodio mirabile della guarigione. Ora il suo stato spirituale abituale è il buio, il deserto, l’aridità. 

L’anno successivo alla professione, avvenuta l’8 settembre 1890, Teresa viene confermata dal Padre Alessio Prou, durante la predicazione degli esercizi spirituali alla comunità (ottobre 1891), nella via della fiducia in Dio. Gli scrupoli, i timori l’abbandonano definitivamente e le si apre in una prospettiva nuova, armoniosa, la strada della certezza, dell’amore. 

“…….. Soffrivo in quel momento grandi prove interiori… fino a domandarmi talvolta se esiste un Paradiso.. ma appena entrata nel confessionale, l’anima mia si sentì dilatata; dopo aver detto poche parole, mi vidi compresa in modo meraviglioso ed anche indovinata…. La mia anima era come un libro nel quale il Padre leggeva meglio di me stessa … egli mi lanciò a vele spiegate nel mare della fiducia e dell’amore che mi attirava così fortemente, ma sul quale non osavo avanzare e mi disse che le mie colpe non facevano dispiacere al Signore, e che rappresentandolo in quel momento egli poteva dirmi di Lui, che il buon Do era contentissimo di me…” (22). 

Il carattere e la personalità si irrobustiscono e la sua presenza in comunità acquista progressivamente un vero e proprio ascendente. Teresa mostra quanto vale umanamente, nel dicembre 1891: la sua preoccupazione è di essere tutto per tutte e vi riesce. 

“Una epidemia di febbre spagnola scoppiò in comunità. La morte regnava ovunque, le malate più gravi venivano curate da quelle che a malapena si trascinavano; appena una sorella aveva reso l’ultimo respiro si era obbligate a lasciarla sola. E’ impossibile immaginare il triste stato della comunità, ma in mezzo a quell’abbandono sentivo che Dio vegliava su di noi. Le moribonde passavano senza sforzo a una vita migliore e subito dopo la morte, sui loro lineamenti si stendeva un’espressione di pace e di gioia…..” (23). L’esperienza dolorosa della morte “fisica” di diverse consorelle la prepara gradatamente ad accettare la morte del Signor Martin, il padre adorato, il suo “re”, nel luglio del 1894. 

Teresa alla prova della comunità…. 

 Il periodo che precede la tappa finale, quella più importante, rivela le doti umane di Teresa, le sue qualità interiori, il suo atteggiamento di “fondo” nei confronti della comunità, sul concreto terreno della coesistenza. Fin dall’inizio, dall’età di 15 anni, Teresa aveva suscitato la meraviglia di tutti per la sua maturità spirituale: il suo ascendente ora trova le radici in un comportamento improntato ad una grande dignità, ad un profondo equilibrio, umano e psicologico. Teresa ha una dote singola e non comune: l’obbedienza! La comunità di Lisieux, divisa in fazioni per il governo un po’ eccentrico di Madre Maria di Gonzaga non si rivela l’ambiente più adatto per la fioritura di vocazioni.  Teresa intuisce l’essenziale, subito: vive di fede, nell’obbedienza rigorosa, senza esitazioni, senza compromessi o tensioni di sorta, superando le storture inevitabili create dalla situazione comunitaria difficile (secondo la testimonianza di Paolina, la comunità per Teresa sembrava camminare su una corda tesa!...). 

 L’intelligenza di cui è dotata e la volontà ferrea, ferma, non ostacolano in Teresa lo sviluppo della grazia della vocazione, anzi vi collaborano, uscendone potenziate: la prima dallo spirito di fede, che la rende umile; la seconda dalla disponibilità che ne dilata la capacità di accogliere l’amore. Nella fase oblativa Teresa è sostenuta dalla retta intenzione, dalla certezza di compiere la volontà di Dio; certezza che sfocia in una pace “interiore” senza limiti. L’obbedienza, sostenuta dal buon senso, le rende possibile, le facilita l’interpretazione degli ordini, anche i più bizzarri e favorisce, reprimendo i naturali e comprensibili moti d’insubordinazione, lo sviluppo della padronanza di sé, dell’autocontrollo, della volontà, del distacco. 

 Teresa è obbediente, umile, libera interiormente, distaccata da tutto, innamorata del “suo” Signore. L’ascendente sulla comunità è, perciò, inevitabile. Si occupa, in questa fase di transazione, delle novizie (tra le quali la sorella Celina, entrata al Carmelo dopo la morte del padre). Per ordine della sorella Paolina (Madre Agnese) divenuta priora, comincia la redazione della sua autobiografia. Scopre i fondamenti scritturistici del Vecchio Testamento, di quella che più tardi chiamerà la sua “piccola via”, in un quadernetto di appunti di Celina. Scopre l’amore di Dio nei profeti, rilevandolo in tutti gli aspetti: lirici, poetici, umani. Vive la storia della salvezza in chiave personale, saldamente “arroccata” al Signore, che la costruisce, giorno per giorno, servendosi del cemento e dei mattoni della comunità. 

La tappa finale ….. 

 Teresa raggiunge la soglia della tappa più importate, quella finale della sofferenza e della morte, da persona adulta, pienamente matura. Vola sulla strada dell’Amore: per lei conta solo l’Amore e l’Amore misericordioso. Poco tempo prima di offrirsi all’Amore (9 giugno 1895, festa della SS. Trinità) Teresa scrive: “… Adesso non ho più nessun desiderio se non quello di amare Gesù alla follia. Non desidero neppure la sofferenza né la morte, eppure le amo entrambe, non sono capace di domandare più niente con ardore, se non l’adempimento perfetto della volontà di Dio sull’anima mia…” (24). 

