domenica 21 febbraio 2016

SAN PAOLO AI ROMANI


LETTERA AI ROMANI

Capo X.


Amore di Paolo per i Giudei


[1]Fratelli, il voto del mio cuore e la preghiera che fo a Dio per essi è che sian salvati; 2perché, rendo loro questa testimonianza, hanno lo zelo di Dio, ma non secondo la cognizione del vero: 3infatti, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio; 4perché fine della legge è Cristo, per dare la giustizia ad ogni credente.

I Giudei non han riconosciuto Cristo fine della legge

[5]Mosè infatti dice della giustizia che vien dalla legge: «Chi l’avrà adempita, vivrà per essa». 6Ma della giustizia che vien dalla fede dice: «Non dire in cuor tuo: Chi salirà in cielo?» sarebbe a dire per farne discendere il Cristo; 7«Chi scenderà nell’abisso?» viene a dire per risuscitare il Cristo da morte. 8Ma che dice la Scrittura? «Tu hai presso di te la parola nella tua bocca e nel tuo cuore»: questa è la parola della fede che noi predichiamo.

I Giudei han rigettata la fede, unica via di salvezza

9Se tu quindi colla tua bocca confesserai il Signore Gesù, e crederai in cuor tuo che Dio l’ha risuscitato da morte, sarai salvo; 10perché credendo di cuore si perviene alla giustizia, e la confessione della bocca mena alla salute. 11Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui, non sarà confuso. 12Non c’è dunque distinzione fra Giudeo e Greco, perché lo stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l’invocano: 13infatti «chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvo».

L’ignoranza dei Giudei è senza scusa

14Ma come invocheranno uno in cui non hanno creduto? E come crederanno in uno di cui non hanno sentito parlare? Come poi ne sentiranno parlare, senza chi predichi? 15E come predicheranno se non sono mandati? Come sta scritto: Quanto son belli i piedi di coloro che evangelizzano la pace, che evangelizzano il bene!16Ma non tutti obbediscono al,Vangelo. Isaia infatti dice: Signore, chi ha creduto a ciò che ha da noi udito?17La fede vien dunque da ciò che è udito, e si ode per la parola di Cristo. 18Ma domando: Non han forse udito? Eppure: Per tutta la terra ha risuonato la loro voce, e le
loro parole son giunte fino agli estremi confini della terra. 19Ma chiedo ancora: Forse Israele non ne seppe nulla? Mosè pel primo dice: Ecciterò la vostra gelosia contro una nazione, che non è nazione, provocherò il vostro sdegno contro una nazione stolta. 20Isaia poi ha l’audacia di dire: Mi han trovato quelli che non mi cercavano, mi son presentato a coloro che non chiedevano di me. 21Ad Israele poi dice: Tutto il giorno stesi le mie mani verso un popolo incredulo e ribelle.

VIENI SIGNORE GESU' 
NOI TI ATTENDIAMO. AMEN.

sabato 20 febbraio 2016

COME I SANTI PARLANO DELL'ESSENZIALE



La carità fraterna deve conformarsi all'esempio di Cristo

"Non c'è niente che ci spinga ad amare i nemici, cosa in cui consiste la perfezione dell'amore fraterno, quanto la dolce considerazione di quella ammirabile pazienza per cui egli, « il più bello tra i figli dell'uomo » (Sal 44, 3) offrì il suo bel viso agli sputi dei malvagi. Lasciò velare dai malfattori quegli occhi, al cui cenno ogni cosa ubbidisce. Espose i suoi fianchi ai flagelli. Sottopose il capo, che fa tremare i Principati e le Potestà, alle punte acuminate delle spine. Abbandonò se stesso all'obbrobrio e agli insulti. Infine sopportò pazientemente la croce, i chiodi, la lancia, il fiele e l'aceto, lui in tutto dolce, mite e clemente.

Alla fine fu condotto via come una pecora al macello, e come un agnello se ne stette silenzioso davanti al tosatore e non aprì bocca (cfr. Is 53, 7).