 Teresa ribalta la mentalità corrente e si offre “vittima”, “martire”, al Dio della Misericordia, all’Amore misericordioso. Ci sono delle verità su cui abbiamo delle intuizioni esistenziali: il processo di verbalizzazione è quasi impossibile. Teresa stessa trovandosi di fronte al grande mistero della sofferenza, ne percepisce il significato più profondo, più vero, quello intraducibile e l’intuizione non si esprime in forme masochistiche, virtuose, ma in un’accettazione solidale, attiva, dinamica. All’Amore misericordioso di Dio, Teresa risponde con l’Amore. La sua offerta spontanea, intima, viene accolta dal Signore. Nella notte tra il giovedì e il venerdì santo (2-3 aprile 1896) ha la prima emottisi: Riferisce: “…. Avevo avuto appena il tempo di posare la testa sul cuscino che sentii come un fiotto che saliva gorgogliando fino alle labbra. Siccome avevo già soffiato sulla lampada, mi dissi che bisognava aspettare la mattina per assicurarmi della mia felicità. Svegliandomi pensai subito che 31 avevo qualcosa di lieto da apprendere e, avvicinandomi alla finestra (vedendo il fazzoletto pieno di sangue) potei constatare che non mi ero ingannata. L’anima mia si sentì colma di una grande consolazione. Era come un dolce e lontano mormorio annunziantemi la venuta dello Sposo...” (25). 

 Ha inizio in questo modo la malattia e con essa la passione che durerà 187 giorni. Comincia come santa Bernardetta, la sua “professione di malata” (26). 
 Appare la notte più lunga, quella del buio della fede, dell’incredulità: Teresa si sente vicina, come mai le è capitato, ai peccatori, agli atei, agli increduli. Vive con loro, misteriosamente legata da una solidarietà spirituale. Il Signore, “…. Permise che l’anima mia venisse invasa dalle tenebre più fitte e che il pensiero del cielo, già per me così dolce, non fosse più che una ragione di lotta e di tormento. Questa prova non doveva durare qualche giorno, o qualche settimana, doveva prolungarsi….” (27) e prolungarsi fino alla sua morte. Quando vuole riposare il suo cuore nel ricordo del paradiso che l’attende, ha come l’impressione che le tenebre, assumendo la voce dei peccatori, si burlino di lei: “… Tu sogni la luce, una patria olezzante dei più soavi profumi, tu sogni il possesso eterno del Creatore, tu credi di uscire un giorno dalle nebbie che ti circondano…avanza, avanza! Rallegrati della morte la quale ti darà non ciò che speri, ma una notte ancor più profonda: la notte del nulla….” (28). Tutto è compiuto: “Padre ti affido il mio spirito….” Nel buio della fede Teresa si impegna con tutte le energie che le rimangono, nel campo affascinante e ricchissimo della speranza e dell’amore. 

 Ama per coloro che non amano. 

Spera per chi vive senza speranza e spera al di là, contro ogni speranza; soprattutto crede, anche se il Cielo le sembra terribilmente lontano, se non è più favorita sensibilmente dalla Presenza del Signore, se l’oggetto della sua speranza e del suo amore le sfugge irrimediabilmente. E’ nel deserto arido, nella terra bruciata del silenzio, dell’abbattimento, dell’abbandono. E’ con Gesù nell’orto del Getzemani, debole, sola e come il Signore, avendo scelto la via stretta, impervia dell’obbedienza nella sofferenza, non rifiuta il calice amaro dell’agonia e della morte. L’esperienza del buio della fede le permette di vivere di fede, quella pura, quella che vede oltre le tenebre della notte, in attesa della rugiada dell’aurora; è la fede che nasce dalla volontà di fede. La sofferenza fisica è indescrivibile: i medici ne sottolineano l’atrocità, la tragedia: eppure Teresa edifica tutti con la sua mitezza, la sua pazienza, la sua dolcezza e soprattutto con la piena, consapevole accettazione della sofferenza. 

 La mattina del 30 settembre 1897 esce in un lamento appena percepito: “E’ l’agonia, senza nessuna consolazione!” Non cessa di scongiurare che preghino per lei e sussurra: “…. Abbiate pietà di me, voi che siete così buono….”; e ancora alle tre pomeridiane: “...il calice è colmo fino all’orlo…. Non posso spiegarmi quello che soffro se non con il mio estremo desiderio di salvare anime”. Alle ore sette circa, Teresa pronuncia distintamente il suo ultimo atto d’amore: “Mio Dio, Vi amo!” “Credemmo che tutto fosse finito – si legge nelle testimonianze – quando subitamente alzò gli occhi, degli occhi pieni di vita e di fiamma nei quali si rifletteva una felicità  'al di sopra di tutte le sue speranze'. Era un’estasi che durò per lo spazio di un Credo. Subito dopo chiuse gli occhi e divenne di una bellezza incantevole, il capo piegato a destra con un sorriso accentuato che sembrava dire: 'Il Buon Dio non è che amore e misericordia…' ” (29). L’agonia è finita. Teresa muore. La sofferenza le ha permesso di portare avanti “una delle Rivoluzioni più commoventi e più grandiose che lo Spirito Santo abbia suscitato nell’evoluzione spirituale dell’umanità…” (30). La sofferenza è la sintesi della sua vita ed è la chiave per “leggere” e per comprendere il messaggio essenziale: l’Amore. 
*
Bibliografia
 Santa Teresa di Gesù Bambino 1) S. Teresa di Gesù Bambino, Manoscritti Autobiografici Ed. Ancora, Milano, 1973, p. 239 2)Correspondance familiare – Lettres de Zélie Martin (1863 – 1877) 3)S. Teresa di Gesù Bambino - Gli Scritti, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi 4)Therese de l'Enfant Jesus – Correspondance Générale, Paris 1972-1973, p. 96 5) S. Teresa di Gesù Bambino,Manoscritti Autobiografici, Ed. Ancora, Milano, 1973, pp. 32-33   6)ibd. pp. 36-37 7)ibd. pp. 32 8)ibd. pp. 47 9)ibd. pp. 89-90 10) ibd. pp. 98-99 11) ibd. pp. 100 12) ibd. pp. 111-112 13) ibd. pp. 118-119 14) ibd. pp. 121-122 15) ibd. pp. 122-123 16) ibd. pp. 142-143 17) ibd. pp. 149 18) ibd. pp. 186 19) ibd. pp. 186-188 20) ibd. pp. 194 21) ibd. pp. 194-195 22) ibd. pp. 213 23) ibd. pp. 210-211 24) ibd. pp. 219 25) ibd. pp. 259 26) Renè Laurentin, Iniziazione alla vera Teresa, Ed. Queriniana, Brescia 1973, p. 177 27) S. Teresa di Gesù Bambino, Manoscritti Autobiografici Ed. Ancora, Milano, 1973, p. 260 28) ibd. pp. 262 29) ibd. pp. 333-337 30) Combes, Introduction Ed. 1946, p. 146  

venerdì 29 settembre 2017

Quel dogma è importante più che mai. Io Sono la Corredentrice del Mondo

Il dogma di Maria Corredentrice: 
è questo il momento opportuno per proclamarlo?



Nostra Signora di
Tutti i Popoli
Nel maggio del 2002 il vescovo di Haarlem-Amsterdam, Monsignor Joseph Punt, ha approvato ufficialmente le apparizioni di Amsterdam. Nei messaggi affidati alla veggente Ida Peerdeman, la Madonna chiede esplicitamente un nuovo dogma, quello che dovrà attribuirle il titolo di: Maria Corredentrice, Mediatrice e Avvocata. La Signora di Tutti i Popoli promette solennemente che "Ella salverà il mondo sotto questo titolo" (20.03.1953); "per mezzo di questa preghiera libererà il mondo da una grande catastrofe mondiale" (10.05.1953). Spiega inoltre come farà: "Quando il dogma, l’ultimo dogma della storia mariana, sarà proclamato allora la Signora di Tutti i Popoli donerà la Pace, la vera Pace al mondo. I popoli però debbono recitare la mia preghiera in unione con la Chiesa" (31.05.1954).

Tale dogma permetterà un nuova effusione dello Spirito Santo. Maria promette che lo Spirito Santo scenderà con nuova pienezza sulla Chiesa e sul mondo: "Sappiate che lo Spirito Santo è più vicino che mai [...] Nel nome della Signora di tutti i popoli pregate il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che verrà adesso più pienamente di quanto sia mai accaduto" (31.05.1955). Questo dogma permetterà all’umanità di entrare in un nuovo tempo, in una nuova epoca, l’epoca dello Spirito Santo. Quando avverrà questo incoronamento di Maria, il demonio verrà sconfitto. A Ida è stata mostrata, con immagini drammatiche, questa grande sconfitta di Satana: "Ho visto il drago che si raggomitolava per cadere esausto e sconfitto. E la Voce diceva: ‘Il tuo potere è infranto e la tua forza ti è stata tolta. Il tuo orgoglio e la tua alterigia vengono calpestati’" (11.02. 1975); "Tutto questo accadrà" (25.03.1975).

Questo dogma, su cui si sta dibattendo da molti anni, non è mai stato visto di buon occhio da alcune componenti della Chiesa. Il timore prevalente è che un’eventuale proclamazione di Maria Corredentrice, Mediatrice e Avvocata, comprometterebbe irreparabilmente il già difficile dialogo ecumenico che da tanti anni si sta imbastendo con le altre chiese cristiane. Già agli inizi degli anni ‘50 la Madonna descriveva le violente opposizioni e i contrasti che si sarebbero scatenati attorno al dogma e che recentemente si sono fatti ancora più aspri: "Questo dogma sarà molto contestato" (08.12.1952). "Gli altri, vi attaccheranno" (04.04.1954). E profetizzava con parole drammatiche: "Sarà una lotta per la vita o per la morte, ma alla fine lo Spirito vincerà" (25.03.1972).

E proprio ad Amsterdam la Madonna, sapendo che questo dogma sarebbe stato rifiutato e violentemente combattuto, ha affidato ai teologi un compito importante: quello di trovare nei libri gli argomenti che dimostrano la verità teologica del titolo di Corredentrice, dandogli così un fondamento scientifico incontestabile: "Di’ ai vostri teologi che essi possono trovare tutto nei libri. Non porto nessuna nuova dottrina. Porto adesso gli antichi pensieri" (04.04.1954).