Chi al sentire quella voce meravigliosa piena di dolcezza, piena di carità, piena di inalterabile pacatezza: « Padre, perdonali » non abbraccerebbe subito i suoi nemici con tutto l'affetto? « Padre », dice, « perdonali » (Lc 23, 34). Che cosa si poteva aggiungere di dolcezza, di carità ad una siffatta preghiera? Tuttavia egli aggiunse qualcosa. Gli sembrò poco pregare, volle anche scusare. « Padre, disse, perdonali, perché non sanno quello che fanno ». E invero sono grandi peccatori, ma poveri conoscitori. Perciò: « Padre, perdonali ». Lo crocifiggono, ma non sanno chi crocifiggono, perché se l'avessero conosciuto, giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria (cfr. 1 Cor 2, 8); perciò « Padre, perdonali ». Lo ritengono un trasgressore della legge, un presuntuoso che si fa Dio, lo stimano un seduttore del popolo.

Ma io ho nascosto da loro il mio volto, non riconobbero la mia maestà ». Perciò: « Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno » (Lc 23, 34).

Se l'uomo vuole amare se stesso di amore autentico non si lasci corrompere da nessun piacere della carne. Per non soccombere alla concupiscenza della carne, rivolga ogni suo affetto alla dolcezza del pane eucaristico. Inoltre per riposare più perfettamente e soavemente nella gioia della carità fraterna, abbracci di vero amore anche i nemici.

Perché questo fuoco divino non intiepidisca di fronte alle ingiustizie, guardi sempre con gli occhi della mente la pazienza e la pacatezza del suo amato Signore e Salvatore."

Dallo « Specchio della carità » di sant'Aelredo, abate (Lib. 3, 5; PL 195, 582)



Orazione 
Concedi, Signore, alla tua Chiesa di prepararsi interiormente alla celebrazione della Pasqua, perché il comune impegno nella mortificazione corporale porti a tutti noi un vero rinnovamento dello spirito. Per il nostro Signore.
A cura dell'Istituto di Spiritualità:
Pontificia Università S. Tommaso d'Aquino

AVE MARIA!

L’OMOSESSUALITÀ NON È SEDE DI DIRITTO

 20 febbraio 2016


“Instrumentum laboris” e attenzione verso le persone con tendenza omosessuale: lacune e silenzi

Il rinvio di una settimana della discussione in aula della famigerata legge Cirinnà è una provvidenziale grazia concessa per mano della Beata Vergine Maria per permetterci di unirci tutti in spirituale combattimento e offrire ogni preghiera, Rosari e fioretti, per riuscire, per Sua intercessione, a riportare la vittoria su questa legge contro natura e metterla per sempre fuori dell'ordinamento giuridico del Paese. Ma poiché siamo in prima linea - dopo il testo di Paolo Pasqualucci [qui] - pubblichiamo un altro contributo autorevole, per favorire questo fine di salvezza delle famiglie, dei bambini, del futuro dell'umanità. Le ragioni che il mondo non vuole sentire, ma che uomini di buona volontà non faticano ad accogliere.

L’OMOSESSUALITÀ NON È SEDE DI DIRITTO
di Enrico Maria Radaelli

1) Sulle pagine della Instrumentum laboris che riguardano coloro che anche in tale documento vengono eufemisticamente chiamati “persone a tendenza omosessuale” vorrei manifestare una riserva di carattere generale: dai tempi infatti del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica (1993), sostitutivo di quello di san Pio V, o Tridentino (1566), la Chiesa ha scelto di accettare e di includere, come se la cosa fosse possibile, una realtà supposta ontologica di “persone con tendenza omosessuale”.