Ma a prescindere da queste apparizioni, esistono molti movimenti che da diversi anni si stanno impegnando per ottenere quanto prima una definizione papale del dogma. Fra questi c’è "Vox Populi Mariae Mediatrici". Questo movimento è diretto da Mark Miravalle, professore di teologia e di Mariologia all'Università Francescana di Steubenville (USA). Vi proponiamo a questo proposito un’intervista a Mark Miravalle concessa il 31 ottobre del 2002 all’agenzia cattolica Zenit.
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Chi fosse interessato a dare la sua adesione alla petizione di "Vox Populi Mariae Mediatrici" a favore della definizione papale di Maria Corredentrice, Mediatrice di tutte le grazie e Avvocata, può farlo compilando il form nel sito Web dell’Associazione, al seguente indirizzo:


N.B.: una volta entrato nella pagina Web indicata, dovrai compilare l'apposito modulo, digitando i seguenti dati nei relativi campi:

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Perché questo è il momento per il dogma di Maria Corredentrice

La nuova lettera apostolica del Papa, "Rosarium Virginis Mariae" ("Rosario della Vergine Maria"), ha riacceso l'interesse sul ruolo di Nostra Signora nella vita di Cristo e nella storia della salvezza.

Mark Miravalle - uno dei principali promotori dell’iniziativa di dichiarare Maria Corredentrice - ha spiegato a ZENIT il suo punto di vista. Miravalle è professore di teologia e di mariologia all'Università Francescana di Steubenville (USA) e presidente di "Vox Populi Mariae Mediatrici".

Zenit: Perchè pensa che il titolo di Maria Corredentrice sia un titolo mariano legittimo nella Chiesa?

Miravalle: Il titolo mariano di "Corredentrice" si riferisce alla partecipazione unica di Maria nell’opera della nostra redenzione compiuta da Gesù Cristo. Il prefisso "co" viene dalla parola latina "cum" che significa "con" e non "uguale a".
Il termine, per come è usato dalla Chiesa, non pone mai Maria su un piano di uguaglianza con Gesù Cristo, il Redentore Divino. Tuttavia la cooperazione umana libera e attiva della Madre di Gesù nella redenzione, specialmente nell'annunciazione e nel Calvario, viene giustamente riconosciuta dal magistero papale e dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II - si veda la "Lumen Gentium", nn. 56, 57, 58 e 61 - e diventa un esempio preminente di come ogni cristiano è chiamato a diventare un "cooperatore di Dio".

Il teologo Padre Cottier, O.P., recentemente ha difeso il titolo di Maria Corredentrice negli insegnamenti del Concilio Vaticano II in un discordo internazionale per la Congregazione per il Clero. Il cardinale Schönborn, ex segretario della commissione del Catechismo Universale, è anche lui uno strenuo difensore del titolo, ed uno dei 550 vescovi che appoggiano la definizione papale di Maria Corredentrice, Mediatrice di tutte le grazie e Avvocata.

Domanda: Giovanni Paolo II ha mai chiamato Maria "la Corredentrice"?

Miravalle: Papa Giovanni Paolo II ha usato il titolo di Corredentrice almeno in sei occasioni durante i suoi discorsi, come aveva fatto parecchie volte anche Papa Pio XI prima di lui. Per esempio, nella sua omelia a Guayaquil, in Ecuador, nel gennaio del 1985, Giovanni Paolo II ha dichiarato che Maria era stata "crocifissa spiritualmente con il suo Figlio crocifisso" e che "il suo ruolo di Corredentrice non è cessato dopo la glorificazione di suo Figlio".

I ripetuti e coerenti insegnamenti del nostro Santo Padre su Maria come Corredentrice, nei suoi discorsi e nelle omelie, sono una manifestazione dell’opinione e del magistero ordinario del Papa che richiede il nostro "assenso religioso della volontà e dell’intelligenza", secondo la Lumen Gentium, 25.

Il Concilio Vaticano II in numerose occasioni fa riferimento ad allocuzioni papali come sostegno dottrinale alle sue conclusioni conciliari. I discorsi dei papi sono stati riconosciuti dal Concilio come fonti dottrinali legittime, perciò il Magistero mariano di Giovanni Paolo II dovrebbe essere considerato allo stesso modo in questo periodo post-conciliare.

I santi portano una forte testimonianza a favore del titolo di Maria Corredentrice. San Pio da Pietrelcina, San Josemaría Escrivá, Santa Teresa Benedetta della Croce - Edith Stein, San Leopoldo Mandic, il Beato Bartolo Longo e molti altri santi e beati canonizzati recentemente, hanno usato il titolo, assieme a San Massimiliano Maria Kolbe.

Madre Teresa di Calcutta è stata una leader, nel vero senso della parola, nella causa per una definizione dogmatica di Maria Corredentrice e Mediatrice di tutte le grazie. Anche Suor Lucia, la veggente di Fatima, ha sottolineato il ruolo di Maria Corredentrice nel suo ultimo libro "Gli appelli del messaggio di Fatima" (1), nel quale parla di Maria Corredentrice in sei diverse sezioni.

Domanda: Come risponde all’obiezione che Corredentrice non è un termine legittimo perché non figura nel linguaggio della Scrittura e dei Padri della Chiesa?

Miravalle: Sollevare obiezioni sulla legittimità del titolo di Corredentrice vuol dire implicitamente criticare Giovanni Paolo II che, lo ribadisco, ha usato ripetutamente il titolo di Corredentrice. Usare il linguaggio della Scrittura e dei Padri come criterio per decidere la legittima terminologia della Chiesa significherebbe in pratica eliminare i titoli mariani dogmatici dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, come pure il termine transustanziazione e perfino l’infallibilità papale, dal momento che nessuna di queste verità dogmatiche sono descritte nel linguaggio della Scrittura e dei Padri.

Sarebbe importante evitare qualunque tipo di "semi-primitivismo", che precluderebbe uno sviluppo legittimo della dottrina o del titolo a causa della mancanza di un riferimento esplicito nella Scrittura e nei Padri.
Il Venerabile cardinale Newman in merito ad un'obiezione analoga, rispose a Pusey dicendo: "perché contestate il fatto che Nostra Signora venga chiamata Corredentrice quando siete pronti ad accettare titoli incommensurabilmente più gloriosi attribuiti a Maria dai Padri: Madre di Dio, Seconda Eva, Madre di Vita, Stella del Mattino, Nuovo Paradiso Mistico, Centro dell’Ortodossia, e altri simili?".

Domanda: Ma la definizione papale di Maria Corredentrice ostacolerebbe l’importante missione ecumenica della Chiesa?

Miravalle: Negli anni 50, i teologi protestanti Miegge e Maury hanno identificato la corredenzione mariana come il problema fondamentale nella mariologia del 20° secolo. Più recentemente, è stato osservato che l'omissione dei titoli di Corredentrice e Mediatrice di tutte le grazie nel Vaticano II, per non offendere i cristiani protestanti, non era effettiva, poiché la dottrina della corredenzione e della mediazione è rimasta un insegnamento fondamentale del Concilio.

È tempo di essere più diretti ed espliciti con gli altri corpi ecclesiali cristiani circa la dottrina cattolica della corredenzione e mediazione mariana, e di articolare questa verità con la più grande integrità e precisione teologica possibili, ma manifestando allo stesso tempo grande sensibilità verso coloro che non condividono la nostra visione cattolica. Questo sarebbe il significativo beneficio ecumenico di una definizione di Maria Corredentrice.

Il cardinale O'Connor, di New York, ha dichiarato che una definizione aiuterebbe notevolmente l’ecumenismo perché la sua esatta articolazione assicurerebbe ad altre chiese cristiane che noi distinguiamo adeguatamente fra l'associazione unica di Maria con Cristo e la potenza redentrice esercitata soltanto da Cristo.

In "Ut Unum Sint", il Santo Padre afferma che l'unità cristiana voluta da Dio può essere raggiunta soltanto tramite un'accettazione del contenuto completo della verità rivelata, e proibisce qualsiasi compromesso di verità o di sviluppo dottrinale a favore di un "accordo accomodante".

La persona stessa di Giovanni Paolo II offre una valida ragione per l’opportunità nel presente di una definizione papale di Maria Corredentrice. Questo papa possiede l’autentico dono di essere al tempo stesso "pienamente ecumenico" e "pienamente mariano". Chi meglio di Giovanni Paolo II può mantenere il delicato equilibrio fra piena integrità dogmatica e autentica sensibilità ecumenica per quanto riguarda la formulazione di un nuovo dogma mariano? Non rivela egli brillantemente in "Rosarium Virginis Mariae" questo cauto equilibrio?

All'inizio dell'anno mariano 1987, il Santo Padre ha esortato la commissione preparatoria ad avere più "fiducia in Maria per la missione dell’ecumenismo". La stessa saggezza deve essere applicata ad un possibile dogma mariano. La Madre spirituale di tutti i popoli rimane la Madre dell’Unità Cristiana, non il suo ostacolo.

Per quanto riguarda gli Ortodossi, le Chiese nostre sorelle, la loro generosa celebrazione liturgica del ruolo della Madre di Dio nella nostra salvezza è qualcosa che la Chiesa d’Occidente dovrebbe imitare e riscoprire. La loro comune preghiera liturgica "O madre di Dio, salvaci" mette in luce il cuore del ruolo unico di Maria nella missione salvifica di suo Figlio. Il patriarca Bartolomeo ha pubblicato nel 1998 un’enciclica sul ruolo della Madre di Dio nella salvezza, che è stata quasi completamente ignorata in Occidente.

Resta il fatto che le chiese ortodosse, come anche i corpi ecclesiali protestanti, non accettano l'ufficio del Papato e quindi logicamente non potrebbero mai essere favorevoli all’esercizio di un carisma papale di infallibilità che proviene da un ufficio che a priori rifiutano. Ecco perché sostenere che fino a che non riceviamo l'approvazione delle autorità ortodosse e protestanti per un dogma - mariano o di altro tipo - il Papa non dovrebbe dichiararlo, significa, da un punto di vista filosofico e pratico, escludere completamente il carisma dell’infallibilità papale.

Domanda: Quanti fedeli cattolici hanno fatto petizioni a favore di questo dogma, e vedete qualche attinenza fra la proclamazione di questo dogma mariano e la situazione attuale del mondo?

Miravalle: Negli ultimi 10 anni, circa 7 milioni di petizioni da oltre 150 paesi sono state inviate alla Santa Sede, assieme all’approvazione di 550 vescovi ed oltre 40 cardinali. Ciò costituisce la più estesa campagna di petizione nella storia della Chiesa.