Prima di questo Catechismo, di tali persone il magistero della Chiesa ha parlato di sfuggita, p. es., nelle 45 Proposizioni condannate nei decreti del S. Uffizio del 24-09-1665 [contro i lassisti], nella Proposizione 28: « La pederastia, la sodomia e le congiunzioni con animali, sono peccati della stessa specie più infima: perciò nella confessione è sufficiente dire che ci si è procurati una polluzione » (Denz 2044), e naturalmente nel Catechismo Tridentino (p. 469 edizione Cantagalli): «Disonesti e adulteri, effeminati e pederasti non erediteranno il Regno di Dio » (I Cor 6,9). Ora, invece, nel testo del sopra detto Nuovo Catechismo, che vorrebbe supplire alle carenze del primo, si dà per scontata e per reale una tendenza la cui consistenza è invece tutta da vedere, e di cui potrebbe essere messa in dubbio l’esistenza ontologica almeno con tre considerazioni (i sotto indicati punti A, B e C), accettando unicamente il fatto ahimè storicamente riscontrabile di uomini che peccano contro la castità e dunque di uomini che, come tutti i peccatori, vanno certamente accettati, amati accolti e ascoltati, ma rigettando ogni pretesa ontologista del loro status, che è solo quello di una situazione peccaminosa, transeunte, accidentale e storica, deviante dall’innata tendenza dell’uomo al bene, qui quello della castità, elargita da Dio a tutti gli uomini.
Ecco le tre considerazioni:

A) L’uomo – tutti gli uomini – tende naturalmente al bene. Ma la « tendenza omosessuale innata » (CCC 2358) contrasta sia col Vecchio che col Nuovo Testamento, che non la ammettono. Per il Vecchio Testamento si possono segnalare almeno i seguenti passi scritturali: 
  1. L’episodio di Sodoma (Gn 19,1-11); 
  2. « Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio » (Lv 18,22); 
  3. « Se un uomo ha rapporti con un altro uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di essi » (Lv 20,13). 
Per il Nuovo Testamento: 
  1. « Non illudetevi: …né effeminati, né sodomiti, … erediteranno il regno di Dio » (Loc. cit.); 
  2. « La legge … è fatta per … i fornicatori, i pervertiti … » (I Tim 1,8;10); 
  3. « Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in sé stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento » (Rm 1,26-7).
Quindi, se le Sacre Scritture sono inerranti, v. Denz 3292s e 3652-4 (almeno in fide et moribus, e dico “almeno” a beneficio di quei chierici razionalisti che non sanno raccordare scienza e ispirazione dello Spirito Santo, ma appunto: consideriamo qui che, sull’argomento che stiamo trattando, l’inerranza è riconosciuta da tutti) e le Sacre Scritture sono certamente inerranti (almeno in fide et moribus), tale tendenza non può essere né un bene, né innata, perché Dio non punisce l’uomo per ciò che l’uomo è, anche accidentalmente, p. es. per nascere cieco, o senza qualche organo corporeo, come a volte avviene, ma punisce l’uomo per ciò che egli fa, e che fa adempiendo tre precisi parametri: piena avvertenza, deliberato consenso, materia grave.
Ma se la « tendenza omosessuale » non è un bene, gli uomini che dicono di tendervi, tendono verso il male: tendono verso una direzione anomala, perversa, contro natura, e ciò fanno per desiderio, per concupiscenza; inoltre, secondo, non essendo tale tendenza innata, perché il suo innatismo metterebbe in errore, come visto, le Sacre Scritture, tali uomini vanno instradati con opportuni consigli spirituali, forse uniti anche a terapie collaterali, così da correggersi presto e compiutamente, tirandosi fuori dal loro peccato. 

B) L’uomo – tutti gli uomini – tende naturalmente al bene. Se vi fossero persone con « tendenze omosessuali innate » (v. sopra), ciò significherebbe che tale tendenza sarebbe un bene. Ma non può essere un bene cui tendere ciò che dalla Chiesa, nelle azioni di un uomo conseguenti alla tendenza, viene con termini inequivocabili indicato come atti « intrinsecamente disordinati, contrari alla legge naturale » (CCC 2357, dunque articolo che, pur precedendo di un solo numero quello visto sopra, lo contraddice): se le azioni sono “intrinsecamente disordinate”, non può non essere “intrinsecamente disordinata” anche la cosiddetta “tendenza” allo status che li porta a compiere tali azioni, anzi: lo dev’essere di più, come la causa (la tendenza) dev’essere di certo più dell’effetto (l’azione).

C) Tali persone, che pretendono essere riconosciute intrinsecamente “omosessuali”, quasi che la loro condotta disordinata, anomala e contro natura sia ontologica (non accettano neanche una prospettiva clinico-psico-terapeutica, sostenendo di essere tali geneticamente), asseriscono che le Sacre Scritture non si riferiscono a loro, quando parlano di sodomiti o di sodomia, ma a persone che compiono “atti omogenitali”, ma qui andrebbe chiarito invece che agli occhi di Dio (sia nel V. T che nel N. T.) ogni scelta, atteggiamento o atto sessuale che non sia teso alla vita, che non sia teso cioè a “dare figli a Dio”, è male, è atto intrinsecamente e gravemente peccaminoso. Posto che l’inclinazione  al proprio genere sessuale (meglio: il desiderio, anzi l’impuro desiderio, anche per il CCC, il quale, p. es. al n. 377, lo chiama “concupiscenza”) è cosa che non porta ad atti fecondi per la vita, per dare “figli a Dio”, essa è intrinsecamente cattiva, in odio o quantomeno in disprezzo a Dio e ai suoi disegni (per orgoglio, perché tutto nasce dall’orgoglio: il narcisismo è una forma di orgoglio). 

Queste tre considerazioni rigettano ab ovo ogni pensiero sul tema che sia fondato su pretese ontologiste, cioè sulle premesse attualmente in voga universalmente e che oggi allignano, come visto, pur se di certo senza suo dolo, anche nella stessa Chiesa.

Su questo punto la Chiesa odierna dovrebbe correggere il proprio insegnamento, come l’ha già corretto una volta nel passaggio dal Catechismo di San Pio V, il Tridentino, al Nuovo Catechismo, perché un sano e santo sviluppo della società e del mondo non può avviarsi che a partire da un insegnamento moralmente corretto. Esso, invece, in primo luogo si presenta fortemente disorganico nei confronti dell’insegnamento precedente, come si può osservare – il che non significa che anche l’insegnamento precedente, posto nel Tridentino, non vada corretto e migliorato, e anche in più punti –; e in secondo luogo, specialmente, non sembra essere veridico come dovrebbe, e in questi quarant’anni di vita mi pare si sia mostrato fortemente lacunoso, omettendo, Dio non voglia, per gran paura delle potenti lobbies sessiste, ma anche, in generale, dei loro fiancheggiatori, gli intellettuali a tendenza liberale, più o meno crudamente anticattolica, verità imperdibili, senza cadere peraltro in vero e grave difetto di magistero, perché tali insegnamenti sono stati dati sempre (un “sempre” relativo: esplicitamente, e in documenti conservati e ufficiali, solo dal 1566) in qualità di “verità connesse ai dogmi”, similmente a quelle “verità connesse ai dogmi” della cui forza chi scrive ha con ogni dovizia illustrato estensione e limiti in Dogma e pastorale (Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2015, pp. 53-66).
Verità imperdibili, dunque, tali “verità connesse ai dogmi” su cui si soffermano i due più conosciuti Catechismi stilati nei secoli dalla Chiesa, ma non esse stesse dogmi, e dunque compatibili con qualche imperfezione, come mostra lo stesso Catechismo Tridentino, o, in altro ambito, mostrano i due Codex Iuris Canonici (il primo del 1917, il secondo del 1983), o le canonizzazioni dei santi (che a volte, come si sa, furono anche di santi inesistenti); le “verità connesse”, va ribadito, sono verità storiche, dunque defettibili, sicché, dogmaticamente parlando, la Chiesa è salva. Ma lo scandalo dell’errore, allorché individuato, andrebbe tolto di mezzo sempre al più presto, correggendo l’errore e pubblicizzando la correzione nella misura in cui fu fatto e fatto conoscere l’errore. 