Alla luce dell’attuale clima di "guerre e rumori di guerre" nel mondo, credo la proclamazione del dogma di Maria Corredentrice, Mediatrice di tutte le grazie e Avvocata, sarebbe lo strumento per realizzare il pieno esercizio del ruolo materno di intercessione di Nostra Signora nel portare la pace ad un mondo senza pace, nell'adempimento della sua promessa di Fatima: "alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà… e un periodo di pace sarà concesso al mondo". Dio rispetta la libertà umana e la proclamazione papale la "renderebbe libera" di eserciterebbe pienamente i suoi ruoli salvifici per l’umanità contemporanea.

La recente promulgazione del "Rosarium Virginis Mariae" e il dono dei cinque nuovi misteri luminosi ci ricorda che il Santo Padre mantiene tutto il suo riguardo per la Madre di Dio. Credo che dovremmo mantenere una mente aperta ed obbediente al discernimento finale di questo papa del "Totus Tuus" per quanto riguarda l’opportunità della definizione di Maria Corredentrice.

Dall'articolo "Why Now Is the Time for a Dogma of Mary Co-redemptrix", pubblicato da Zenit il 31.10.2002 [traduzione e adattamento a cura di "Profezie per il Terzo Millennio"]



Note:





A cura di "Profezie per il Terzo Millennio" - Novembre 2002



AMDG et BVM

JNSR

Tutte le Mie pecore
Venerdì, 9 novembre 1990

“J.N.S.R.”: Dolce Cuore di Gesù, dolce Cuore di Maria, siate il nostro rifugio. Signore, dacci la Pace. Signore Onnipotente e Misericordioso, venga il Tuo Regno!
Gesù: Io vi amo e sono con tutti voi. Non abbandono uno SOLO dei Miei figli, ma AMATEMI.
Gesù vuole regnare CON voi tutti, NEI vostri cuori, NELLE vostre anime, CON la vostra intelligenza e la vostra conoscenza, CON tutto il vostro essere rivolto verso il Mio Sacro Cuore. Gesù vi ama per voi stessi, come siete, piccoli e miserabili. Gesù vi ama per LUI stesso, perché vi vuole avere presso di Se, pieni del Suo Amore, riempiti della Sua santa Vita.
Gessa vuole fare di CIASCUNO di voi un santo perfetto nella Sua gioia in Dio, un santo UNICO, poiché ciascuno di voi é UNICO. E per questo Dio desidera un bouquet d’Amore presso di Lui. Voi siete diversi e potete portare tante promesse ai vostri fratelli, tante gioie, tante cure! Gesù vi chiede semplicemente di accettare la vostra offerta interamente: offritevi a Gesù interamente.
Io sono lo scultore che da alla Sua opera il meglio di se stesso: il suo modello assomiglia all’anima dello scultore; questo modello diventa il suo scultore, poiché non é che una cosa sola con il suo Padrone. Nelle Mie sacre mani voi siete quel marmo fine che riprodurrà 1’immagine che io desidero, senza la minima imperfezione, bella come un giorno nascente, pura come il diamante delle profondità della terra vergine. Attraverso di Me voi diventate dei grandi, dei meravigliosi santi, 1’ornamento del Mio Cielo, la gioia del Cielo e della terra. COSÌ sono i Miei figli diletti che chiamo già dalla terra a seguirMi.
A voi che venite a Me,
cercandoMi nel tumulto del mondo, darò la Pace e la Gioia. Io vi condurrò verso la Mia Conoscenza, istruendovi giorno e notte nel Mio Amore aperto come un libro. Voi potrete leggere le Mie Sante Leggi, la Mia Santa Vita, la Mia Santa Volontà, come il bambino che impara a leggere con i caratteri stampatello. TUTTO vi sarà facile, piacevole, dolce con il vostro Maestro.
Il mondo non avrà più segreti spiacevoli ed i misteri di Dio penetreranno fino nel più profondo della vostra anima, facendovi crescere nella Sua armonia divina. Voi otterrete i Miei doni perfetti, come il bambino che viene a Bere alla fonte stessa nel palmo della sua mano.
Infatti non porterete con voi che il vaso d’amore che é la vostra anima che io riempirò fino all’orlo delle Mie delizie, della Mia Vita, della conoscenza della Mia Santa Vita che traboccherà in voi tutti, trascinando la moltitudine dei ritardatari. Io farò di voi delle anime ricche di doni, ricche della Mia santa ricchezza, delle anime deliziose, plasmate e nutrite del Mio meraviglioso Amore. Miei figli obbedienti, non attendo che il vostro CONSENSO, il vostro dolce assenso, ed Io interverrò in voi stessi, a partire dalla vostra chiamata. Io attraverserò gli strati umani, come i1 sole attraversa il vetro per illuminare la stanza oscura. Io darò Luce e Gioia, Amore e Vita alla vostra anima inondata dal Mio meraviglioso e Misericordioso Amore. Voi sarete delle anime regine del Mio Regno futuro, al fine di istruire tutti i vostri fratelli in cammino verso la DIMORA preparata dal vostro Dio. Ecco che apparirà la dimora di Dio in mezzo a voi (1).
“Ed ecco che io vengo. Amen, vieni Signore Gesù!”
Gesù viene verso di VOI, Gesù viene a VOI. Non dite che non siete avvisati: IO VI INFORMO giorno e notte. Vi trasmetto la Mia Vita, la Mia Conoscenza, giorno e notte. CIASCUNO di VOI CONOSCE la Mia legge e ClASCUNO di VOI ha IN SE STESSO INSCRITTI i Miei disegni.
Le pecore smarrite
Io non lascio NESSUNO alla deriva. Colui che cerca, trova. A colui che Mi chiama, rispondo. Colui che Mi cerca Mi trova SUBITO, poiché Io Mi tengo cosi vicino a voi, figli Miei diletti. Come potete dubitarne? Io non Mi allontano: siete VOI che vi allontanate da Me. Io sono sempre pronto a venirvi a prendere nelle Mie braccia e a stringervi sul Mio Santo Cuore. Il vostro Signore attende instancabilmente il ritorno della pecora smarrita, della pecora pigra che si ferma per strada. E Gesù viene a ritirare la pecora sprofondata nei rovi del peccato. Di questa Gesù intende il suo lamento di RIMORSI. Gesù intende anche i lamenti delle pecore che l’accompagnavano e che, impotenti, la guardano in mezzo a tutte quelle spine micidiali dei peccati di ogni genere.
Pregate, figli Miei. PREGATE SENZA SOSTA. OffriteMi le vostre lacrime, il vostro sacrificio, il vostro Amore, nei Santi Cuori di Gesù e di Maria: GESÙ’ LIBERERÀ TUTTE LE PECORE CHE GLI PRESENTERETE NELLE VOSTRE PREGHIERE: nominateMele TUTTE, UNA per UNA. Ogni pecora smarrita vi costerà molta sofferenza, molti sacrifici, molte preghiere, ma Gesù vi mostrerà, in Cielo, il gregge che avrete riunito con Gesù e Maria; in Cielo conterete, con il Buon Pastore, una per una le pecore smarrite, le pecore pigre, le pecore dilaniate, RITORNATE alla casa del Padre.
Gesù, il Buon Pastore. Amen.
+ + +
(1) Questa DIMORA di Dio in mezzo a noi é il Regno di Dio SULLA terra, di Dio CON noi, in mezzo a noi. È la NUOVA GERUSALEMME, la cui descrizione termina 1’Apocalisse (cap. 21 e 22), quindi la Bibbia. Questa Gerusalemme é annunciata dai profeti messianici, in particolare da Isaia (cap. 65 e 66).