Da come stanno le cose, potrebbe sembrare quasi che le lobbies sessiste e i loro fiancheggiatori siano riuscite a spostare la linea di demarcazione che la Chiesa dovrebbe riconoscere tra bene e male inducendola, con impropri, inaccettabili e tendenziosi argomenti cosiddetti “scientifici”, a farle includere nel bene anche gli atti di coloro che sarebbero “affetti” da tali « tendenze omosessuali innate », ma la vera e originale linea di demarcazione è quella tra purezza e impurità, tra carnale e spirituale, tra castità e fornicazione, come dicono le Scritture: « Chi semina nella sua carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna » (Gal 6,8).
Le lobbies omosessuali e i loro fiancheggiatori sono riusciti anche a spostare l’attenzione di tutta la società su un suo aspetto marginale (non accidentale, ma marginale, circoscritto), come la sessualità, moralmente corrompendo tutta la società come materialmente la corruppe la peste nera nel 1348, così che ora viviamo in una società ipersessualizzata, ipercarnale, potremmo dire anche insatanassata, dove cioè il sesso è presente come fosse il sale della terra, con grave perdita della sua spiritualità, che è invece il suo elemento davvero non marginale, non circoscritto, ma sostanziale e illimitato (v. Mc 5,13).
Al contempo di questa invadente e abietta ipertrofia sessista, inaspettatamente avviene che, in sgradevole simmetria eguale e contraria, ci tocca vivere anche in una società che oggi si rivela gravemente e volutamente infeconda, destinata perciò alla propria atrofia, al proprio autoannientamento. D’altronde, né il singolo uomo né la società può vivere etsi Deus non daretur, “come se Dio non ci fosse”, che è il principio che si è voluto dare la società occidentale e liberaloide d’oggi, a partire dalle sue stesse Costituzioni. Sicché questa tendenza autodistruttiva è destinata a essere prima o poi corretta da Dio, con una correzione che Dio stesso, nella sua bontà, garantisce col suo celebre giuramento: « Portæ Inferi non prævalebunt » (Mt 16,18).
La Chiesa è l’unica Società che può salvare i popoli e le Nazioni, ma si ha l’impressione che forse qualche suo Pastore – come d’altronde è avvenuto in altri secoli in duri confronti avutisi con altri potentati – si sia lasciato prendere da un eccessivo timore delle lobbies sessiste dominanti, così da produrre senza volere delle convinzioni come quelle viste al punto A), e il combattimento dunque per la necessaria correzione degli insegnamenti da dare sul tema potrebbe essere portato ancheintra mœnia e potrebbe non essere privo di grandi scosse.
Ma la purissima Vergine ha sempre protetto e sempre proteggerà la sua santa Chiesa, specie quei suoi figli che ciò vogliono e chiedono, salvaguardandola, lei e i suoi figli, dagli schizzi di impurità anche minimi con cui il Nemico vorrebbe infangarla, spingendola presto alla purezza dogmatica che la guida. 

A proposito, infine, della castità, cui ora si è accennato, andrebbe ricordato – e questo vale anche per i cosiddetti divorziati risposati, cioè i concubini – che la castità e la purezza di cuore sono dovuti a una condotta di vita richiesta dal Signore come status naturale da tenere sia nella condizione di celibi, sia in quella di sposati, sia infine in quella di consacrati, come indicato dal Signore: « Se non vi farete piccoli come questo bambino non entrerete nel Regno dei cieli » (Mt 18,4): l’impudicizia, la concupiscenza, la fornicazione, è una tentazione; la purezza non è uno dei tanti possibili modi di vivere il matrimonio (e la vita in generale), ma è lo status ontologico dell’uomo, fuori e dentro il matrimonio che sia.
Certo, per mantenerla è necessaria la grazia, ma lo status dell’uomo, anche nel matrimonio, è la purezza, è la castità, non l’impurità, non la lussuria. È vivere secondo lo Spirito, non vivere secondo la carne: « Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione, chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna » (Loc. cit.).
La grazia è decisiva per il combattimento, ma l’uomo, di suo, non è che dopo il battesimo sia costretto quasi a guadagnare un territorio di santità e di purezza in cui non si troverebbe originariamente, ma, dopo il battesimo, e ancor più dopo la cresima, e ancora più poi dopo ogni comunione eucaristica, dovrebbe ricordare che il suo status naturale è la purezza, dunque lontano da ogni tendenza malsana, da ogni tentazione-inclinazione impura: per grazia, si manterrà puro come puri sono i bambini, ossia come puro era stato egli stesso fin quando era stato bambino.
La purezza del cuore è l’unica via a essere atta, oltre che per la santità, anche per tornare a rendere feconda la società, viva la civiltà, promettente il futuro. La castità e la legge morale garantiscono e donano un benessere sociale anche materiale, perché il Signore, Cristo Gesù, premia con grazie anche materiali, se pur secondarie rispetto alle spirituali, la condotta morale di una società che segue i suoi comandamenti, il suo Vangelo, come suggeriscono anche alcune dottrine economico-finanziarie cattoliche che sollecitano a intraprendere politiche che sappiano legare con rigore ambiti solo apparentemente lontani tra loro, come parrebbero essere il morale e l’economico-finanziario, ma le Scritture sono piene di vivi suggerimenti in tal senso: « Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli » (Sal 32,10), « Il Signore ha dato, il Signore ha tolto » (Gb 1,21), e, nel N. T., Lc 12,6: « Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio », o anche I Cor 3,7: « Né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma è Dio che fa crescere ».
Il Signore, padrone anche della materia, premia chi segue con purezza d’animo e con apertura alla vita (anche il rifiuto di metodi contraccettivi fa parte della castità) i misericordiosi e santi insegnamenti della Chiesa, dando alla società fecondità e benessere: spirituali sempre, e a volte, per i Suoi fini superiori e dunque sempre squisitamente spirituali, anche materiali.
Prof. Enrico Maria Radaelli

International Science and Commonsense Association (ISCA)
Department of Metaphysics of Beauty and Philosophy of Arts,
Research Director (http://www.isca-news.org/?page_id=351)
www.enricomariaradaelli.it

venerdì 19 febbraio 2016

SANCTA MISSA


"TANTUM VALET 
CELEBRATIO MISSÆ,
QUANTUM VALET 
MORS CHRISTI IN CRUCE"
S. G. Crisostomo, Apud Discipul. Serm. 48.








mercoledì 17 febbraio 2016

Il passaggio del Mar Rosso (Es 14, 5‑31) - Le acque di Mara (Es 15, 22‑25) - Le palme di Elim (Es 15, 27) - L’acqua dalla roccia (Es 17, 1‑7) - La manna (Es 16, 9‑27) -

Il passaggio del Mar Rosso (Es 14, 5‑31)

Mosè la seguiva e altrettanto raccomandava di fare al popolo. Giunsero così, dietro tale guida, sul­le rive del Mar Rosso. Ma l’esercito egiziano piom­bò alle spalle degli Israeliti, mettendoli in grave an­gustia, poiché non avevano altra via di scampo che spingersi dentro il mare. Sorretto dalla forza di Dio, Mosè operò allora un prodigio grande, incredibile. Stando sulla riva del mare, ne colpì con la verga le acque ed ecco, sotto i colpi della verga, il mare si divise e le onde, rotte a una estremità, portarono la loro spaccatura fino alla riva opposta, proprio come succede in un vetro, quando la frattura fatta a un capo si estende fino all’altro capo. 

Tutti, Mosè e il popolo, scesero nel fossato che aveva diviso in due il mare e lì non solo si trovaro­no all’asciutto, ma perfino il sole arrivò ad avvol­gerli con la sua luce. Attraversarono allora a piedi il fondo asciutto del mare, senza paura delle pareti di ghiaccio che di qua e di là si levavano come un muro[1]. Anche il Faraone entrò coi suoi per la strada aperta in mezzo alle acque, ma queste subi­to tornarono ad accavallarsi e confondersi e il ma­re, ripresa uniformità d’aspetto, ricominciò a flui­re alla maniera consueta.

Quando gli Israeliti avevano ormai terminato il tragitto sul fondo del mare e si trovarono sull’altra riva, intonarono un inno di vittoria in onore del Si­gnore, che aveva drizzato innanzi a loro un trofeo non intriso di sangue[2] e aveva sommerso nelle acque gli Egiziani, con cavalli, carri e armi.