Dettando a Maddalena a Dozulé il 07.07.1978 nel corso della 48 esima apparizione, Gesù afferma: ”
… è su questa montagna benedetta e sacra, luogo che Mio Padre ha scelto, che si rinnoveranno TUTTE le cose. È qui che vedrete la Città Santa, la Nuova Gerusalemme”.
Nel 1984, quando si trova in ginocchio sulla Haute Butte di Dozulé, “J.N.S.R.” ha la visione di una GRANDE Croce nel Cielo, poi di Gesù. In seguito di Maria ed infine vede una città tutta bianca che scende dal Cielo con delle cupole e delle torri quadrate con dei merli: la Nuova Gerusalemme.
Per Israele, del tempo del Vangelo, Gerusalemme é la Città Santa poiché in essa si trova il tempio e 1à, nel Santo dei Santi nascosto dal triplo velo, aleggia sull’Arca lo SPIRITO del Dio Vivente: solamente il sacerdote che offre 1’incenso mattina e sera é autorizzato ad oltrepassare il velo dopo essersi meticolosamente purificato; e nessun altro. È li che Zaccaria, sacerdote di Yahve, si sente annunciare dall’Angelo la nascita di Giovanni Battista; dubita e diventa MUTO: TUTTI i sacerdoti che dubitano di questi messaggi SI rendono MUTI. Invischiata nel dubbio e nella paura, la loro predicazione stagna.
Terra nuova e Cieli nuovi, Nuova Gerusalemme, Dio con noi. Ciò descrive precisamente ciò che Dio aveva preparato per Adamo ed Eva, cioè che il peccato originale ci ha fatto perdere, ciò che il Creatore Onnipotente ha la volontà di realizzare superbamente, così come previsto e cominciato inizialmente: il Regno di Dio SULLA terra, CON noi, IN MEZZO a noi.
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Generosità con il Signore Gesù

BELLEZZA DI UN'ANIMA IN GRAZIA

Chi desidera arrivare alla perfezione deve assolutamente muovere guerra atroce di sterminio ai difetti ed alle colpe anche leggere. La santità è incompatibile coi peccati veniali commessi ad occhi aperti, con piena cognizione del male che facciamo. Bisogna essere generosi col Signore e non disgustarlo continuamente, se desideriamo che anch'Egli sia largo con noi delle sue grazie. L'anima che sta attaccata alle creature con affezioncelle, non può volare liberamente all'amplesso beato di Dio. Che importa all'uccellino di essere legato con filo sottile o con una grossa corda, se non può librarsi a piacimento nell'aria?

Vaga è la rosa, fragrante e ci attira coi suoi colori brillanti alla luce del sole: ma se ha una foglia avvizzita, perde molto del suo pregio. Una mela matura e bella se ha una parte guasta, per quanto piccola, non è più degna di essere collocata sulla mensa reale. Un magnifico vestito di seta, adorno di oro e di gemme, ricamato da mano esperta, riceve una piccola macchia. Via, via! La regina non lo vestirà più. Dev'essere tutto puro, tutto immacolato, senza alcun neo. Nella reggia non entrano che vesti convenienti alla maestà, regale.