Le acque di Mara (Es 15, 22‑25)

Avanzarono nel deserto per tre giorni, senza tro­vare acqua. Mosè era preoccupato per l’impossibili­tà di soddisfare la sete di tante persone. Si accam­parono attorno a una palude dalle acque salate e più amare di quelle del mare. La gente, divorata dalla sete, fissava, seduta sui bordi, l’acqua della palude. Ma ispirato da Dio, Mosè andò in cerca di un pezzo di legno e lo gettò nelle acque: subito es­se divennero dolci.

Per effetto del legno, l’acqua amara era diventa­ta dolce. Poiché la nube riprese a precederli, essi non avevano che da seguire gli spostamenti di quel­la guida, stando a questa regola: se la nube si fer­mava sospendevano la marcia; viceversa quando ri­prendevano il cammino, la nube tornava a guidarli.

Le palme di Elim (Es 15, 27)

Seguendola, giunsero in una località ricca di buo­ne acque, che zampillavano tutt’intorno da dodici abbondanti fonti, ombreggiate da un boschetto di palme. Erano appena settanta queste palme, ma tanto alte, belle e grosse da lasciare meravigliati chi le mirava.

L’acqua dalla roccia (Es 17, 1‑7)

La nube li guidò verso un’altra località, dove fe­cero sosta. Il luogo era deserto, coperto di sabbia asciutta e bruciata, senza alcuna vena d’acqua che lo inumidisse. Di nuovo allora tornò la sete a tor­mentarli e Mosè procurò acqua dolce, buona e ab­bondante più del bisogno, facendola ancora scatu­rire da una roccia della collina, colpita con la sua verga.

La manna (Es 16, 9‑27)

Intanto si era esaurita la provvista di cibo che ciascuno aveva preso per il viaggio e si trovavano ormai stretti dalla fame, quando avvenne un’incre­dibile meraviglia. Il cibo arrivò non dalla terra co­me è normale, ma dal cielo, al pari di rugiada. Pro­prio come una rugiada infatti esso scendeva di mat­tina, ma nell’atto in cui lo raccoglievano, trovava­no che si trattava di cibo. Non erano infatti delle gocce, come avviene nella rugiada, ma certi grani cristallini, simili al seme di coriandro, rotondi e dal sapore di miele.

I fatti riguardanti la raccolta di questo cibo han­no dello straordinario: succedeva anzitutto che i più deboli non raccogliessero meno degli altri, tut­ti invece finivano per avere una porzione eguale, an­che se età e capacità fisiche erano differenti e cia­scuno cercasse di raccoglierne in proporzione dei propri bisogni.

Ma non mancava qualcuno che, non acconten­tandosi del fabbisogno quotidiano, ne ammassava per il giorno seguente. Orbene, la porzione accanto­nata diveniva immangiabile, trasformandosi in vermi.

Solo nel giorno precedente a quello consacrato, per mistica ragione, al riposo, ognuno scopriva di aver raccolto una porzione doppia, nonostante che la quantità discesa e raccolta fosse la medesima de­gli altri giorni. Avveniva questo, perché la necessità di raccogliere il cibo, non servisse di pretesto per violare la legge del sabato. Si trovavano dunque di fronte a una più chiara manifestazione della divina Potenza. Infatti negli altri giorni, il cibo preso in più si guastava; esso invece restava intatto e non meno fresco del solito, quando veniva raccolto per il sabato, che era il loro giorno festivo.



[1] Il testo biblico (Es 14,22) parla di «muraglia», prodotta dalle acque. La precisazione che si trattasse di pareti di ghiac­cio è un’ovvia deduzione, già contenuta in Filone, Vita Moysis 1, 32, 177‑180.
[2] L’espressione significa: una vittoria incruenta, senza spar­gimento di sangue. Essa deriva dalla terminologia relativa al martirio nei primi secoli della Chiesa. Il martirio infatti era un segno di vittoria, ma intriso del sangue dei martiri.

da VITA DI MOSE' di Gregorio di Nissa

VIENI SIGNORE GESU' 
NOI TI ATTENDIAMO. AMEN.