Dio è la santità stessa che scorge imperfezioni anche nei Serafini che tremano dinanzi a Lui, velandosi il volto colle ali; e vuole che le anime, consacrate in modo speciale al suo amore, cerchino di acquistare la purezza di coscienza. Chi dunque fa pace coi suoi difetti, chi si adagia mollemente nelle sue imperfezioni,. chi ripete sempre le stesse colpe compiacendosi in asse e non curando di emendarsi, non speri di arrivare alla perfezione, di essere ammesso nella intimità dell'Amor divino ed inebriato di celesti consolazioni. Perchè Dio si comunichi intieramente all'anima, bisogna che essa sia vuota di ogni affetto terreno e spoglia di ogni attacco alle creature. Se il nostro cuore è lordo di fango, se ama le cose caduche della terra, non può essere illuminato dai raggi divini e riempito del soave liquore della sua santa grazia. Il balsamo perde presto il suo profumo se vi muore dentro una mosca.

Santa Margherita Maria Alacoque, la fortunata discepola del Cuore divino, entrata nel monastero e datasi alla più sublime perfezione, conservò un attacco sensibile ad una compagna. Gesù le apparve e le fece intendere che quel dolce legame contristava il suo amore, geloso di regnare nel cuore di lei, e che doveva assolutamente troncarlo. 
La santa vergine, sensibile ad ogni minima prova di affetto, lottò per vari mesi contro quell'attaccamento e infine trionfò; ed allora lo Sposo Divino la inondò di consolazioni e l'abbellì di favori singolari, che fino allora le aveva nascosti, perché non ancora libera di se stessa.

La serafina del Carmelo, S. Teresa di Gesù, ebbe una terribile visione, in cui le fu mostrato l'inferno ed il luogo preparato per lei se non si emendava di alcuni difetti che la avrebbero poco per volta trascinata alla perdizione. Ed un'anima veduta dalla ven. Suor Anna dell'Incarnazione, morta in concetto di santa, fu veramente dannata per difetti leggeri che la portarono a colpe gravi.

I peccati veniali in una persona che si dà alla perfezione fanno l'effetto di moscerini o polvere negli occhi. Un granellino di sabbia od una pagliuzza è un nonnulla; ma se entra in un occhio lo fa lacrimare e soffrire atrocemente: lo si vede gonfiare, diventar rosso e, finché non è uscito, non si può star fermi e neppure veder bene gli oggetti.

La beata Chiara di Montefalco un giorno s'invanì di una sua azione, ed il Signore le sottrasse subito i lumi e le celesti consolazioni per molto tempo, nonostante che ella facesse penitenza del suo fallo e ne chiedesse perdono con un profluvio di lacrime.

Gesù Cristo è uno Sposo geloso, che non può tollerare le infedeltà al suo amore nelle anime a Lui consacrate. Egli le amò perdutamente fino a discendere dal cielo, vestire umana carne, soffrire dolorosissima passione e finalmente morire in croce; ed ha diritto che esse gli donino tutto il loro cuore, senza dividerlo con le creature. E' così piccolo questo cuore che non ammette due amori; e conviene che arda tutto per Colui che lo creò e lo redense e desidera santificarlo.

La santa vergine olandese Liduvina, vissuta per trentott'anni in un letto, colpita da tutte le infermità, alla morte di suo padre si afflisse più che non conveniva ad un cristiano, il quale sa che la tomba non è che la culla dell'immortalità. In castigo di quell'affetto troppo naturale ed eccessivo, Dio la privò delle dolci consolazioni, con cui soleva visitarla sul letto del suo dolore: e gravò la mano su di lei mandandole molte pene interne.

Un pio solitario fu avvertito di quanto passava in quell'anima e le mandò a dire che si correggesse di quell'imperfezione e si rassegnasse all'adorabile Volere divino, se voleva riacquistare i favori di prima.

Appelliamoci infine alla nostra esperienza. Non è forse vero che quando cadiamo in difetti volontari, quando neghiamo a Dio il sacrificio delle nostre piccole voglie ed accontentiamo le affezioni disordinate del cuore, subito sentiamo diminuire la grazia di Dio, la soavità nella pratica della virtù e lo slancio nel cammino della perfezione? 
Allora l'anima nostra sonnecchia nel servizio divino: Dormitavit anima mea pro taedio (Psal. CXVIII); e non è più capace di propositi generosi e di magnanime risoluzioni. E' malaticcia, è ferita, come il disgraziato sulla via di Gerico, e se non ci affrettiamo a medicarla, presto morirà. Perciò se vuoi farti santo, muovi guerra spietata alle colpe veniali avvertite. Non essere avaro con Dio, non misurare col compasso o col metro fin dove arrivi il lecito e l'illecito, il mortale e il veniale, l'obbligo grave e quello leggero. Questo è difficile e pericoloso, perchè i limiti non sono sempre chiari. Cerca invece di evitare qualsiasi offesa di Dio, obbedendo sempre alle soavi ispirazioni della Grazia.

Volere è potere; e chi vuole tenacemente si fa santo, perchè gli aiuti divini non mancano mai a chi li riceve con prontezza e li traffica con sollecitudine.

Salve Sancte Pater